Un nuovo cielo e una nuova terra.

L’altro giorno nel mantovano, quindi non nel profondo sud, l’ennesima storia di violenza domestica conclusasi in una tragedia che vede vittima il figlio di 11 anni. Un uomo ha incendiato la casa dove viveva la moglie. L’uomo italiano, di 52 anni, artigiano, è poi fuggito ma è stato bloccato da una pattuglia della polizia stradale. Qualche giorno fa era stato colpito da un provvedimento del gip di Mantova di divieto di avvicinamentoalla casa di famiglia, dove vivevano la moglie e i tre figli. Silvia, quando ha visto le fiamme, rientrando a casa, ha chiamato subito i carabinieri. L’ennesima telefonata disperata, seguita alla prima denuncia per maltrattamenti a luglio. E adesso Silvia racconta che a volte al telefono si è sentita rispondere: «Signora, deve portare pazienza…».

Non eravamo una coppia particolarmente felice, ma non si andava male avanti. Senza figli, con molti impegni, lavoravamo entrambi e avevamo molti amici. Una famiglia normale, una vita normale senza scossoni. Una sera d’estate avevamo amici a cena. Mio marito beveva, come al solito. In cucina si mise a darmi dei colpi, mi strappò la catenina lasciandomi dei segni sulla scollatura. Urlai, ma nessuno si mosse. Non era la prima volta. Poi diceva che era un gioco, io gli rispondevo che quel gioco non mi piaceva. Ugualmente, mi prendeva spesso con forza e io cercavo di trattenerlo, di rilassarlo. A volte ci riuscivo, a volte no. Mesi dopo gli dissi che volevo separarmi, lui mi puntò il fucile al volto. Nella notte sono scappata, in pigiama. Lo volevo denunciare, il carabiniere mi disse: «Signora, sicuramente ha un’amica da cui poter andare a dormire. Si riposi, torni domani». Non sono più tornata, né a casa mia né a denunciarlo. Non ho mai dimenticato il fucile puntato.

Due storie di violenza domestica. Una storia di questi giorni, l’altra la troverete nel “Diario dei 16 giorni della FDEI per vincere la violenza”. Le mura domestiche sono testimoni dell’80% dei maltrattamenti, e nel 70% dei casi sono coinvolti minori. Storie che raccontano il contrario di quanto abbiamo sentito nella lettura di Isaia. Le parole di Isaia non sono dei pii desideri, sono profezia! La profezia non è una semplice previsione del futuro, una specie di indovino. La profezia interpreta l’attuale situazione e poi dice se ti comporti secondo le parole di Dio, la nostra speranza, allora questa sarà la tua strada, e quindi se ti allontani da queste parole la strada sarà un’altra, l’opposto. La profezia è la parola di Dio sulla nostra vita. È una previsione del futuro in una certa ottica, ma soprattutto è un’interpretazione del vissuto.

Quando stavo riflettendo sulla preparazione di questo culto, mi è stato suggerito di prendere una storia biblica particolare, un passo biblico che parlava di donne. Ero tentata, ma quasi subito ho detto no. Prendo i versetti del giorno, va bene, di solito uso il lezionario internazionale, questa volta “Un giorno una parola”. Ogni storia biblica racconta qualcosa della nostra vita, che ha a che fare con la nostra vita. E le cifre dicono che la violenza domestica ha a che fare con la nostra vita, più di quanto vogliamo ammetterlo. È il nostro modo di vivere. Non è un’emergenza, è il nostro modo di vivere che deve essere impostato in un altro modo, e le scritture ci indicano in quale modo.

Volendo si può anche dire che si tratta di un sogno che non fugge dalla realtà, ma che va verso la realtà.  Che non molla la realtà, non la tradisce, le rimane fedele, anzi è in ricerca della realtà, quella realtà per noi che Dio ha davanti ai suoi occhi. Sto parlando del sogno ribelle della speranza, è il sogno di tutto ciò che in questo mondo può essere diverso, meglio, più giusto, più umano. Un sogno che è stato sognato tenacemente in tutte le fasi della storia da uomini e donne che si sono opposti a un mondo disgregato e invivibile. Un sogno reale, perché convinti che non la disperazione, ma la speranza ha l’ultima parola. È il sogno di Gesù, dei suoi discepoli, dei profeti.

