Pubblichiamo l’intervento della pastora Mirella Manocchio all’incontro ecumenico tra la chiesa metodista di Roma e la parrocchia cattolica di santa Maria degli angeli e dei martiri il 20 marzo 2018

 

La settimana che inizia con la domenica delle Palme nelle Chiese metodiste italiane è dedicata alla “rinuncia”.
La Settimana della Rinuncia affonda le sue radici nella teologia di John Wesley e da lui, andando a ritroso, a quelle che erano le pratiche del cristianesimo antico. Infatti, anticamente, i giorni che precedevano la Pasqua erano giorni di digiuno e di preghiera e ciò che con il digiuno veniva risparmiato era poi donato agli strati più poveri della popolazione. In effetti, tutto il periodo quaresimale era un tempo dell’anno dedicato a riflettere sul proprio percorso di fede, alla preghiera e ad astenersi dalle cose materiali per sentirsi in qualche modo più vicini alla propria sfera spirituale, facendo memoria del percorso di prova di Gesù Cristo nel deserto. Anche nel mondo metodista, assieme alla preghiera, veniva chiesto di rinunciare a qualcosa in questa settimana e di compiere, con quanto “non speso”, un gesto di solidarietà nel ricordo del grande dono fattoci da Dio risuscitando Gesù Cristo e aprendoci la strada ad una vita autentica.

Ma per intendere appieno la portata di questa pratica, senza limitarsi a ricomprenderla tra la varia precettistica cristiana per il tempo della Quaresima, bisogna rifarsi ad alcuni elementi portanti della teologia ed etica metodista.
Il fondatore del metodismo, John Wesley, divideva la resa pratica del dono della fede in due grandi gruppi di opere: quelle di pietà (works of piety), inerenti soprattutto alla sfera spirituale, che sostenevano il cammino di progressione nella fede stessa e che erano lettura e comprensione della Scrittura, la preghiera, il digiuno, la partecipazione alla cena del Signore e al culto pubblico, e le opere di carità (works of mercy) che costituivano parte dell’impegno sociale del metodismo e che comprendevano sostegno concreto ai poveri, visitare e curare gli ammalati e i prigionieri, l’utilizzo corretto del denaro. Wesley sosteneva che entrambe le categorie di opere erano necessarie nel vissuto di fede e, riprendendo l’adagio di Lutero, scriveva in uno dei suoi innumerevoli sermoni che “la fede senza le opere dell’amore è la grande peste della cristianità.” (cfr. Giac. 2,14-16) perché non basta parlare della fede, ma bisogna che essa si manifesti nei nostri rapporti con gli altri e nelle strutture della società (sermone “Lo zelo”).

In questo quadro generale ritengo che due elementi siano la base teorica di quella che poi è divenuta la pratica di rinunciare a qualcosa per donare al prossimo: la pratica del digiuno e le idee wesleyane sull’uso del denaro.
Sebbene il digiuno o l’astinenza da alcuni cibi fossero pratiche comuni anche al cristianesimo protestante, attualmente parlare di digiuno e/o astinenza in una chiesa protestante ha un che di sacrilego perché, soprattutto in Italia, queste sono viste come pratiche rituali svuotate da ogni contenuto originario e volte unicamente a rendersi benevolo Dio, giudice severo, per un periodo di tempo limitato continuando poi ad operare lontano dal Signore per il resto dell’anno o della vita.

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Ebbene in questa critica alla comprensione del digiuno in senso legalistico e rituale, i protestanti non sono molto lontani da quanto asserivano nella Bibbia i profeti, le bocche umane di Dio. “È forse questo il digiuno di cui mi compiaccio, il giorno in cui l’uomo si umilia? Curvare la testa come un giunco, sdraiarsi sul sacco e sulla cenere, è dunque questo ciò che chiami digiuno, giorno gradito al SIGNORE? Il digiuno che io gradisco non è forse questo: che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi e che si spezzi ogni tipo di giogo? Non è forse questo: che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua carne?” tuonava Isaia (58,5-7).

