Nessuno è straniero

9 ottobre 2016

Luca 17,11-19

Nella notte tra il 2 e il 3 ottobre nel 2013 vicino le coste lampedusane affondò una cosiddetta ‘carretta del mare’ su cui erano stipati tantissimi uomini, donne e bambini. Ne morirono 366!

Questa strage colpì al cuore l’Italia e l’Europa tutta così fu istituita la giornata nazionale delle vittime dell’immigrazione mentre il presidente della Commissione Europea, Juncker, si recò a Lampedusa per dire “Mai più morti nel Mediterraneo”. Ma da allora a oggi sono morte altre undicimila persone, 3.500 solo nel 2016.

Nel ricordare queste tragiche morti nel Mediterraneo il 3 e 4 ottobre sono stati trasmessi film e documentari sul tema. Il grande scrittore Camilleri in un docu-film ha detto qualcosa che mi ha fatto riflettere: “oggi la parola straniero ha perso ogni valenza positiva, non indica più un portatore di novità ma di insicurezza e di terrore”.

Anche in questo brano si parla di uno straniero, uno straniero che vive ai margini della società israelita del tempo perché lebbroso, come lebbrosi sono gli altri nove che sono ebrei e che trovano in Gesù la guarigione. Ma quest’uomo poiché non solo è lebbroso, ma pure straniero, è emarginato tra gli emarginati.

Anche il luogo dove avviene questa guarigione è zona di passaggio, di transito per stranieri, tra la Samaria e la Gallilea.

È terra e momento di passaggio anche per Gesù perché il brano nel vangelo di Luca è collocato nella fase finale del suo ministero terreno: egli sta salendo verso Gerusalemme, così recita il testo in greco.

Egli sta lentamente avviandosi con i suoi discepoli verso il culmine del suo cammino fisico e simbolico: salire verso Gerusalemme significa per lui accingersi all’ultimo atto terribile della sua vita, salire verso la croce.

Eccoci fratelli e sorelle, è in questo contesto e dopo aver annunciato ai suoi già per due volte la sua Passione che Gesù incontra i dieci lebbrosi.

Essere lebbroso all’epoca di Gesù significava l’esclusione totale da ogni rapporto civile, sociale, umano a parte ovviamente chi si trovava nella stessa condizione tanto che si formavano delle vere e proprie comunità di derelitti in cui le differenze sociali ed etniche erano annullate, livellate dalla terribile malattia che li costringeva a vivere di elemosina!

Credo che un qualcosa di simile accada ancora oggi quando per vari motivi ci si trova a vivere per strada, senza una casa, senza una famiglia e una società che ti sostenga, senza dignità, sei un barbone, un senzatetto, sei solo questo italiano o straniero che tu sia!

Tornando al testo quanto detto spiega come sia possibile che nove lebbrosi ebrei vivano con un samaritano che per loro era molto più di un semplice straniero.

I samaritani erano per gli ebrei una razza deprecabile perché considerati eretici, mentre dal canto loro i samaritani si consideravano i veri possessori della Torah.

Tra i due popoli vi erano stati anche atti di guerriglia, incursioni nei territori e saccheggi di luoghi sacri…

Come somiglia questa situazione a quanto avveniva tra cattolici e protestanti durante la guerra dei Trent’anni nel seicento oppure in Irlanda durante il 19simo secolo!

Come somiglia a quanto accade tra ebrei e palestinesi ancora oggi!

Eppure dinanzi la malattia come dinanzi Gesù questi odi, queste differenze e separazioni perdono di significato, rimane solo il bisogno comune di guarigione, di salvezza da una vita segnata dall’esclusione e dalla perdita di dignità.

Ed ecco che questi 10 uomini, nel rispetto dei dettami della Torah (Lev. 13,4ss), chiedono da lontano a Gesù: “Maestro, abbi pietà di noi!”

Sorelle e fratelli è lo stesso grido di dolore, la stessa preghiera che si eleva dalle nostre bocche quando chiediamo a Dio di essere perdonati per il nostro peccato.

E non è un caso!

Infatti, nel mondo antico la malattia era vista come espressione fisica del peccato, quindi guarigione dalla malattia era pure espressione di salvezza, dell’essere nuovamente benedetti da Dio.

