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Martin Lutero (1483-1546)

MARIO MIEGGE,
Claudiana Editrice, Torino, 2013,
pp. 180, Euro 12,50

Il titolo di questo libretto è piuttosto fuorviante: non si tratta infatti di una biografia del grande Riformatore, né di un’esposizione della sua teologia: Lutero è solo il pretesto, in quanto iniziatore della Riforma, per indagare il complesso intreccio tra componenti storiche, sociali, politiche ed economiche che fanno da sfondo, ma anche da elemento propulsore della Riforma o che sono da essa influenzate. L’esposizione narrativa e lo stile scorrevole rendono facile la lettura, specialmente nella prima parte, più storica, che tratteggia le caratteristiche della società medievale, fondata sulla compenetrazione tra pubblico e privato; le origini della Riforma, da rintracciare anche nell’Umanesimo e nella diffusione della stampa e della lingua volgare, che l’hanno trasformata in una rivoluzione anche culturale; l’opera dei Riformatori. L’attività di Lutero è ripercorsa dalla scoperta di Paolo alle indulgenze, dalle 95 tesi alle bolle di scomunica, dalla critica al potere della Chiesa all’idea del sacerdozio universale, dalla discussione sui sacramenti al rapporto tra fede e opere, dalla libertà del cristiano alla dottrina dei due regni, dalla guerra dei contadini al contrasto con Muntzer e l’anabattismo. Anche l’apporto di Calvino è colto attraverso le sue fasi principali, dalla controversia con Sadoleto alla formulazione dei capisaldi del suo pensiero: il “soli Deo gloria”, la predestinazione, il concetto di Chiesa come compagnia dei fedeli, il conservatorismo politico, le differenze da Lutero. Alla teologia del patto, elaborata da Bullinger, vengono collegate la rivoluzione religiosa scozzese e la fondazione delle colonie americane. La parte storica si allarga  a comprendere la prima rivoluzione inglese e il Puritanesimo, visti come risultato di una crisi politico-religiosa dell’antico ordine sociale, che crea il passaggio dalla concezione medievale di confusione tra Chiesa e Stato ad una concezione di netta separazione; la seconda rivoluzione inglese; il risveglio wesleyano; la protesta mennonita: il tutto sullo sfondo dello sterminio degli Indiani d’America e della tratta degli schiavi come frutto dell’imperialismo anglosassone, conseguenza, a sua volta, della dottrina della predestinazione. Leggermente più ostico il capitolo sull’etica protestante, in cui si affronta l’idea del lavoro in Lutero e Calvino, attraverso la dottrina della vocazione, che diventa critica sociale, laddove, in nome di un dovere cristiano dell’attività e dell’impegno, si condannano l’ozio e l’improduttività e si respinge l’idea tradizionale della carità. Grande spazio è lasciato alla famosa tesi di Weber sul rapporto tra etica protestante e capitalismo e alla sua contestazione da parte di storici successivi, che spostano l’accento sugli aspetti politici più che economici del Puritanesimo, che per primo trasformò la politica in un fatto collettivo, in un movimento organizzato dal basso che, solo a seguito della Restaurazione, fu nuovamente confinato nell’ambito privato ed economico. Completa il libro un epilogo sull’influenza del principio protestante della ricostruzione di se stessi nella letteratura e nella filosofia dal 1700 al 1900, mentre due appendici, dedicate alle eresie medievali e alle Chiese riformate, restano a livello di semplici citazioni. In sostanza, un testo che ha forse l’ambizione di mettere troppa carne al fuoco, ma che riesce ad esprimere bene l’intreccio tra elementi storici, politici, economici e religiosi che sono alla base di ogni evento di rottura con il passato e di trasformazione.

Antonella Varcasia

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