Curiosità storiche nella nostra biblioteca

Cenni storici sull’origine ed i progressi della Chiesa Cristiana Libera in Italia 
di DAMIANO BORGIA,
Tipografia Barbera, Firenze, 1880, pp. 119

Nella Biblioteca della nostra comunità ho scovato questo libretto, prezioso innanzi tutto per la sua antichità: pubblicato nel 1880, è infatti contemporaneo agli avvenimenti trattati, il che ci consente di attingere a notizie di prima mano, anche perché il suo autore ne fu un protagonista, pur tenendo conto del rischio che gli eventi storici siano interpretati in modo poco obiettivo. E’ una voce che parla dall’interno, svelandoci retroscena, aneddoti, motivazioni che hanno portato alla costituzione e allo sviluppo di un’importante frangia del movimento evangelico italiano. Il secondo motivo di interesse risiede nella ricostruzione storica, che ci permette di risalire alle nostre origini come evangelici italiani. Prima che i metodisti inglesi e americani portassero il risveglio religioso in Italia, qui convivevano già due tipologie di protestanti: i Valdesi in Piemonte e il movimento toscano, basato sulla lettura della Bibbia e l’evangelizzazione, il cui sviluppo dipese dalle persecuzioni, che costrinsero i suoi membri all’esilio, e quindi alla diffusione in altre città. La Chiesa Cristiana Libera propriamente detta nacque da una scissione: e questo è il terzo aspetto interessante, perché ci fa capire come le divisioni e gli scismi siano sempre esistiti e a volte siano creativi: senza la scissione di Desanctis e Mazzarella dalla Chiesa Valdese, infatti, non sarebbe nata la Chiesa Cristiana Libera. I due, volendo creare un movimento evangelico tutto italiano, abbandonarono i Valdesi per unirsi agli esuli dalla Toscana, dando vita alla Chiese Libere italiane; il tentativo di unire tutte le Chiese Libere portò poi alla creazione della Chiesa Cristiana Libera in Italia. Il consolidamento della Chiesa è narrato diffusamente, attraverso le prime Assemblee Generali, gli evangelisti, i colportori, la costruzione di chiese, la fondazione di scuole domenicali ed elementari, i dissidi e le difficoltà. Il testo termina con una panoramica sulla situazione attuale (nel 1880). Allora la Chiesa sembrava in piena crescita, ma noi sappiamo che un’altra scissione la frantumò: il movimento di Guicciardini, più religioso e radicale, plimuttista, ossia contrario a qualunque organizzazione ecclesiastica, formò il Movimento dei Fratelli, mentre quello di Gavazzi, più politico e tollerante, e più organizzato gerarchicamente, confluì nella Chiesa Metodista. Interessante il rapporto coi Valdesi, che mostra come all’inizio (ma solo all’inizio) il desiderio di evangelizzazione superasse qualunque differenza e rivendicazione d’identità: in realtà fu proprio l’eccessiva vicinanza coi Valdesi a provocare la pubblicazione dell’opuscolo anonimo (certo opera del Guicciardini), che causò la scissione di Desanctis e Mazzarella. La storia della nuova Chiesa si intreccia con quella patria, dalle guerre d’indipendenza alla liberazione di Roma, dalla peste del 1848 alle pretese papali, dandoci un quadro variegato e completo delle nostre origini.

 

Antonella Varcasia

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L’Ultima Cena, anzi la Prima. La volontà tradita di Gesù

RICCA Paolo,
Claudiana, Torino, 2013,
pp. 289, Euro 18,50

 

