Dov’è tuo fratello? Pagine di fraternità nel libro della Genesi

di SCHÖKEL Luis Alonso,

Claudiana, Torino 2022,

pp. 387, Euro 27,00

Si tratta di un commentario alla Genesi che si allarga ad esprimere valutazioni antropologiche e teologiche su uno specifico tema, quello della fraternità, concentrandosi sugli episodi che hanno più attinenza con questo argomento. Il testo è suddiviso in tre sezioni che ruotano intorno alle figure di Abramo, Giacobbe e Giuseppe, ma all’inizio la storia di Caino e Abele funge da «racconto delle origini» che spiega la nascita del peccato e della violenza. Schökel passa in rassegna le diverse

interpretazioni di questo racconto, che tentano di motivare il comportamento discriminatorio di Dio nei confronti dei due fratelli, per concludere affermando la libertà dell’agire di Dio, che l’uomo deve accettare. Sin da ora, tuttavia, egli individua un elemento ricorrente: la preferenza per il figlio

minore, che si paleserà anche con Isacco e Ismaele, Giacobbe ed Esaù, Rachele e Lia, Efraim e Manasse. Del racconto delle origini fanno parte anche le storie dei figli di Noè, in cui viene analizzato il diverso comportamento dei fratelli di fronte alla nudità del padre e l’interpretazione allegorica della maledizione/benedizione di Noè ai figli. Il ciclo di Abramo comprende innanzitutto il rapporto tra il patriarca e Lot, considerato “fratello” nel testo biblico. L’accento viene posto sull’intercessione di Abramo per la salvezza di Sodoma, che diventa occasione per discutere il problema della punizione dei giusti insieme ai colpevoli. In secondo luogo si affrontano i rapporti tra i fratellastri Ismaele e Isacco, con particolare attenzione al tema del riso e del gioco. Il ciclo di Giacobbe affronta il rapporto del patriarca con Esaù: nell’analisi del comportamento fraudolento di Giacobbe nel carpire la primogenitura e la benedizione paterna, Schökel si riallaccia ai racconti popolari, in cui l’eroe vince contro l’antagonista con la forza o la frode, come esemplificato da Achille e da Ulisse. Ma anche qui la conclusione teologica è la libertà di Dio: «si realizza solo quanto Dio ha previsto e deciso». Il ciclo di Giuseppe ripropone i temi della rivalità tra fratelli per invidia e gelosia, della preferenza del figlio minore, della riconciliazione, del progetto divino portato avanti inconsapevolmente dagli uomini. Le storie di sororità sono rappresentate dalle figlie di Lot, terreno di studio per i motivi dell’incesto e della maternità, e da Lia e Rachele, con i temi, ben noti nel folklore, della sposa sostituita e della rivalità per amore. Anche le due matriarche stanno realizzando inconsapevolmente i progetti di Dio per Israele. Viene citato anche lo stupro di Dina, vendicato dai fratelli, che pone l’accento sulla posizione della donna nella famiglia patriarcale e sui rapporti di Israele con i popoli stranieri. Numerosi sono i riferimenti all’Antico e al Nuovo Testamento, nonché alla letteratura critica e leggendaria dell’ebraismo, i richiami alla cultura classica e la menzione delle risonanze extrabibliche di alcuni episodi: ad esempio, Caino e Abele

riflessi in Romolo e Remo o Giacobbe ed Esaù che rivivono in Gilgamesh ed Enkidu. Alcuni episodi sono analizzati anche se non presentano alcun interesse per il tema della fraternità: è il caso del sogno della scala di Giacobbe, simbolo di un viaggio di iniziazione dove piano orizzontale umano e piano verticale divino si intersecano, o il giudizio tra Labano e Giacobbe dopo il furto degli idoli da parte di Rachele, o la lotta di Giacobbe con l’angelo, messa in collegamento con la notte di Gesù nel Getsemani. L’accenno conclusivo è alla nuova fraternità instaurata da Cristo, «più profonda, più alta, più solida della fraternità semplicemente umana», che Giovanni riassume nell’amore disposto a dare la vita per il fratello (1 Gv 3, 16).

Antonella Varcasia

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Antonino Tagliarini, avvocato, garibaldino ed evangelico

di Lothar Vogel

Antonella Varcasia ricostruisce una storia di famiglia nella Palermo delle seconda metà dell’Ottocento

Nel corso dell’estate scorsa è uscito presso la casa editrice Aracne un libro significativo sull’evangelismo risorgimentale, Don Antonino Tagliarini. Un evangelico a Palermo dopo l’Unità d’Italia*. Antonella Varcasiadescrive le vicende del suo trisnonno Antonino Tagliarini (1835-1907). Da giovane avvocato e seguace di Giuseppe Garibaldi, nel 1861 compare già come membro della chiesa valdese di Palermo. Nel registro figura al terzo posto, immediatamente dopo Giorgio Appia, primo pastore di questa chiesa, e dopo la moglie di quest’ultimo.

