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Sinodo 2017

Il sinodo delle chiese metodiste e valdesi italiane si è appena concluso. La nostra comunità lo ha seguito sia come deputati che come semplici uditori. Molte sensazioni, riflessioni, entusiasmi hanno contribuito alla riuscita del clima di fede, comunione e programmazione sempre nella fedeltà alla Parola del Signore, come più volte ricordata in questa settimana di lavori.

Il nostro sito vuole contribuire alla circolazione di informazioni e decisioni sinodali offrendo una pagina di rassegna stampa sui lavori.

Le segnalazioni non saranno esaustive, ma cercheremo di aggiornare il più possibile le informazioni e di offrire una visione a 360 gradi di questa settimana.

Metodismo aperto al mondo
L’essere prima del fare
Un anniversario nell’anniversario
Accoglienza, la sfida dell’oggi
Culto a Chanforan
Donne e giovani insieme negli appuntamenti del pre-sinodo
Un melo da piantare, gesto profetico quando il mondo ribolle
Le vie e i viaggiatori della fede
 Il saluto della Conferenza episcopale al Sinodo valdese e metodista
Il ruolo delle chiese in Europa: testimonianza, giustizia, ospitalità
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Dalla chiese valdese di Torino riportiamo la loro rassegna, utilissima perché divisa per i vari giorni dei lavori:

DOMENICA 20 AGOSTO:
Culto per i 500 anni della Riforma protestante a Chanforan (Val Pellice), il luogo dove nel 1532 i Valdesi decisero di aderire alla Riforma protestante, presieduto dal pastore Marco Di Pasquale, predicazione del pastore Giuseppe Platone e la conclusione del Moderatore della Tavola Valdese Eugenio Bernardini.
– video su Facebook
– Articolo di Riforma
Culto di apertura del Sinodo, a Torre Pellice: predicazione del pastore valdese e Decano della Facoltà valdese di teologia Fulvio Ferrario.
– video su Facebook
– testo della predicazione
– articolo di Riforma
Video di presentazione dei nuovi pastori e pastore
– video

LUNEDI’ 21 AGOSTO:
Conferenza stampa sul documento sulle “famiglie, coppie, matrimonio e genitorialità”condotta da Luca Baratto, con il pastore valdese Paolo Ribet e Paola Schellenbaum.
– video Facebook
– comunicato stampa NEV
Serata pubblica sul tema del Futuro della Riforma protestante: partecipano don Cristiano Bettega, Marinella Perroni, Fulvio Ferrario, Alberto Melloni; conduce Paolo Naso, conclusioni del moderatore Eugenio Bernardini. Con la partecipazione del Coro del Collegio Valdese di Torre Pellice.
– video

MARTEDI’ 22 AGOSTO:
Conferenza stampa sulla Riforma protestante globale, condotta da Conduce Elena Ribet, con il pastore Yann Redalié, la pastora Anne Zell e Giovanna Scifo, operatrice del progetto Mediterranean Hope.
– video Facbook
– testo comunicato stampa NEV
– articolo di Riforma 

MERCOLEDI’ 23 AGOSTO:
Conferenza stampa sulla Diaconia, condotta da Gian Mario Gillio, con Giovanni Comba, presidente della Diaconia Valdese, il pastore Francesco Sciotto e Anna Ponente, direttrice del Centro Diaconale & ldquo;La Noce” di Palermo.
– video Facebook
– testo del comunicato stampa NEV
– articolo di Riforma
Testo su Eutanasia e suicidio assistito che sarà inviato alle chiese locali.
– articolo di Riforma
Discussione sulla vita e i rapporti nelle Chiese e con le opere diaconali
– articolo di Riforma

GIOVEDI’ 24 AGOSTO:
Conferenza stampa su Ecumenismo e 50 anni di pastorato femminile: condotta da Luca Baratto, con il pastore Fulvio Ferrario e la pastora Letizia Tomassone.
– video Facebook
– testo del comunicato stampa NEV

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Soli Deo Gloria

Narrano i cieli la gloria di Dio, gli spazi annunziano l’opera delle sue mani
(Salmo 19)

