Pietro il primo apostolo

13 novembre 2016

Luca 5,1-11

Pietro è il primo (discepolo) che ha ricevuto come ordine la parola di  Gesù. La sua esperienza di pescatore gli ha insegnato che  ci sono i momenti in cui la pesca è generosa. Momenti in cui non si pesca  niente e talvolta tanto da quasi far affondare una barca.

La vera realtà che lui comprende è che  non dipende tutto da lui come  uomo ordinario, un pescatore di professione, ma  da diversi fattori. Il pescatore sa spiegare questo fatto. Mi sembra di aver sentito dai miei parenti che se c’è la luna piena è il momento più opportuno per pescare, gettare le reti per poter prendere tanti pesci.

Così egli ha risposto a Gesù: « Tutta la notte ci siamo affaticati, e non abbiamo preso nulla». Come a dire: ho fatto tutto ciò che mi è stato possibile fare. Da parte mia ho già provato tutto. Quindi non c’è più niente da fare eppure è proprio in questo momento che Gesù rivolge la sua chiamata.  Come dire«prova ancora e vedrai».

Grazie a questa seconda volta, grazie ad un’altra possibilità la vita cambia immediatamente.  Bisogna riprovare, dice il Maestro Gesù. Perciò Simone Pietro ha aggiunto «però, secondo la tua parola, getterò le reti».

La professione come la missione sta in questo: ciò che posso fare, ciò che mi è possibile  fare lo faccio perché quello  da senso alla mia vita e ad altri. Gesù era in mezzo alla folla. Egli ha compiuto il suo mandato di far udire la parola di Dio e allo stesso tempo consegna una missione a qualcuno come Pietro: «Tu che hai ascoltato ciò che ti ho detto, facendolo, ti dico che ‘tu diventerai uno pescatore di persone, di uomini’».

Il mandato di Pietro  era chiaro: di essere un pescatore degli uomini, un mandato specifico rivolto a lui da Gesù. Simone il pescatore con  la sua barca e le sue reti lavorerà e collaborerà. Lascia insieme ad altri suoi compagni la pesca in mare per pescare in un altro senso. Rimane un pescatore ma questa volta di uomini. Egli li raccoglie in un luogo come la chiesa di Dio oggi. La chiesa come un gruppo di famiglia, un popolo appartenente ad una sola nazione o come noi oggi  di provenienza diversa, eppure siamo tutt’uno in Cristo Gesù.

 

 

Noi oggi siamo qui perché continuiamo ad ascoltare l’annuncio della parola di Dio, questo è chiaro  per me perché prima di annunciare la parola  di Dio, cerco di ascoltarla e  meditarla per poi  trasmetterla nella predicazione e  anche voi dovete trasmetterla ad altri. E’ una passa parola.

Siamo anche noi mandati da Gesù come è stato per Pietro ed i suoi compagni Giacomo e Giovanni.  Sono molto felice di fare questo cammino con voi. Mi rallegro molto nel pensare che a partire dal compito missionario del figlio di Dio ci siamo incontrati in questo luogo.

L’apostolo Paolo paragona la chiesa a un unico corpo con molte membra che hanno cura l’uno dell’altra. Prenderci cura a vicenda è il nostro obiettivo principale, questa è la vera comunità.

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

grazie per tutte le occasioni in cui abbiamo potuto fare qualcosa per il bene della chiesa tutta e noi proseguiremo ancora per tutto il tempo che Dio ci darà. Quindi siamo tutti benefattori e beneficiari della sua chiesa.

Dio ha formato il corpo in modo da dare maggior onore alla parte che  mancava,  perché non ci fosse divisione nel corpo ma le membra avessero la medesima cura le une per le altre.  Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono con lui. L’apostolo Paolo ci parla e dà consiglio alle chiese di oggi perché sperimentino  nel loro vissuto la profondità della loro missione. Il corpo ha bisogno di cura e prima di tutto di curare se stesso, le stesse membra devono collaborare in maniera di farsi carico l’uno dell’altro.

La diversità delle chiese non significa divisione. Ci sono aspetti importanti come la pratica della fede che sono preziosi doni di contribuzione. Gli scambi dei doni delle chiese sono quelli che portano avanti la missione di Dio sulla terra.  Abbiamo bisogno oggi della collaborazione condividendo quello che abbiamo. Ciò di cui ha bisogno l’altro.

E’ bello ricordare che due  domeniche fa, il 30 ottobre , le chiese evangeliche sono state insieme proprio per condividere la loro comunione in Cristo Gesù in piazza Lutero. Noi c’eravamo. Potremmo incontrarci ancora lì, darci degli appuntamenti per chiacchierare e mangiarci un panino. Lì in quel giardino potremmo parlare della nostra fede.

