Non c’è spazio per la depressione nella Chiesa

18 giugno 2017

1Giovanni 4,16d-21.
Dio è amore; e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. 17 In questo l’amore è reso perfetto in noi: che nel giorno del giudizio abbiamo fiducia, perché qual egli è, tali siamo anche noi in questo mondo. 18 Nell’amore non c’è paura; anzi, l’amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo. Quindi chi ha paura non è perfetto nell’amore. 19 Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. 20 Se uno dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. 21 Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche suo fratello.

Care sorelle e cari fratelli,

sovente si parla di crisi della nostra chiesa, almeno a livello nazionale. Si parla della diminuzione del numero dei membri di chiesa, dei problemi finanziari, di una spiritualità addormentata ecc. Discorsi che si ripetono alle assemblee di chiesa, al circuito, al distretto, al sinodo… Al di là delle questioni contingenti, però, trovo che due siano le caratteristiche (e direi anche le ragioni) di questa crisi: da una parte una brutta depressione, dall’altra l’aumento della conflittualità un po’ a tutti i livelli.

Affrontiamo prima questa depressione e le sue ragioni. Una degli aspetti peggiori della depressione è che chi non ne soffre non la riconosce fino in fondo come una vera malattia. La frase classica è: «hai tutto, stai bene, che cosa ti manca, scuotiti di dosso questa indolenza e reagisci». Peccato che sia proprio questo il problema, almeno in buona parte dei casi. Chi è depresso, infatti, pensa di non avere le energie per uscire dalla sua condizione, e il fatto di non sentirsi preso sul serio non fa altro che aumentare la mancanza di autostima: «se non riesco a uscire da una situazione così poco grave, vuol dire che sono davvero una persona da nulla!»

Sovente, dunque, un modo per combattere la depressione è ricostruire l’autostima della persona malata. Per cui riflettiamo sulla nostra condizione di chiesa depressa e vediamo se e come possiamo ricostruire una nostra autostima. Senza nasconderci o sminuire le difficoltà contingenti, dovremmo ricordarci che ci è stato affidato un messaggio che ha cambiato il mondo degli ultimi duemila anni e che, ogni volta che è stato vissuto nella sua purezza, ha aiutato persone sofferenti a trovare conforto e persone umiliate e trovare il proprio riscatto. È una Parola bella, importante, e soprattutto è una Parola che quando agisce può spostare le montagne. C’è un libro su Lutero di parecchi anni fa che si intitola: Lutero, la parola scatenata. Se ci liberiamo dalle nostre catene, se lasciamo la Parola risuonare nelle nostre orecchie e tra le panche delle nostre chiese, potremo sentire di nuovo questa forza in azione: lo Spirito soffia, apriamo le nostre vele e lasciamoci portare.

Siamo anche eredi di una storia bella e importante, nel nostro paese e nel mondo, quella del protestantesimo. Una storia di fede, di libertà, di responsabilità, una storia di grande attualità, proprio oggi che di nuovo si accentuano le diseguaglianze, che la povertà continua a diffondersi in un mondo dove la guerra miete sempre nuove vittime, dove i ricchi fomentano la guerra tra poveri, dove la povertà è prima di tutto una povertà di idee e di progettualità… Quella di Dio è una storia di salvezza e di vita che, quando viene narrata tra le mura delle nostre chiese, può di nuovo coinvolgere nuove persone, perché ritrovino il loro rapporto con Dio e si uniscano al nostro progetto di chiesa, una comunità di sorelle e fratelli che accoglie e raccoglie in un unico corpo le numerose diversità che compongono questa umanità travagliata. In una parola, noi abbiamo ricevuto una bella storia, un bel messaggio: mi pare che abbiamo delle belle ragioni per ritrovare la stima in noi stessi, visto pure che è il Signore stesso ad averci chiamati.

Naturalmente, con questo non voglio ricadere nel rischio che rammentavo all’inizio: nel cercare di recuperare l’autostima, non dobbiamo sminuire la portata della nostra malattia. L’analisi della nostra situazione rimane una necessità: dobbiamo curarci, non basta riscoprire ciò che di bello abbiamo. E, nella storia della Chiesa, l’unica cura che abbia risollevato le chiese è sempre stata una bella iniezione di Bibbia. A questa dobbiamo tornare, con decisione. Sarebbe bello se la pubblicazione della Bibbia della Riforma (prevista per l’inizio di ottobre) potesse essere uno stimolo in questa direzione.

