Il pane della vita

Giovanni 6,47-51

Care sorelle e cari fratelli,
perché Gesù disse che lui era il pane della vita?
Non sarebbe stato sufficiente allora l’insegnamento che mangiare facesse solo il bene del corpo degli esseri viventi? così non morerebbero?
Non basterebbe soltanto dire di mangiare così uno non sarebbe morto?

Perché fino ad ora per chi crede in Dio non si senterebbe di vivere avendo soltanto il mangiare per sostenere il corpo? (che cosa vuol dire credere?)
Qual è la differenza del mangiare soltanto per vivere e dal mangiare per compiere qualcosa di utile per il mondo, sentendo il senso del proprio vivere?

Care e cari, qual è il senso del vostro/nostro vivere ancora oggi?

Leggendo un libro con il commento del pastore e prof. Ricca che ha intitolato: ‘Il pane e il regno’ egli tratta il significato del pane, in relazione alla preghiera di una delle richieste al Padre Nostro<<dacci il pane quotidiano>> in cui Gesù aveva insegnato ai suoi primi discepoli. Egli fa notare: Il mondo ha bisogno del pane, ne ha bisogno per sfamarlo ogni giorno, quotidianamente. Senza pane non c’è possibilità di vita. (Sì, questo e vero e lo sappiamo anche noi).
I discepoli avevano chiesto Gesù d’insegnarli a pregare, vuol dire forse e anche d’ insegnarli a chiedere le cose fondamentali, le cose che veramente contano e danno senso alla loro vita , e al tempo della loro esistenza, rendendola possibile, significativa, e bella. Cioè in fondo, anche noi che crediamo chiediamo a Dio di aiutarci a distinguere tra il pane e ciò che non è pane, tra le cose che valgono e le cose che sono superflue oggi. Questo insegnamento, che dobbiamo tener conto è fondamentale perché è il cibo che ci rende veramente vivi, ci fa esistere e ci dona la capacità di vivere come testimoni della nostra vita donata nel nome di Gesù Cristo.

Gesù disse: 49 I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. In questo versetto, egli ricordò ai figli di Israele dei loro antenati nel deserto che mangiavano la manna per 40 anni, ma morirono lo stesso. Così, rivelò ai suoi discepoli che per quanto riguarda il cibo lui aveva qualcosa di più prezioso da dire, da rivelare a loro, che essi riceveranno in dono. Essi continueranno a mangiare il cibo ma c’è qualcosa in più che gli donerà e per mezzo di lui sarà quella che non gli faranno più morire, è quel legame spirituale che non li faranno morire.

Nella liturgia cattolica, questo è il tempo di penitenza: fare la quaresima, osservare il precetto dell’astinenza e del digiuno. Con l’occasione meditiamo alla parola che ci richiama alla conversione, ci risuona anche a noi di questo dono di sé del Signore.
Mancano tre settimane prima che celebriamo la Pasqua. Festeggiamo il giorno della resurrezione di Gesù Cristo. Perché dobbiamo prepararci prima di quell’ora? Perché un dovere farlo. Perché non è un giorno qualunque? E’ un giorno speciale per ricordare , per rievocare insieme il dono della vita eterna che Dio l’ha affermata nella vita di Gesù. L’apostolo Giovanni aveva narrato questa testimonianza di Gesù su di se. Il tempo era giunto in questo episodio insieme il materiale e lo spirituale, il significato del pane come cibo materiale e spirituale dovevano raggiungere lo scopo di manifestare nell’ essere discepolo e discepola. La vita dell’essere si nutre con il cibo materiale e spirituale con il senso di compimento che si incarna nell’esperienza del discepolo e della discepola, in cui Gesù vivrà come aveva voluto essere nel cristiano/a.
Egli disse: <<Io sono il pane che da vita. <<io sono il vivente che vi da il pane poiché viviate a patto che crediate. Credendo in me vivete la mia vita>>.
<<Io sono la vostra vita e perché vivrete>>.Gesù donandosi la vita e morendo sulla croce, corpo e sangue, è stato offerto al mondo per il prezzo di riscatto e di liberazione dei nostri propri peccati diventa noi, credente, il cibo. Egli dice il pane della vita è la mia carne ; poiché la sua vita viva nel mondo. Allora ci chiediamo c’è un altro cibo diverso per il mondo? Non c’è ne, per noi che crediamo nella sua parola. Gesù è l’unico “pane” che dona sazietà all’umanità.

