Il primo appuntamento con i Sola della Riforma: Sola Scriptura

Video e testo della predicazione della predicatrice locale Greetje van der Veer

e il testo introduttivo di Antonella Varcasia

 

Introduzione di Antonella Varcasia

“I CINQUE SOLA DELLA RIFORMA”

Care sorelle, cari fratelli, stiamo per entrare nell’ultimo trimestre del 2017. Con la fine di ottobre avranno termine le celebrazioni per il cinquecentenario della Riforma. E’ stato un anno ricco di iniziative in tutte le nostre chiese: conferenze, gadget, viaggi, visite guidate, pubblicazioni, articoli, spettacoli, mostre, concerti, addirittura cene tipiche. E’ stato tutto molto bello, molto arricchente: ogni iniziativa ha avuto il fine di testimoniare la nostra fede, la nostra appartenenza, e in qualche modo quello di ringraziare i nostri “Padri fondatori” per averci consentito di essere qui oggi, eredi e beneficiari di tutte le loro conquiste. Ma dal 2018 pian piano tutto verrà dimenticato: sempre meno conferenze, meno spettacoli, forse qualche piccola mostra in un paese sperduto, forse un paio di articoli in giornali che non compra nessuno. Si tornerà alla routine quotidiana. Però… però c’è qualcosa che non potrà mai essere dimenticato: i fondamenti, i principi, l’essenza stessa della nostra fede, che è racchiusa nei cinque “sola” della Riforma. Come disse una volta qualcuno, anche piuttosto famoso, “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35). Ecco, dall’epoca della Riforma, molte cose sono passate, perché non sono più attuali, sono state superate. Diverse cose importanti sono talmente cambiate per noi che hanno modificato il nostro modo di vedere, pensare, sentire: sono cambiati la società, la cultura, l’etica, i valori, la stessa teologia. Ma i pilastri della Riforma restano saldi, loro non sono passati. E non passeranno mai, poiché sono il cuore stesso del nostro credo: possiamo dirci evangelici anche se non condividiamo alcune scelte etiche o se non siamo proprio convinti della predestinazione, ma non possiamo dirci evangelici se non condividiamo anche uno soltanto di questi cinque principi. Ecco perché abbiamo voluto dedicare gli ultimi cinque sermoni di quest’anno di celebrazioni ai cinque “sola” della Riforma: da oggi, e fino alla fine di ottobre, i nostri pastori e i nostri predicatori ci ricorderanno che: la Scrittura è la sola fonte di rivelazione, la sola testimonianza dell’opera di Dio in Gesù Cristo, la sola autorità (Sola Scriptura); che  Gesù Cristo è l’unica piena rivelazione di Dio, l’unico mediatore e l’unico tramite della salvezza (Solus Christus); che la nostra salvezza è possibile solo per grazia, per un dono immeritato, gratuito e unilaterale di Dio (Sola Gratia); che soltanto grazie alla fede in Gesù Cristo siamo salvati, indipendentemente dai nostri meriti e dalle nostre opere (Sola Fide); che solo a Dio dobbiamo rendere il culto, rivolgere le nostre preghiere e le nostre lodi, perché solo da Lui proviene tutto quello che siamo e che abbiamo (Soli Deo Gloria). Perciò, care sorelle e cari fratelli, quando torneremo alla nostra routine quotidiana, lontani da conferenze, mostre e celebrazioni, ricordiamoci sempre che i fondamenti della nostra fede, come i comandamenti di cui parla il Deuteronomio, “ci staranno nel cuore, li inculcheremo ai nostri figli, ne parleremo quando staremo seduti in casa nostra, quando saremo per via, quando ci coricheremo e quando ci alzeremo. Ce li legheremo alla mano come un segno, ce li metteremo sulla fronte in mezzo agli occhi, li scriveremo sugli stipiti della nostra casa e sulle porte della nostra città”. (Deut 6, 6-9)

Preghiera
Signore, la tua Parola è come il pane:

rompi la sua crosta, affinché possiamo gustarne la mollica;

dacci di masticarla, affinché possiamo digerirla;

dacci di assaporarla, affinché abbiamo il desiderio di tornare ad essa;

dacci di accompagnare con essa i momenti così diversi della nostra vita,

come il pane accompagna i vari piatti della mensa;

dacci di condividerla, come si condivide il pane.