E uno dei sogni più imponenti l’abbiamo sentito stamattina, è quello del profeta Isaia. Lui lo fa quando gli esuli tornano da Babolonia. Il periodo nell’esilio era un tempo di riflessione, hanno riflettuto sulle loro origini e sopratutto sulla loro relazione con Dio, il fondamento della vita, e hanno trovato la via per uscire perché hanno scoperto la loro destinazione, non l’impero di Babilonia, ma il sogno secolare della visione di pace, cioè una società giusta: un mondo in cui si vive bene. Con questo sogno nello zaino tornarono in Israele, dove, chi viveva lì non capiva per niente. Per loro quella visione era come un  castello in aria. Che delusione per quelli che tornarono con delle aspettative così alte. Sì, bisogna arrendersi ai fatti e rassegnarsi alla situazione? come dicevano gli abitanti che erano rimasti e che hanno continuato la vita di ogni giorno come prima. Questo mai, dice il profeta Isaia e per non far perdere la visione, la sogna di nuovo ad alta voce, con parole di fuoco, come quelle che hanno messo in fiamme e fuoco gli esuli in Babilonia, anzi di più: si fa portavoce di Dio, perché sognare nella Bibbia è partecipare alle attese alte di Dio, fonte della nostra vita, concordi con lui di desiderare il grande futuro, la grande estate.

 

Qualcosa per cui il Dio ci strappa la più profonda ammirazione è la sua illimitata fedeltà al lavoro delle sue mani. Egli ha cominciato a lavorare con questa terra e imperturbabilmente continua questo suo lavoro. Frutto delle sue mani, per così dire: creando ha impegnato il suo cuore per sempre. È impossibile per lui  ritornare sui suoi passi. Nonostante tutto ciò che succede, si occupi di essa, perseveratemente e energicamente.

Ma nel frattempo questo mondo è capace solamente di deludere Dio. Sembra che non risponda alle sue attese. Invece di gioia, gli procura dolore e non penso che sia esagerato dire che ne soffre. Nonostante tutto ciò non rompe la relazione con questo mondo. Non lo sa abbondonare. Egli sarà  soprattutto deluso riguardo all’essere umano, all’umanità. L’aveva pensata in un altro modo, creandola a sua immagine. L’essere umano è stato il più grande investimento di Dio durante tutta la creazione. Gli aveva dato tutto. Aveva creduto in lui. Non l’essere umano in Dio, ma Dio nell’essere umano, nell’umanità. Aveva talmente tanta fiducia che gli ha posto questo mondo nelle sue mani. All’umanità l’onore di agire come il suo rappresentante, di condividere il suo amore per il mondo. Ma che fa l’essere umano, cioè che facciamo noi, distruggiamo invece di proteggere. Nonostante tutti i bei discorsi in favore della vita, la maggior parte dei nostri sforzi va in direzione opposta. È da diventare disperati, ma qui ancora una volta Dio ha più fiducia in noi di quanto noi abbiamo in noi stessi. La grazia che ci ha mostrato in Gesù mostra il suo attaccamento al suo progetto e così ci propone ancora una nuova possibilità. Negli sforzi religiosi l’essere umano tende a divinizzare se stesso, guardando verso il suo Dio, ma la direzione opposta sta davanti a noi. Non l’essere umano che deve diventare divino, ma il divino umano: una umanità vivibile, un mondo in cui la donna e l’uomo hanno la stessa dignità. Con l’incarnazione di Gesù Dio si impegna totalmente, fino a diventare egli stesso essere umano, uomo. Finalmente l’essere umano come egli aveva inteso dal principio, da cima a fondo a sua immagine. È questo ciò che Dio fa: nonostante tutto egli crede nella sua creatura, crede che ce la fa, che ce la può fare.