«È privo di fondamento (…) questo legare l’uomo a se stesso, anziché fargli prendere coscienza del fatto che un corretto orientamento dell’esistenza scaturisce da una volontà di ricercare, accrescere, esprimere la gloria del Signore». Questa la risposta, cioè «Soli Deo gloria», solo a Dio la gloria, che Giovanni Calvino manda da Ginevra nel settembre del 1539 al cardinale di Carpentras Jacopo Sadoleto. Quest’ultimo, nella sua lettera del marzo dello stesso anno, aveva invitato pubblicamente i ginevrini, con i quali Calvino viveva in quel momento tutta la novità della Riforma, a ritornare sulla «retta via» della Chiesa cattolica. A rendere quindi «gloria», piuttosto, alla sua Chiesa, alla disciplina, alla dottrina, ai dogmi.
Senza i dogmi e i sacramenti della tradizione cattolica, aveva scritto il cardinale, sarebbe preclusa la vita eterna ai credenti ribelli. Una minaccia terribilissima che, come Calvino sottolinea, tende a tenere imprigionate le anime a cui non sia permessa una propria originale «lettura» della Parola delle Scritture, e quindi un dialogo libero, personale, confidente e responsabile, con il Dio che la Riforma vuole recuperare in tutta la sua gloria «esclusiva».

Soli Deo gloria diventa uno dei cinque «Sola» della Riforma, fondamentale e fondante degli altri quattro. Perché per rendere gloria a Dio, che vuol dire amarlo per la sua bontà e la sua creazione di cui facciamo parte, bisogna ascoltare la propria vocazione, cioè la Fede, nutrirla con la Scrittura, gioire della Grazia, riferirsi costantemente all’esempio di Cristo. Ed esprimere e declinare sempre nuovi contenuti e comportamenti in modo appunto che Soli Deo gloria possa continuare e ribadire il proprio significato nelle varie e mutevoli condizioni storiche.
Cambiano infatti nel corso della storia gli idoli a cui opporsi, ma Soli Deo gloria indica di epoca in epoca la loro inconsistenza, anche quando la massa umana li sacralizza. Oggi questi idoli sono il profitto e la finanza, lo sfruttamento di una parte del mondo su un’altra, la tecnologia fine a se stessa, quella scienza che si autorizza e si compiace con arroganza dei propri risultati. Abilità e conoscenze, e il potere che ne deriva, illudono gli uomini di essere centrali e autosufficienti. È l’eterna e diabolica superbia che si incarna, a seconda dei tempi e dei luoghi, in diversi personaggi e diverse ideologie autocelebrative. Desiderio di superare il limite posto all’essere umano, che ha le proprie radici nella preistoria, come ci insegna il mito di Adamo ed Eva. Tentata prima Eva, forse perché il matriarcato ha illuso le donne di un proprio potere nel generare la vita, poi Adamo quando, sempre nella notte dei tempi, il «maschile» ha ribaltato la situazione di potere sottomettendo il «femminile».

Tutto l’Antico testamento racconta come Dio, nella sua assoluta libertà, ha scelto, tra popolazioni adoranti dee madri, animali, feticci e faraoni, il popolo ebraico perché era quello con cui Egli si poteva più facilmente relazionare. Il patto della circoncisione forse segna proprio questo rendere gloria all’unico vero potere generativo che appartiene a Dio e non all’uomo, siglato attraverso un segno visibile nella carne.

Dio assegna al popolo ebraico in quei tempi il compito di tramandare il proprio messaggio d’amore. Che si esprime nella consegna a questo sparuto e spaventato gruppo di esuli della prima incontrovertibile testimonianza, appunto, della paterna attenzione verso l’umanità, che si dibatte dentro le proprie debolezze e fragilità e confusioni: i dieci Comandamenti, che fanno una lapidaria chiarezza su ciò che è bene e ciò che è male, e che iniziano proprio con «Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio all’infuori di me». Un Dio che, andando a ritroso nel racconto, aveva già insegnato attraverso l’episodio di Abramo, disposto a uccidere il proprio figlio, che i sacrifici umani, che al tempo erano una pratica comune, non erano necessari alla sua gloria, non erano graditi, non erano permessi.