Gli scopi di questo bellissimo volume di Paolo Ricca sono: capire che cos’è la Cena del Signore, perché essa divide anziché unire, come ritrovare la condivisione. Con grande chiarezza espositiva Ricca ripercorre le tappe storiche delle diverse interpretazioni della Cena, partendo dalle fonti bibliche, che già evidenziano la diversità di posizioni nei racconti di Marco e Paolo, e dalla Didachè, che introduce il termine Eucaristia, per passare ai Padri della Chiesa, come Ignazio di Antiochia, che sottolinea il ruolo decisivo del vescovo, Giustino Martire, che introduce l’idea della transustanziazione, e Agostino, che assegna un ruolo centrale alla Parola e alla dimensione ecclesiale e distingue tra segno materiale e realtà significata. Sin dall’antichità, quindi, esistevano divergenze: una lettura realista affermava la presenza reale di corpo e sangue di Cristo nel pane e nel vino; una lettura simbolica vi vedeva solo memoria e annuncio. La controversia prosegue in epoca medievale e, più passa il tempo, più le differenze interpretative si fanno sottili. Dopo la proclamazione del dogma della transustanziazione nel 1215 e la presa di coscienza dei Valdesi, che lentamente si staccano dalla tradizione romana per aderire all’interpretazione riformata, Ricca dedica ampio spazio al dibattito interno alla Riforma, caratterizzato da una grande varietà di posizioni. Il dissidio vedeva contrapposti soprattutto Lutero e Zwingli: il primo, avverso alla transustanziazione, ma sostenitore comunque della presenza reale di Cristo nella Cena; il secondo fautore dell’interpretazione della Cena come simbolo e memoriale, ringraziamento e giuramento. Il dissidio viene superato solo con la Concordia di Leuenberg del 1973, che però, a parere di Ricca, ha il difetto di accantonare completamente la posizione zwingliana e di non tenere affatto conto della nuova presenza di Cristo come Spirito, dopo l’Ascensione. A Calvino il merito di aver cercato di mediare tra le posizioni estreme, proponendo una visione che contesta sia l’idea cattolica di transustanziazione e di sacrificio, sia quella luterana, che vuole comunque localizzare la presenza di Cristo negli elementi della Cena, sia quella zwingliana, che riduce la Cena a pura azione simbolica. Secondo Ricca, il merito di Calvino è aver insistito sul concetto di “mistero” della Cena, che trascende la nostra comprensione. Alcuni capitoli sono dedicati alle Confessioni di fede evangeliche, al Concilio di Trento e alle sue condanne, al Concilio Vaticano II e alle novità da esso introdotte: nonostante la riconferma delle idee di transustanziazione e di sacrificio, non ci sono condanne, si insiste sulla centralità della Parola e sull’uso della lingua parlata, si consente la comunione sotto le due specie. Densa di contenuti teologici è la conclusione: la Cena, che nella volontà di Gesù doveva essere elemento di unione fra i Cristiani, è stata invece  motivo di  divisioni e reciproche esclusioni, soprattutto perché le Chiese se ne sono impadronite, arrogandosi il diritto di decidere gli invitati, di escludere altre Chiese, di spiegare le parole che Gesù non ha voluto spiegare. L’invito finale è di mettere in secondo piano le interpretazioni, che non sono elementi costitutivi della Cena, e trovare il punto d’incontro nel pane, nel vino e nelle parole di Gesù, come fa oggi l’ospitalità eucaristica, che consente agli appartenenti a chiese diverse di sentirsi uniti dalla fede comune, e quindi ospiti non di una Chiesa, ma di Gesù stesso, che invita tutti alla sua mensa.

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Preghiere

di LUTERO Martin, a cura di Beata Ravasi e Fulvio Ferrario,
Claudiana, Torino, 2015,
pp. 139, Euro 11,90

