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Sola fide

«Dio ha così amato il mondo che ha dato il suo unico figlio perché tutti coloro che credono in lui non muoiano, ma abbiano vita eterna. Dio non ha mandato suo figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma per salvarlo attraverso di lui» (Giovanni 3, 16-17)
Parlare di fede, forse, può essere ambiguo e poco comprensibile, poiché spesso questo termine si utilizza per indicare manifestazioni di fanatismo religioso oppure per esprimere varie forme di superstizione; inoltre la nostra è una società fortemente secolarizzata e, dunque, la «fede in Dio» interessa poco, semmai appartiene alla dimensione privata dell’individuo. Senza dubbio non si può ridurre il Dio dei Cristiani a una spiegazione razionale e i dogmi della chiesa, a partire dalla Trinità, appaiono talora complicati e oscuri per chi è alieno dal linguaggio filosofico e teologico. Al contrario, l’uomo Gesù continua ad affascinare perché offre qualche certezza storica, almeno in alcuni dati fondamentali e, soprattutto, per il messaggio trasmessoci, che rimane attuale.

Tuttavia l’etica dell’ebreo Gesù, per quanto rivoluzionaria ed anticonformista, non rappresenta in toto il suo messaggio di salvezza, perché avere fede non significa esclusivamente sforzarsi di seguire i suoi insegnamenti morali (per quanto ciò sia già un ottimo proposito, valido per tutti, atei e credenti); piuttosto – ancora prima di agire – significa, illuminati dalla Grazia divina, affidarsi per intero alla «buona notizia» ed essere sicuri che quell’oscuro figlio di un falegname, probabilmente falegname anche lui nei primi trent’anni della sua vita, è morto in croce per la liberazione degli esseri umani dal male, per iniziare il nuovo regno, per riconciliare noi – umanità corrotta e incapace di essere davvero giusta e onesta, incapace di amare il prossimo senza riserve o autocompiacimenti – con l’Eterno. La fede diventa allora il fondamento delle nostre azioni, perché da sole non basterebbero a renderci uomini e donne completi, nel senso biblico dell’espressione, giacché «Iddio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gn. 1, 27): e come potremmo essere a immagine del nostro Signore, se non specchiandoci nella sua immagine proprio attraverso la fede in Cristo, intesa alla latina come la «fiducia» che nel suo sguardo d’amore ritroveremo l’integrità originale?

Lutero, con uno straordinario paradosso, dichiarava che l’essere umano in Cristo è simul iustus et peccator, «contemporaneamente giusto e peccatore», quasi a dire che la luce del bene ci viene anticipata grazie all’abbandono fiducioso in Dio. E, attraverso una seconda provocazione, diceva pecca fortiter, sed crede fortius, «pecca profondamente, ma credi più profondamente»: dunque la fede/fiducia è più forte del male giacché, se è accolta, ci orienta e dà un senso altro, una prospettiva diversa alle nostre vite.
«Soltanto la fede» perciò non esprime né la superstizione religiosa né le credenze miracolistiche, che rifiutiamo considerandole inutili e pericolose, ma è un atto di affidamento che non chiede dimostrazioni, è la scoperta dell’amore di Dio per ciascuno di noi. E tutto questo si fonda sull’ascolto della Parola biblica, sulla sua lenta meditazione, in un cammino di ricerca ininterrotto e promosso dal dubbio: il ragionamento umano non è in grado di comprendere fino in fondo e, quindi, di racchiudere in un sistema l’Eterno e l’evento della Croce e della Resurrezione, dato che lo Spirito di Dio è sovranamente libero. Come scrive Giovanni, «lo sprito soffia dove vuole e si sente la sua voce, ma non si sa da dove venga e dove vada» (Gv, 3, 8).

«Soltanto la fede» ci invita a sciogliere i cuori induriti per affidarci a Cristo, in cui solo possiamo trovare una vera dimensione di libertà perché sapere abbandonarsi all’amore, superando le sovrastrutture della ragione, ci permette poi di essere e di vivere nel mondo da persone davvero libere, che indirizzano le loro azioni senza vincoli, fuori dalle logiche del tornaconto: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt. 10, 8).
«Soltanto la fede» fa risuonare l’insegnamento dell’apostolo Paolo, che scriveva: «Non mi vergogno della buona notizia, […] poiché la giustizia di Dio è stata rivelata in essa da fede in fede» (Rom. 1, 16-17). La buona notizia, che noi siamo abituati a chiamare «Evangelo», ci è stata rivelata «di fede in fede» perché il giusto vivrà attraverso la fede e questa catena di fede/fiducia, trasmessa nei secoli, ci interpella ancora oggi – forse più di ieri, in quanto essa non è data per scontata, ma ci impone il confronto con una cultura e con un mondo in cui da un lato Dio (fortunatamente) non è più un obbligo e dall’altro assistiamo a devianti forme di fanatismo in nome di Dio.

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