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Preghiere

di LUTERO Martin, a cura di Beata Ravasi e Fulvio Ferrario,
Claudiana, Torino, 2015,
pp. 139, Euro 11,90

Questo volumetto non è un saggio sulla preghiera, ma una selezione di preghiere, perciò non è rivolto tanto allo studioso quanto al fedele. Ciononostante, molti sono i punti di interesse teologico: già nell’Introduzione vengono evidenziate alcune tematiche della teologia di Lutero, che emergono dalle sue preghiere. Innanzi tutto la concezione di Dio non come entità astratta, ma come realtà dialogica e attiva, ossia come interlocutore che ascolta, risponde e interviene nella storia. In secondo luogo, la distinzione tra certezza e sicurezza della fede, che sottolinea come l’uomo non disponga della parola di Dio, che è esterna ma che, testimoniata dalla Scrittura e annunciata dalla chiesa, dà la certezza dell’esaudimento. Ancora, Gesù come evento realizzato, per cui la preghiera si fonda sulla realtà di quanto Dio ha già operato e continua ad operare in Cristo. E poi: l’idea della preghiera come obbedienza al comandamento di Dio e, nello stesso tempo, come “evento di libertà”, perché, strutturata e ripetitiva, libera l’uomo dall’instabilità dell’animo e dalla consapevolezza del peccato che gli impedirebbe di pregare a causa della sua indegnità. Ancora, l’idea del “già e non ancora”, che si esprime nell’Amen conclusivo, pronunciato oggi, nel bisogno e nella sofferenza, ma che vive della certezza dell’esaudimento di domani. E poi: il ruolo del Padre nostro e dei Salmi come modelli di preghiera: il primo perché, essendo una richiesta di aiuto, smentisce l’idea di una superiorità della preghiera di ringraziamento e di lode, per sottolineare che dobbiamo umilmente chiedere aiuto al Signore nella nostra quotidianità; i secondi perché rappresentano tutte le situazioni e le forme in cui il credente può rivolgersi a Dio. Anche le preghiere, molto semplici, ci offrono spunti di interesse. Certo, la spiritualità di Lutero è tipicamente medievale e la presenza del diavolo, dell’Anticristo e degli angeli non facilita la vicinanza con la comprensione moderna della fede. Tuttavia, molti elementi sono ancora validi. Innanzi tutto, le preghiere toccano le varie situazioni della vita: ci sono preghiere di lode e ringraziamento, ma anche richieste di aiuto per liberarsi dal peccato e dalla tentazione e per rafforzare la propria fede, o richieste di perdono dei peccati e di consolazione nelle avversità; sfatando il luogo comune, Lutero prega anche che le sue opere siano in sintonia con la fede. La preghiera occupa i vari momenti della giornata e della liturgia: addirittura prima e dopo il pasto, prima e dopo la Santa Cena, prima e dopo la predicazione, sia per chi predica che per chi ascolta. Alcune preghiere riguardano la chiesa e l’autorità secolare: pur contenendo riferimenti all’imperatore e al consiglio comunale, potrebbero essere utilizzate anche oggi con gli opportuni adattamenti, come intercessione per le nostre autorità di governo. Diverse preghiere riguardano l’ora della morte e il giorno del giudizio, cui Lutero guarda con fiducia e accettazione della volontà di Dio. Ma egli conosce anche momenti di angoscia e paura, da cui chiede di essere protetto: bellissima è la preghiera pronunciata per la Dieta di Worms del 1521, in cui si affida a Dio perché lo sostenga, e in cui emerge la paura che Dio non senta e sia morto o nascosto: “Tu, mio Dio, dove sei?” chiede Lutero, angosciato: è una preghiera attualissima, nonostante la sua storicità. In queste preghiere troviamo sì il teologo (l’idea della fede come fiducia; l’idea dell’indegnità del peccatore, che chiede aiuto nella consapevolezza che l’uomo non può farcela senza l’aiuto divino; l’importanza della parola di Dio, cui bisogna obbedire), ma troviamo soprattutto il credente, ricco di fede, dubbi, paure e speranze.