Questo volumetto non è un saggio sulla preghiera, ma una selezione di preghiere, perciò non è rivolto tanto allo studioso quanto al fedele. Ciononostante, molti sono i punti di interesse teologico: già nell’Introduzione vengono evidenziate alcune tematiche della teologia di Lutero, che emergono dalle sue preghiere. Innanzi tutto la concezione di Dio non come entità astratta, ma come realtà dialogica e attiva, ossia come interlocutore che ascolta, risponde e interviene nella storia. In secondo luogo, la distinzione tra certezza e sicurezza della fede, che sottolinea come l’uomo non disponga della parola di Dio, che è esterna ma che, testimoniata dalla Scrittura e annunciata dalla chiesa, dà la certezza dell’esaudimento. Ancora, Gesù come evento realizzato, per cui la preghiera si fonda sulla realtà di quanto Dio ha già operato e continua ad operare in Cristo. E poi: l’idea della preghiera come obbedienza al comandamento di Dio e, nello stesso tempo, come “evento di libertà”, perché, strutturata e ripetitiva, libera l’uomo dall’instabilità dell’animo e dalla consapevolezza del peccato che gli impedirebbe di pregare a causa della sua indegnità. Ancora, l’idea del “già e non ancora”, che si esprime nell’Amen conclusivo, pronunciato oggi, nel bisogno e nella sofferenza, ma che vive della certezza dell’esaudimento di domani. E poi: il ruolo del Padre nostro e dei Salmi come modelli di preghiera: il primo perché, essendo una richiesta di aiuto, smentisce l’idea di una superiorità della preghiera di ringraziamento e di lode, per sottolineare che dobbiamo umilmente chiedere aiuto al Signore nella nostra quotidianità; i secondi perché rappresentano tutte le situazioni e le forme in cui il credente può rivolgersi a Dio. Anche le preghiere, molto semplici, ci offrono spunti di interesse. Certo, la spiritualità di Lutero è tipicamente medievale e la presenza del diavolo, dell’Anticristo e degli angeli non facilita la vicinanza con la comprensione moderna della fede. Tuttavia, molti elementi sono ancora validi. Innanzi tutto, le preghiere toccano le varie situazioni della vita: ci sono preghiere di lode e ringraziamento, ma anche richieste di aiuto per liberarsi dal peccato e dalla tentazione e per rafforzare la propria fede, o richieste di perdono dei peccati e di consolazione nelle avversità; sfatando il luogo comune, Lutero prega anche che le sue opere siano in sintonia con la fede. La preghiera occupa i vari momenti della giornata e della liturgia: addirittura prima e dopo il pasto, prima e dopo la Santa Cena, prima e dopo la predicazione, sia per chi predica che per chi ascolta. Alcune preghiere riguardano la chiesa e l’autorità secolare: pur contenendo riferimenti all’imperatore e al consiglio comunale, potrebbero essere utilizzate anche oggi con gli opportuni adattamenti, come intercessione per le nostre autorità di governo. Diverse preghiere riguardano l’ora della morte e il giorno del giudizio, cui Lutero guarda con fiducia e accettazione della volontà di Dio. Ma egli conosce anche momenti di angoscia e paura, da cui chiede di essere protetto: bellissima è la preghiera pronunciata per la Dieta di Worms del 1521, in cui si affida a Dio perché lo sostenga, e in cui emerge la paura che Dio non senta e sia morto o nascosto: “Tu, mio Dio, dove sei?” chiede Lutero, angosciato: è una preghiera attualissima, nonostante la sua storicità. In queste preghiere troviamo sì il teologo (l’idea della fede come fiducia; l’idea dell’indegnità del peccatore, che chiede aiuto nella consapevolezza che l’uomo non può farcela senza l’aiuto divino; l’importanza della parola di Dio, cui bisogna obbedire), ma troviamo soprattutto il credente, ricco di fede, dubbi, paure e speranze.

 

Antonella Varcasia

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Il vangelo secondo il Piccolo Principe

GIANNATEMPO Stefano,
Claudiana, Torino, 2015,
pp. 140, € 12,50

 

