Il dio di Mosè

15 gennaio 2017

Esodo 33,17-23

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

nel libro dell’esodo è narrato il lungo viaggio del popolo di Israele.

Grazie ad esso capiamo che la vita di un credente in Dio è un percorso, un cammino e la presenza di Dio si manifesta nella storia dell’uomo.

Dio ha eletto Mosè perché guidasse un popolo.

Mosè  ha trovato grazia agli occhi suoi  e Dio l’ha conosciuto personalmente.

Dio ha conosciuto Mosè.

Egli ha ritenuto di rivelarsi  manifestandogli la sua gloria nella sua <<bontà, nel suo nome, nella sua grazia, e nella sua pietà>> con cui Dio ha sempre accompagnato Mosè.

A Dio vengono  attribuiti questi caratteri di cui l’uomo ha bisogno nel suo vivere. L’insieme di questi caratteri identifica Dio

Mosè non ha visto Dio.

Non l’ha potuto vedere. Dio non ha esaudito la richiesta di Mosè di farsi vedere cioè di mostrarsi, o di rivelare il suo volto. Dio nell’AT non aveva volto, solo dopo nel NT  si vedrà Dio nel Figlio. Cfr. Gv. 1 Questa è stata la volontà di Dio nei tempi che aveva  prestabilito.

Mosè  vedrà Dio in un’altra maniera,  mentre camminano e percorrono la strada della vita.

Dio sarà presente nella bontà, nella signoria, nella grazia e nella pietà che saranno esperienze di vita di Mosè, in cui testimonieranno la sua esistenza che appartengono solo a Lui.

Mosè aveva il compito di accompagnare un popolo, un gruppo, una massa di gente verso la terra che gli aveva indicato Dio stesso, la terra promessa.

Dio così si è rivelato a Mosè suscitando in lui quella presenza che dona pace interiore: la sua gloria si manifesterà.

Tutto questo avvertimento a Mosè, che nessuno avrebbe mai visto Dio, nella storia del popolo di Israele ci fa capire ancora di più l’atteggiamento che l’uomo ha di far prevalere la sua volontà di una rappresentazione esteriore di Dio, di creare un’ immagine di  Dio per se stesso.

Quindi la creazione del vitello d’oro è nata dalla volontà dell’uomo di realizzare un’immagine in cui fosse rappresentato  Dio.

In questo senso, si verifica ancora nella nostra epoca,  il bisogno costante dell’uomo  di voler soddisfare questa richiesta primordiale di Mosè.

Noi non abbiamo potuto purificare completamente la nostra fede(credendo solo in Dio tramite la sua parola)  e liberarci di tutte quelle credenze che continuano a rappresentare il falso volto di Dio, anche se, uno dei nostri principi del protestantesimo, è di eliminare tutte le immagini che si presume rappresentino Dio.

Non è facile per tutti noi  fare un lavoro di purificazione (ciò che chiamiamo la conversione/circoncisione del cuore, o il cambiamento radicale della mentalità).

Però, la purificazione della mente e del cuore è necessaria, ed è basilare per comprendere meglio che Dio non ha un volto, ma è colui che opera nel nostro essere per il nostro bene cioè l’opera dello Spirito Santo.

Dio ha voluto rivelare la sua presenza nell’ interiorità dell’uomo che si manifesta nel suo essere sereno, in pace, nella certezza di poter affrontare la vita quotidiana e fare il suo viaggio sulla terra.

Così Dio è intervenuto nella storia sia personale che collettiva.

 

L’uomo così come  Mosè deve avere la capacità di riconoscere  Dio nella sua vita, in questa maniera. La MANO del Signore è il suo scudo, che lo ripara da ogni assalto.

In alcune situazioni ci troviamo a dover lottare non essere  tentati di credere che Dio  non ci sia o che non sia presente.

Ad esempio nel tempo della scarsità?

Nel tempo del bisogno?

Nel tempo della malattia?

Nel tempo in cui affrontiamo situazioni difficili?

Sentire il bisogno di Dio è molto importante nella vita soprattutto dei credenti.

Perché? Perché è nell’ora delle  prove della vita che si manifesta la gloria di Dio.

La prova  più estrema che ha sperimentato Gesù è quando si è avvicinato il momento  della sua morte.

Lui ha gridato “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”.

Domenica scorsa ho fatto uno studio biblico sulla tentazione con il gruppo dei filippini. Un episodio testimoniato dai vangeli(Marco e Luca) è quello in cui Gesù viene tentato da Satana.

Satana lo tenta proprio sulla conoscenza di Dio. Chi è Dio? A partire da questo concetto di Dio  dobbiamo imparare a conoscere e riconoscere i suoi interventi.