L’appartenenza di Tagliarini e di sua moglie Carolina, figlia di un alto funzionario borbonico, dotò la neonata comunità di un importante appoggio anche in termini di reputazione sociale. Successivamente Antonio Tagliarini esercitò, assieme a suo fratello, la professione di fotografo, motivo per cui questo libro ha potuto essere arricchito da numerose foto ottocentesche di famiglia, che costituiscono un patrimonio prezioso.

Particolarmente stretti furono i suoi rapporti tra Tagliarini e il successore di Appia, lo scozzese John Simpson Kay, importante nella storia della nostra chiesa anche per le donazioni di libri a favore della biblioteca di Torre Pellice. Negli anni ’80, però, si acuì il conflitto tra la chiesa di Palermo e il Comitato di evangelizzazione, che in quella fase governava le comunità della diaspora valdese in maniera abbastanza autonoma. Nel 1884, il dissidio sull’autonomia della congregazione locale portò a una rottura: Antonino Tagliarini si ritirò dal Consiglio di chiesa e passò ai metodisti wesleyani, che dal 1874 erano rappresentati a Palermo con una loro comunità, retta da Saverio Fera, famoso anche come rappresentante di spicco della massoneria in Italia. Due anni dopo Tagliarini, anche Kay lasciò la chiesa valdese, servendo per il resto della sua vita una chiesa libera. In queste circostanze conflittuali si costituì dunque l’identità metodista della famiglia formata dai suoi discendenti.

Il libro di Antonella Varcasia racconta, appunto, una storia di famiglia, contestualizzata però nel quadro di riferimento più ampio dell’Italia risorgimentale. In tal modo è nata una narrazione ricca di affetto, ma al tempo stesso rigorosa nell’esposizione dei fatti. I conflitti tra la chiesa valdese di Palermo e il Comitato di evangelizzazione, a esempio, sono descritti in una maniera tale da fornire informazioni preziose a chiunque intenderà studiare l’evangelizzazione valdese del periodo. In qualche modo, questa nuova pubblicazione ha valore paradigmatico, perché ci consente di osservare concretamente l’importanza del fattore familiare per lo sviluppo delle chiese evangeliche in Italia. Al tempo stesso, il significato di questa storia oltrepassa di molto quello della memoria dei propri (tris-)nonni; si tratta, invece, di un paradigma per il divenire dell’evangelismo italiano odierno. Per questo motivo è importante che il libro, molto piacevole nella lettura, sia stato pubblicato in stampa.

* A. Varcasia, Don Antonino Tagliarini. Un evangelico a Palermo dopo l’Unità d’Italia. Aprilia (Lt), Aracne, 2021, pp. 308, euro 21,00.

Due sermoni sulla predestinazione

Due sermoni sulla predestinazione
di WESLEY John, Grampus,
Roma 2018,
pp. 157, Euro 5,20

 

Care sorelle e cari fratelli, in vista dello studio biblico sulla predestinazione che inizieremo a breve, vorrei sottoporvi questa volta la lettura di un testo che sottolinea la specificità della posizione metodista su questo tema, riportando il pensiero di John Wesley attraverso le sue stesse parole. Come sapete, la dottrina della predestinazione, così come fu concepita da Calvino, è una caratteristica della fede valdese, mentre i metodisti, attraverso il loro fondatore, si rifanno ad Arminio, il teologo olandese del XVII secolo che, contro Calvino, sosteneva la collaborazione tra la grazia divina e il libero arbitrio dell’uomo. I due sermoni presentati nel testo, il primo del 1740 sulla libera grazia e il secondo del 1770 sulla predestinazione, sottolineano la prospettiva arminiana di Wesley: nel primo il fondatore del metodismo espone le sue ragioni contro la doppia predestinazione di Calvino, che renderebbe inutile ogni predicazione, dato che tutto sarebbe già stato stabilito, distruggerebbe l’impegno alla santificazione e alla perseveranza nella fede e introdurrebbe l’intolleranza verso chi si presume sia stato rigettato da Dio, il quale, a sua volta, verrebbe privato del conforto della religione. Infine, essa scardinerebbe l’intera rivelazione cristiana che, non essendo necessaria, non sarebbe neanche vera, e stravolgerebbe la figura di Gesù, le cui promesse di salvezza universale lo renderebbero un truffatore, un ipocrita e un mistificatore, nonchè quella di Dio, che si dimostrerebbe “più crudele, falso e ingiusto del diavolo”. Nel secondo sermone Wesley si sofferma sui versetti di Rom 8, 29-30, che elencherebbero le varie fasi del processo della salvezza: in primo luogo la preconoscenza di Dio, che non costituisce in alcun modo la causa di ciò che avviene; in secondo luogo la predestinazione, da intendersi come lo scopo del progetto divino, ossia essere conformi all’immagine del Figlio; in terzo luogo la chiamata, quindi la giustificazione e infine la glorificazione.  In sostanza, Dio non sceglie chi salvare, ma semplicemente sa già chi si salverà per la sua fede. Completa il testo un’appendice del prof Giancarlo Rinaldi dell’Università di Napoli, che riassume, in modo chiaro ed abbastanza esaustivo, la storia della dottrina della predestinazione, dalla sua presenza (o assenza) nell’Antico e nel Nuovo Testamento, all’interpretazione dei Padri della Chiesa fino alla controversia tra Pelagio e Agostino nel V sec. Quindi vengono affrontate la svolta della Riforma, la controversia arminiana e la posizione di Wesley, fino all’ultimo interessante capitolo sul recepimento della teologia di Arminio nel movimento pentecostale. Un testo interessante per cominciare ad affrontare un tema così ostico, delicato e ambiguo come quello della predestinazione, che necessita certamente di un approfondimento teologico, ma che può costituire un ottimo punto di partenza per orientarsi nelle sottigliezze interpretative delle varie posizioni dottrinali.