Chi non conosce il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupery, testo cult della narrativa per ragazzi, ma che insegna moltissimo anche agli adulti, troverà in questo libro di Giannatempo un’occasione per colmare una lacuna. Chi lo conosce, avrà una prospettiva diversa per interpretarlo in un’ottica cristiana e arricchirne quindi il significato profondo di cui è già di per sé portatore. Il Piccolo Principe è un classico racconto di formazione, poetico, commovente, fantastico, istruttivo: Giannatempo lo trasforma in qualcosa di più, leggendolo come un commento laico al vangelo. Il saggio comprende 27 capitoli, come il racconto originale, ed ogni capitolo affronta il personaggio, il tema, l’evento che caratterizza il corrispondente capitolo del racconto secondo tre linee principali: una riflessione personale, legata alla propria esperienza, che ha attinenza con il soggetto da trattare;  un’interpretazione del soggetto nel contesto del racconto originale e in relazione ad analoghi episodi biblici o tematiche evangeliche e infine un’attualizzazione del messaggio, una riflessione sulle domande che suscita quel soggetto e sulle risposte che possiamo dare come cristiani. Completa ogni capitolo una scheda riassuntiva che, oltre a indicare i versetti biblici di riferimento, le frasi chiave del testo originale, il tema e la domanda di fondo, formula alcune proposte di animazione per la catechesi. Un esempio su tutti può essere il cap. 13, che ha per soggetto l’uomo d’affari, uno dei personaggi incontrati dal Piccolo Principe nei suoi vagabondaggi su altri pianeti. Il capitolo inizia con un ricordo personale, l’incontro con una leggenda relativa a Sant’Antonio e al tesoro di un avaro. Si prosegue con la descrizione dell’incontro tra il Piccolo Principe e l’uomo d’affari, per trarne una riflessione sul tema del possedere e sul diverso significato che esso ha per i due personaggi: per il secondo l’accumulo di ricchezza, per il primo la presa in cura nelle relazioni. Il capitolo si conclude con alcune citazioni del vangelo di Giovanni, che puntano l’accento sulla dedizione agli altri. Più articolato il cap. 21, dedicato alla volpe, personaggio chiave del racconto originale, che fornisce l’occasione per riflettere sul significato del verbo addomesticare, cioè creare quei legami che consentono di considerare unico ed irripetibile per noi l’oggetto o la persona che abbiamo “addomesticato”, e quindi sul valore dell’amicizia e dell’amore. In conclusione, un bellissimo e originale saggio, che non ha semplicemente lo scopo di commentare un testo, ma quello di ricercare spunti, sollevare interrogativi, scuotere le coscienze, riscoprire e approfondire il significato dei valori cristiani di cui spesso ci dimentichiamo di esseri portatori.

 

Antonella Varcasia

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Karl Barth…per chi non ha tempo

FRANKE John R.,
Claudiana, Torino, 2011,
pp. 186, Euro 15,00

 

Credo che non ci sia fedele evangelico che non conosca Karl Barth, fosse solo per la sua strenua opposizione al Nazismo attraverso la Chiesa Confessante. Credo, però, che siano pochi, ad eccezione dei pastori e degli studiosi di teologia, quelli che conoscono a fondo il suo pensiero, anche per la difficoltà di riassumerlo e classificarlo sotto una determinata etichetta, vuoi per l’incredibile mole delle sue opere, vuoi per l’eccezionale profondità del suo pensiero, vuoi per l’evoluzione stessa che esso ha subito nel corso del tempo. Prova, felicemente, a rendercelo più familiare questo bel libretto di John Franke, che, non a caso, si intitola “Karl Barth… per chi non ha tempo” e che è suggestivamente accompagnato da “figure”, cioè da ritratti caricaturali di Barth, in gioventù e in vecchiaia, di altri teologi nominati nel testo, di Dio Padre e di Gesù Cristo, che rendono più simpatica la lettura. Il testo può essere diviso in tre parti: nella prima la biografia di Barth è descritta sotto il profilo dell’influenza che l’ambiente e le esperienze di studio e di lavoro  hanno avuto sulla sua formazione e quindi sulla maturazione del suo pensiero: dall’adesione alla teologia liberale, frutto dell’Illuminismo, al suo abbandono maturato nel contesto della prima guerra mondiale e dell’impegno nelle questioni sociali e politiche durante gli anni del pastorato “rosso” di Safenwil, dall’interesse per la Sacra Scrittura all’elaborazione di una nuova teologia, che parta da Dio e non dall’uomo. La seconda parte approfondisce le due opere più importanti di Barth, il Commentario alla Lettera ai Romani e la Dogmatica ecclesiale, nonché le sue lezioni come professore di teologia a Gottinga, a Münster e a Bonn, per far emergere i caratteri della nuova teologia, cosiddetta “dialettica”, che parte dalla constatazione della “totale alterità” di Dio per affermare l’impossibile possibilità della teologia, ossia l’inadeguatezza del linguaggio umano a parlare di Dio, cui si accompagna l’inevitabile esigenza di parlarne, per cui ogni affermazione teologica è necessariamente seguita dalla sua negazione. La terza parte affronta l’eredità lasciata da Barth, cioè l’interpretazione, a volte contraddittoria, che del suo pensiero hanno dato gli studiosi successivi: in particolare, vengono descritte la lettura neo-ortodossa e quella postmoderna, nessuna delle quali, però, a parere di Franke, riesce a cogliere il vero carattere dialettico della sua teologia. In conclusione, il libro di Franke è un’ottima guida per cominciare a muoversi nel pensiero di uno dei maggiori teologi, non solo evangelici, del Novecento.