 

Antonella Varcasia

L’intruso

17 settembre 2017

Marco 1,40-45
Venne a lui un lebbroso e, buttandosi in ginocchio, lo pregò dicendo: «Se vuoi, tu puoi purificarmi!» Gesù, impietositosi, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio; sii purificato!»
E subito la lebbra sparì da lui, e fu purificato. Gesù lo congedò subito, dopo averlo ammonito severamente, e gli disse: «Guarda di non dire nulla a nessuno, ma va’, mostrati al sacerdote, offri per la tua purificazione quel che Mosè ha prescritto; questo serva loro di testimonianza».Ma quello, appena partito, si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare apertamente in città; ma se ne stava fuori in luoghi deserti, e da ogni parte la gente accorreva a lui.

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,
anche in questa domenica il nostro libretto un giorno una parola ha proposto per la meditazione un altro brano tratto dall’evangelo di Marco.
Se vi ricordate domenica scorsa abbiamo riflettuto sulle parole di Gesù che ci hanno ricordato chi erano i membri della sua famiglia.
Sua sorella, suo fratello e sua madre erano quelli che ascoltavano e mettevano in pratica la volontà di Dio padre.
Oggi ci propone per la nostra riflessione l’episodio dell’incontro fra Gesù e l’uomo malato di lebbra.
Questo fatto l’evangelista Marco l’ha inserito, probabilmente, secondo gli esegeti nel primo capitolo del suo vangelo perché desse conferma dell’ autorità di Gesù di natura divina guarendo le malattie degli uomini, delle donne, dei bambini e delle bambine . Compiendole confermava di essere stato inviato da Dio, di essere suo figlio e mediante lui si scopriva la vicinanza di Dio e la sua presenza nella creazione tutta. Dunque, l’ autorità di Gesù di guaritore dei malati si riconosceva proprio nella manifestazione della forza(potenza) che aveva contro la morte.
Lui può ridare vita superando, vincendo tutte le manifestazioni della morte perché questo è il suo unico obiettivo. La sua ira si infiamma contro ciò che non è vita, Lui deve sconfiggere la morte in noi.
Nel primo capitolo del vangelo di Marco vi sono descritti i seguenti avvenimenti:
– la predicazione di Giovanni, quindi la sua testimonianza, il battesimo di Gesù compiuto da Giovanni stesso
– poi le tentazioni di Gesù da parte di Satana,
– poi dopo l’ inizio della sua missione in Galilea con i suoi primi discepoli,
– poi viene narrato il suo potere di scacciare il demone dall’uomo, la guarigione della suocera di Pietro
– e , infine, c’ è la guarigione dell’uomo con la lebbra.

L’evangelista Marco facendo in questo ordine la sua testimonianza ci istruisce che Dio si era avvicinato agli uomini e alle donne per stabilire tra di loro una comunione e formare delle nuove comunità.
In queste comunità giudeo-cristiane, grazie agli insegnamenti di Gesù, potevano vivere liberamente cercando di superare i loro pregiudizi e le tradizioni con un cambiamento di mentalità. Inoltre, Dio in Gesù si era avvicinato a quelli che non avevano più speranza di vivere con gli altri e di conseguenza, aiutava a cambiare la mentalità dei credenti in Lui. Il cambiamento della mentalità cioè la conversione, dunque, comporta il ritorno a Dio, grazie alla fede nella sua promessa di salvezza in Gesù Cristo , dell’umanità corrotta; tornare di nuovo a credere nella parola di Dio è l’invito che Gesù rivolgeva alla gente, al popolo che lo seguiva e ascoltava le sue predicazioni.
Questo episodio dell’incontro di Gesù con l’uomo lebbroso in Galilea doveva essere la prova della sua missione, profetizzata nel vangelo di Dio nei versi: <<il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo>> Mc.1,15.

Così, il lebbroso ha cercato di avvicinarsi a Gesù, ha riconosciuto nella sua predicazione che il regno di Dio si era avvicinato a lui. Gesù è stato così tanto vicino agli uomini e alle donne che toccando solo la sua veste immediatamente guarivano come la donna malata dal flusso di sangue di cui soffriva da dodici anni. Ella diceva fra sé: << Se riesco a toccare almeno la sua veste, sarò guarita>>. Infatti, Gesù gli disse: <<coraggio, figliola; la tua fede ti ha guarita>>Matteo 9,20-22.
Solo Dio in Gesù uomo può fare questo ma non gli uomini come noi. Dunque, credere in Gesù è anche incontrare Dio.