 Antonella Varcasia

La collina dei conigli

La collina dei conigli
di ADAMS Richard,
BUR Rizzoli, Milano, 2018,
pp.427, Euro 17,00

 

Questa volta, care sorelle e fratelli, non voglio proporvi una lettura teologica, ma, per inaugurare l’inizio del nuovo anno ecclesiastico, ho scelto di ripescare un classico della narrativa per l’infanzia, che molti di voi hanno sicuramente letto. Perché proprio questo testo? Perché non è solo un avvincente racconto per ragazzi, ma un romanzo epico, mitologico, allegorico e biblico. La storia è molto semplice: un gruppo di conigli selvatici abbandona la propria conigliera, su cui sta per abbattersi un pericolo mortale, e compie un lungo e avventuroso viaggio per raggiungere una lontana collina, dove fondare una nuova colonia. Riescono nell’intento, ma a prezzo di sacrifici, perdite, combattimenti all’ultimo sangue, scontri con nemici esterni ed interni, ma anche scoprendo occasioni di amicizie e alleanze sui generis, di solidarietà, di coraggio, di altruismo. La storia ha forti riferimenti alla Bibbia, in particolare alla vicenda dell’Esodo: il gruppo di conigli che, guidato dal coraggioso Moscardo, abbandona la conigliera in pericolo e affronta un viaggio insidioso per raggiungere le colline dove abbondano i pascoli verdi e liberi, senza traccia di presenza umana, richiama il popolo di Israele che, guidato da Mosè, attraversa le sfide del deserto per arrivare alla terra promessa, dove scorrono il latte e il miele. Il piccolo Quintilio, il coniglio che ha visioni e premonizioni di sventura e grazie alle cui indicazioni il gruppo si deciderà a partire, richiama la figura profetica non solo per le sue predizioni, ma anche per la sua piccolezza, che rende l’idea dell’insignificanza e dell’umiltà che si associano alle figure dei profeti biblici. Il popolo dei conigli crede in un dio unico, Frits, il Sole, creatore e reggitore dell’intero universo, che essi invocano spesso nei momenti di difficoltà e di paura, implorandone l’aiuto o il consiglio. E il dio protegge i suoi fedeli, intervenendo nella loro storia attraverso i sogni di Quintilio, ma anche con segni miracolosi, come il fulmine che, balenando all’improvviso, risolve provvidenzialmente lo scontro tra il buon Parruccone e il terribile Generale Vulneraria, simbolo della follia della tirannide, o come il messaggio inviato a Moscardo, che gli suggerisce un’astuzia di capitale importanza per salvare la sua colonia assediata. E c’è anche la figura di Satana, che ha le sembianze del Coniglio Nero di Inlè, la tenebra eterna, l’incubo, il male e la morte, che tuttavia non ha un potere autonomo, ma è a sua volta sottomesso a Frits. Ma, al di là di questi riferimenti specifici, è il messaggio d’insieme di questo libro che potremmo definire biblico: un’esaltazione del coraggio, dell’altruismo, della solidarietà, attraverso le figure di vari conigli disposti a sacrificare la propria vita per quella degli altri membri della colonia o attraverso il racconto dell’amicizia tra diversi, i conigli e un grosso gabbiano bianco, Kehaar, al quale essi hanno salvato la vita e che a sua volta li aiuta a scappare dalla terribile Efrafa, la città-prigione del Generale Vulneraria. E’ un libro che invita alla tenacia, alla pazienza, alla perseveranza nella ricerca della felicità, nella consapevolezza che non siamo soli, ma abbiamo dalla nostra parte il nostro creatore, i nostri simili e anche i nostri dissimili.