La tua Parola è così semplice e così essenziale come il pane di tutti i giorni.

La tua Parola è il vero pane, disceso dal cielo per nutrire l’umanità. Amen.

  1. Dumas, in ‘Cent prières possibles’

Confessione di fede

Credo

Noi crediamo in un Dio che è per l’essere umano,

ma che è altro dall’essere umano; che è nostro alleato, ma cui parola è più vera della nostra vita

e più forte della nostra morte;

che è vicino, ma è diverso;

che viene a noi quando lo cerchiamo e che resta Dio quando lo lasciamo.

Noi non vogliamo altri dèi all’infuori di lui,

che si chiamino Mammona, Cesare o Apollo,

ordine o rivoluzione, ragione o disperazione, progresso o catastrofe.

Non vogliamo neanche vivere senza Dio,

nello scetticismo o nell’insolenza, in ironia o in serenità.

Noi crediamo in te.

Noi crediamo che tu crea e ricrea il mondo

contro il caos e la dispersione, contro l’oscurità e il silenzio.

Noi crediamo in Gesù Cristo,

che ha mostrato pienamente Dio all’essere umano e l’essere umano a Dio,

che ha squarciato il cielo della nostra ignoranza

e ha abitato la terra della nostra storia,

che  vissuto per insegnare, per annunciare e per guarire,

che è morto come noi, a causa di noi e per noi,

che è stato resuscitato per rendere manifesta

la memoria, la bontà e la potenza di Dio in favore di noi tutti.

Noi non vogliamo altri salvatori all’infuori di lui,

che si chiamino scienza o magia, salute o sogno

tradizione o utopia, famiglia o cultura.

Né vogliamo vivere senza un salvatore,

in spirito di sufficienza o di disperazione, d sicurezza o di incertezza.

Noi crediamo in te.

Noi crediamo che tu liberi coloro che salvi

e che salvi colo che si credono liberati.

Noi crediamo che la terra ha bisogno di salvezza

e che questa salvezza è avvenuta ieri, oggi, domani, sempre.

Noi crediamo nello Spirito Santo,

che continua ad operare in mezzo all’umanità,

come il grano continua a spuntare attraverso l’inverno;

che è lo stesso Spirito che porta frutti diversi in ciascuno;

che non cessa di raccogliere coloro che sono dispersi

e che non smette di scuotere coloro che sono intorpiditi;

che va e vien come il vento sulle scogliere.

Noi non vogliamo una altro spirito

che si chiami luce o tenebra, sole o luna,

idealità o sensualità, spiritualismo o materialismo.

Non vogliamo neanche vivere senza lo Spirito,

nella penombra dei nostri smarrimenti.

Noi crediamo in te.

Noi crediamo che tu rendi vivo ciò che è morente,

che tu sei il sangue che attraversa il corpo della chiesa

e che ci conduci verso un Regno già cominciato ancora atteso.

Noi crediamo.

Aiutaci a vivere ciò che noi cerchiamo di credere. Amen.

André Dumas in ‘Cent  prières possibles’, traduzione e adattamento di Luca Maria Negro

Matteo 20: 1 – 16

La fede, la teologia, la spiritualità e persino l’organizzazione ecclesiastica protestante intendono basarsi soltanto sulla Scrittura. Questa caratteristica ci distingue dal cattolicesimo romano che si basa non solo sulla Scrittura, ma anche sulla tradizione ecclesiastica. E qui già dobbiamo fare attenzione. Soprattutto in questa epoca ecumenica. Bisogna superare la contrapposizione, senza naturalmente venire meno a ciò che conta. Ma bisogna fare attenzione anche a non profilarsi come quelli del ‘non’: Non abbiamo il papa, non abbiamo il magistero, non abbiamo le opere che salvano. Bisogna sapere per che cosa stiamo, cosa affermiamo, cosa crediamo. Non basta dire no, bisogna affermare in positivo ciò che crediamo.