Se la parola «gloria» ci sembra impegnativa, se può condurre a immaginare un Dio Padre lontano nell’«alto dei cieli», possiamo correggere la sensazione tornando, nella Trinità, alla figura e all’esempio illuminante di Gesù, che, intervenendo nella storia, ha allargato il messaggio divino a tutti. E ricordandoci che lo Spirito di Dio è con noi quotidianamente, agisce in noi direi maternamente come suggerisce la sua etimologia ebraica al femminile: ruah.
Non a caso Johann Sebastian Bach, cantore della Riforma, siglava le sue composizioni musicali all’insegna del Soli Deo Gloria. Intuiamo infatti che certi risultati umani, eccezionali come quelli delle bachiane Passione secondo Giovanni e Passione  secondo Matteo, ma anche assolutamente più quotidiani quali sono quelli che sperimentiamo noi credenti quando siamo chiamati a fare piccole e grandi scelte, non possono attuarsi se non con l’aiuto di Dio. Che agisce dentro di noi e che ci illumina la via.
Tutto quello che riusciamo a realizzare non è per noi. È per la sua gloria

 

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Sola fide

«Dio ha così amato il mondo che ha dato il suo unico figlio perché tutti coloro che credono in lui non muoiano, ma abbiano vita eterna. Dio non ha mandato suo figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma per salvarlo attraverso di lui» (Giovanni 3, 16-17)
Parlare di fede, forse, può essere ambiguo e poco comprensibile, poiché spesso questo termine si utilizza per indicare manifestazioni di fanatismo religioso oppure per esprimere varie forme di superstizione; inoltre la nostra è una società fortemente secolarizzata e, dunque, la «fede in Dio» interessa poco, semmai appartiene alla dimensione privata dell’individuo. Senza dubbio non si può ridurre il Dio dei Cristiani a una spiegazione razionale e i dogmi della chiesa, a partire dalla Trinità, appaiono talora complicati e oscuri per chi è alieno dal linguaggio filosofico e teologico. Al contrario, l’uomo Gesù continua ad affascinare perché offre qualche certezza storica, almeno in alcuni dati fondamentali e, soprattutto, per il messaggio trasmessoci, che rimane attuale.

Tuttavia l’etica dell’ebreo Gesù, per quanto rivoluzionaria ed anticonformista, non rappresenta in toto il suo messaggio di salvezza, perché avere fede non significa esclusivamente sforzarsi di seguire i suoi insegnamenti morali (per quanto ciò sia già un ottimo proposito, valido per tutti, atei e credenti); piuttosto – ancora prima di agire – significa, illuminati dalla Grazia divina, affidarsi per intero alla «buona notizia» ed essere sicuri che quell’oscuro figlio di un falegname, probabilmente falegname anche lui nei primi trent’anni della sua vita, è morto in croce per la liberazione degli esseri umani dal male, per iniziare il nuovo regno, per riconciliare noi – umanità corrotta e incapace di essere davvero giusta e onesta, incapace di amare il prossimo senza riserve o autocompiacimenti – con l’Eterno. La fede diventa allora il fondamento delle nostre azioni, perché da sole non basterebbero a renderci uomini e donne completi, nel senso biblico dell’espressione, giacché «Iddio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gn. 1, 27): e come potremmo essere a immagine del nostro Signore, se non specchiandoci nella sua immagine proprio attraverso la fede in Cristo, intesa alla latina come la «fiducia» che nel suo sguardo d’amore ritroveremo l’integrità originale?

Lutero, con uno straordinario paradosso, dichiarava che l’essere umano in Cristo è simul iustus et peccator, «contemporaneamente giusto e peccatore», quasi a dire che la luce del bene ci viene anticipata grazie all’abbandono fiducioso in Dio. E, attraverso una seconda provocazione, diceva pecca fortiter, sed crede fortius, «pecca profondamente, ma credi più profondamente»: dunque la fede/fiducia è più forte del male giacché, se è accolta, ci orienta e dà un senso altro, una prospettiva diversa alle nostre vite.
«Soltanto la fede» perciò non esprime né la superstizione religiosa né le credenze miracolistiche, che rifiutiamo considerandole inutili e pericolose, ma è un atto di affidamento che non chiede dimostrazioni, è la scoperta dell’amore di Dio per ciascuno di noi. E tutto questo si fonda sull’ascolto della Parola biblica, sulla sua lenta meditazione, in un cammino di ricerca ininterrotto e promosso dal dubbio: il ragionamento umano non è in grado di comprendere fino in fondo e, quindi, di racchiudere in un sistema l’Eterno e l’evento della Croce e della Resurrezione, dato che lo Spirito di Dio è sovranamente libero. Come scrive Giovanni, «lo sprito soffia dove vuole e si sente la sua voce, ma non si sa da dove venga e dove vada» (Gv, 3, 8).