Antonella Varcasia

Diego Passoni, la Bibbia quotidiana e il protestantesimo

da Nev

La voce di Radio Deejay ha appena pubblicato “Siamo tutti sulla stessa arca”, rilettura della Genesi

“Il Vivente non vuole pedine ma compagni di strada”. Lo scrive Diego Passoni, voce della trasmissione “Pinocchio” su Radio Deejay nel suo ultimo libro “Siamo tutti sulla stessa arca” (Mondadori), una rilettura ironica (ma non troppo) del primo libro della Bibbia, la Genesi. Una passione, quella per le Scritture, che lo ha portato ad avvicinarsi al mondo evangelico. E che racconta, come un fiume in piena, perché “mi ha salvato la vita incontrare Dio. Il desiderio che ho è condividere” questa esperienza.

Come si è avvicinato alle chiese protestanti? 

“Tutto passa attraverso la testimonianza. Noi siamo strumenti. Ad un certo punto della mia vita avevo bisogno di ritrovare il senso delle cose, di ricominciare. Così, come un lumino acceso, ho incontrato una persona. Una ragazza con la quale sarei dovuto andare a correre ogni mattina. Mi ritrovai a casa sua, dove aveva una Bibbia, le chiesi se fosse sua e mi disse: “Sì, sono cristiana, leggo la Bibbia tutti i giorni”. E pregammo insieme: non c’era altro che volessi fare di più. E poi andavamo a correre. Il mio rapporto con la Parola è ricominciato così.

Ho vissuto cose molto belle nella Chiesa cattolica però sentivo una mancanza ed era proprio questo, il rapporto quotidiano con la Parola. Non a caso l’ho trovato sul solco di Lutero, che proprio dalla Parola fece la sua rivoluzione”.

Il tema dell’omosessualità – come ha anche dichiarato in una recente intervista a Repubblica sembra dirimente rispetto al suo percorso come credente, come essere umano. Il Papa ha recentemente parlato di una “legge” per le coppie di fatto. La Bibbia “da che parte sta”?

“Sì, è una questione cruciale della mia vita. Ed è uno dei motivi per cui mi sento molto protestante. Ci sono cose che dividono e cose che uniscono. La Bibbia non è da una parte né dall’altra, è oltre.

Ma ogni tempo e contesto ha le sue logiche. Lutero e Calvino erano certamente misogini, li avremmo considerati tali, così come San Paolo dava per scontata la schiavitù: erano figli del loro tempo. Da credente io voglio gridare la mia testimonianza. Siamo sicuri che la dottrina sia esattamente quello che voleva Dio per gli uomini? Le regole sono diventate più importanti, mentre io penso che la dottrina sia un frutto, sì, ma non il frutto indispensabile. Pensiamo alle donne, che ad esempio nelle chiese protestanti svolgono il ruolo di pastori, chi lo avrebbe sperato centinaia di anni fa?

“I miei pensieri non sono i vostri pensieri”, dice Dio. Anche il rapporto tra le chiese cristiane è stato spesso luogo di scontri, discussioni sui dogmi che sono stati creati ma spesso sono stati pretesti. Io mi chiedo: dov’è lo Spirito santo? La morale può essere messa in discussione. E’ il tema della grazia.

Un prete che è stato molto importante nella mia vita mi ha raccontato una volta di aver ricevuto da una coppia gay la richiesta di una benedizione, una semplice benedizione, ma di avergli risposto negativamente, in quanto “soldato della chiesa”. Questa è dottrina? Penso che occorra tenere presenti le esigenze del mondo, perché noi siamo e viviamo in questo tempo. Il Papa, in questo senso, lo ha detto proprio da uomo e da cittadino, ed è una presa di posizione importante, ma che non cambia la dottrina.

Nel mio primo libro, “Ma è stupendo”, che era un’autobiografia, ho raccontato il mio percorso (Passoni ha anche vissuto per un periodo in un monastero, ndr): molti credenti mi hanno scritto, a seguito di quella pubblicazione, raccontandomi la loro sofferenza, c’è un popolo, purtroppo, che si sente “messo fuori” dalla chiesa.

Ma ricordiamolo: la carità è il primo pilastro della fede. Perchè “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna” (1Cor 13, 1-7).

Legge antiomofobia. Giorgio Rainelli, presidente della R.E.F.O, rete evangelica fede e omosessualità e co-coordinatore della Commissione fede e omosessualità delle chiese battiste, metodiste e valdesi, ha espresso la sua soddisfazione, “Come credenti nel Dio che “agisce con giustizia e difende tutti gli oppressi” (Salmo 103,6)”. Giustizia che però tarda a venire, visto che la legge è appena passata alla Camera, dopo un iter lungo e travagliato…Che ne pensa?