Affermando Sola Scriptura, diciamo, come già detto all’inizio del culto, che la Scrittura, quella con la lettera maiuscola, è la fonte, la norma, il fondamento della nostra fede e della nostra vita. Pare una cosa ovvia per noi affermare questo. Ma non basta affermarlo, bisogna viverlo. Questa settimana su FB c’era da qualche parte una discussione sul perché diminuiscono i membri di chiesa e le contribuzioni. Un ampio dibattito, che raramente si riesce a vedere sui social, che più che social network si può chiamare “a-social network”. In questo dibattito si potevano leggere alcune presunte cause delle scarse presenze in chiesa. Una delle ragioni era perché quando si viene in chiesa non si viene più edificato, non si riceve più qualcosa che possa arricchire la fede.

Ma la fede non viene arricchita dalla sola predicazione, ci sono le letture bibliche, le preghiere e soprattutto ci sono le altre persone. Non venire significa non dare la tua fraternità/sororità agli altri, alle altre. Non si tratta di solo ricevere, ma anche di dare, affinché qualcun altra/o possa ricevere.

Intanto, non penso che i pastori, i predicatori di un tempo, potrebbero darci in questo tempo la stessa cosa che riuscivano a darci nel passato. Questo tempo ha bisogno di altri approcci, di altre sollecitudini. Però secondo me, c’è una ragione più profonda per cui non sentiamo più l’esigenza di frequentare il culto più di tanto. Siamo troppo abituati al nostro modo di vivere, ci siamo adeguati troppo a vivere in una società occidentale. Possiamo stare bene o male, ma per tutte e tutti noi vale la condizione (anocra) che sappiamo che domani abbiamo almeno il pane sul tavolo, che possiamo andare dal medico. Non so se riesco a spiegarmi bene, ma non dobbiamo impegnarci più di tanto per condurre una vita tranquilla, viviamo dei meriti della nostra società. In un certo senso è più facile credere in situazioni di difficoltà, quando sai che ciò che hai non è merito tuo, ma pura grazia, che sai che sei dipendente dagli altri e dalle altre, dall’Altro. Il nostro benessere è un ostacolo per poter credere, pensiamo che dipende tutto dalle nostre menti e mani. Quanti di noi possono affermare con una mente sincera che la Scrittura è il fondamento della nostra vita quotidiana? Forse bisogna ammettere che molti dei demeriti, dei difetti della società attuale sono entrati nel nostro vivere quotidiano. L’individualismo, l’indifferenza, il materialsimo, la pigrizia, per nominare solo alcuni, i più evidenti, sono mali da cui non siamo libere e liberi. (Già alzarsi la domenica mattina e mettersi in moto pr raggiungere il luogo di culto diventa un atto di testimonianza, mentre per un credente deve essere qualcosa di spontaneo). Ci crediamo liberi, ma non lo siamo, abbiamo tanti vincoli intorno a noi (sociali, culturali, economici). La Scrittura come fondamento, non solo la domenica, ma anche venerdì sera quando siamo stanche/i dopo una settimana di lavoro e di impegni. Cristo non ci ha promesso una vita facile, ma una vita piena di senso.

Le chiese della Riforma, cioè le nostre chiese, sono comunità che sono state riformate e continuano a riformarsi secondo la Scrittura: la Scrittura presa nella sua ricca, complessa, inesauribile varietà e ricchezza, e non soltanto in uno dei suoi molteplici aspetti. Nella Bibbia c’è di tutto, basta pensare ai fatti storici che si contraddicono. Ho sempre usato il versetto 10 del Salmo 85 come chiave di lettura della Bibbia, il quadro entro cui leggere il tutto: un quadrilatero di pace, giustizia, bontà (solidarietà) e verità, nel loro significato biblico naturalmente.
Invece dopo questo intenso anno di frequentazione di Lutero, a cui non ero abituata, provenendo da un background semi-calvinista, mi sono convinta che la libertà, la libertà del cristiano, è una chiave di lettura che dà più prospettive.