Nel verso 40 dice: << Venne a lui un lebbroso e, buttandosi in ginocchio, lo pregò dicendo: «Se vuoi, tu puoi purificarmi!» 41 Gesù, impietositosi, stese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio; sii purificato!» 42 E subito la lebbra sparì da lui, e fu purificato.
Dio in Gesù ha voluto purificare il lebbroso come noi e risanarci dalle nostro malattie. Egli trasforma il nostro vecchio essere in uno nuovo. L’apostolo paolo dice: <<le cose vecchie sono passate: ecco , sono diventate nuove>> 2 Cor.5,17. Ognuno e ognuna di noi vive continuamente l’esperienza di sentirsi impuro a causa della imperfezione dovuto alla nostra ignoranza(mancanza di conoscenza o consapevolezza) che si manifesta nei nostri pensieri, e giudizi.
Ma siamo consapevoli che se Gesù in questo episodio ha sconfitto la barriera d’esclusione alla inclusione, dobbiamo rendere gloria a Dio nella nostra comunità e farci promotori e promotrici di questo messaggio evangelico, per i cittadini e gli stranieri.
Convertiamoci , ravvediamoci , torniamoci al nostro Signore. Inginocchiamoci davanti a lui e chiediamolo di farci sentire vivi. Io, tu abbiamo bisogno di incontrarlo personalmente e confessargli ciò che ci fa sentire morti senza vita e senza speranza.
Egli immediatamente ci risponde perché lui può ridare la vita.
Ognuno e ognuna di noi deve chiedergli innanzitutto quella vita che ci permette di rialzarci e che ristabilisce comunione quindi inclusione.
Noi siamo inclusi nel regno di Dio sulla terra.
Noi abbiamo ricevuto l’evangelo di Dio che ha superato l’esclusione.
Siamo giunti alla conclusione che ci ha risanati dalle nostre impurità per vivere e sperimentare la comunione. Il lebbroso ha sperimentato l’esclusione e l’inclusione e sta a noi scegliere di vivere la vera conversione che deve essere un cambiamento di mentalità , che è frutto della volontà di evolvere(crescere). <<Non c’è più né giudeo né Greco, non c’è più né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina, perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù>>. Galati 3,28-29.
Così, Gesù ci riveste e ristabilisce la nostra comune cittadinanza. In lui possiamo avere una vita di pace e essere in pace con lui, con gli altri e con noi stessi. È fondamentale che chiediamo specificamente a Gesù ciò che vogliamo, quello di cui abbiamo bisogno per vivere bene.
Dobbiamo esaminare ciò che ci turba, ciò che ci paralizza e non ci fa andare avanti, perché solo così la nostra volontà si realizza secondo la sua.
Ciò è all’origine del bene che Dio vuole per tutta la sua creazione.
I versetti 43 e 44 nel primo capitolo del vangelo di Marco che abbiamo ascoltato dice: << Gesù lo congedò subito, dopo averlo ammonito severamente, e gli disse: «Guarda di non dire nulla a nessuno, ma va’, mostrati al sacerdote, offri per la tua purificazione quel che Mosè ha prescritto; questo serva loro di testimonianza». L’ammonimento all’uomo guarito dalla lebbra era di non divulgare ciò che era stato fatto nei suoi confronti, di tacere perché Gesù temeva che le autorità religiose l’avrebbero subito espulso dalle loro sinagoghe, ma disobbedendogli è proprio quello che è accaduto. Gesù era diventato avversario dei capi sacerdoti.
Di conseguenza alla testimonianza del lebbroso, Gesù subì l’esclusione dalla propria comunità di fede. Così veniva visto sin dall’inizio come l’avversario dei farisei, dei sacerdoti, dei sadducei, e di tutti i giudei incapaci di credere che fosse stato venuto da Dio. Nel verso 45 dice che l’uomo guarito dalla lebbra subito è andato a divulgare e proclamare ciò che gli era successo e così Gesù non poteva più entrare apertamente in città e se ne stava fuori nei luoghi deserti.
Insomma, il ritorno nella comunità dell’uomo guarito da Gesù è stato la causa dell’esclusione di Gesù dal suo popolo.

Questo episodio però ci porta a dare attenzione ad un aspetto molto importante nelle nostre vite oggi, ossia all’invito a credere alla potenza di Dio che è presente nella nostra vita quotidiana.
Uno dei nostri principi fondamentale dice che la fede nasce dall’incontro personale fra Dio e l’uomo. In questo caso Dio in Gesù ha voluto incontrare l’uomo malato, impuro agli occhi degli uomini, vivo ma considerato morto da se stesso perché nessuno l’ ha voluto avvicinare, è stato discriminato a causa della sua malattia. Solo da questo incontro con il Dio che è stato capace di purificarlo, che gli ha ridato la vita, l’ha fatto sentire vivo l’uomo si è rialzato dal suo giaciglio e ha dato una vera testimonianza della presenza di Dio.