“Chi ostracizza la legge pensa che la felicità di qualcuno possa minare quella delle “famiglie tradizionali”. Ma non è così. L’universo transessuale, ad esempio, è un mondo che è una meraviglia. Noi tutte e tutti siamo varietà e molteplicità. Ogni individuo è tante cose. La legge è importante perché è anche contro la misoginia e la discriminazione verso le persone disabili, mette cioè un freno all’idea che il “normale” sia sano, bianco, eterosessuale, possibilmente maschio”.

Nel suo libro si parla anche molto di potere, di sistemi economici, di libero arbitrio. Come giudica l’uso della Bibbia – o di altri simboli religiosi – da parte dei politici?

“Lo giudico molto male. La storia ce lo insegna. Sono contro il sincretismo. Ho fede nel dio vivente e penso che bisogna educare alla spiritualità. Il che è diverso dall’educare alla religione, che a volte diviene una gabbia. Bisogna coltivare il silenzio: quello è politico. Qualcuno in quel silenzio parlerà, non serve svuotare le parole di significato, perchè a quel punto si sfocia nella manipolazione. Dio parlava nel deserto: la cosa più importante è proprio creare uno spazio in cui ci si mette all’ascolto degli altri”.

Il suo libro sembra parlare non solo a chi come lei ha studiato l’ebraico e i testi sacri ma a tutti. C’è qualcosa che la Bibbia può dire ai non credenti? 

“Può dire soprattutto ai non credenti. Noi credenti stiamo nella nostra comfort zone, abituati a questa cultura in cui siamo cresciuti.

Dei protestanti, proprio per questa abitudine, ho sempre avuto in qualche modo sospetto. Mentre ho compreso poi che questi racconti sono per tutti: non è nemmeno scritto che quello di Abramo è stato l’unico popolo scelto. Lo spirito non ha soffiato in tanti uomini?

La Bibbia è un racconto che parla degli esseri umani, non dei cristiani o degli ebrei. Un ritratto modernissimo, con famiglie disfunzionali, personaggi straordinariamente attuali. Siamo tutti persone orrende, Caino è dentro tutti noi, e contemporaneamente siamo chiamati ad essere alti, ad andare oltre le nostre meschinità“.

Lei ha scritto che la Bibbia suscita domande, più che risposte. E quindi le risposte dove sono? O la domanda è sbagliata? 

“Bisognerebbe chiederlo ai grandi pastori, ai teologi. Io credo che le risposte le trovi nella vita, e magari non le trovi subito. E magari non sono nemmeno definitive. Questa è la scommessa che Dio ha lanciato ad Abramo. “Vai verso di te”, disse. E’ normale e comprensibile che si cerchino certezze, ma questo non è il “libro delle risposte”, anche perchè c’è sempre il rischio dell’idolatria dietro l’angolo. Non ci sono oracoli. Dio dice di più, dice che “ovunque sarai, io sarò con te”. Non può che ispirare fiducia nella vita”.

Dell’aldilà e dall’aldilà. Che cosa accade quando si muore?

“Dell’aldilà e dall’aldilà. Che cosa accade quando si muore?”di  Paolo Ricca,
Claudiana, Torino, 2018, pp. 184,
Euro 15,00

 