Preghiamo il padre nostro e diciamo <<Dacci oggi il nostro pane quotidiano>>. Perché dobbiamo chiedere ancora di darci questo pane se l’abbiamo già avuto, sapendo che è già stato offerto e donato? Durante la nostra partecipazione della santa cena , la nostra comunione, viene commemorata il significato di essa e la ripetizione di quel gesto è memoriale “Ce lo ricorda e ci ricordiamo insieme mangiando, e spezzando il pane il nostro vero legame di fraternità in Gesù il Cristo nostro salvatore.”
La Parola di Dio è verità ma dobbiamo impararla, studiarla e meditarla nel suo vero senso per oggi poiché viva in ciascuno di noi. I padri della chiesa che l’avevano studiata, ci avevano insegnato e trasmesso la passione di essere capaci di distinguere il significato della fede vissuta dalla superstizione soprattutto a noi figli dei padri protestanti della Parola, perché siamo generati e viviamo dalla parola di grazia , perché siamo generati dalla parola che ci fa vivere questo nuovo giorno.
Ancora una volta, non parliamo qui di un altro giorno, ieri o domani ma oggi stesso.
Qui, in questo nostro mondo di oggi abbiamo imparato tanto dalle nostre esperienze e siamo stati anche capaci di realizzare delle innovazioni ma ciò nonostante siamo ancora affamati dal progresso, facendo che la ricerca continui.
Dov’è Dio che ha donato il cibo per la sua creazione?
Dov’è Gesù che dona se stesso per essere il cibo a migliaia di persone?
La risposta a queste domande è accentuata dalla nostra capacità di testimoniare la nostra fede che viviamo predicando nel nostro vissuto il significato della vita eterna oggi.
Gesù esclamò: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva» Giovanni 7, 37
e disse ancora: «Io sono il pane della vita, chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete» (Giovanni 6,35)
Un fratello di chiesa ha scritto una sua riflessione su questi versetti dicendo che Fame e sete…
– incubo di generazione di uomini e donne che non ne hanno a sufficienza
– incubo di molti nostri contemporanei, che ne hanno fin troppo e non sanno gestire l’abbondanza: il terribile paradosso del mondo moderno è che se 2/3 dell’umanità patisce la fame, il restante 1/3 deve curarsi da malattie legate al troppo mangiare!

Gesù usa un’immagine vicina alla nostra esperienza
– cibo e bevande, strumenti per placare sete e fame
– per descrivere gli effetti che può avere accogliendo l’Evangelo.
Sono per molti versi stupefacenti: innanzitutto l’Evangelo è un dono, non qualcosa da conquistare o guadagnare. È un dono completo: bevanda e cibo, tutto ciò che serve alla vita. Infine richiede la nostra partecipazione: ciascuno può andare a Gesù. E chi andrà a Lui, troverà ricche benedizioni!

L’evangelista Giovanni nel capitolo 6 ha messo l’episodio della moltiplicazione dei pani per cinquemila uomini dai versetti 1 a 15 e poi quello del pane della vita da vv. 22 a 59 dove è collocato i 4 versetti che stiamo riflettendo.
Gesù nel primo episodio egli era colui che aveva diviso i pochi pani in molti pezzi perché tutti potessero mangiare e poi come se non bastasse in quel gesto dello spezzare, della divisione per avere un momento di condivisione e di comunione egli aveva manifestato anche la sua volontà di donare se stesso, quel vero significato di donare ciò che è e ciò che ha. Insegnandoci la sua partecipazione completa e totalmente gratuita. Questo è davvero un insegnamento prezioso che Gesù il nostro maestro ha sottolineato nella possibilità e volontà di coinvolgimento.
Per essere un membro di ogni comunità, ad esempio di questa comunità nostra, è importante che ci ricordiamo della nostra appartenenza di essere confessanti di un credo, di essere corpo di Cristo Gesù che con questi gesti di partecipazione, ci nutriamo la parola e la pratica dell’essere suoi discepoli. Per essere un membro di questa comunità nostra è importante che ci ricordiamo della nostra appartenenza verso l’uno l’altro. Il nostro nutrimento dunque è la parola del Signore e anche quella del nostro fratello e della nostra sorella di questa comunità che si manifesta nell’edificazione continua. Quando questo insegnamento di Gesù che ha fatto non viene praticato quotidianamente diventa anche un cibo sprecato.