Gesù ha chiesto al lebbroso di fare un’offerta per la sua guarigione davanti al sacerdote come tradizione e segno di testimonianza che Dio l’ha guarito ma essendo un uomo malato che ha avuto la guarigione non ha potuto tacere. Infatti, andare a proclamare ciò che ci accade come miracolo è un segno e testimonianza di fede , è la testimonianza di chi crede. Romani 10,10: <<Infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati >>. La volontà di Dio di operare il bene nella vita di ognuno di noi richiede da parte nostra la proclamazione della sua gloria e testimonianza operosa . Egli gradisce parole e fatte da noi tutti.
Il lebbroso era considerato impuro. Non gli era permesso di avvicinarsi ad altri , ai puri. L’uomo lebbroso era escluso dalla comunità di Dio. Il concetto di impurità, quello che significava allora essere impuri, ci ammonisce di fare attenzione ora quando sorgono continuamente tensioni, e conflitti nelle nostre comunità di fede.
Ricordiamoci, da quando Gesù ha cominciato la sua attività ministeriale, essendo stato con i pubblicani e peccatori ha messo in discussioni le tradizioni dei nostri padri( le nostre tradizioni) andando oltre i limiti che determinavano l’esclusione per portare l’inclusione. Gesù nella pratica dei suoi insegnamenti ha voluto che si distruggessero le credenze che purtroppo sono tuttora alla base dei nostri pregiudizi.
Allora, nell’antichità si credeva che la lebbra fosse una malattia incurabile e il lebbroso era definito un uomo morto vivente(a living dead man).
Nella lingua filippina si dice taong buhay na patay.
Ora grazie al lavoro della ricerca medica può essere curata con la polichemioterapia e dopo due settimane dall’inizio del trattamento, la malattia non è più contagiosa.
Noi pastore e pastori delle chiese evangeliche, ogni anno riceviamo il calendario che promuove la missione evangelica contro la lebbra Onlus e il 25 gennaio è la giornata mondiale contro la lebbra.
Questo anno il testo biblico che posto sulla copertina del calendario è quello di Geremia 30,17 che dice: <<… io medicherò le tue ferite, ti guarirò dalle tue piaghe>> questa è la promessa di Dio.
Che sia fatta Sua la volontà in ognuno e ognuna di noi. Amen.

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Raccontare la fede

3 settembre 2017

Isaia 29,17-24
Battesimo di Riccardo

Ancora un brevissimo tempo, e il Libano sarà mutato in un frutteto, e il frutteto sarà considerato come una foresta.  In quel giorno, i sordi udranno le parole del libro e, liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno;  gli umili avranno abbondanza di gioia nel SIGNORE e i più poveri tra gli uomini esulteranno nel Santo d’Israele;  poiché il violento sarà scomparso, il beffardo non sarà più, e saranno distrutti tutti quelli che vegliano per commettere iniquità,  che condannano un uomo per una parola, che tendono tranelli a chi difende le cause alla porta e violano il diritto del giusto per un nulla.  Perciò così dice il SIGNORE alla casa di Giacobbe, il SIGNORE che riscattò Abraamo: «Giacobbe non avrà più da vergognarsi e la sua faccia non impallidirà più.  Poiché quando i suoi figli vedranno in mezzo a loro l’opera delle mie mani, santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe, e temeranno grandemente il Dio d’Israele;  i traviati di spirito impareranno la saggezza e i mormoratori accetteranno l’istruzione».

Care sorelle e cari fratelli, caro Riccardo, cari Cristiano e Giuseppe, cara Caith Zeon che oggi fai il compleanno, care bambine e cari bambini,