«Soltanto la fede» ci invita a sciogliere i cuori induriti per affidarci a Cristo, in cui solo possiamo trovare una vera dimensione di libertà perché sapere abbandonarsi all’amore, superando le sovrastrutture della ragione, ci permette poi di essere e di vivere nel mondo da persone davvero libere, che indirizzano le loro azioni senza vincoli, fuori dalle logiche del tornaconto: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt. 10, 8).
«Soltanto la fede» fa risuonare l’insegnamento dell’apostolo Paolo, che scriveva: «Non mi vergogno della buona notizia, […] poiché la giustizia di Dio è stata rivelata in essa da fede in fede» (Rom. 1, 16-17). La buona notizia, che noi siamo abituati a chiamare «Evangelo», ci è stata rivelata «di fede in fede» perché il giusto vivrà attraverso la fede e questa catena di fede/fiducia, trasmessa nei secoli, ci interpella ancora oggi – forse più di ieri, in quanto essa non è data per scontata, ma ci impone il confronto con una cultura e con un mondo in cui da un lato Dio (fortunatamente) non è più un obbligo e dall’altro assistiamo a devianti forme di fanatismo in nome di Dio.

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Sola Gratia

Declinare oggi il Sola Gratia incontra una duplice criticità.La prima è che nelle controversie teologiche, in atto almeno fino al secolo scorso, il tema della grazia è stato spesso frainteso, abusato e persino mistificato in funzione della sua interpretazione e della sua appropriazione come categoria distintiva di appartenenza.La seconda è che l’avverbio «solo» ha un carattere di esclusività e di assolutezza che rende difficile abbinarlo a qualsiasi processo o evento in un contesto, come l’attuale, dove quasi ogni concetto è plurale, se non per definizione, almeno nell’ottica ecumenica che impone di condividere tradizioni diverse e approcci interpretativi talvolta divergenti.Tuttavia l’interpretazione rivoluzionaria del concetto di grazia proposta da Lutero impone un tentativo di sua attualizzazione anche in un’epoca nella quale, almeno nella percezione comune, il tema della salvezza sembra aver perso gran parte della sua rilevanza oggettiva.

Nel Primo Testamento il termine ebraico hén (grazia) individua la benevolenza che Dio mostra verso l’essere umano e le scritture ebraiche raccontano che molti personaggi centrali della narrazione trovano grazia davanti al Signore: da Noè in Gen. 6, 8 a Mosè in Es. 33, 12.17, a Davide in II Sam. 15, 25. Ma l’atto di grazia più importante compiuto da Dio è l’aver stabilito un patto con Israele, mantenendolo nonostante le sue innumerevoli trasgressioni. In tutto il Primo Testamento affiora l’idea che il Signore sia un Dio che vuole salvare il Suo popolo e non distruggerlo: la grazia rappresenta appunto la Sua volontà di salvezza e il peccatore pentito può invocare con fiducia la Sua misericordia (Sl. 51, 1).
Anche nel Nuovo Testamento il termine ha mantenuto i significati di favore e benevolenza di Dio verso l’essere umano e la grazia espressa con il patto del Sinai viene confermata dall’alleanza tra Dio e l’uomo che si compie con la vicenda terrena di Cristo, cioè del Dio fattosi uomo, un’alleanza che non sostituisce l’antico patto con il popolo di Israele, bensì lo rinnova e lo affianca. La grazia si manifesta nell’intervento gratuito di Dio nella vita dell’essere umano e genera la sua risposta nella fede (At. 18, 27). La fede, a sua volta, introduce l’essere umano nella grazia, cioè in un rapporto di benevolenza e comunione con Dio (Rom. 5, 2), un rapporto in cui il peccato è perdonato. La grazia coincide con un perdono totale che rigenera: per questo è possibile affermare che il contrario del peccato non sia la virtù, bensì la grazia.
La grazia e la fede non sono realtà coincidenti, ma piuttosto complementari, poiché la grazia risiede esclusivamente nell’ambito di Dio, esplicitando un agire di Dio stesso che rivolge all’essere umano la Sua parola di salvezza, mentre la fede è sopratutto una questione antropologica, cioè una risposta dell’essere umano o, almeno, un interrogarsi consapevole su questo dono di Dio.