Ebbene Gesù in questa sua azione di guarigione agisce diversamente dal solito: normalmente all’attestazione di fede segue la guarigione, qui invece l’avviarsi con fiducia verso un sacerdote per farsi attestare la guarigione avvenuta è essa stessa espressione di fede!

Se le cose stanno così perché allora Gesù è rammaricato dal fatto che i nove ebrei non tornano indietro a ringraziarlo? Perché al solo samaritano che torna indietro glorificando Dio e gettandosi ai piedi di Gesù è detto “Alzati e va; la tua fede ti ha salvato”?

Si potrebbe forse dire che è più facile per Gesù guarire gli esseri umani dalla malattia che guarirli dall’ingratitudine!

Ma ciò che davvero lo rammarica è che questi nove siano ebrei, coloro ai quali lui aveva pensato di dover volgere il suo messaggio di salvezza.

Certamente nel racconto, com’è strutturato dal vangelo di Luca, vi è la volontà di rendere conto dell’inserimento dei non ebrei, dei pagani nel piano di salvezza di Dio.

Sicuramente vi è una polemica con il popolo ebraico che non ha accolto Gesù come il Messia atteso, ma credo che nel racconto di guarigione vi sia anche qualcos’altro che parla direttamente a noi, alla nostra attualità di vita e di fede.

I dieci lebbrosi hanno mostrato di attenersi alla Torah nel tenersi a debita distanza dai sani e quindi anche da Gesù. Ma Egli a sua volta risponde loro attenendosi alla Legge e mandandoli dal sacerdote per farsi attestare la purificazione avvenuta, solo strumento possibile per essere reintegrati nella società, per poter tornare alle loro famiglie.

Allora è facile capire la fretta che costoro hanno nell’andare dal sacerdote per essere puri non solo dinanzi a Dio, ma soprattutto dinanzi agli esseri umani.

Ed ecco il punto dirimente: tra i dieci uomini che si trovano nella stessa condizione, ve n’è uno che sceglie una priorità differente da quella degli altri nove.

Lui andrà dal sacerdote, ma successivamente: prima di recarsi dai sacerdoti, prima del reintegro religioso e sociale vi è qualcuno da ringraziare pubblicamente per la salvezza avvenuta.

Quest’uomo ha scelto e compreso che è necessario prima di ogni istituzione umana, seppur religiosa, glorificare Dio per la guarigione, glorificare Dio per avergli ridato vita, una vita dignitosa!

E Gesù è strumento di questa salvezza, ancora di più Egli è l’incarnazione del Regno di Dio e va accolto e glorificato qui ed ora.

Ma cosa vuol dire questo per noi sorelle e fratelli?

Nel Sinodo metodista e valdese di quest’anno uno dei temi che ci ha maggiormente coinvolti è se le nostre comunità sono ancora in grado di dire qualcosa ai suoi stessi membri e alla società. Come si è espresso il pastore Paolo Ribet nel sermone del culto di apertura, è la preoccupazione che la nostra chiesa sia vittima dell’astenia, in torpore, e che i suoi membri siano tiepidi.

Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh fossi tu pur freddo o fervente! Così perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca!

Così si rivolgeva l’Amen, il principio della creazione di Dio all’angelo della chiesa di Laodicea in Apocalisse…chissà se si rivolgerebbe allo stesso modo alla nostra chiesa?

Questa è per noi questione fondamentale: stiamo facendo noi la scelta fatta dal lebbroso samaritano? Noi glorifichiamo Dio per quanto fa nella nostra vita?

Abbiamo fatto noi quel mezzo giro fisico e simbolico che segna la conversione a Dio e che ha portato l’uomo a volgersi a Dio per mettere lui, il Dio della vita e della salvezza, al primo posto nelle sue priorità?

Abbiamo fatto e facciamo noi dell’annuncio pubblico della salvezza in lui trovata l’elemento imprescindibile della nostra fede che orienta e sostanzia ogni nostra azione concreta nel quotidiano?

Care sorelle e cari fratelli siamo all’inizio di un nuovo anno ecclesiastico, stiamo riprendendo le nostre attività, allora cerchiamo di farci ispirare dalla scelta del lebbroso samaritano nel nostro cammino nella certezza che il nostro Dio misericordioso ci riprende e corregge per riportarci alla vera vita.

“Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me.” (Ap. 3,19-20)

Amen

Past. Mirella Manocchio

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