Questo ci aiuterà anche a guarire dalla prima conseguenza della depressione, cioè la difficoltà di avere e mantenere decenti rapporti interpersonali. Non so perché nella nostra chiesa, in generale nel mondo evangelico (ma sospetto che sia una malattia comune a tutte le chiese), si scambia la fraternità con la libertà di trattare male il prossimo. Troppo sovente una cattiva gestione dei rapporti interpersonali crea danni gravi, talvolta irreversibili. La mancanza di fraternità, o un’idea sbagliata di fraternità, può rovinare non solo intere giornate, ma anche far allontanare le persone dalla chiesa, facendo disperdere enormi energie nella gestione dei conflitti. Anche questo non va sottovalutato e non per nulla la prima preoccupazione dei consigli di chiesa protestanti tradizionali era la gestione della disciplina nella chiesa. Abbiamo tutte e tutti dei caratteri difficili e dire una parola sbagliata al momento sbagliato è molto facile, ci caschiamo tutti. Ma guai a noi quando ci caschiamo!

Come non si scherza con la depressione, anche la conflittualità è una malattia seria dove non basta la buona volontà, ma servono autodisciplina e, nei casi peggiori, disciplina. Se la domenica mattina ci svegliamo che abbiamo solo voglia di mordere, torniamo a dormire, leggiamoci un libro. È meglio non venire in chiesa a rovinare la giornata agli altri, se non siamo disposti alla conversione! In chiesa dobbiamo portare il meglio di noi stessi, per poter vivere anche a casa o al lavoro dei rapporti positivi. La chiesa dev’essere un rifugio dove troviamo buonumore, consolazione, conforto, dove veniamo a ricaricare le batterie… Ma quante volte le nostre comunità non sono capaci di vivere questa vocazione? Si possono affrontare anche difficili discussioni in maniera fraterna e costruttiva e non è necessario far finta di non essere arrabbiati, se lo siamo. Ma ogni sentimento va espresso nella maniera adeguata. Come dice Giovanni: non si può amare Dio senza amare il prossimo. Quindi, occhio a come parliamo e a quello che diciamo!

Un’ultima cosa: queste due brutte malattie, la depressione e la conflittualità, da dove hanno origine? Il testo della Prima Lettera di Giovanni è illuminante: dalla paura. Il contrario dell’amore è proprio la paura, non l’odio! La depressione nasce dalla paura, la paura di non essere all’altezza, di non essere degni, di non avere le forze, di quello che gli altri possono dire o pensare… Quante paure! Proprio come la nostra società, che vive le nostre stesse dinamiche! Una società depressa che non ha più autostima e non è più capace di esprimere un minimo di coesione, di rispetto per il prossimo, di amore per l’altro o l’altra… Anche noi credenti abbiamo paura, di mille cose: di dove trovare i soldi per tenere in piedi la baracca, di non essere omologati in questa società, di essere rifiutati, di suscitare reazioni negative… Quante paure abbiamo, che ci portano a dimenticare l’amore, prima di tutto l’amore per Dio e poi l’amore per il prossimo? Paura di perdere un posto acquisito nella chiesa? Paura di essere messi in discussione? Paura di non essere accettati? Che paure abbiamo, per cui non riusciamo più a vivere l’amore di Dio e ci lasciamo andare a discussioni inutili, quando non dannose? Riflettiamoci, seriamente come seriamente dobbiamo prendere questi due mali che ci affliggono.

Ritornare all’evangelo, alla Parola di Dio che ce lo annuncia, dunque, potrà curare questi mali. Io credo che, nel nostro piccolo, la nostra comunità di via XX Settembre abbia vissuto e vinto, almeno in parte, queste malattie (cosa che non ci rende immuni per il futuro!). Pensate dove saremmo adesso, se non avessimo accolto le varie sfide che abbiamo incontrato sulla nostra strada, sfide di accoglienza di persone nuove, sfide per costruire una comunità accogliente e simpatica, dove ritrovarsi insieme per vivere l’amore di Cristo. Noi possiamo essere una comunità che dà l’esempio alla nostra chiesa nazionale, per ritornare a guardare con ottimismo alla nostra missione e vocazione: affrontare e vincere la paura per tornare a vivere l’amore di Dio e del prossimo. La strada ormai la conosciamo, proseguiamo con coraggio per la via che il Signore ci ha indicato e per la quale ci accompagna. Amen

past. Eric Noffke

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