Il Sola Gratia della Riforma vuole sottolineare che il peccatore non può giustificarsi da solo, né coadiuvare in alcun modo Dio nell’opera della giustificazione, negando decisamente qualsiasi possibilità di compartecipazione dell’essere umano al processo della salvezza, che resta iniziativa e compimento esclusivi di Dio, in Gesù Cristo: prima di ogni risposta umana c’è il ricevimento della grazia, che viene accolta nella fede; prima delle opere umane c’è l’amore di Dio, che le precede; nell’evento della salvezza la risposta umana è conseguenza dell’iniziativa di Dio e si traduce in un’etica evangelicamente ispirata. La specificità del messaggio evangelico sottolineato dalla Riforma è proprio questo: l’intervento della grazia divina è decisivo, l’essere umano, con le sue capacità, la sua razionalità e le sue conoscenze, da solo, non può nulla.
Ma in una società nella quale vengono quotidianamente enfatizzate la prestazione e l’affermazione personali, dove l’essere umano vale più per ciò che appare che per ciò che è, il problema della salvezza interessa ancora, oppure il suo annuncio ha perso gran parte del suo significato? Benché oggi permanga ancora l’angoscia della morte, essa viene affiancata, addirittura superata, dalle angosce della vita, dalle nostre insicurezze, fragilità, paure e miserie quotidiane.

L’annuncio della salvezza non può non riguardare anche questi aspetti, una salvezza prima di tutto da noi stessi in quanto produttori delle nostre ossessioni, dei nostri vizi e dei nostri idoli, una salvezza che dia un senso a ciò che siamo e a ciò che facciamo, una salvezza gratuita che non si riduce al perdono delle colpe, ma che dia speranza alla nostra vita.
La grazia che ci salva rappresenta un messaggio controcorrente rispetto agli standard performativi che ogni giorno ci sono proposti mediaticamente, conferendo dignità a tutti, compresi coloro che si trovano ai margini di una società selettiva, gli ultimi, con i quali più di duemila anni fa si identificava Gesù Cristo.
«In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me». (Matteo 25, 40).

La scelta ponderata

5 novembre 2017

Luca 14,26-33
Matteo 10,34-39 34

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,
a mio avviso il testo della predicazione proposto dal nostro libretto un giorno una parola oggi, penso che abbia avuto un forte impatto su tutti noi nel nostro percorso di fede.
A primo acchito non ci suscita una impressione positiva ma un senso di inquietudine perché in questo brano ci viene ricordato che a causa della venuta di Gesù ci sono state guerre, inimicizie, contese, anziché pace, unità e comunione a partire dal nucleo famigliare.
Gesù è stato come la spada, uno strumento di divisione. Infatti, alcune e alcuni di noi aspiranti suoi seguaci si sono impegnati ad approfondire il cammino di Gesù sulla terra.
Hanno dovuto studiare le Sacre Scritture prima di decidere di intraprendere la sua stessa via sapendo che Egli ha seguito la volontà di Dio, e così ha potuto dimostrare ai suoi discepoli un esempio di rinuncia della propria vita per una scelta ponderata.

Prendiamo in esame il percorso della nostra storia di credenti protestanti(ad esempio il pensiero dei nostri padri riformatori/ Lutero sul cammino di fede). Per amore del principio di fare una scelta personale e grazie al dovuto impegno e alla responsabilità assunta, siamo diventati come siamo ora, direi adulti nella fede ma sempre in evoluzione, in divenire a causa delle nostre scelte.
Così abbiamo adottata la pratica di agire in base alle circostanze per amore degli altri. Martin Lutero dice: <<Tu sei in ogni cosa libero davanti a Dio per la fede, ma davanti agli uomini servo di chiunque per amore>>. Considerate il percorso che abbiamo intrapreso attraverso Lutero, un uomo timoroso di Dio, questo nostro percorso di 500 anni che abbiamo appena commemorato, festeggiato e celebrato .