è soprattutto a voi che oggi mi rivolgo per prima cosa, anche se forse non riuscirete a seguire tutto il mio discorso. La prima cosa che vorrei invitarvi a fare, quando vi chiederanno qual è la vostra chiesa, è di rispondergli che siete cristiani evangelici, protestanti, che la vostra chiesa è quella metodista di Roma, e che la nostra fede si ispira ad una generazione di teologi che hanno riformato, cioè riportato la Chiesa alla sua vocazione originaria, all’evangelo di Gesù Cristo. Questo lo hanno fatto partendo dalla Bibbia, perciò la seconda cosa che vi chiedo è di ricordare ai vostri genitori di leggervi la Bibbia che al battesimo vi è stata regalata!
Da allora sono passati cinquecento anni, che hanno cambiato profondamente proprio il modo in cui la gente pensa e parla di Dio… Nel XVI secolo era sulla bocca di tutti: che cosa voleva Dio da noi, che cosa potevamo fare noi per lui, se poteva aiutarci… Oggi, invece, nessuno vi parlerà di Dio e se lo farà, la maggior parte delle volte lo farà in modo sbagliato, per cui dobbiamo stare molto attenti! Il più delle volte sentiamo chiamare Dio dai terroristi che gridano: Dio è grande, prima di uccidere le loro vittime. Oppure sarà invocato da chi, nel suo nome, cerca di imporvi dei limiti, dei vincoli, perché vorranno usare Dio come uno strumento per accrescere il loro potere.
Per lo più, però, non ne sentirete parlare, e pochi vi diranno di aver fatto le scelte fondamentali della loro vita nel suo nome: la società europea contemporanea non parla volentieri di Dio, e se questo avviene è anche a causa dei troppi cristiani che nel passato hanno creduto che fosse giusto uccidere altre persone nel nome di Dio. Per impedire la riforma della chiesa, che procedeva in maniera pacifica, infatti, già nel XVI secolo sono state scatenate delle feroci guerre contro i protestanti che, però, alla fine non hanno perso ma neanche hanno vinto, e così noi siamo ancora qui, in questo mondo che non ama parlare di Dio. Un giorno, cari bimbi, vi racconteremo questa storia… Ma oggi vorrei che riflettessimo un attimo sulla domanda: perché Dio accetta questo silenzio su di lui? Perché accetta che altri dei parlino più forte e impongano il loro volere alle persone? Perché Dio non parla ad alta voce e si impone su tutti gli altri?
Il silenzio di Dio, dunque, o meglio il desiderio degli antichi Israeliti di ricevere di nuovo da lui parole chiare e comprensibili, è lo sfondo su cui si colloca il brano che abbiamo letto dal profeta Isaia. Nel suo oracolo, infatti, vediamo come il popolo d’Israele sia veramente nei guai: con la sua ingiustizia, soprattutto con l’empietà dei ricchi e dei potenti, ha fatto adirare il suo Signore, e questi annuncia tempi duri e difficili, tempi di punizione per il peccato. Quando il Signore si arrabbia, però, invece di far scendere fuoco e fiamme dal cielo, sceglie di tacere: la sua voce non risuona più in mezzo al popolo, che si illude per questo di poter nascondere a Lui i suoi empi piani. I profeti ed i veggenti tacciono. La Parola di Dio è divenuta come un libro sigillato, che nessuno riesce ad aprire. Il popolo, allora, non conosce più che cosa è giusto e pensa di poter seguire altre vie, di poter continuare a commettere i propri crimini approfittando di questo silenzio, invece di capire che proprio questo silenzio è il segno del giudizio di Dio. Per questo andranno dritti alla rovina e solo dopo riusciranno di nuovo a sentire la voce di Dio, riconoscere e comprendere la sua volontà, e ricevere la sua parola di grazia.
Questo superamento del silenzio avviene per Isaia in tre momenti. Nel primo arriva il giorno del Signore e i giusti, gli umili ed i poveri vengono riscattati dalla loro condizione di miseria. Nel secondo, quasi un contraltare del primo, i ricchi, i potenti, gli arroganti vengono puniti da Dio. Nel terzo si annuncia la conversione di Israele di fronte alla grande opera di Dio: il ristabilimento del popolo. Di fronte alla parola di Dio sulla giustizia il malvagio si converte, perché sa finalmente che cos’è la verità.
Una parola molto forte, che suona attuale ancora oggi, dopo duemila e ottocento anni… Anche oggi, come allora, chi ha il potere si accaparra tutte le risorse del paese e riduce in miseria il resto della popolazione, distruggendo il pianeta in cui tutti viviamo. L’accusa dei profeti era chiara allora ed è chiara anche oggi: la classe dirigente aveva abbandonato Dio, ed aveva scelto un’altra strada lontano dalla sua giustizia. Era diventata sempre più avida e tutto il “progresso” lo aveva piegato al suo vantaggio. Su di loro e sulla loro corruzione il profeta annuncia il giudizio di Dio. Nel suo silenzio, questi non potranno che arrivare fino al colmo della loro condanna e non hanno più alcuna speranza di redenzione. E con loro quanta gente si rende complice, anche solo con il suo silenzio?
La condanna, dunque, è forte e chiara, e io credo che noi dovremmo cominciare il nostro anno ecclesiastico con una seria riflessione ed analisi della situazione in cui viviamo, per poter tornare a fare risuonare la nostra voce per proclamare la giustizia di Dio. Dobbiamo chiederci chi sono gli empi e chi sono gli umili, chi sono i ricchi che pervertono il diritto e chi sono quelli che umiliano il giusto. Dobbiamo chiederci dove sta il male di questo mondo e tornare a proclamare giustizia di Dio, per porre i potenti di fronte alla Sua volontà. Alla fine quello che conta sarà la sua volontà di giustizia, quando gli umili saranno innalzati, mentre potenti ed empi saranno umiliati. Quel giorno, dice Isaia, di fronte alla manifestazione della giustizia di Dio come ultima e definitiva parola sull’umanità, Israele si convertirà e tornerà al Signore.