Il tema del dopo-morte, insieme fascinoso e terribile, da sempre spinge gli uomini ad interrogarsi, cercando risposte che in nessun caso possono essere dimostrate. In questo bel trattato Paolo Ricca ricostruisce il percorso storico-teologico dell’idea dell’aldilà, sottolineando punti di forza e di debolezza delle varie teorie, allo scopo di individuare quale “potrebbe” essere per un cristiano la risposta più coerente con la propria fede. Tre sono le possibili ipotesi su quello che accade nell’aldilà: la fine definitiva di tutto; una pausa in attesa del ritorno alla vita; una continuazione in modo diverso. Ognuna di queste risposte viene approfondita, mettendone in luce le sfumature: innanzitutto, la posizione dell’Antico e del Nuovo Testamento e il significato di termini come limbo, geenna e paradiso; quindi la teoria platonica dell’immortalità dell’anima, estranea al mondo biblico, ma lentamente “cristianizzata” fino a diventare dogma. Si discutono le posizioni, nei confronti di questo tema, di Agostino e Tommaso d’Aquino, di Lutero e Calvino, di teologi moderni come Karl Barth, e si affrontano complessi interrogativi sulla natura dell’anima, sul suo rapporto col corpo, sul luogo dove va, se espia nel purgatorio, se dorme o se viaggia, sul concetto di eternità, sul giudizio individuale e sull’intercessione reciproca tra i vivi e i morti, sulla paura della morte e i mezzi per esorcizzarla. Anche sulla dottrina della reincarnazione si individuano, e si confutano, le fonti bibliche a sostegno, mentre se ne riconosce la presenza nei testi gnostici, e vengono illustrate alcune posizioni, come quella ambigua di Origene, che in realtà sosteneva la preesistenza dell’anima, o la credenza dei catari, presso i quali tale dottrina, funzionale a completare la penitenza dell’anima, faceva parte di un insegnamento esoterico, fino alle concezioni teosofiche ed antroposofiche, che legano invece la necessità della reincarnazione al compimento della conoscenza. Si affronta il problema del numero delle reincarnazioni e della tipologia di corpo, umano o animale, in cui ci si può reincarnare, per concludere che, nonostante alcuni aspetti positivi, si tratta di una dottrina incompatibile con quella cristiana. La teoria della risurrezione dei corpi è analizzata attraverso la testimonianza biblica, mettendo in rilievo le sue caratteristiche: la continuità della persona e la trasformazione del corpo: “la risurrezione non è il prolungamento della vita terrena, ma l’inizio di un’altra vita”. Le risposte del Nuovo Testamento al problema dell’aldilà sono tutte concordi sul fatto che la morte non può separare il credente da Cristo; perciò il problema riguarda solo la tempistica, se la comunione con Cristo avverrà immediatamente dopo la morte o se ci sarà uno stato intermedio, caratterizzato da un’attesa vigile o da un sonno temporaneo. Si discute anche dei criteri del giudizio universale, se per fede o per opere, e della sorte dei non credenti. Completano il testo una sezione figurativa commentata, che documenta l’approccio al tema nell’ambito artistico, e un’appendice con tre testi significativi sull’argomento, tratti da Lutero, Calvino e Bonhoeffer. In conclusione, testo ricco e interessante, che forse non ci aiuta a superare la paura della morte, ma certamente contribuisce a farci meglio comprendere un argomento fondamentale per la nostra fede, oggi troppo spesso trascurato.

Antonella Varcasia

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Simon Pietro nella scrittura e nella memoria

di BOCKMUEHL Markus,
Paideia, Torino, 2017,
pp. 257, Euro 29,00

 

A differenza di Paolo, Pietro non è stato oggetto di frequenti studi da parte della critica biblica, soprattutto protestante. Questo testo cerca di recuperare l’importanza dell’apostolo nel primo cristianesimo, soprattutto indagandone la memoria, ossia ricercando come si è formata la tradizione a lui relativa, tenendo conto delle diverse prospettive locali, che fanno emergere, in occidente e in oriente, immagini differenti e spesso contrastanti: pescatore ignorante, discepolo imperfetto, portavoce e guida dei compagni, operatore di miracoli, testimone oculare del Messia, modello del credente, garante della tradizione, martire, affidatario del ministero ecclesiale, visionario apocalittico, depositario di rivelazioni esoteriche, misogino, antipaolino, esclusivista o inclusivista per quanto riguarda l’apertura ai gentili. Per tracciare la ricezione della figura di Pietro nel primo cristianesimo, l’autore prende in considerazione un’enorme quantità di testi del I e II secolo: fonti neotestamentarie, scrittori orientali, testi gnostici, vangeli apocrifi, le lettere pseudoclementine e quelle di Dionigi di Corinto, gli scritti di Flegonte di Tralle e gli Atti di Pietro. La vicenda dell’apostolo è ripercorsa con un’accuratezza perfino eccessiva, che occupa diverse pagine, ad esempio, per disquisire sui nomi di Pietro o sulla localizzazione della città di Betsaida o sul silenzio delle fonti circa la conversione dell’apostolo, di cui è difficile individuare il momento, o sulla simbologia del gallo nelle raffigurazioni del rinnegamento. Alcuni episodi sono oggetto di particolare interesse, come il confronto con Simon Mago, simbolo della lotta contro l’eresia, o lo scontro di Antiochia tra Pietro e Paolo, che indicherebbe solo “una rottura temporanea in un rapporto per il resto positivo di lavoro, se non di amicizia” tra i due apostoli, o la confessione di Pietro, che innesca la problematica sulla successione apostolica, che ancora divide Cattolici e Protestanti e che l’autore risolve ammettendo il ruolo petrino di trasmissione del ministero ai successori della Chiesa di Roma, così come sostiene la presenza e il martirio di Pietro a Roma, in virtù della precoce venerazione della sua tomba in Vaticano. Il quadro complessivo che emerge da questo testo è che, nonostante le differenze tra le fonti, il personaggio di Pietro esce con una forte sottolineatura di importanza e di preminenza, ma anche come figura complessa e ambivalente, che è poi la natura stessa del vero credente.