 

Poiché ecco, creo un nuovo cielo e una nuova terra. Ne abbiamo bisogno. Suona pieno di promesse. Tutto nuovo. E poi, che la terra abbia bisogno di essere rinnovata, non c’è dubbio, in mezzo alla situazione vergognosa in cui ci troviamo, una dimensione che viviamo ogni giorno, ma il cielo? Anche il cielo ha bisogno di essere rinnovato? Ci abbiamo mai pensato?! Il cielo per noi è un’immagine di perfezione. Non è rimasto intatto dal principio?

Invece, anche il cielo ha bisogno di rinnovamento. Il cielo ha conosciuto dei tempi migliori. Non per niente si legge dappertutto nella Bibbia il cielo e la terra, è una coppia. Il cielo non fa coppia con l’inferno, ma con la terra. Dio, fonte della nostra vita, li ha creati insieme, dipendono l’uno dall’altro. Insiemerappresentano la buona creazione. Il cielo è come fosse un tetto sulla terra, un riparo, una mano, una benedizione. La separazione come noi la conosciamo, la conosciamo come divisione, due cose separate: un matrimonio fallito per così dire o in termini più biblici: una relazione disfatta. Da quando la terra ha bandito dal suo orizzonte il cielo, il cielo non è più il cielo: zoppica da solo. Come tetto, senza muri, cade e si sfascia.

C’è il cielo, se c’è una terra.

Quando il cielo diventerà nuovo? Solo nella riconciliazione con la terra. Si rianimerà quando può sostenere la sua parte originale insieme alla terra: una crezione ininterrotta, un mondo abitabile. Ciò che Isaia vede è letteralmente  e metaforicamente il cielo sulla terra, cioè Dio che abita vicino agli uomini e alle donne. Una situazione totalmente nuova.

Come è per la terra, che sarà questa terra rinnovata, così anche per il cielo. Non dobbiamo pensare a una creazione totalmente nuova, ma anzi pensare a una ri-creazione, una ri-creazione del cielo e della terra esistenti. Non si tratta di una costruzione nuova, ma di ricostruzione.

Questo lavoro di conciliazione e rinnovamento è un lavoro difficile. Il cielo e la terra si sono separati tantissimo, è difficile riunirli. La realtà terrestre deve cambiare radicalmente per poter sopportare l’immediata presenza di Dio, per avere la capacità di sopportare la diretta vicinanza del cielo. Deve attraversare una crisi profonda: si tratta di una rinascita completa. E quanto lavoro c’è da fare ce lo ricorda la violenza sulle donne. Come detto prima, non si tratta di un’emergenza, bisogna rifondare le fondamenta del nostro vivere insieme.

Quando diventerà realtà la visione di Isaia, la nuova terra sarà la stessa su cui adesso camminiamo, ma cambiata, totalmente. Tutto ciò che la rende vecchia, sarà sparito: ingiustizia e violenza, malattia e miseria, immondizia e deterioramento. Guarite le fratture e le ferite, e quante sono ce lo dimostrano le storie di violenza domestica. Finalmente vedremo la terra come è stata intesa dal principio e finalmente vedremo il cielo nella sua vera figura: il cielo sulla terra.

Ecco, questo cielo e questa terra rimarranno. C’è una linea ininterrotta. Il futuro, la nuova creazione, non è un fatto a sé stante, ma è il risultato di ciò che Dio muove qui, adesso, la nostra storia. Il nuovo cielo e la nuova terra sono fatti dello stesso materiale di cui sono fatti il vecchio cielo e la vecchia terra, cioè noi, le sue creature. Quindi, la nostra vita su questa terra non è senza senso, ma va interpreta in un nuovo modo, quello che Dio mette davanti a noi. Un segno che la nostra speranza non è invana, ma che ha delle solidi basi. Così la terra, così l’umanità, non spariremo nella nebbia, possiamo rimanere chi siamo: figlie e figli di Dio. Avendo questa visione davanti ai nostri occhi, occhi di vigilanza, le nostre relazioni cambiano, anche quelle fra donne e uomini.  Come già questo vecchio mondo cambia di carattere, anche noi possiamo cambiare adesso. Amen.

 

Pred. Greetje van der Veer

 

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