A differenza del tempio di Isaia, in cui si aspettava il giorno del Signore, noi cristiani vediamo nella resurrezione di Gesù la realizzazione di quella promessa. In Gesù Cristo noi abbiamo la certezza che l’ultima parola appartiene a Dio e che in Gesù si sia manifestata come parole d’amore. Chi riceve questa testimonianza è rimandato a Dio e può convertirsi. L’evangelo significa che, per chiunque si avvicina a Dio con il desiderio di ascoltarlo, quelle parole non sono più sigillate e in Cristo le possiamo comprendere con chiarezza: sono parole di giudizio, certo, ma soprattutto parole di vita e di speranza. Il battesimo di Riccardo, oggi, ancora una volta ha spezzato questo silenzio e in maniera simbolica fa prorompere la parola d’amore di Dio nel mondo. Caro Riccardo, nella Bibbia che hai ricevuto oggi ci sono queste parole, fattele leggere, ascoltale e lascia che ti accompagnino nel corso della tua vita! Proprio come dovrebbe fare ogni cristiano, soprattutto ogni cristiano evangelico. Se Dio ha scelto di rimanere in un silenzio di condanna nei confronti dei peccati dell’umanità, ha scelto anche di parlare chiaramente ad ogni cuore che a lui si accosta, perché nel mondo risuoni la sua condanna del male e il suo desiderio di amore e di vita. Ha scelto di manifestare tutto questo in Gesù, nella sua storia, una storia d’amore che ci viene raccontata nella Bibbia. Non stanchiamoci di leggerla, di meditarla, di farla nostra nel silenzio della nostra casa e nella gioia del culto domenicale: Dio non ci lascia soli nel silenzio del suo giudizio, ma ci parla con parole d’amore in Cristo.

Amen

past. Eric Noffke

Prima volta al Sinodo

(19-26 agosto 2017)