Il vangelo di Luca che abbiamo letto ci aiuta a capire meglio che cosa vuol dire Gesù sulla qualità del suo discepolo e colui che è degno di lui. Chi vuole seguire lui deve fare un esame di se stesso: avere la capacità di riconoscere i propri limiti e anche essere consapevole del servizio da rendere per l’altro.
Mi vengono in mente le varie tappe del percorso di pastorato, specificamente l’esame di fede prima della consacrazione del candidato o della candidata.
Nel sinodo metodista e valdese, in questa sede ci sono delle domande poste dal corpo pastorale alle quali devono rispondere i candidati.
Quale è il senso di tutto questo. È per verificare se sono idonei a svolgere il ministero pastorale.

Ma l’evangelista Luca mette in discussione una cosa molto importante a mio avviso cioè ancor prima di intraprendere il percorso.
Sulla metafora della torre(come dovrà essere costruita? Quanto tempo e lungo l’impegno da dedicarsi per costruirla? Chi potrebbe costruire una torre?
L’evangelista ci invita a riflettere se uno possiede i materiali per costruire una torre.
Sì, dobbiamo(è il nostro dovere) innanzitutto riflettere su quanto abbiamo messo da parte per affrontare questa spesa. Simile a chi ha in progetto di costruire una casa come i neosposi devono pensare se hanno i soldi o denaro per mettere su casa.

Si può allora intravedere in questo brano che cosa vuol dire Gesù quando ha parlato della persona che vuole essere il suo discepolo. Seguire lui ha un costo/un prezzo da pagare che è molto alto: rinunciare alla propria famiglia e persino alla propria vita ma poi per riaverle.
Perseguire la strada di Gesù parte da una decisione personale ma che comporta una profonda riflessione, essere pronti a lasciare tutto ciò che si possiede. Il giovani ricco disse: <<maestro che devo fare di buono per avere la vita eterna?>> Gesù gli rispose: Và, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi. Cfr. Matteo 19,16-30.

Così, gli strumenti che abbiamo devono essere adatti(anima e corpo, consegnarsi completamente /complete submission) per percorrere il nostro cammino per seguire Gesù e con Gesù. Che siamo trovati coraggiosi, capaci di sopportare qualsiasi avversità, capaci di affrontare le sfide ogni giorno. Dunque, tutto questo non potrebbe essere facile da affrontare se non ci rimettiamo nelle sue mani, se non gli chiediamo di accompagnarci con l’armatura di Dio.
Gesù disse:<<Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. 35 Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; 36 e i nemici dell’uomo saranno quelli stessi di casa sua.

Pensate a chi eravamo prima, e a chi siamo noi ora?
Se vogliamo recuperare il senso dell’insegnamento di questo brano oggi dovremo fare un esame di coscienza.
Fare mente locale a partire da quello che eravamo. Possiamo farlo tornando indietro guardando, rivisitando il nostro passato.
Se ci rendiamo conto delle scelte che abbiamo fatto personalmente, indipendentemente dalla decisione dei membri della nostra famiglia, queste hanno segnato la maturazione della nostra personalità.

Martin Buber scrisse nel suo libro <Io e tu>: Prima della sua fine, Rabbi Sussja disse: «Nel mondo a venire non mi si chiederà: “Perché non sei stato Mosè?”. Mi si chiederà: “Perché non sei stato Sussja?”» (M. Buber)
E Martin Luther King disse:
Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato ad essere, poi mettiti a realizzarlo nella vita.(M. L. King)

Così, Credo che l’identità personale sia fondamentale per ciascuna/o di noi perché non siamo una replica dell’altra/o.
Se ci pensiamo bene, avere il nostro proprio nome è già una conquista. È stato dato a noi dai nostri genitori, non l’abbiamo scelto ma ci rendiamo conto che ciò nonostante esso ci appartiene. La nostra fede in Dio e la nostra appartenenza in Cristo Gesù ci ha fatto scoprire la nostra vera identità personale per poi servire bene il nostro prossimo. Dio disse nel libro di Isaia al cap. 43,1: <<Non temere perché ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome, tu sei mio>>.