Cara sorella e caro fratello il pane sostiene la vita.
Il pane è un dono. Il pane suscita condivisione.
Il pane è comunione. Non esitare allora di partecipare, di coinvolgerti nella sua distribuzione. Gesù disse: io sono il pane della vita.
Gesù e per me e per te l’unico nostro nutrimento.

Tocca a noi oggi discutere e fare esame di coscienza con noi stessi che cosa facciamo di Cristo in noi come cibo da offrire per sfamare chi ne ha bisogno. Nel nostro contesto , il testo biblico fa emergere in noi la volontà di rinnovare la nostra capacità di distribuire ciò che abbiamo per sfamare tutti noi.

La nostra non conoscenza con l’altro non ci permette di donare quello che possiamo e che opportuno condividere nella vita di oggi. Amen.

past. Joylin Galapon

Prendere la Parola

Domenica 7 aprile alle ore 15.30, la Chiesa metodista di Roma organizza l’incontro “Prendere la Parola. Donne protestanti attraverso la storia“.

Un incontro alla scoperta di alcune figure femminili del protestantesimo attraverso i secoli.

Intervengono:

  • Franca Zucca, avventista, illustrerà la vita di Ellen White
  • Angelita Tomaselli, valdese, illustrerà la vita di Sojourner Truth
  • Elaine Cavanagh, dell’esercito della Salvezza, illustrerà la vita di Catherine Mumford Booth
  • Doris Esch, luterana, illustrerà la vita di Elisabeth Cruciger
  • Antonella Scudieri, battista, illustrerà la vita di Aretha Franklin

 

Al termine sarà offerto un aperitivo conviviale.

 

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Giustizia di genere, diritti di tutte e tutti

Venerdì 29 marzo la nostra chiesa ospita l’apertura del XII Congresso della FDEI.

Alle ore 17.00  laTavola Rotonda “Giustizia di genere, diritti di tutte e tutti” intervengono:

on. Elly Schleinm eurodeputata, Letizia Tomassone, pastora valdese, e Francesca Koch, presidente della Casa Internazionale delle donne di Roma. Modera Gianna Urizio.

Al termine lo spettacolo teatrale “Quattro donne si raccontano“, di e con Fiammetta Gullo. Seguirà un aperitivo conviviale.

 

Tutte e tutti siete invitati!

 

Sulla barca con Pietro

Matteo 14, 22-33:

22 Subito dopo, Gesù obbligò i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, mentre egli avrebbe congedato la gente. 23 Dopo aver congedato la folla, si ritirò in disparte sul monte a pregare. E, venuta la sera, se ne stava lassù tutto solo.
24 Frattanto la barca, già di molti stadi lontana da terra, era sbattuta dalle onde, perché il vento era contrario. 25 Ma alla quarta vigilia della notte, Gesù andò verso di loro, camminando sul mare. 26 E i discepoli, vedendolo camminare sul mare, si turbarono e dissero: «È un fantasma!». E dalla paura gridarono. 27 Ma subito Gesù parlò loro e disse: «Coraggio, sono io; non abbiate paura!». 28 Pietro gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire da te sull’acqua». 29 Egli disse: «Vieni!». E Pietro, sceso dalla barca, camminò sull’acqua e andò verso Gesù. 30 Ma, vedendo il vento, ebbe paura e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31 Subito Gesù, stesa la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32 E, quando furono saliti sulla barca, il vento si calmò. 33 Allora quelli che erano nella barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Veramente tu sei Figlio di Dio!».