Eccoci arrivati a Torre Pellice! Per prima cosa ci viene consegnata una cartellina, con dentro il tesserino di riconoscimento, i buoni pasto, alcuni moduli amministrativi e un depliant dal titolo emblematico: “La prima volta al Sinodo”, che contiene alcune notizie fondamentali sulla composizione del Sinodo e sull’organizzazione dei lavori, nonché alcune indispensabili regole comportamentali. Quello che non ci viene detto, però, è che, nella settimana che stiamo per affrontare, vivremo un’esperienza unica, nel bene e nel male, nel positivo e nel negativo, nella stanchezza e nell’entusiasmo, nell’impegno e nella convivialità fraterna. Un’esperienza che tutti i credenti evangelici dovrebbero fare almeno una volta nella vita, come il pellegrinaggio alla Mecca per i Musulmani, per imparare, per capire, per rendersi conto di che cosa sia veramente la nostra chiesa, per comprenderne la complessa organizzazione, per valutarne la democraticità, per apprezzarne la libertà di parola e di pensiero. Ma anche per assumersi la responsabilità di decisioni che andranno ad impattare sulla vita delle chiese come sulle singole vite dei credenti, per imparare a rispettare le posizioni altrui, per confrontarsi con fratelli e sorelle su temi d’attualità che creano disagio e imbarazzo, come la famiglia, l’omosessualità, i migranti, la bioetica. Per scoprire che le tue opinioni aperte, liberali e moderne, da persona “forte”, che davi per scontate, possono generare scandalo in alcuni fratelli “deboli”, che provengono da un’altra cultura. Per accorgerti che i conflitti che tanto ti preoccupano nella tua comunità non sono più gravi che nelle altre e che non molto è cambiato dai tempi delle lettere di Paolo ai Corinzi. Per renderti conto che i tuoi confratelli al di là dell’oceano vivono i tuoi stessi problemi e le tue stesse difficoltà. Ma anche per rallegrarti dei progressi compiuti dall’ecumenismo, della fraternità dimostrata nei saluti portati dai rappresentanti di altre confessioni religiose, della ricchezza delle opere diaconali che la nostra chiesa svolge nell’ottica del servizio. Certo, non tutto è rose e fiori: c’è anche un po’ di vuota retorica, c’è qualche deficit organizzativo, c’è quel tanto di diplomazia che si accontenta del compromesso per evitare di approfondire questioni imbarazzanti, c’è talora un inopportuno esercizio dell’autorità o, come nelle più classiche riunioni di condominio, il noioso sproloquio di chi parla solo per il gusto di ascoltare la propria voce. C’è la stanchezza di tante ore di concentrazione, c’è la mancanza di tempo che costringe a volte a sorvolare su temi che meriterebbero maggiore attenzione. Ma siamo umani e anche questo fa parte del gioco. E soprattutto siamo una grande famiglia e, come in tutte le famiglie che si rispettano, si parla, ci si confronta, si discute, si litiga anche, ma ci si vuole bene.

L’esperienza del Sinodo è arricchente anche sotto questo aspetto: al di là dell’impegno lavorativo, ci sono i culti e i momenti in cui si prega insieme, in cui si canta insieme, in cui insieme si prende la Santa Cena. Il culto all’aperto svoltosi il primo giorno sul prato di Chanforan, dove avvenne l’adesione dei Valdesi alla Riforma, o quello di apertura del Sinodo, che ha visto la consacrazione di cinque nuovi pastori, o quello di chiusura, in cui più di duecento persone hanno condiviso la Cena del Signore mentre la comunità intera cantava, sono esperienze indimenticabili. Non sono mancati i momenti di svago, come concerti e conferenze, ma è stata soprattutto la condivisione quotidiana delle esperienze, il mangiare insieme, il passeggiare insieme, il chiacchierare insieme, il condividere in certi casi la propria camera che ci ha permesso di conoscerci meglio e di apprezzare il dono che il Signore ci ha fatto di non essere soli, ma avere fratelli e sorelle con cui affrontare il nostro cammino. E’ stato un piccolo assaggio di quella “vita comune” vagheggiata da Bonhoeffer, che difficilmente può trovare spazio nella routine quotidiana.

Infine l’esperienza del Sinodo ci ha regalato la scoperta delle Valli valdesi, che non costituiscono solo un bel panorama, fatto di boschi, torrenti e verdi vallate, ma sono un riferimento storico fondamentale per la vita della nostra chiesa. Anche se le origine metodiste sono diverse, non ci si può non emozionare di fronte ai luoghi che hanno visto il glorioso rimpatrio dei Valdesi, il loro giuramento di fedeltà a Dio nel verde pianoro di Sibaud circondato dai boschi; non si può non commuoversi nel cantare il Padre Nostro alla luce delle fiaccole nella Gheisa d’la Tana, la grotta dove i Valdesi si rifugiavano dalle persecuzioni; non si può non ammirare la tenacia dei “barba” che affrontavano indicibili fatiche e disagi per studiare nel Collegio arrampicato sulla montagna a Pradeltorno; non si può non provare riconoscenza, sedendosi nei banchi ancora intatti della piccola scuola degli Odin, per coloro che tanto si sono adoperati per i Valdesi, come il generale inglese Beckwith, fondatore, tra l’altro, delle scuole che portano il suo nome; non si può non provare una punta di invidia per la vita semplice ma autentica che questo popolo conduceva nella sue Valli, come traspare dalle ricostruzioni della sezione etnografica del Museo. Tutto questo rafforza il senso d’identità, di gratitudine e di responsabilità: si torna più ricchi, più maturi, più consapevoli delle proprie origini, del proprio compito, della propria fede, con il desiderio di ricambiare, almeno in parte, i doni immensi che abbiamo ricevuto e porre a frutto i talenti che ci sono stati affidati.

 

Antonella Varcasia