Un uomo e il suo sogno

(L’articolo ridotto è stato pubblicato da Riforma)

La storia come magistra vitae è messa in discussione dal quotidiano che stiamo vivendo. “A cena con Martin Luther King”, serata di spettacolo, musica gospel e cucina americana, organizzata dalla Chiesa metodista di Roma lo scorso 20 ottobre, è iniziata proprio dedicando la serata a Mamadou, il ragazzo senegalese, lavoratore regolare a Trento, oggetto di uno dei ripetuti episodi di razzismo che si compiono in Italia in queste tristi settimane.

Mamadou, cacciato dal suo posto sull’autobus da Trento a Roma, come Rosa Parks, perché entrambi indegni di stare seduti, stanchi dopo una giornata di lavoro, vicino ad un bianco razzista.

Siamo partiti da qui, per un itinerario che ci ha portato a scoprire, riflettere su alcune parole chiave della vita del pastore battista afroamericano ucciso a Memphis il  4 aprile di 50 anni fa.

Il testo, scritto con cura dalla nostra sorella di chiesa Antonella Varcasia, partiva dal famosissimo “I have a dream” per fare tappa su alcuni episodi, incontri e relazioni di King negli anni della lotta nonviolenta contro il sistema della segregazione dei neri americani. L’itinerario, non poteva non fare tappa su Rosa Parks, l’ostinata sarta, divenuta una figura simbolo dei diritti civili, arrestata perché, non avendo trovato posto nel settore riservato ai  “coloured people” sugli autobus di Montgomery, aveva rifiutato di cedere il suo posto ad un bianco. L’umiliazione a causa del semplice fatto di essere neri, risuonò nel discorso di King tenuto sempre a Montgomery nel dicembre del 1955. Un discorso dove concilia con forza l’amore cristiano, la giustizia e il diritto. Un discorso amplificato, nel testo di Varcasia, da tre poesie di Langston Hughes, poesie di ritratti penetranti e vivaci della vita e della situazione dei neri in America.

Come risposta alle ripetute violenze, il testo riunisce in un fittizio confronto quattro grandi leader della lotta per i diritti delle persone di colore. Prendendo spunto, infatti,  dai discorsi ufficiali, ricostruisce una ipoteticatavola rotonda dove, nella differenti azioni di lotta e/o di resistenza non violenta, siedono e dialogano Nelson Mandela, Malcolm X, lo stesso King, insieme con John Fitzgerald Kennedy, il presidente americano assassinato a Dallas nel 1963, fautore dei progetti di legge contro la discriminazione razziale nei luoghi pubblici, nelle scuole ecc.

Non manca nel testo la dura critica del pastore battista alla chiesa, alle chiese, segnata dalla delusione per i molti ministri di culto che si sono opposti duramente alle lotte nonviolente da lui messe in atto. Infatti risuona, nel tempio metodista di Roma,dovesi è svolta la serata, la celebre lettera dalla prigione di Birmingham, dove King, tra l’altro, scrive: “Deluso, ho pianto per la negligenza della chiesa. Troppo spesso la chiesa di oggi è una voce inefficace, debole; troppo spesso è la prima a difendere lo status quo. Ma sulla chiesa incombe il giudizio di Dio: se essa non recupera lo spirito di sacrificio dei primi tempi, sarà messa da parte”.

Tuttavia non la delusione, ma la speranza in un mattino diverso, aperto da un’alba che rischiara e segna la fine della notte, si coglie nella scena dove è proclamata la celebre predicazione “Bussare a mezzanotte” del 1963 sul brano di Luca 11, 5-8. Infatti scrive King: “Alla chiesa deve essere ricordato che non è nè il padrone nè il servo dello stato, ma piuttosto la coscienza dello stato: se essa parlerà ed agirà senza paura in termini di giustizia e di pace, gli uomini la riconosceranno come una grande associazione d’amore che dà luce e pane ai viaggiatori soli a mezzanotte. La parola che la chiesa deve pronunciare è che nessuna mezzanotte rimane a lungo. L’alba verrà: la delusione, il dolore e la disperazione sono nate a mezzanotte, ma segue il mattino”.

Lo spettacolo si conclude con  due sermoni che sintetizzano la vita e la fede di King: quello letto durante il suo funerale,in cui chiede di essere ricordato non per i premi ricevuti, ma per il bene che ha cercato di fare al prossimo,  e quello in cui egli fa una sua personale confessione di fede in Dio: “Dio”, scrive King, “che è lo stesso ieri, oggi e per sempre. (…) Dio che cammina con noi attraverso la valle dell’ombra della morte (…)il Dio dell’universo, il Dio che supererà tutte le ere”.

La regia della spettacolo, affidata a Dino Castiglia, ha saputo dare il giusto risalto alle singole scene e valorizzare il carattere, i sentimenti e le emozioni dei personaggi di volta in volta chiamati ad interagire col protagonista.

Le scene del testo sono state inframmezzate da musiche, per piano e corno, e da inni e gospel eseguiti professionalmente dal coro della chiesa metodista di Roma, diretto da Anais Lee Chiesa. Al termine della serata è stato letto un messaggio pervenuto dalla figlia del pastore battista, che fino a qualche giorno fa era in visita in Italia, dove prendendo spunto dalla lettera dal carcere di Birmingham, ci ha esortato a continuare la risonanza del messaggio di Martin Luther King e vivere la speranza per una comunità dove la rivoluzione radicata in Cristo sia realizzata con la nonviolenza.

Una serata dove non è mancata la proiezione dei filmati originali: dal più celebre discorso a Washington ricordato all’inizio, “I have a dream”, alle immagini del funerale del pastore battista. Ma soprattutto non è mancato l’invito a continuare un impegno per una chiesa e una società a fianco dei tanti “neri” di oggi, perché lo stare a fianco, l’essere prossimi, il camminare e lottare insieme, in modo non violento, è l’unico strumento che i cristiani hanno per tentare di cambiare e migliorare il mondo e dare il proprio contributo per realizzare il regno di Dio sulla terra. Come ci spronerebbe oggi  Martin Luther King:  “L’obiettivo che cerchiamo è una società in pace con se stessa. Quel giorno sarà non per il bianco o per il nero: sarà il giorno dell’uomo”.

 

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