Antonella Varcasia

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La teologia del Novecento

FULVIO FERRARIO,
Carocci editore, Roma, 2011,
pp. 303, Euro 24,00

In che modo la teologia ha affrontato la sfida della modernità lanciata dal secolo scorso? Ce lo spiega, in questo bellissimo libro, Fulvio Ferrario, docente della Facoltà Valdese di Teologia in Roma, che, attraverso l’analisi del pensiero dei maggiori teologi ed esegeti del Novecento, non solo protestanti, come Barth, Bonhoeffer, Bultmann, Moltmann, eccetera, ma anche cattolici ed ortodossi, rievoca le principali tematiche su cui si è incentrato il dibattito teologico del secolo passato, le ideologie e i conflitti, mettendo in luce, con grandissima lucidità ed obiettività e con estremo rigore scientifico e competenza, le varie posizioni confessionali. La secolarizzazione, il pluralismo religioso, il femminismo, le varie teologie della liberazione (latino-americane, nere, asiatiche, africane), le speranze aperte e frustrate dai Concili, il movimento ecumenico, la crisi di Dio e della Chiesa e il sorgere delle nuove forme carismatiche e “postcristiane” di Cristianesimo: in poco meno di 300 pagine sono riassunte le sfide con cui il pensiero teologico si è dovuto confrontare in un secolo di storia recente. E’ certamente un testo impegnativo, ma lo stile e il linguaggio, colti, ma alla portata di un lettore di cultura media, ne fanno un libro avvincente e di agevole lettura, indispensabile per il credente che voglia vivere la propria fede nella consapevolezza della dimensione laica e problematica del proprio mondo e del proprio tempo.