 

Il racconto bellissimo di “Gesù che cammina sul mare”, così come ci viene riportato dall’evangelista Matteo (diversamente da Marco 6, 45-52 e Giovanni 6, 15-21), ha due protagonisti principali che conosciamo molto bene: da una parte Pietro; dall’altra parte Gesù.

Chi è Pietro? La Bibbia ci presenta Pietro come un discepolo avventato, impulsivo, intraprendente e istintivo. Pietro è un discepolo che in diverse occasioni dimostra di non avere pazienza.
È infatti Pietro che durante la trasfigurazione di Gesù (Matteo 17, 1-13; Marco 9, 2-13; Luca 9, 28-36) suggerisce di fermarsi sul monte e di costruire delle tende per Gesù, Mosè ed Elia. Si stava troppo bene su quel monte, circondati dalla gloria di Dio, per scendere. Eppure non sapeva cosa stesse dicendo. Aveva parlato di getto senza pensare.

È sempre Pietro che dice a Gesù che non lo avrebbe mai rinnegato (Matteo 26, 30-35; Marco 14, 26-31; Luca 22, 31-39; Giovanni 13, 36-38). Per la precisione Pietro dice: «Quand’anche tu fossi per tutti un’occasione di caduta, non lo sarai mai per me»; «Quand’anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Eppure i vangeli ci raccontano un esito diverso. Poco dopo sarà proprio Pietro a rinnegare per ben tre volte Gesù prima del canto del gallo per evitare di essere scoperto e catturato (Matteo 26, 69-75; Marco 14, 66-72; Luca 22, 55-62; Giovanni 18, 15-18 e 25-27), proprio come aveva predetto Gesù.

E ancora è sempre Pietro che verrà definito da Gesù stesso “Satana” (Matteo 16, 21-23; Marco 8, 31-9,1) perché non voleva che andasse a Gerusalemme a morire: «Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini». Potremmo andare avanti con gli esempi, ma già appare chiaro che la Bibbia ci presenta Pietro come un discepolo avventato, impulsivo, intraprendente e istintivo; un discepolo che dimostra a più riprese di non avere pazienza; un discepolo che ama Gesù e che vorrebbe seguirlo ovunque, ma che si tira indietro nei momenti più difficili.

E anche nel nostro racconto compare lo stesso Pietro. Però stavolta non è da solo. Si trova infatti insieme agli altri discepoli su una barca in mezzo a un lago di notte. Gesù ha congedato

la folla, è andato a pregare in solitudine su un monte e ha lasciato andare avanti i discepoli. E mentre si trovano a molti stadi lontani da terra (quindi completamente in mezzo al lago), i discepoli sono colti da una tempesta con il vento che alza grandi onde contro la loro barca nel buio della notte. Stavolta Pietro si trova in questa prova, prima fisica e poi spirituale: sarà davvero Gesù colui che mi incoraggia e mi chiama? Pietro non lo sa: «Signore, se sei tu, comandami di venire da te sull’acqua». Se…! Pietro è dubbioso ancora prima di provare a camminare sull’acqua. Eppure lui è Pietro, il discepolo avventato, impulsivo, intraprendente, istintivo e quindi ci prova lo stesso. Ci prova lo stesso e fallisce perché, al posto di concentrarsi su Gesù, rivolge il suo sguardo verso il vento e si spaventa.

Un po’ come quando ci troviamo a salire su un sentiero di montagna scosceso oppure a scalare una roccia (vi sarà successo di sicuro almeno una volta nella vita) che, al posto di pensare alla meta da raggiungere, guardiamo in basso e le vertigini ci fanno tremare le gambe e perdere l’orientamento.

Così ancora una volta Pietro, il discepolo impavido, dubita, ha paura della minaccia, dell’insicurezza, della morte e inizia ad affondare e ad affogare.

