No alla violenza sulle donne

20 novembre 2016

Giudici 11,29-40

Care sorelle e cari fratelli,

eccoci confrontati con un testo che spesse volte, forse troppe volte, è stato utilizzato per evidenziare la differenza sostanziale tra il Dio cristiano, un Dio di misericordia e grazia, e il Dio dell’Antico Testamento, un Dio vendicativo e crudele.

E del resto leggendo il brano velocemente non è forse questa l’impressione che se ne può trarre?

Il Signore concede la vittoria al condottiero Iefte sugli Ammoniti e questi per contraccambio offre a Dio quanto gli spetta per aver rispettato il patto!

E chi ne fa le spese?

La giovane e innocente figlia di Iefte!!

Il 25 novembre verrà celebrata la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne e le tante morti che si ripetono a scadenze ravvicinate in Italia e nel mondo.

Noi oggi abbiamo voluto anticipare questo tema per poterci riflettere insieme…

Nel testo di Giudici che vi ho proposto per la nostra riflessione uno dei protagonisti della storia è questa giovane donna, sacrificata da un uomo, suo padre, sull’altare della religione!

Ma chi è questa giovane donna?

Di lei sappiamo che è figlia devota e obbediente.

E poi? E poi praticamente nulla…

Ecco vorrei soffermarmi con voi su quel che manca in questa storia.

In questa storia manca la figura della madre.

Manca una figura femminile che sia di guida e sostegno a questa giovane donna, soprattutto in un frangente così difficile.

E a volte riflettendo sulle dinamiche interne al genere femminile o nei casi di violenze sulle minori, non è forse vero che le madri siano come assenti, pallide figure di quel che dovrebbero essere, se non addirittura complici della violenza?!

Non è forse significativo che anche questo brano biblico non parli affatto di questa presenza, importante nella formazione e nella vita di una giovane donna?

E ancora nella storia manca il nome della stessa ragazza!

La crudezza della storia qui narrata è tale, verrebbe da pensare, che la ragazza sacrificata sull’altare della religione non riceve nemmeno l’onore di essere ricordata con il suo nome.

In realtà a me sembra che il brano biblico stia operando una scelta diversa: non è il nome che la qualifica e nemmeno la parentela con il condottiero vincitore Iefte che la rende degna di onore, ma la sua personalissima scelta di accettare il sacrificio della sua giovane vita che la rende degna di essere ricordata e onorata!

Le giovani donne d’Israele non la dimenticheranno, anzi avranno bene a mente cosa significa morire in questo modo: per mano di altri, per la visione egoistica di un uomo!

Anche noi forse dovremmo non dimenticare, ma ricordare e onorare le tante donne violate e uccise dagli uomini che sono loro accanto!

Dovremmo ricordare non tanto i loro nomi ma il senso, o meglio il non-senso, del loro sacrificio!

E così giungiamo a chi se non è del tutto assente, è come una presenza fuggevole in questo brano: Dio, il Dio d’Israele, il Dio che è Padre di Gesù Cristo.

Ma come, direte, non è Lui che regola tutto? Non è Lui che determina e dirige la storia?

Siamo certi che questo sia il modo in cui Dio dirige la Storia con la esse maiuscola e quella con la minuscola di tanti uomini e donne?

Dio, in effetti, appare attraverso il suo Spirito all’inizio del brano letto: “E allora lo Spirito del Signore venne su Iefte…” (v.29) e poi quando si dice: “Iefte marciò contro i figli di Ammon per fare loro guerra e il Signore glieli diede nelle mani.” (v. 32). Poi Dio scompare dalla storia, Dio manca, come manca la madre e il nome della ragazza.

Lo spirito di Dio, come accade per altri giudici d’Israele (Otniel, Gedeone e Sansone), giunge sul condottiero e lo mette in grado di avere la vittoria contro gli ammoniti.