Comunque anche le quattro parole evocate poco fa (pace, giustizia, solidarietà e verità) come la libertà del cristiano mostrano quanto perpendicolare sta il messaggio biblico sulla nostra vita quotidiana. Non c’è niente di naturale. Il messaggio biblico contraddice di continuo le nostre inclinazioni e intenzioni. Per usare un’immagine biblica:
siamo propensi a prendere la strada larga, e non quella stretta. Se dico ‘peccato’, probabilmente capite ancora meglio. Nella Scrittura siamo di continuo chiamate e chiamati, forse si può dire anche sfidate e sfidati a camminare contro il nostro istinto. E lo vediamo anche con la parabola che abbiamo sentito stamattina. Una parabola che ci mette in crisi in un primo momento. Ciò che ci sembra giusto, cioè che si viene pagati per ciò che si fa, è messo in discussione dal testo evangelico di Matteo di questa mattina. A tutti la stessa paga, anche quando c’è chi ha lavorato di più, molto di più e chi di meno, molto di meno.
Intanto si tratta di una parabola, non di un progetto di rivoluzione, di un progetto di società con delle relazioni di lavoro eque per tutti, cioè non si tratta di un programma di partito, per quanto meritevole possa essere idealmente. E’ una parabola, vuole farci capire qualcosa, bisogna riuscire ad arrivare al messaggio che si cela dietro all’immagine, al suo significato. Gesù ci fa capire che si tratta di una parabola del Regno e già questo ci mette sulla buona strada.

Questa parabola è strettamente legata a ciò che precede. Nei versetti precedenti (cap 19) c’è Pietro, un lavoratore della prima ora, che fa una domanda a Gesù su un presunto premio per i più bravi, per i primi arrivati: ‘Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che ne avremo dunque?’ (Ecco la nostra tendenza di pensare secondo i meriti). E si sente rispondere: molti primi saranno ultimi e gli ultimi, primi. Pietro sente ciò che non vorrebbe sentire, anche noi magari abbiamo qualche difficoltà a mettere queste parole in pratica, basta vedere come la nostra società accoglie i rifugiati, per noi chi arriva in ultimo, rimane l’ultimo e non può partecipare pienamente alla vita sociale.

Con la Sola Scriptura ampiamente ricordata siamo nel Cinquecentenario della Riforma, con la data del 31 ottobre 1517, la data in cui Lutero affisse le sue 95 tesi sul portone della cattedrale di Wittenberg. Ecco, secondo me, la parabola di oggi ci mette davanti la tesi che la situazione non diventa migliore, più bella, se c’è chi non può partecipare. Alla fine della parabola tutti possono non solo partecipare, ma dare il meglio di sé. Tutti sono nella stessa condizione per poter partecipare alla vita come è intesa da Dio. Qui, con questa parabola, Gesù ci mette davanti alla grazia del Signore. Allora forse non ci è chiesto di dare la stessa paga a tutti e a tutte (ma perché no?), ma in ogni caso questa parabola ci mostra come ci dobbiamo comportare con le altre persone, vicine e lontane, quando prendiamo sul serio la sua parola. Affinché tutte e tutti abbiano la possibilità di partecipare alla vita piena, abbiano la vita in abbondanza. La chiamata fa la differenza, non le ore lavorate. Bisogna cambiare la visuale, ma non ci riesce facilmente. All’inizio della settimana ho ricevuto un messaggio di un’amica da Milano che sottolineava questo aspetto: Lei e il figlioletto dovevano uscire, ma era una giornata piovosa. Dopo la seconda precipitazione, il figlio le disse: ‘ecco, è già asciutto per la seconda volta’, noi magari avremmo detto, ha smesso di piovere per la seconda volta, o ha già piovuto due volte, invece lui è stato capace di vedere la stessa cosa da un altro punto di vista!

Sola Scriptura, la Scrittura come fonte e fondamento della nostra vita cristiana.

E’ più che mai l’ora di prendere sul serio il messaggio che ci arriva dalle Scritture. Ogni pagina della Bibbia contiene per intero questo messaggio, per questo abbiamo letto le letture indicate dal lezionario. Un messaggio talvolta scomodo, come questa parabola che stravolge il nostro modo di pensare. E’ ora di “vivere” questo messaggio realmente, ogni giorno della settimana, 24h/7. Sola Scriptura non è una teoria, ma un modo di vivere. Affinché tutte e tutti possano partecipare non è una teoria, non è un’utopia, è un modo di vivere. Amen.