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Padre nostro

EDUARD LOHSE,
Paideia, Brescia, 2013,
pp. 150, Euro 16,00

Il pregio di questo commento al Padre nostro è quello di calare la preghiera cristiana più famosa all’interno dell’ambiente giudaico da cui è scaturita, analizzandola da quella prospettiva per coglierne sia la continuità con la tradizione giudaica sia gli elementi originali che essa propone. Il testo è suddiviso in tre capitoli, seguiti da un’appendice. Il primo capitolo prende in considerazione la tradizione del Padre nostro, le differenti versioni di Matteo e Luca, l’originale aramaico e il testo greco, suggerendo che nella sua forma primaria la preghiera doveva avere un andamento poetico, e infine prende in esame le preghiere giudaiche del tempo di Gesù, in particolare quelle scoperte a Qumran, lo Shemà, il Qaddish e le Diciotto Benedizioni, concludendo che Gesù ha sicuramente attinto a questa ricca tradizione, ma l’ha poi rielaborata in modo originale. Il secondo capitolo analizza le sette petizioni del Padre nostro, soffermandosi su ogni singola parola, di cui viene ricercato il significato, anche attraverso il confronto con il suo uso nel giudaismo. Ad esempio, l’autore analizza il significato del termine Padre in alcune preghiere giudaiche, dove la designazione di Dio come Padre è strettamente unita alla maestà divina e non è mai pronunciata da un singolo, a differenza del Padre nostro, in cui essa indirizza l’orante verso un atteggiamento di fiducia. La richiesta della venuta del Regno è compresa alla luce dell’escatologia giudaica, da cui Gesù riprende la nozione di signoria di Dio, svincolata però dalle sue connotazioni politiche, ed è collegata alle parabole contenute nei Vangeli su questo tema (il seme che cresce da sé, il granello di senape, il lievito e il seminatore). La petizione del pane occupa uno spazio particolare per l’analisi del termine greco tradotto generalmente con “quotidiano”, ma che è un termine rarissimo in tutta la letteratura antica, la cui radice potrebbe riferirsi al verbo essere o al verbo andare, conducendo a significati anche teologicamente diversi: basti pensare alla traduzione latina della Vulgata, dove il pane quotidiano è definito “ultraterreno”. La richiesta del pane è poi messa a confronto con il Discorso della montagna, che, con il suo invito a non preoccuparsi per il domani, sembra mal conciliarsi con la petizione del Padre nostro. Sulla questione del perdono si analizza la differenza tra Luca e Matteo, che usano, rispettivamente, il presente e il passato del verbo “rimettere”: l’impostazione matteana, che potrebbe alludere ad una reciprocità contrattuale (l’uomo otterrebbe il perdono solo se ha perdonato a sua volta), viene invece da Lohse spiegata con una diversa traduzione dell’originale aramaico. Anche qui la petizione viene affiancata ad una parabola, quella del servo spietato, per sottolineare il rapporto tra preghiera ed azione. Il terzo capitolo riepiloga il significato complessivo del Padre nostro e analizza l’uso della preghiera nel primo contesto cristiano, ad esempio nella Didachè: la preghiera di Gesù diventa simbolo dell’unione tra giudei e cristiani, che potrebbero “riscoprire il legame che li unisce in virtù della storia comune”. Interessante, anche se appesantita da una certa ripetitività, è l’Appendice, in cui l’autore esamina il commento al Padre nostro effettuato dai Riformatori e quello presente in diversi catechismi cattolici o in autori moderni, sia cattolici che protestanti, per ribadire l’importanza ecumenica di questa preghiera che, come disse Tommaso d’Aquino, nonostante le divisioni all’interno della cristianità, “rimane il bene comune e un appello urgente per tutti i battezzati”.
Antonella Varcasia

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La fragilità del male”