Satana l’ ha tentato, ha provato a sedurlo e ad ingannarlo con  parole affascinanti per regnare in lui così dobbiamo anche lavorare molto sul concetto di tentazione. Per professare di avere Dio è molto importante avere l’atteggiamento di prudenza sia nella mente sia nel parlare.

Satana gli ha promesso l’abbondanza, il dominio, la signoria. Se Gesù si prostra a lui avrà tutto.

Gesù ci ha dato un esempio di come  distinguere la presenza di Dio nei suoi insegnamenti durante il suo ministero.

Quando ci siamo sentiti   abbandonati da Dio?

Gesù chiese:<<Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato>>è stato abbandonato dai suoi amici(discepoli).

Chi è malato di una grave malattia sente il dolore. Una sorella di chiesa ha avuto una esperienza di dolore fisico quando si è ammalata, ma mi ha confessato(confidato  che  si è sentita ancora peggio quando i suoi fratelli e le sue sorelle di chiesa non si sono fatti sentire, ovvero, quando non ha avuto quella presenza che si aspettava da loro e quindi si è  sentita più sola.

Ha cominciato a riflettere e ha pensato al suo rapporto con Dio e con il suo prossimo.

Con Dio ha sentito che la sua relazione era diventata più forte, il legame suo era diventato più stretto. Non l’ha abbandonato, ha afferrato, ha pregato che lui non l’abbandonasse. Non si è allontanata da Dio. Spesse volte ci sentiamo di essere abbandonati da Dio ma forse siamo noi che ci allontaniamo da Lui.

Con il prossimo ha detto a se stessa che non lascerà che altri si sentano abbandonati. Cercherà di farsi sentire, e di esserci vicino quando una o uno dei suoi fratelli o sorelle stanno attraversando un momento di difficoltà.

Per noi uomini e donne  è più difficile sopportare una malattia quando ci sentiamo soli e abbandonati dalle persone sulle quali contavamo.

Che cosa ci ha fatto credere che Dio  è presente nella nostra vita?

Spero  non solo quando abbiamo avuto la guarigione dalla nostra malattia.

Spero che non sia stato soltanto quando ci siamo salvati da un incidente e quindi siamo ancora in vita.

Spero  non solo quando abbiamo desiderato una cosa  così grande da poterla ottenere solo tramite la grazia di Dio.

Penso che in questo tempo abbiamo avuto molto dalla vita.

Il pericolo ora  è di essere increduli, è il non credere che tutto quello che esiste sulla terra sia a nostra disposizione e abbiamo anche la possibilità e libertà di scegliere.

La vera questione è come ci impegniamo a trovare il senso di una cosa a nostra disposizione per farla diventare una cosa che dà senso alla nostra vita.

Penso che una cosa ha senso per noi, innanzitutto, quando siamo noi ad accettarla per primi. Una cosa che abbiamo è utile, quando la scopriamo vera per noi stessi.

Il viaggio del popolo di Israele è stato lungo. Erano quaranta anni di cammino. In questo brano Mosè parlava direttamente con Dio. Si sente che il loro dialogo è stato molto intenso. Mosè chiede a Dio di mostrarsi, di far vedere la sua faccia.

Dio è pronto a farsi vedere da Mosè,  però non direttamente, ma, gli insegna a vederlo come, guida della vita ogni volta, che sente nascere nei suoi pensieri la bontà, la signoria, la grazia, la pietà di Dio nel cuor suo.

Essere davanti, è Dio stesso che  si mette davanti a lui, come uno scudo.

In questo senso Mosè impara a conoscere Dio, in colui che gli indica la via per arrivare alla sua meta.

Mosè accompagna un popolo, ma, egli è accompagnato da Uno, dal suo Dio che li libera da ogni schiavitù, dal  giogo del peccato.

Sono già più di 2mila anni che quel popolo è guidato dall’unico Dio. Tante esperienze sono successe e se vediamo Dio in quest’ottica saremo sempre più vicini a lui come era Mosè con il suo popolo.

 

Terence E. Fretheim un docente di AT presso il Luther Northwestern Theological Seminary di St Paul Minnesota commenta questo brano del libro dell’esodo dicendo: per Dio essere pienamente presente sarebbe una coercizione; la fede diventerebbe un qualcosa di visibile, e l’umanità non potrebbe far altro che credere.

La presenza di Dio non può diventare una cosa ovvia; deve rimanere un elemento di ambiguità, così da rendere possibile la non-fede.

Un senso del  mistero di Dio deve essere riservato. Questo testo dimostra che anche per Mosè c’è un mistero sostanziale di fronte a Dio.

La richiesta di Mosè di poter vedere Dio è umana, fa parte della nostra personalità. Vogliamo avere sempre quella presenza perché senza di essa siamo persi.

Sorelle e fratelli preghiamo a Dio di non farci mancare quella presenza nella sua bontà, nella sua Signoria, nella sua grazia, nella sua pietà. Amen.

past. Joylin Galapon

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