Il frutto dello Spirito

 

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

nelle Filippine, il 14 febbraio, viene festeggiato tanto; è il giorno di San Valentino, il giorno degli innamorati. Sì, si sente tanto il bisogno di dare e di ricevere fiori e regali,  segni tangibili  d’amore per l’altro/a. E nello stesso giorno in cui molti di noi che siamo  nati in questa data riceviamo la gioia di sentire tanto amato. In quel giorno, mi sono riempita di messaggi, ho ricevuto molte telefonate da diverse parti del mondo tra tanti parenti e amici, lontani e vicini. Mi sono molto rallegrata e sono veramente grata al Signore per quell’amore che mi sono sentita riempire, come un bicchiere riempirsi d’acqua poco a poco.

Quanto amore è necessario per colmare questo mondo!. Finché questo mondo non passa penso che ce ne voglia per l’intera sua esistenza. Senza amore l’uomo continua a vivere nella tribolazione incessante. Non ha riposo e continua a vivere nella fatica. Così Dio Parola deve intervenire per donargli la sua pace. Il Signore disse: «Il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno» (Mc. 13,31)

 

Il testo della predicazione che ho scelto per questo oggi è sui frutti dello Spirito.

L’apostolo Paolo aveva scritto  alla comunità di Galasia, con intento direi molto forte, per esortare quella comunità e noi oggi ad accorgersi della crescita nel nostro essere credente di quel frutto, nato e maturato.

Infatti, questi specifici versetti, i vv. 22-23 non hanno solo parlato di amore, frutto dello Spirito (nato come un figlio) ma tra questi anche di gioia, di pace, di pazienza, di gentilezza, di generosità, di fiducia, di  mansuetudine, di autocontrollo. Sono elencati in nove, i frutti che quando hanno raggiunto la loro maturazione in noi ci sentiamo sazi, come cibi che danno tanti sapori buoni.

Non sappiamo come si elaborano nel nostro essere, è quello che chiamiamo unmiracolo  che Dio ha potuto fare nella nostra esistenza umana. Ciò che succede dentro di noi è un lavoro sicuramente molto impegnativo. Perché? Il seme nasce simile ad un figlio, come lo Spirito di Dio che da frutto. Essi sono figli chiamati per nome: amore, gioia, … Soffermandomi solo con l’effetto dell’amore, … quel  frutto dello spirito che quando si nasce e si cresce nel corpo terreno, collocata e trovata la giusta posizione nell’essere del credente,  raggiunge il massimo della sua manifestazione.

L’effetto si sente tanto prima dentro del proprio essere poi lo spinge a manifestare nel suo agire. Il cambiamento dunque parte dal di dentro così come conseguenza il frutto dello spirito di Dio in noi si coglie, si raccoglie nel tempo giusto dopo che ha già raggiunto la sua maturazione.

Ogni  frutto dello Spirito è un dono, rimane tale, è un regalo e non si acquista con il denaro ma si può percepire nel tempo giusto.

Un credente impara a rendersene conto ascoltando in sé la possibilità di crescere con l’aiuto che gli viene dato attraverso una spiegazione continua della Parola cioè leggendo sempre più la Bibbia, ascoltando le predicazioni, frequentandosi gli studi biblici e i fratelli e le sorelle di chiesa come deve essere. Non è, perciò, un prodotto della propria elaborazione dell’essere umano ma dello Spirito Istruttore, in chiunque, in lui  o in lei si elabora ma non è frutto di se stesso. Dio Spirito che aveva dato quel frutto. Dio aveva seminato il frutto dello Spirito.  In Gesù uomo aveva potuto far nascere,  in lui l’aveva coltivato e  l’aveva potuto raccogliere il frutto al massimo della sua possibilità.

 

Nella Bibbia Dio è presentato per primo il Dio Creatore nella creazione.