BONHOEFFER Dietrich,
Piemme, Milano, 2015,
pp. 176, Euro 17,50

L’incontro con il pensiero di Bonhoeffer è sempre edificante, anche quando è sotto forma di frammenti, appunti, meditazioni, come è il caso di questa raccolta di scritti inediti, che documentano l’interesse del teologo tedesco per il tema del male lungo un intero ventennio, dal 1925 al 1945. I frammenti non sono però distribuiti cronologicamente, in modo tale da poter cogliere l’evoluzione del pensiero di Bonhoeffer, bensì per tematiche: l’esperienza del male, che prende in esame, in particolare, la paura, il dolore, la morte, la guerra, la solitudine, il peccato; il rapporto tra Dio e il male, e quindi la collera divina, il diavolo, la violenza e la sofferenza testimoniate nella Scrittura, compresa la passione di Gesù; la vittoria sul male, cioè l’amore, il perdono, la pace, il conforto della Chiesa, la speranza, la preghiera. Al centro di tutto è la croce: chi la ama ama anche la sofferenza e considera il dolore come una forma di benedizione, attraverso la quale Dio ci chiama a sé. Dio per primo è un Dio che soffre e quindi rende santa la sofferenza; perfino la morte diventa bella, in quanto rappresenta il passaggio alla nostra vera patria, regno di gioia e pace. Dopo aver preso atto dell’esistenza del male nel mondo, Bonhoeffer vede in Cristo crocifisso l’unica soluzione: si può superare la sofferenza solo sopportandola, perché, per chi crede, essa ricade su Cristo. Il cristiano deve portare la croce: più cerca di scrollarsela di dosso, più essa diventa pesante, perché “è il giogo di se stesso, che si è scelto da solo”, mentre Gesù invita a deporre il proprio giogo e a portare il suo, che è leggero e che dà pace e gioia, perché ci rende certi della sua vicinanza. Sono parole molto dure, ma, in fondo, Bonhoeffer invita a seguire Gesù, intraprendendo la via dell’amore: perciò egli insiste sulla necessità dell’amore e del perdono, sul compimento della volontà del Signore, che può essere espressa in modo semplice, nella vita quotidiana, amando i nostri cari, aiutando i bisognosi, praticando la misericordia, amando i nostri nemici, perché il nemico vive nell’odio e quindi ha più bisogno del nostro amore. Chiude il libro un capitolo sulla responsabilità, in cui Bonhoeffer invita a comprendere la bontà di Dio come responsabilità nei confronti dei fratelli: nel momento in cui ringraziamo Dio per ciò che ci ha elargito, pur essendone indegni, dobbiamo ricordarci di tutti i fratelli che non sono stati privilegiati allo stesso modo. Il male allora ci appare fragile: esso può essere vinto quando, con un atto responsabile, ci si oppone ad esso, facendo maturare dentro di noi i valori dell’amore, della pace, della calma, della gioia, della gentilezza, della mitezza, della fede.

 

Antonella Varcasia

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La Riforma protestante nell’Europa del Cinquecento

di LUCIA FELICI,
Carocci, Roma, 2016,
pp. 326, Euro 29,00
Un saggio esaustivo dal punto di vista storico, per l’approfondita analisi delle origini, della diffusione e dell’articolazione del movimento riformatore del XVI secolo, ma anche un testo di piacevole lettura, strutturato secondo due direttrici: una, verticale, ricostruisce la storia della Riforma attraverso il tempo, a partire dall’analisi dei secoli precedenti, dove si possono rintracciare i primi germi di insoddisfazione religiosa, politica e sociale, proseguendo con la genesi del movimento, il suo consolidamento e la sua diversificazione in varie tipologie, nell’ambito sia della Riforma magisteriale sia di quella radicale. La seconda direttrice, orizzontale, analizza la propagazione del movimento nei paesi europei, con speciale riferimento all’Italia. Particolare rilievo assume la ricerca delle motivazioni che sono all’origine della nascita della Riforma e della sua diffusione a livello europeo. Le motivazioni religiose si legano con quelle politiche, economiche, culturali e sociali: non solo la decadenza della Chiesa, ma anche il desiderio di autonomia dei sovrani europei rispetto al centralismo romano; lo sviluppo dell’Umanesimo e degli scambi internazionali; l’affermarsi della stampa; le proposte di rinnovamento di intellettuali come Erasmo: tutto ciò favorì l’apertura delle menti e la circolazione delle idee, preparando il terreno alla protesta luterana e alla sua trasformazione da semplice disputa teologica in un processo di rottura con la tradizione romana. La complessa articolazione della Riforma è affrontata attraverso luoghi e protagonisti e molto spazio viene dato alle persecuzioni di anabattisti, antitrinitari e nicodemiti e al significato storico della ricerca eterodossa, che portò all’elaborazione dei moderni concetti di libertà e tolleranza, di universalismo e di relativismo religioso. In Italia lo sviluppo fu condizionato dalla presenza della Chiesa, dall’eredità rinascimentale, dall’indipendentismo repubblicano, dall’anticlericalismo, dalla frammentazione politica, tutti elementi che plasmarono la Riforma italiana in modo originale, favorendo lo sperimentalismo dottrinale e la rielaborazione autonoma. In Europa la Riforma fu accolta, tollerata o respinta, a seconda dell’influenza di diversi fattori, come il sostegno politico della Chiesa agli stati coinvolti nel conflitto confessionale o l’opera di evangelizzazione dei gesuiti. Generalmente, la tolleranza rispose più a esigenze pratiche che al riconoscimento di un ideale di libertà, così come l’accoglimento o il rifiuto delle nuove dottrine dipesero dalla convenienza delle alleanze politiche. Il saggio sottolinea infine l’impatto avuto dalla Riforma non solo sulla vita spirituale, ma anche sulla società e sulla cultura, i cui valori furono completamente trasformati: l’idea del tempo e del lavoro, il ruolo della famiglia e della donna, l’assistenza sociale e la circolazione culturale, l’atteggiamento positivo nei confronti della scienza, che contribuì alla nascita del pensiero storico-critico, nonché la relativizzazione del concetto di verità, rivelatasi fondamentale per lo sviluppo del pensiero moderno. Antonella Varcasia