                                                                                                                        Antonella Varcasia

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Come gli angeli giungono a noi

HELMUT FISCHER,
Claudiana Editrice, Torino, 2015,
pp. 107, Euro 14,90

 

Breve e semplice questo testo di Helmut Fischer, teologo tedesco, che, con un linguaggio colloquiale e scorrevole, affronta un tema teologico denso e ricco di spunti e riferimenti interculturali, senza appesantirlo con disquisizioni dogmatiche o filosofiche, ma limitandosi a tracciare una sintesi, comunque completa per quanto ci interessa, della storia dell’angelologia. Il testo perde, ovviamente, di profondità accademica, ma ci guadagna in chiarezza e semplicità. E’ quindi un libro divulgativo, alla portata di tutti, che parte dalla constatazione di come, nonostante la secolarizzazione, la laicizzazione e la modernizzazione della nostra società e delle religioni, l’interesse per gli angeli non solo non sia diminuito, ma anzi accresciuto, e come la fede negli angeli sia presente anche in coloro che non professano una fede religiosa. Il libro contiene innanzi tutto una storia dell’origine della figura angelica, che non è specifica del cristianesimo, ma ha i suoi precursori in altre culture, in particolare nell’ebraismo, nello zoroastrismo e nell’ellenismo, cui si aggiungono nel tempo le influenze di sistemi filosofici, come lo gnosticismo e il neoplatonismo. Gli angeli nascono dall’esigenza di avere un intermediario, man mano che si affermano la trascendenza di Dio e il monoteismo: essi assumono i ruoli prima svolti direttamente da Dio nel suo rapporto con gli uomini e nel cristianesimo primitivo ereditano le funzioni già ricoperte nell’Antico Testamento: sono interpreti, messaggeri, aiutanti. Con il tempo il sistema angelico si articola e arricchisce, fino a dare vita alla gerarchia dello Pseudo Dionigi, che li suddivide in tre triadi, ognuna delle quali viene analizzata da Fischer, con riferimento anche alla sua rappresentazione figurativa: dall’aspetto di uomini barbuti o di giovani imberbi all’acquisizione dell’aureola e delle ali, dai simboli della sfera, dello scettro, degli abiti, del diadema, agli attributi del giudizio apocalittico, come la tromba o la spada. L’autore affronta poi la storia degli angeli nel Medioevo latino, nella Scolastica, nella Riforma, nell’Illuminismo, nel mondo cattolico ed ortodosso, cercando di evidenziare la concezione che di volta in volta è prevalsa: accettazione o rifiuto, interpretazione salvifica o simbolica, rifiuto del culto o uso nella liturgia. Una particolare attenzione è dedicata alla figura dell’angelo custode, che ancora oggi conosce un grande sviluppo nelle scienze e nelle arti. Col tempo gli angeli si modificano, acquistando maggiore realismo e perdendo il proprio significato religioso, fino a diventare gli amorini, simboli terreni del piacere sensuale. Il testo, arricchito da molte illustrazioni, termina con alcune riflessioni sul significato dell’angelo oggi, nella nostra vita personale: può essere considerato il messaggio d’aiuto nel bisogno o il messaggero che ci dà la forza di accettare ciò che non possiamo cambiare: è comunque un segno della presenza di Dio nella nostra vita.

 

Antonella Varcasia

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Gli Ebrei di Lutero

 di THOMAS KAUFMANN,
Claudiana, Torino, 2016,
pp. 219, Euro 19,50

Una corretta celebrazione della Riforma non può prescindere da una valutazione obiettiva dei suoi lati oscuri. E’ quanto cerca di fare, con grande rigore storico, questo testo di Kaufmann a proposito dell’atteggiamento di Lutero nei confronti degli ebrei. L’obiettivo è quello di inquadrare storicamente tale aspetto cogliendone la diffusione generalizzata anche negli ambienti cattolici ed umanistici dell’epoca, al fine non di giustificarlo, ma di comprenderne le motivazioni.

Il testo approfondisce diversi elementi: innanzi tutto il passaggio di Lutero dall’antigiudaismo, caratterizzato da motivazioni religiose, all’antisemitismo, improntato invece ad un odio razziale. In secondo luogo Kaufmann affronta il differente atteggiamento del primo Lutero rispetto a quello maturo: la prima fase si rispecchia nel trattato Gesù Cristo è nato ebreo (1523), caratterizzato dalla tolleranza e da un atteggiamento benevolo che fece addirittura sperare gli ebrei del suo tempo di aver trovato in lui un amico e sostenitore; la seconda risalta particolarmente nell’opera Degli ebrei e delle loro menzogne (1543), segnata invece da un fermo rifiuto, da un linguaggio volgare e da una polemica violenta che arrivava fino a propugnare l’espulsione degli ebrei dall’Europa cristiana.