Poi il Signore agricoltore nella parabola della semente. Gesù nel vangelo di Giovanni il racconto della parabola  della vite e suoi tralci Dio era definito il vignaiolo. Colui che si era messo all’opera per fare in modo che la vite desse tanti frutti. Suoi tralci erano i suoi discepoli ben innestati per portare i frutti.  Gesù disse: «Io sono la vite voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta un frutto abbondante, perché senza di me non potete fare nulla».Gv.15,5

 

Il teologo Helmut Gollwitzer scrisse: “Se il discepolo vuole rimanere legato al suo Signore, dovrà costruire tutta la sua vita sulla parola di Dio; questa è la sua pratica della vita cristiana. Questa parola del Signore deve essere legata indissolubilmente alla vita del discepolo, esattamente come una casa edificata sulla roccia fa corpo unico con il proprio fondamento”.

 

Care sorelle e cari fratelli, l’apostolo Paolo aveva scritto alla comunità di Galasia queste parole divine. Il frutto dello Spirito sono queste.

Vi invito perciò di partire da un  fatto concreto e reale cioè dalla verità assoluta che non c’è frutto senza considerare questi elementi che hanno contribuito di avere un prodotto. Per avere un frutto ci devono essere questi: almeno un seme, un pezzo di terra su cui piantare,  un essere vivente (un uomo, una donna) che lo pianta e lo curi per farla raggiungere alla sua crescita, dando un frutto. Il miracolo accade quando questo seme trova la sua collocazione adatta. Così il successo di un seme è di far nascere un altro seme, completando il ciclo della sua vita che continua ad esistere.

Mi sono chiesta l’importanza di raggiungere il frutto dello Spirito nel contesto/nell’ ambiente dell’essere chiesa.  Se ne parla lì, ma difficilmente si raggiunga la sua maturazione perché  anche negli uomini e nelle donne di chiesa bisogna lavorare tanto, anche se lì laddove si potrebbe aspettare che quell’ essere è il buon terreno per piantare quel seme di amore, quel seme di gioia, quel seme di pace… di Dio  Spirito.

C’è da aspettare tanto per avere un buon frutto. Quel seme piantato deve crescere bene per dare frutto.

Noi chiesa di Dio, non dobbiamo ostacolare la crescita dei doni dello spirito abbandonando l’odio, l’egoismo, presunzione, .. non dobbiamo lasciarli che assumano e consumano il nostro essere occupandoci mente e cuore di tutta la nostra anima. Inoltre, perché laddove c’è la chiesa, in cui è disseminato, sparso quel buon seme viene trascurato a quell’opera di coltivarlo. Nella chiesa convertita dalla parola del Vangelo in Cristo Gesù  sembra che tutti i membri siano pronti a lavorare, a gettare quel «seme» che hanno ricevuto ma con la parola «frutto» chiave della comprensione dell’opera dello Spirito, il messaggio della salvezza  deve ancora prima elaborare nell’essere e attraverso l’essere di ciascuno individuo per essere fatto e pronto poi a seminare. Le parole buone e divine che Paolo aveva scritto ai Galati sono per noi oggi, che partecipiamo al loro destino di essere portato, offerto, condiviso,  gettato ovunque siamo. Se noi non facciamo l’attenzione a queste parole divine colui che ha piantato non vedrà il frutto di quello che ha seminato in noi. Questi versetti 22-23 del capitolo 5 ai Galati mi hanno fatto riflettere quanto importante ricordare la parola seminata in ciascuna /o di noi. Come il contadino che ha gettato il seme/i semi in terrene  diverse così Dio in Gesù l’ha fatto.

 

Ecco perché nella chiesa di Dio ci bisogno di capire se stessa e accettare che deve lavorare molto di se stessa per restituire quel frutto a colui che lo ha seminato. Senza quel lavoro di collaborazione non c’è frutto divino maturato, prodotto  nel tempo giusto, l’ora  dello Spirito. L’apostolo scrisse  ai Corinti: Io ho piantato, Apollo ha annaffiato Dio fa crescere. (1 Cor.3,6) Dio  ha donato il seme della Parola di vita che è cresciuto in ciascuno e ciascuna di noi per vedere e dimostrare che suo regno è già piantato sulla terra.