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Ritratti di Paolo

MALINA Bruce e NEYREY Jerome,
Paideia, Brescia, 2016,
pp. 273, Euro 32,00

Partendo dalla considerazione che il pensiero di un autore vada contestualizzato nella sua epoca e nel suo ambiente, il testo analizza la figura di Paolo dal punto di vista dell’antropologia culturale, cioè non con gli occhi dell’occidentale moderno, ma con quelli di un uomo mediterraneo del I secolo, servendosi dei modelli in uso nell’epoca antica per valutare la personalità, come gli encomi, stilati secondo le regole contenute in appositi manuali; i discorsi giudiziari di difesa, che seguono i dettami della retorica; i trattati di fisiognomica, che interpretano il carattere in base all’aspetto esteriore. Ogni modello è applicato a un diverso tipo di testi: il primo alle parti autobiografiche delle lettere; il secondo ai discorsi apologetici degli Atti; il terzo alle immagini fisiche di Paolo proposte dai testi apocrifi. La tesi sostenuta è che, a differenza dell’occidentale moderno, individualista e autoreferenziato, Paolo è imbevuto di cultura collettivista ed orientato al bene del gruppo. La distinzione tra culture individualiste, dominate da una mentalità psicologica, e collettiviste, dominate da una mentalità sociale, spiega come non sia possibile interpretare il pensiero paolino da una prospettiva moderna. In base ai tre modelli utilizzati, Paolo emerge sempre come una persona orientata al gruppo, il cui ambiente culturale attribuiva importanza all’origine, alla nascita, alla provenienza geografica, alla parentela, all’educazione, alle capacità, ma anche ai “fatti di fortuna”, ossia alla prosperità che attestava il favore divino. Questi sono gli elementi tipici dell’encomio, di cui Paolo si serve in Galati, Filippesi e 2 Corinzi per rivendicare il proprio status e la propria autorità, ma anche del discorso forense di difesa, che rinveniamo in Atti 22-26, dove Luca mette in risalto non le caratteristiche individuali di Paolo, ma la sua integrazione nel gruppo e la sua conformità alle regole sociali. E sono anche gli elementi dei trattati di fisiognomica che, dagli stereotipi geografici, etnici, di genere e dalle tipologie anatomiche, deducono le caratteristiche morali di una persona: così gli Atti di Paolo e Tecla ci presentano l’apostolo con i tratti fisici del guerriero ideale, maschio, virile, nobile, autorevole. Il testo analizza poi i valori tipici delle culture collettiviste, come l’integrazione, la tradizione, il rispetto e il giudizio degli altri, l’involuzione sociale, gli stereotipi di genere e quelli relativi alla moralità, le relazioni interpersonali, il rapporto con la natura, l’orientamento temporale al presente o al passato: tutto per sostenere che in tali culture il comportamento sociale è determinato dagli obiettivi del gruppo, che mirano al bene comune. Il testo è spesso ripetitivo, ma la presentazione dei vari ritratti di Paolo secondo la prospettiva antica e la sua interpretazione come mediterraneo del I secolo imbevuto di cultura collettivista ci permette di cogliere più precisamente la sua personalità e il suo pensiero.

 Antonella Varcasia