Gesù e il lebbroso

Marco 1: 40 – 45

Questa è una storia in cui i protagonisti sono senza nomi. Solo il nome di Mosè è stato nominato. Un personaggio non fisicamente presente nel racconto. Non c’è il nome del lebbroso e nemmeno il nome di Gesù è scritto esplicitamente nel testo greco. Per una evidenza supposta siamo abituati a inserire il nome di Gesù, per capire meglio il testo del vangelo. Prendiamo come esempio il versetto 45: Ma quello, appena partito, si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare apertamente in città. Ecco così il testo è spiegato in qualche modo. Nella prima parte si tratta dell’uomo che non poteva tacere, nella seconda si tratta delle brutte consequenze per Gesù. Ma il lettore  di Marco non ne può essere tanto tranquillo, leggiamo il versetto secondo la versione greca: Ma egli, appena partito, si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che egli non poteva più entrare apertamente in città. È difficile dire con certezza se Marco ha volutamente inserire questa confusione. Così rimane aperta la domanda: Chi dei due protagonisti proclama e chi rimane fuori in luoghi isolati? Siamo propensi a pensare che Gesù è quello che proclama e che il lebbroso si rifugge in luoghi isolati. Guardando meglio il testo vediamo che si tratta di un cambiamento dei ruoli alquanto notevole. Non solo Gesù prende su di sé il ruolo del lebbroso, cioè essere isolato, e il lebbroso quello di Gesù, proclamare; ma è possibile intravedere una identificazione fra i due. Una identificazione che fa pensare a Matteo 8 versetto 7 dove sta scritto che Gesù ha preso tutte le nostre debolezze e che ha portato tutte le nostre malattie. Questa parola ci fa riflettere su quanto Gesù si è voluto identificare con coloro che ha guarito.

Tanto che egli non poteva più entrare apertamente in città: questo si riferisce tanto a Gesù quanto all’uomo da lui purificato. Il guarito proclama tante cose  così Gesù non può più entrare in città, ma è altrettanto vero che a causa del fatto che Egli/egli (Gesù/il lebbroso) proclama, egli non si può più manifestare pubblicamente. Quest’uomo è diventato la parola che Gesù proclama, e questo ha come conseguenza che egli non può essere compreso al di fuori di Gesù. Dove va Gesù, è proclamata la parola che riguarda quest’uomo, è proclamata la guarigione, la purificazione, la liberazione, in altre parole lì Gesù proclama la parola del Regno.

Rivolgiamo adesso la nostra attenzione verso il lebbroso, la lebbra e ciò che comporta. Forse pensiamo già di sapere ciò che vuol dire essere lebbroso nel mondo di allora: essere escluso, isolato, staccato. Ma vediamo lo stesso se questo brano particolare aggiunge qualcosa alla nostra  conoscenza.

È una storia davvero particolare. Una storia di guarigione – cioè di purificazione (nonostante che sopra questo passo hanno messo il titoletto: Gesù guarisce un lebbroso, ma nel testo stesso incontriamo la parola purificare). Tutto succede da qualche parte in Galilea, non solo mancano i nomi delle persone, ma anche indicazioni geografiche precise. Il brano precedente finisce dicendo che Gesù andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e cacciando i demoni (Marco 1: 39) e in seguito, Marco 2: 1, si legge che Gesù ritorna a Capernaum. Strada facendo incontra un lebbroso che gli supplica di purificarlo. Il miracolo della guarigione/purificazione avviene fuori dalla città e fuori dalla sinagoga, perfino la grande folla che si raduna spesso intorno a Gesù manca in questo momento. Questa mancanza di spettatori sottolinea una delle più grave conseguenze della malattia. L’isolamento totale e l’essere sbattuto fuori dalla società.

Oggi non posso che pensare agli immigrati, trattati non come dei malati, ma come dei lebbrosi, si trovano in un isolamento e quando provano ad inserirsi nella società la risposta è una risposta di rifiuto, non sempre in modo così terroristico come a Macerata, ma pur sempre un rifiuto. Non vogliamo essere resi impuri da loro. La paura e l’odio che vengono fuori da un atteggiamento simile regna fra di noi. La paura e l’odio, due cose opposte alla fede. La paura vuol dire che non c’è fiducia, mentre la fede è fiducia, l’odio nega il diritto d’esistenza, è il contrario della vita dataci da Dio.

Abbiamo davanti a noi un brano particolare. La purificazione del lebbroso conclude un primo ciclo di racconti sulle attività di Gesù in Galilea. Dopo il suo ritorno a Capernaum Gesù incontra in misura crescente resistenza. La predicazione del Regno, che sta per venire, trova qui una prima conclusione e coronamento: malati guariti, indemoniati liberati dai loro spiriti maligni e lebbrosi purificati dal terribile male.  In tutta la Bibbia c’è il pensiero che è impuro chi è colpito da questa malattia. E quindi chi è colpito da questo male non ha più diritto a un posto in mezzo alla comunità del popolo d’Israele. Ecco come i migranti di oggi a cui non viene ricevuto il diritto a un posto in mezzo alla società.