Quando ho partecipato all’aggiornamento pastorale a settembre, la collega che ha condotto il laboratorio sulla fede nelle diverse culture ci ha fatto scrivere 5 parole che ci identificano. Ho scritto io: Joylin, persona, pastora, filippina, e italiana.
Poi ci ha chiesto di buttare nel cestino tre di queste, e ci sono rimaste soltanto 2 ed io ho lasciato queste due parole che mi identificano che mi stanno a cuore: Joylin e persona.
Ciò che mi ha fatto riflettere durante questo laboratorio è stato quando ho scelto il mio nome che pensavo che è quello che ho ereditato dai miei genitori e chiamandomi in questo nome, mi conferma chi sono io.
Sapere chi sono io come chi sei tu per te stesso in questa epoca in cui si fanno tanti studi sulla clonazione , è necessario per recuperare il concetto dell’essere unico. Ognuno ha la sua identità e con ciò ha anche un ruolo da svolgere, ed è una propria responsabilità quella di andare avanti per migliorare la nostra chiesa e la nostra società.

La federazione delle chiese evangeliche in Italia, promotrice della formazione del corso LINFA(laboratorio, interculturale di formazione e Accoglienza) ha potuto individuare un modo di fare teologia, di poter insegnare e formare i membri delle chiese italiani e stranieri per scoprire il vantaggio di avere la propria identità. Rowena Abad una delle nostre sorelle filippine si è iscritta al corso per darci una mano per migliorare sempre di più il nostro rapporto dell’essere chiesa insieme.
E una parte dei materiali che è stata prodotta per il corso è sull’identità-integrazione. L’obiettivo di questa unità è di stimolare una riflessione sull’identità. La fede cristiana suggerisce un’idea dell’identità basata sull’aprirsi all’altro – a Dio in Cristo, prima di ogni altro – che ci sorprende e ci rinnova. Il recupero dell’identità personale da un lato è fondamentale, dall’altro ha una conseguenza perché ognuna e ognuno ha un ruolo da svolgere per l’altro.

Gesù forse ha voluto mettere in evidenza questa aspetto molto forte proprio nel seguire il suo cammino e perché vuole che ci facciamo sempre avanti e siamo presenti.
Come l’apostolo Paolo dicendo che la chiesa è come un corpo umano.
Ad esempio gli occhi hanno il potere di vedere, di guardare per indicare la via che i piedi dovranno percorrere. Le orecchie devono ascoltare per trasmettere un messaggio da eseguire. I servizi che rendono le membra del corpo sono messi insieme per far funzionare bene il corpo.
Così ,oggi , insieme come chiesa siamo incoraggiati a investire le nostre forze in quello che siamo capaci di fare.
Non possiamo esentarci dal nostro ruolo comune, ma prima dobbiamo seguire gli insegnamenti di Gesù a partire dal lavoro di riconoscersi e distinguersi per quello che siamo . La chiesa paragonata ad un corpo umano, le membra del corpo.

Io sono quella che sono e tu sei quello che sei.
Nella nostra comunità o in generale nelle chiese c’è un gruppo che si forma per cantare nel coro. Il coro è soprattutto una testimonianza molto concreta di come vivere la propria fede. Il coro è costituito da persone che vogliono lodare il nome del Signore con le loro voci. Le quattro voci sono espressioni della diversità dei doni molto visibili nati dal profondo del nostro essere ossia per amore, gioia, dolore, lamento, gratitudine.
Il nostro coro è multicolore, di provenienze diverse e quindi composto da persone che hanno avuto le proprie lingue, ma che con parole e musiche si sono unite in per lodare.
Seguire Gesù è anche accettare l’evangelo e portarlo con sé come un peso cioè portare la croce. Gesù ha dato esempio nella propria vita portando con sé la croce.
La croce che portava erano i nostri peccati.
Il peso della croce è l’impegno che deve partire da ognuno di noi.
Allora Gesù disse ai suoi discepoli:<<se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. (Mt.16,24)