Kaufmann cerca di comprendere le motivazioni dell’uno e dell’altro atteggiamento, sostenendo che il mutamento non è imputabile alla modifica delle convinzioni teologiche, bensì ad una serie di fattori “pratici”, prima fra tutti la delusione per le mancate conversioni degli ebrei, che Lutero riteneva possibile ottenere con un atteggiamento benevolo e che invece non ebbero luogo nella misura sperata: questo “indurimento” degli ebrei convinse Lutero della loro natura demoniaca.

Infine, l’autore affronta la storia degli effetti, attraverso una carrellata storica caratterizzata da una “recezione selettiva” che, rifacendosi al primo o al secondo Lutero, ha recepito ora l’atteggiamento tollerante ora quello polemico: ad esempio, i pietisti considerarono Lutero un modello di tolleranza e di mentalità illuministica; i populisti e i nazisti lo strumentalizzarono per sostenere la politica razziale. A parere di Kaufmann, gli scritti di Lutero non possono aver ispirato direttamente l’ideologia antisemita eliminatoria del nazionalsocialismo, ma certamente hanno favorito l’Olocausto, paralizzando il coraggio civile della popolazione luterana. Kaufmann conclude criticando sia la recezione selettiva di Lutero sia la sua trasformazione in un’icona e sottolineando che “l’antisemitismo di Lutero è una componente integrale della sua persona e della sua teologia; lo si può trattare adeguatamente soltanto con una corretta storicizzazione”, che lo relativizza e ne fa emergere la fallibilità.

Antonella Varcasia

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Ripensare la Riforma protestante.

Ripensare la Riforma protestante. Nuove prospettive degli studi italiani
a cura di LUCIA FELICI,
Claudiana, Torino, 2016, pp. 410,
Euro 29,00

Questa raccolta di saggi ripercorre la storia degli studi italiani sulla Riforma protestante, evidenziandone limiti e lacune, ma anche sottolineandone i nuovi orientamenti. Il volume è suddiviso in due parti: la prima relativa ai movimenti eterodossi in Italia; la seconda al rapporto tra questi e il mondo europeo. Diversi sono i pregi del testo: innanzi tutto, l’approccio interdisciplinare, che permette di cogliere le diverse “anime” della Riforma. Accanto ai saggi storici, infatti, ne esistono altri concernenti la storia dell’arte e della letteratura, come quello sul dibattito relativo alle immagini, con un’interpretazione “riformata” di Jacopo Pontormo, il quale avrebbe utilizzato le sue opere per trasmettere messaggi teologici eterodossi. O come quello che spiega perché i testi religiosi eterodossi furono a lungo esclusi dal canone della letteratura italiana, in quanto considerati non rappresentativi del sentimento religioso nazionale. Teologico è invece il saggio di Paolo Ricca, dedicato all’analisi della natura stessa della Riforma, che consiste nell’aver dato un nuovo fondamento alla Chiesa, ponendo la Bibbia al posto del papato. Altro pregio del volume è l’attenzione alle figure “marginali” della Riforma, di cui viene sottolineata l’importante opera di sostegno e propagazione delle nuove idee, come i nobili e le donne del territorio padano-veneto che, protagonisti di una dissidenza “sommersa e silenziosa”, incapace di influenzare la vita politica, sociale e culturale, erano però in grado di intessere vaste reti clandestine di contatti.

Molti saggi sottolineano la politica come elemento costitutivo della Riforma in Italia: ad esempio, la polemica dei baroni napoletani contro l’introduzione dell’Inquisizione era motivata anche dalla difesa dei propri beni e prerogative, così come la repressione da loro subita derivava dal timore che le nuove idee potessero fomentare ribellioni all’ordine costituito. Altro elemento di valore è l’attenzione riservata alla Riforma radicale, sia per il risorgere dell’interesse degli studiosi, sia perché fu soprattutto in questa forma che si declinò il movimento ereticale italiano. Fra tutti emerge il saggio che propugna un’idea più ampia del radicalismo italiano, sotto la cui denominazione si nascondono fenomeni assai diversificati che, da un lato, non possono essere ridotti a semplici devianze ereticali rispetto alla Riforma magisteriale e, dall’altro, rappresentano una fucina di idee essenziali per la nascita della civiltà moderna. Dai saggi raccolti emerge un’Italia sommessa ma non taciturna, ricettiva delle novità provenienti d’oltralpe e in grado di rielaborarle in forma autonoma unendole alle proprie tradizioni, nonché di sviluppare le idee di tolleranza e libertà di coscienza, fornendo così un contributo fondamentale al protestantesimo europeo e incidendo in modo decisivo sull’evoluzione della società moderna.

Antonella Varcasia