 L’inizio del racconto indica la solitudine completa del lebbroso. Nei racconti precedenti, malati, indemoniati sono stati portati da Gesù da parenti o amici.

Né la suocera di Simone con la febbre nella casa del genero, né l’indemoniato del primo racconto di guarigione è solo. Malattia e ossessione, in generale, non hanno l’esclusione come conseguenza. La lebbra sì. Ecco perché il lebbroso non ha nessuno che gli porta vicino a Gesù. Deve andare da solo e rischia grosso. È come attraversare un mare con le sue onde. Avvicinando a qualcuno infrange la Tora di Mosè. La sua impurità rende impuri gli altri, ecco perché non può stare in luoghi dove sono molte persone. Siccome è impuro non può entrare nel Tempio e nemmeno in molte sinagoghe. Siccome è ritenuto impuro non può entrare nelle nostre realtà, nelle nostre case, nelle nostre scuole.

Nell’antico testamento la lebbra è vista come una punizione di Dio. Ciò significa anche che può essere guarita solamente da Dio – ecco perché il re d’Israele si sente disperato quando Naaman gli chiede d’essere purificato (2 Re 5: 7). Quindi solo Dio può purificare un lebbroso e sollevarlo dal suo isolamento. Visto così è molto particolare che questo lebbroso va da Gesù e gli dice: se vuoi. Vede in lui un uomo di Dio.

Sono pochi versetti, ma in questi sono espresse molte emozioni. Il lebbroso cade in ginocchio per terra e supplica, dell’altro protagonista si racconta che è mosso a pietà, letteralmente sta scritto: mosso fino alle viscere. Comunque, un aspetto che salta nell’occhio è che questo incontro rende impuro Gesù. Il lebbroso diventa subito puro, ma Gesù  esce danneggiato da questo incontro, un’altra volta si scambiano i ruoli. L’incontro con l’immigrato ci dovrebbe toccare fino nelle viscere, fino a rendere anche noi impuri, solo così si arriva alla radice del problema. Ma forse siamo già impuri, per la nostra lontananza da Dio …

Arriviamo all’ultimo versetto. In un paio di battute succede tanto. Il lebbroso purificato non ubbidisce a Gesù. Non può tacere, ma chi gli darebbe torto!? Anche l’evangelista gli dà ragione. Chi scrive usa qui la parola per il strombazzare ai quattro venti (proclamare) che finora ha usato solo per la predicazione di Gesù. Infatti il lebbroso diventa il primo missionario nel Vangelo di Marco. Prima dei discepoli comincia ad annunziare. Chi è salvato, vuole che anche le altre persone si salvano (Wesley).

Gesù diventa qui persona non-grata nelle città della Galilea. Non ci può entrare perché è diventato impuro, un espulso. Ecco perché l’evangelista racconta che Gesù si trova in luoghi deserti. È li dove abitano i lebbrosi, lontano dalla società degli puri e sani. È lì dove secondo noi devono stare gli immigrati.

L’incontro di Gesù con il lebbroso anonimo svela uno dei più profondi nuclei del vangelo. Il lebbroso è venuto come un espulso dai luoghi isolati verso Gesù. È stato toccato da Gesù ed è diventato puro. In seguito il lebbroso compare come predicatore, come annunciatore, e Gesù sparisce nei luoghi isolati. Si può trovare un’illustrazione migliore della parola di Isaia 53 del servo sofferente che prende su di se le nostre malattie e i nostri dolori?!

Fortunatamente il racconto non finisce con l’isolamento di Gesù. Perché lo scrittore racconta nella stessa frase che Gesù non rimane in pace, nemmeno in questi luoghi isolati. Gli innumerevoli che hanno bisogno di lui lo liberano dall’isolamento, dalla solitudine e lo riportano nel mondo. Fino alla fine lo scambio dei ruoli. Quelli che hanno bisogno di Gesù, lo portano a galla! Gesù e il lebbroso sono uno. È il guarito che annunzia, perché il segreto non può rimanere nascosto, benché percorre la sua strada nel nascosto in mezzo al popolo. Bisogna saperlo trovare. E questa storia ci mostra dove lo possiamo trovare. Siamo coinvolti tutte e tutti, l’esperienza dell’isolamento non ci è estranea. È una condizione che ci riguarda tutte e tutti, perché tutte e tutti noi abbiamo bisogno di uscire dall’isolamento, non solo gli immigrati che abbiamo spinto nel deserto. Dimentichiamo che insieme a loro siamo nel deserto anche noi, nel deserto della nostra vita da cui Gesù ci chiama fuori se veniamo verso di Lui. Amen.

Greetje van der Veer

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