Cristo è risorto!

16 aprile 2017

I Corinzi 15,1-11

Care sorelle e cari fratelli,

forse non è usuale predicare per Pasqua su questo brano. In genere si preferiscono i testi dei vangeli che subito ci portano alla memoria il racconto della resurrezione.

Eppure, se riflettiamo bene su questo brano ci rendiamo conto quanto sia vicino al sentire di coloro che non hanno assistito ad un evento, ma ne sentono raccontare.

L’apostolo comincia questo brano con l’affermazione: “vi ricordo il vangelo che vi ho annunziato…” e poi ancora “vi trasmetto come ho ricevuto…”.

È su queste due affermazioni dell’apostolo vorrei che insieme riflettessimo…

Innanzitutto, “vi ricordo”.

Ricordare è importante sia per le persone sia per le società. Per le persone senza la memoria la vita si impoverisce, si perdono comprensione della realtà e relazioni, pensiamo al caso limite di chi è effetto da Alzaimer.

Mentre per le società, senza memoria storica, lo sappiamo bene qui in Italia dove invece si tende a dimenticare persino quanto è accaduto il giorno prima, non si formano nuove generazioni, non si cresce come nazione. La memoria storica, inoltre, permette di comprendere quanto accaduto nel passato così da ottenerne insegnamenti per il presente. Diciamo quando questo avviene.

Come se ciò non bastasse, nel mondo ebraico, da cui proveniva l’apostolo Paolo, al secolo Saul, il campo semantico del ‘ricordare, zacar’ aveva una rilevanza fondamentale per l’ambito della fede.

Pensiamo a tutti i salmi e i testi dei profeti dove il popolo è chiamato a ricordare le azioni di liberazione e di salvezza messe in atto da Dio in loro favore. Eppure questo ricordare biblico non è esclusivamente un esercizio celebrale, ma ha la forza del rendere attuale e vivo un evento del passato.

Nel seder, nel corso della cena pasquale, far memoria di Pesach per gli ebrei significa riviverla in tutto e per tutto, staccarla dal passato e ancorarla alla realtà attuale per farla crescere nella vita dei credenti come il lievito con la farina.

Questo vale per il mondo ebraico, ma in egual misura questo dovrebbe valere per noi cristiani.

Allora c’è da chiedersi qual è il contenuto di questa memoria vivente?

Ecco che allora giungiamo alla seconda affermazione di Paolo, “vi trasmetto”.

Egli è l’ultimo di una serie di testimoni che hanno incontrato il risorto. L’esperienza gli ha cambiato la vita, ma è solo a partire dalla testimonianza di altri che hanno avuto questa esperienza prima di lui che essa assume il valore di annuncio.

In poche righe l’apostolo riassume gli eventi racchiusi nei tre giorni più importanti e fondamentali per la nostra vita di fede: il venerdì quando Gesù “morì per i nostri peccati”; il sabato quando “fu seppellito” e la domenica ove si annuncia che Gesù “è stato risuscitato”.

Eppure quello di Paolo non è un semplice e asettico reportage giornalistico, il suo è un lieto annuncio, è una proclamazione pronunciata con forza: “Cristo è risorto!”

Così semplicemente detto, verrebbe da domandarsi perché questa affermazione dovrebbe avere delle conseguenze nella nostra esistenza!?

E perché senza questa convinta affermazione Paolo sostiene che la nostra fede e la nostra predicazione sarebbero vane?

Se ci pensiamo bene, il cristianesimo è l’unica religione che si fonda sulla resurrezione.

Certo che mettere alla base della fede la proclamazione che Gesù, il Cristo, è stato risuscitato dalla morte, è metterla su un terreno per lo meno insidioso perché volersi confrontare con gli altri a partire da un evento cui nessuno ha assistito direttamente ha del paradossale, soprattutto nella società attuale, secolarizzata e smaliziata.

Meglio per noi sarebbe stato fondare il cristianesimo sulla vita di Gesù, così esemplare e ricca di significato; meglio sarebbe stato fondarlo sul suo pensiero colmo di una grande profondità spirituale e di una forza liberante da essere ammirato da credenti di ogni fede, ma anche da atei ed umanisti.