In tal senso scrivevano anche i predicatori metodisti di fine 700 e inizio 800 quando asserivano l’inutilità del digiuno, proclamato addirittura dal governo inglese a livello nazionale, a fronte di un impero, quello britannico, che si macchiava di crimini sociali quali lo sfruttamento delle classi più povere e praticava serenamente lo schiavismo nelle sue colonie. Il pastore Bradburn scriveva: «Quanto al digiuno nazionale, allo scopo di renderlo veramente efficace per tutti, ci vuole una Riforma nazionale. Poiché quale beneficio ne avremo se ci limiteremo ad astenerci di tanto in tanto dal nostro cibo, dagli affari e dal divertimento, se continuiamo nei nostri peccati e nella disubbidienza alla Parola di Dio? (…) finché non romperemo completamente col nostro peccato per mezzo del pentimento e cercheremo il Signore con tutto il cuore, l’Iddio della verità dichiara: “Quando stenderete le vostre mani, io nasconderò i miei occhi da voi. Si, quando farete molte preghiere, io non vi ascolterò.” » (sermone ‘Uguaglianza’ del 1794 in I Metodisti nell’Inghilterra della rivoluzione industriale, Sergio Carile, Claudiana 1989)

Il digiunare ha quindi senso solo se è parte di un vissuto globale di fede e di azione quotidiana in cui l’amore per Dio e il prossimo, chiunque sia, è posto al centro.
Forse oggi potremmo ridare senso al digiuno legandolo a specifiche situazioni nelle quali ci sentiamo coinvolti e corresponsabili come accadde nel 2009 quando il Sinodo metodista e valdese digiunò una giornata contro le politiche migratorie del governo e ancora nel 2017 varie chiese metodiste e valdesi hanno aderito al digiuno per spingere l’approvazione della legge sullo ius soli.

Relativamente, invece, all’uso corretto del denaro e delle ricchezze in genere, Wesley incontrò non poche difficoltà nella sua predicazione perché utilizzò affermazioni radicali che mettevano in questione le regole consolidate di generosità e filantropia e attaccava direttamente la pratica del sovrappiù di accumulo come contraria alla volontà di Dio.

La pratica della generosa filantropia, in uso nell’Inghilterra di allora dove la sperequazione tra ricchi e poveri era abissale, somiglia a quella che utilizzano oggi gli ultra ricchi americani. Un sistema di indubbia generosità che però non intacca minimamente lo stato delle cose e non conduce il credente a ripensare il suo assetto di vita. Insomma, Wesley guardava alla moneta della povera vedova di Marco 12 come al vero atto di dono di sé.

Vi leggo una frase tratta dal sermone ‘L’uso del denaro’, uno dei tanti scritti sul tema, che in qualche modo riassume il suo pensiero. La frase parte dall’assunto che ogni cosa ci viene da Dio e che Dio ci ha affidato tutto ciò affinché ne facessimo buon uso in sua vece:

La prima affermazione sottolinea la non peccaminosità del denaro in se stesso particolarmente se guadagnato con onestà, la seconda richiama al risparmio a fronte di un inutile spreco. Queste due si pongono abbastanza in linea con quella che era la disciplina economica dell’etica cristiana propugnata all’epoca, ma la terza, quella su cui si focalizza tutto il suo discorso, se ne distaccava per la sua radicalità. Wesley sfida su questo piano la sua stessa gente a una rinuncia di sé assai più rigorosa di quanto la maggior parte fosse disposta ad accettare. Egli portò avanti le sue idee con l’esempio di vita, ma non sempre fu seguito su questa via.

Ad ogni modo è su questi due cardini che vi ho esposto che, a parer mio, si fonda l’idea della rinuncia a favore degli altri. E su questa base si è poi pensato di avere un momento dell’anno liturgico da dedicare particolarmente a questo pensiero in azione.

Per concludere, la settimana della rinuncia nelle nostre chiese si propone ancora come gesto di dono di sé e di gratitudine, anche se nell’attuale organizzazione ecclesiastica è indirizzato ad una specifica categoria: coloro che hanno predicato l’Evangelo nelle nostre chiese o in loro ricordo. Infatti, le offerte sono devolute al “Fondo Pensioni” utilizzato dall’amministrazione della nostra Chiesa per le pensioni dei pastori emeriti e delle vedove.

Past. Mirella Manocchio