Ma quel che Dio qui non fa è chiedere a Iefte qualcosa in cambio.

È il condottiero d’Israele stesso che promette il sacrificio in cambio della vittoria. È lui che ritiene che sia necessario dare qualcosa a Dio in cambio dei suoi servigi, come se fosse un mercenario di tante guerre che deve essere pagato per il suo sporco lavoro!!

Inoltre, Iefte nella sua arroganza pensa di poter avere diritto di vita e di morte sugli ebrei come fossero suo possesso, proprio come pensano tanti uomini delle loro compagne o ex compagne, delle loro figlie e parenti.

Ma il caso, o il Dio tirato per la giacchetta, fa si che la persona che dovrà essere sacrificata sia proprio la sua unica figlia!

Allora si potrebbe pensare che Jefte sia solo sfortunato o avventato?!

Alcuni commentatori hanno sottolineato come questo racconto sia simile alla storia di Euripide (410 a.C.) “Ifigenia in Tauride” in cui il re Agamennone, per ottenere i favori della dea, decide di sacrificarle la cosa migliore dell’anno e l’oracolo designa la figlia.

Non è un caso, sorelle e fratelli, che vi sia questa somiglianza con quanto può fare un pagano nei confronti di una divinità greca perché qui Iefte si è comportato esattamente come un pagano.

Egli ha confuso Dio con gli altri dèi del tempo, ha fatto ciò che faceva Israele all’epoca dei Giudici ossia “ciò che è male agli occhi del Signore” (10,6).

Ritenere che Dio sia manovrabile, sia acquistabile per mezzo di un sacrificio umano peraltro vietato dalla Torah in Levitico (Lev. 18,21; 20,2-5).

E poi in questa storia biblica emerge anche una bella dose di ironia: non è forse tristemente ironica la figura di un padre che per interesse politico sacrifica la figlia e poi nell’incontrarla dice a questa che è lei a farlo soffrire (vd. versetto 35)?!

Iefte è per tutti noi un esempio di quel che accade anche attualmente, vale a dire la volontà di usare Dio e il suo nome per nascondere i nostri personali ed egoistici interessi!!

Noi viviamo in un tempo in cui l’utilizzo strumentale di Dio è lampante. Possiamo forse negare che Dio è stato adoperato dagli esseri umani nel passato e come pure oggi per portare avanti interessi economici e politici mascherandoli con l’idea di agire in nome di Dio?

E non è forse vero che così agendo nei secoli come oggi si sono lasciati indietro tanti uomini e donne, sacrificati sull’altare del potere politico ed economico?

E non è forse ancora vero che vi siano tanti uomini, come pure donne, che ritengono di poter utilizzare gli altri come oggetti riempiendosi poi la bocca della parola ‘amore’.

E in effetti, le tante donne che sono morte in questi anni sono spietate testimoni di come molti uomini declinano la parola amore!

Ecco il peccato di cui si è macchiato anche Iefte, ecco il peccato che ha generato questo atroce sacrificio.

E sua figlia l’ha capito bene!

La scelta di trascorrere i suoi ultimi mesi di vita lontano dal padre, ma in compagnia di altre giovani che come lei potrebbero essere sacrificate sull’altare dell’interesse familiare deve far riflettere la nostra generazione!

Dobbiamo domandarci come credenti e cittadini quale esempio vogliamo essere per i nostri figli e figlie; dobbiamo essere onesti nel rispondere su come stiamo vivendo il nostro rapporto con Dio: un rapporto strumentale o una relazione colma di salda fiducia?

E quello con il nostro prossimo?

Sebbene il racconto non lo dica, mi piace pensare che Dio, come un vero genitore, come la madre che nel racconto non appare, tramite il suo Spirito sia stato accanto a questa fanciulla nei suoi ultimi mesi di vita, accompagnandola nel peregrinare sui monti lontano da un padre umano troppo egoista!

Amen

 

 

past. Mirella Manocchio

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