Cos’è una promessa?

Luca 1,67-80

 

Care sorelle e cari fratelli,

cos’è una promessa? Possiamo spingerci in avanti con la fantasia e cercare nella nostra vita tempi, luoghi e persone che sono stati caratterizzati per noi dal senso profondo di una promessa: promesse d’amore, promesse di amicizia, promesse di lavoro, promesse di doni, promesse di abbracci, di mani tese e di sostegno nel bisogno, promesse confermate dai fatti, promesse rinnegate, promesse benedette e promesse tradite. Come è difficile credere ad una nuova promessa quando altre promesse si sono trasformate in fumo, in parole al vento.

Ma sopra ogni cosa la promessa è proprio una parola; ora fino a quando parliamo delle nostre parole certo abbiamo bisogno poi di trovare conferme in azioni concrete, le promesse umane non sono sufficienti, gli impegni presi nella parole devono poi devono diventare scelte conseguenziali, impegni, e promesse agiti, capaci di costruire veramente cose nuove. Le promesse devono trasformali le parole in atti. Una promessa detta deve diventare una realtà, una promessa agita, che sa far vedere che la parola della promessa non era cosa vana. Noi, uomini e donne, dobbiamo confermare le nostre promesse, dobbiamo realizzarle e così compierle, proprio come avevamo detto.

Ma, nonostante l’attesa tra la parola e l’azione della promessa, questa rimane un segno di benedizione. Una promessa è un’opera di benedizione, anche solo a livello dei rapporti umani, è un segno di parità, una parola che può guarire ferite passate, che può trasformare il tempo non più in un “non-tempo” di sofferenza, ma in un nuovo tempo di gioia. Ti prometto gioia!

Questo è il tempo dell’avvento, il tempo di una vita in avvento, la nostra vita è il tempo davanti alla promessa di Dio, davanti a quella parola già sufficiente in se stessa, una parola che agisce la promessa e la conferma proprio mentre la dice. Noi non attendiamo, nell’avvento, che Dio realizzi le promesse fatte, non stiamo aspettando che termini il travaglio per poi trovarci davanti al parto di Dio, al suo compimento. Tutte le promesse di Dio sono compiute, sono dietro di noi: “Il mondo ha raggiunto in Gesù Cristo il suo scopo e il suo fine. Tutto è già computo in lui. Dio non è soltanto un evento da attendere: esso è dietro di noi. Quando la chiesa predica, prega, testimonia, essa guarda indietro verso ciò che è già accaduto: il suo Signore è già venuto. L’ultima parola su di noi, sul mondo e sulla chiesa è già stata pronunciata. Viviamo su questo avvenimento e per questo ha senso il tempo dell’avvento: ci presentiamo davanti a colui che è venuto e che ha detto e fatto tutto per poterlo accogliere nella nostra esistenza” (Barth).

Noi ora siamo in attesa della vita piena, di vivere questa perfezione nella testimonianza, di poter dire: eccomi Signore sia fatta la tua volontà in me.

Noi siamo proprio come questo primo bambino del tempo dell’avvento, questo Giovanni per il quale Zaccaria canta la sua lode a Dio. Egli è il bambino testimone di Gesù quando questi non è ancora venuto. È una categoria particolare di testimoni: è il testimone prima! Prima dell’evento lui, il bambino di Zaccaria, per volontà di Dio ne è già il testimone. Egli, Giovanni, è proprio questo niente di più, è solo il testimone dell’Altissimo. Chi è allora questo bambino? Per rispondere a questa domanda non dobbiamo cercare nella sua carta di identità ma nella sua vocazione: egli è colui che è stato chiamato, scelto, dato alla storia per essere testimone dell’Altissimo, per annunciare che Gesù è colui che viene. Allora noi, la chiesa, questo siamo, solo questo ma addirittura questo: i testimoni di colui che è venuto e che continua a venire, è la gioia dell’avverarsi delle promesse di Dio. A noi non resta che la gratitudine, addirittura la gratitudine. In questo tempo di oscuri presagi di morte, di violenza, mentre siamo ostaggi dalla volontà di isolamento, di chiusure, mentre vince una cultura di odio, di inimicizia e i nostri giovani sono sempre più ostaggi della paura e dell’ignoranza con il rischio di ripercorrere antiche strade di dolore, in questo tempo la voca della chiesa – non c’è chiesa che non sappia gioire – deve alzarsi per testimoniare la gratitudine a Dio e la possibilità di essere testimoni del bene.

Questa è la nostra vocazione perché i nemici ancora sono alle porte. Ci sono nemici alle porte dell’Europa, nemici difficili da abbattere, ci sono nemici da respingere, allontanare, abbattere, ci sono nemici che vogliono parlare la nostra lingua e vivere come noi per poi colpirci alle spalle. Chi sono questi nemici, chi sono gli avversari? Chi ci libererà dalle mani dei nostri nemici? I nostri nemici sono: la superstizione, l’odio, la superficialità, l’infedeltà dei cristiani, l’eresia di considerare l’essere umano un nemico da respingere; i nostri nemici di cui il diavolo riempie i nostri cuori e le nostre menti hanno il nome della debolezza, della non curanza, del populismo, dell’arroganza, e della certezza che non si può fare nulla, che non si può più sognare una società più giusta e un tempo in cui le promesse del bene possano realizzarsi per tutti a prescindere dalle appartenenze religiose, etniche, sessuali, politiche, economiche.

Care sorelle e cari fratelli il nemico è l’infedeltà dell’uomo sull’uomo e questo è allora ancora di più il tempo della testimonianza che parte dalla gratitudine a Dio per il dono infinito della giustizia in Gesù Cristo. Questa testimonianza gioiosa inizia con il nome di Gesù nel quale noi tutti come dei nuovi Giovanni troviamo il senso della nostra vita, la condivisione della speranza perché Dio mantiene la sua fedeltà in eterno, anche in questo tempo, soprattutto in questo tempo. Egli è fedele alle sue promesse e ci dona il tempo della pace per vivere come figlie e figlie di Dio.

Amen.

 

past. Luca Anziani

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