Così ci chiediamo. Ci facciamo un auto-esame.

Si può chiamare chiesa se non c’è amore, se non è abitata dell’ amore?

Si può chiamare chiesa se non c’è gioia, se non è abitata di gioia?, se non vi abita gioia?

Si può chiamare chiesa se non c’è pace, se non è abitata di pace? se non vi abita pace.

Si può chiamare chiesa se non c’è gentilezza, se non è abitata di gentilezza? se non vi abita gentilezza?

Si può chiamare chiesa se non c’è generosità, se non è abitata di generosità? se non vi abita generosità?

Si può chiamare chiesa se non  c’è fiducia, se non è abitata di fiducia? se non vi abita fiducia?

Si può chiamare chiesa se non  c’è mansuetudine, se non è abitata mansuetudine? se non vi abita mansuetudine?

Si può chiamare chiesa se non c’è autocontrollo? se non vi abita l’autocontrollo?

 

Come possiamo chiamarci chiesa se non siamo capaci di amare, di gioire, di essere pacifico, di essere gentile, di essere generoso, di essere fiducioso, di essere mansuetudine, di aver l’autocontrollo. Ci vuole tempo per farci maturare queste attitudini. Ci vogliono le armature  di Dio per  combattere e vincere,  per superare noi stessi del nostro egoismo, del nostro orgoglio di credere di sapere, di avere già raggiunto la maturità nella fede. Bisogna che ci fermiamo per cercare di capire se siamo una chiesa e se vogliamo che lo siamo. Perché così possiamo sentire che in noi qualcuno ha potuto piantare una parola all’altra, diversa dalle nostre parole che ha il potere di dare sazietà, compimento al nostro essere presente e viva.

Teniamo conto quel piccolo seme che ha avuto occasione di crescere giorno per giorno, attimo per attimo nel nostro essere trasformando la nostra vita dandoci amore, pazienza…..Il miracolo succede ancora nel tempo di un divenire, quella crescita che è avvenuta solo nel tempo di Dio Spirito nella nostra vita di credente dimorando, rimanendo fermi nella sua parola. L’apostolo Paolo coglie la nostra attenzione e ci invita a tornare al nostro piccolo prezioso seme che aveva anche lui gettato e seminato alle chiese antiche in onore della sua chiamata di essere portatore, ambasciatore della parola in Cristo Gesù. La parola di Dio così agisce in noi liberamente ma che ha bisogno la nostra predisposizione.

 

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

che cosa succederebbe se nella chiesa non si sente più il frutto dello Spirito? Che cosa succederebbe se nella chiesa non prevale più il frutto dello Spirito? Alla chiesa, alla comunità è donato lo Spirito di Dio nella quale opera per trasformare ogni membro di essa. Quell’ essere umano in cui ha avuto il seme, quella parola che è stata seminata in lui da un essere umano che con la sua mossa del gettare ha avuto come il terreno dove ha potuto attecchire e crescere. E’ nell’essere umano e attraverso l’essere umano che questo dono dello Spirito opera.   Gesù come diceva l’evangelista Marco, egli insegnava molte cose alla folla (a tutti, chiunque insieme ai discepoli) con parabole.(Marco 4,2). Ma quando fu solo con i suoi discepoli  gli istruiva(gli insegnava ) dandogli spiegazioni, risposte alle loro interrogazioni.

Le parabole che li raccontava avevano lo scopo di svelare i significati solo a questi e non a tutti come diceva loro: «a voi è stato dato il mistero del regno di Dio, a quelli fuori invece tutto si propone con parabole, perché vedendo vedano ma non capiscano, ascoltando ascoltino ma non comprendano, perché non si convertano e non siano perdonati»(Marco 4,10)Sappiamo come l’intento di Gesù di insegnare le parabole perché le sue parole sono come i semini  gettati perché nascano e crescano nei suoi discepoli.  «E’ per grazia che siete stati salvati». (Efesini 2,5) Amen

past. Joylin Galapon

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