Le chiese sono come le barche, le reti sono come la parola di Dio gettate perché si raccolgano gli uomini e le donne  che hanno bisogno delle cure: corpo e anime da curare da parte di quelli che sono stati chiamati a svolgere il compito di essere pescatori degli uomini come sono stati Simone Pietro, Giacomo e Giovanni.

I discepoli di Gesù d’allora sono tuttora importanti per la nostra missione. Oggi ricordiamo i tre discepoli che si sono dedicati a seguire Gesù e ad andare dappertutto per annunciare il motivo del loro  vivere. Da allora  Gesù  ha rivolto loro la chiamata e a coloro che hanno risposto di ‘sì’  ha ordinato che non si torna più indietro (Lc.9,57-62). Noi vediamo che i 12 discepoli o i 70 hanno adempiuto la loro missione fedelmente.  Il servizio cristiano è adatto solo a chi ha lo sguardo fisso alla meta! Rispondere di sì alla chiamata per l’annuncio del regno di Dio , significa impegnarsi per tutta la vita.

Care sorelle e cari fratelli in Cristo Gesù, il nostro buon Maestro rivolge a noi una fresca chiamata. Il nostro tempo è prezioso,  da non sprecare ma da utilizzare pienamente. Vivere il tempo per noi e per gli altri conta molto  perché non torna più.  Dio ci ha dato insieme l’occasione per testimoniare la verità che dà senso al nostro vivere su questa terra, in particolare in questa città.  La fedeltà di Dio ci accompagna con le sue promesse. Egli ci chiede di proseguire e  di non fermarci mai perché ci aspettano nuovi incontri, nuove responsabilità, nuove possibilità.

Gesù ha detto ai suoi discepoli di lasciare ciò che pesa soprattutto quando uno affronta un viaggio. Vuol dire che il discepolo deve essere più leggero nel suo spostarsi. Non deve essere carico.  In questa settimana, come sapete ho avuto un incontro di orientamento con i miei colleghi responsabili per il mio prossimo viaggio di formazione in una chiesa negli stati uniti e mi è stato detto di andare a Edgewater, Presbetarian Church a Chicago.

Saremo in cinque e ognuno di noi  è destinato a una chiesa in stati differenti. Due professori nostri, la nostra coach, i colleghi che sono andati prima di noi  ci hanno incontrati per aiutarci a prepararci psicologicamente e non solo. Essi ci hanno raccontato le loro esperienze che sono utili da conoscere. Dopo una settimana dal mio arrivo lì in febbraio compirò i  miei cinquant’anni. Io ritengo che questo viaggio sarà veramente una bella esperienza per me come lo sono tutti i viaggi, in generale. Conoscere nuova culture, nuovi posti sulla terra,  conoscere nuove persone  è un privilegio.

Personalmente, sono ancora più emozionata di conoscere questa terra  cioè un paese da cui qualcuno è partito per insegnare ai miei nonni  come vivere la fede nella tradizione protestante di denominazione metodista.  E’ molto interessante poi per me condividere con coloro  che incontrerò. Che sono stati gli americani a esportare una lingua straniera nel mio paese e  che hanno tuttora  molta influenza laggiù.

Persino nel mio paese sono stata sempre straniera parlando lingue diverse. Ma questa è stata anche una fortuna nella mia vita  perché ho imparato a leggere la Bibbia in italiano e ho avuto l’opportunità di stare con voi.  Il mandato di Pietro di diventare  un pescatore di uomini insegna a tutti noi credenti che c’è la possibilità per tutti noi di arrivare lontano per svolgere le nostre chiamate: la nostra missione sarà la nostra professione  in questa terra.  Non è facile affrontare una nuova realtà. Eppure il nostro padre Abramo fu mandato via dal suo paese, dai suoi parenti perché Dio potesse dimostrare che voleva cambiare la sua vita.

 

Pronti sempre ad esser dove Dio ci chiama. Il «DOVE» è una situazione, una persona, un rapporto, una cosa, un fatto. Un «dove»usuale, semplice, ovvio: quello della vita di ogni giorno. La sua grazia rende grande tutto ciò che è piccolo, quotidiano, banale. Riscatta l’apparente inutilità e la dichiara segno del  suo Regno che si compie.

Dio non sta mai alle spalle.

Non appartiene al passato, custodito nei ricordi.

È un Dio vivo, più vivo di noi: sta al presente e ci chiama dal futuro. «Maranatha»: ecco, il Signore che sempre viene.

 

Don Germano Pattaro. Nato a Venezia il 3 giugno 1925, fu ordinato sacerdote il 25 marzo 1950; svolse tutto il suo ministero pastorale nel Patriarcato di Venezia

 

past. Joylin Galapon

 

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