Che vogliamo fare ora? Ci sono diverse scuole di pensiero per migliorare la nostra personalità e Gesù ne ha una proposta.
Grazie al Signore unico Dio nostro ci siamo arrivati a capire che le diverse professioni sono le nostre vocazioni da svolgere e sono per aiutarci a riconoscere e sviluppare le nostre capacità, soprattutto al servizio degli altri.
Noi apparteniamo ad un mondo in cui ci sono le possibilità per migliorare la nostra personalità ed è nostro dovere farlo, nei confronti della nostra società e del Signore che ci ha creato per dare il meglio di noi stessi.
Questo viene insegnato da Gesù e se questo viene riconosciuto come buono da noi credenti e diventiamo suoi seguaci , possiamo essere suoi strumenti per formare la famiglia di Dio sulla terra.
Il Signore ha un progetto per noi tutti, uno per tutti e tutti per uno. Questo è ciò che vuole perché nella sua chiesa ognuno vive/esiste per l’edificazione dell’altro: Efesini 4,16<< Da lui tutto il corpo, ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore>>. Amen.

Past. Joylin Galapon

Curiosità storiche nella nostra biblioteca

Cenni storici sull’origine ed i progressi della Chiesa Cristiana Libera in Italia 
di DAMIANO BORGIA,
Tipografia Barbera, Firenze, 1880, pp. 119

Nella Biblioteca della nostra comunità ho scovato questo libretto, prezioso innanzi tutto per la sua antichità: pubblicato nel 1880, è infatti contemporaneo agli avvenimenti trattati, il che ci consente di attingere a notizie di prima mano, anche perché il suo autore ne fu un protagonista, pur tenendo conto del rischio che gli eventi storici siano interpretati in modo poco obiettivo. E’ una voce che parla dall’interno, svelandoci retroscena, aneddoti, motivazioni che hanno portato alla costituzione e allo sviluppo di un’importante frangia del movimento evangelico italiano. Il secondo motivo di interesse risiede nella ricostruzione storica, che ci permette di risalire alle nostre origini come evangelici italiani. Prima che i metodisti inglesi e americani portassero il risveglio religioso in Italia, qui convivevano già due tipologie di protestanti: i Valdesi in Piemonte e il movimento toscano, basato sulla lettura della Bibbia e l’evangelizzazione, il cui sviluppo dipese dalle persecuzioni, che costrinsero i suoi membri all’esilio, e quindi alla diffusione in altre città. La Chiesa Cristiana Libera propriamente detta nacque da una scissione: e questo è il terzo aspetto interessante, perché ci fa capire come le divisioni e gli scismi siano sempre esistiti e a volte siano creativi: senza la scissione di Desanctis e Mazzarella dalla Chiesa Valdese, infatti, non sarebbe nata la Chiesa Cristiana Libera. I due, volendo creare un movimento evangelico tutto italiano, abbandonarono i Valdesi per unirsi agli esuli dalla Toscana, dando vita alla Chiese Libere italiane; il tentativo di unire tutte le Chiese Libere portò poi alla creazione della Chiesa Cristiana Libera in Italia. Il consolidamento della Chiesa è narrato diffusamente, attraverso le prime Assemblee Generali, gli evangelisti, i colportori, la costruzione di chiese, la fondazione di scuole domenicali ed elementari, i dissidi e le difficoltà. Il testo termina con una panoramica sulla situazione attuale (nel 1880). Allora la Chiesa sembrava in piena crescita, ma noi sappiamo che un’altra scissione la frantumò: il movimento di Guicciardini, più religioso e radicale, plimuttista, ossia contrario a qualunque organizzazione ecclesiastica, formò il Movimento dei Fratelli, mentre quello di Gavazzi, più politico e tollerante, e più organizzato gerarchicamente, confluì nella Chiesa Metodista. Interessante il rapporto coi Valdesi, che mostra come all’inizio (ma solo all’inizio) il desiderio di evangelizzazione superasse qualunque differenza e rivendicazione d’identità: in realtà fu proprio l’eccessiva vicinanza coi Valdesi a provocare la pubblicazione dell’opuscolo anonimo (certo opera del Guicciardini), che causò la scissione di Desanctis e Mazzarella. La storia della nuova Chiesa si intreccia con quella patria, dalle guerre d’indipendenza alla liberazione di Roma, dalla peste del 1848 alle pretese papali, dandoci un quadro variegato e completo delle nostre origini.

 

Antonella Varcasia