Meglio sarebbe stato fondarlo sulla suo passione e morte, sul modo con cui ha affrontato il potere religioso e politico del suo tempo e sul modo in cui ha perdonato i suoi carnefici.

Tutto sarebbe più semplice…ma non sarebbe la stessa cosa…

Per prima cosa direi che se non ci fosse stata la resurrezione, non ci sarebbe nemmeno la chiesa come la intendiamo e viviamo.

Al massimo si sarebbe costituita una scuola in cui si sarebbe coltivato il suo pensiero e si sarebbe cercato di diffonderlo.

La chiesa non è fondata solo su un ricordo del passato, ma attraverso lo Spirito di Dio questo passato si fa presente vivo, cosicché la resurrezione di Cristo porta a determinare la nostra resurrezione.

Questo è ciò che accadde quando Egli si presentò in mezzo ai suoi discepoli subito dopo la resurrezione, ed accadde di nuovo il giorno di Pentecoste attraverso lo Spirito Santo facendo di donne e uomini paurosi, scoraggiati e rassegnati dei coraggiosi testimoni di una verità liberante, paradossale e scomoda.

E può accadere ancora oggi tra noi se quando ci riuniamo nel suo nome e condividiamo il pane e il vino, se avvertiamo che lui è davvero presente e vivo tra noi e con noi.

Se, invece, la morte in croce fosse stata l’ultima parola su Gesù, lo sarebbe stata anche per l’umanità, il mondo si sarebbe perduto senza speranza e la morte avrebbe conseguito la vittoria sul Dio della vita.

La nostra fede e la nostra predicazione sarebbero vuote perché non potrebbero proclamare la liberazione dal peccato, perché svuotate della testimonianza del potere salvifico di Dio che restituisce alla vita ciò che è morto.

L’umanità, per conseguenza, verrebbe lasciata alla sua condanna, all’assenza di un Dio che salva e libera.

Insomma l’umanità sarebbe lasciata in balia di se stessa e tutta la creazione con essa.

Per l’apostolo, invece, Cristo diviene il primo tra molti che seguiranno, la sua resurrezione diventa il principio attivo che attrae gli altri a sé verso la loro futura resurrezione.

Gesù Cristo – scrive il teologo e pastore Jorg Zink – …non ha aperto una porta per poi richiuderla subito dopo dietro a sé, ma ha portato via l’intera porta”.

Ecco perché il centro della fede cristiana è e deve essere la resurrezione. Non evento del passato volto a consegnare un alone di divinità al Gesù di Nazareth, figlio di un falegname, ma evento che restituisce la vita, che fonda oggi la speranza e l’azione dei credenti che nella resurrezione di Cristo possono vedere già i segni di quello che sarà il futuro dell’umanità e della creazione tutta.

La resurrezione manifesta la vittoria della vita sulla morte, del bene sul male, della verità che testimoniamo sulla menzogna dei falsi idoli della nostra società, della solidarietà sullo sfruttamento, dell’accoglienza e dell’apertura reciproca all’altro sui muri fisici e mentali, di una pace giusta sulla guerra, sempre ingiusta.

Noi cristiani siamo chiamati a vivere ed operare nella storia umana come ciò che ancora non siamo, ma che ci attende.

Per questo, per noi come lo fu per l’apostolo Paolo, è importante ricordare, credere e trasmettere agli altri che Gesù è il Risorto e che tutto non si è fermato al Venerdì Santo.

Il superamento del morire è nelle possibilità umane, ma il superamento della morte significa resurrezione… – scrive Dietrich Bonhoeffer – a partire dalla resurrezione di Cristo può spirare un vento nuovo e purificante per il mondo d’oggi…Se due uomini credessero realmente a ciò e, nel loro agire sulla terra, si facessero muovere da questa fede, molte cose cambierebbero.

Vivere a partire dalla resurrezione: questo significa Pasqua

Amen

 

Past. Mirella Manocchio

 

 

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