Come è possibile leggere e ascoltare questa storia senza immedesimarci almeno per un secondo in Pietro? La situazione che attraversa l’apostolo è qualcosa che conosciamo molto bene. Su quella barca, insieme a Pietro, ci siamo trovati o ci troviamo anche noi.
A partire da questo testo sorgono spontanee alcune domande: chi sono io? Sono come Pietro? Quali prove ho attraversato o sto attraversando? Quali difficoltà sto patendo? Forse anche noi, come Pietro, siamo stati intraprendenti, ma poi, quando è arrivata la difficoltà, abbiamo dubitato o dubitiamo e ci sentiamo sprofondare nel buio. Forse anche noi, come Pietro, sentiamo che la nostra fede vacilla.

Mi ricordo che mi è stato raccontato che il pastore Scrajber, che svolse il suo servizio presso le chiese battiste della Val di Susa e di Milano nella prima metà del ‘900, era solito domandare dopo il culto domenicale “come sta la tua fede?”, al posto del classico “come stai?”. Già, come sta la nostra fede?

Ma facciamo un passo indietro, come dicevo all’inizio del mio discorso, Pietro non è l’unico grande protagonista di questo racconto. L’altro personaggio che entra in scena nel pieno della notte (alla quarta vigilia, ovvero circa le 3.00 del mattino) è Gesù. E anche in questo caso, come abbiamo fatto con Pietro (chi è Pietro?) e con noi stessi (chi sono io?), potremmo chiederci: Chi è Gesù? Questa sembra essere l’altra questione che si cela sotto il testo. Infatti Gesù prende diversi nomi.

In primo luogo, Egli viene scambiato per un fantasma. I discepoli vedono qualcosa avvicinarsi nel buio camminando sull’acqua e si spaventano, gridano dalla paura e pensano di aver visto un fantasma.
Subito Gesù li incoraggia a non avere paura e lui stesso si definisce “sono io”. Stavolta Gesù ricorda un po’ le parole che Dio rivolge al profeta Mosè: «io sono colui che sono» (Esodo 3, 14). Un Gesù che da fantasma diviene Qualcuno che rimanda a Dio.

Poi viene ipotizzato essere il Signore, colui nel quale riporre la propria fiducia.
Infine, Gesù viene riconosciuto essere il Figlio di Dio (titolo cristologico per eccellenza). Insomma, Gesù ha tante identità in questo racconto e la percezione che Pietro e i discepoli hanno di Lui si evolve nel corso della narrazione. Un Gesù che nella tempesta, nella prova, nelle grida di paura, nel rischio di affogamento, prende diverse forme e solo alla fine viene riconosciuto come il Figlio di Dio, come Colui che salva Pietro dall’abisso stendendo subito la mano al suono del suo grido: «Signore, salvami!».

La percezione dell’identità di Gesù va di pari passo con la fede di Pietro e del resto dei discepoli. È la stessa questione che il testo rivolge a noi oggi: chi è Gesù per noi? Un fantasma? Forse il Signore di cui fidarci? Il Figlio di Dio? Nelle difficoltà non è facile confidare in Dio. È normale avere poca fede e dubitare. È normale pensare che non ci sarà nessuno a salvarci dall’abisso che sentiamo sotto di noi, nessuno che verrà a soccorrerci. È normale non vedere in Dio il nostro punto di riferimento e scambiarlo per un fantasma.

Eppure non deve essere questa sensazione di incredulità a sopraffarci. Anche alla fine della nostra storia, Gesù dimostra di conoscere bene la condizione umana e si rivolge a Pietro dicendo: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Gesù non chiede a Pietro di essere un paladino della fede; sa bene che Pietro dubiterà ancora e ancora. La fede è sempre “poca fede”, un misto di coraggio e di paura, di ascolto del Signore e di sguardo rivolto al vento, di fiducia e di dubbio. Il dubbio è parte della fede. Lo dimostra il fatto stesso che Gesù dica a Pietro di non dubitare sotto forma di domanda e non di affermazione. Gesù invita piuttosto Pietro a credere che quando starà per affondare ancora, il Signore lo salverà ancora. La presenza salvifica di Dio non cancella le tempeste, ma si sperimenta nelle tempeste. Il credente sa che il Signore comprende il suo dubbio, lo supera e può salvarlo subito.

In questo senso, sono molto espressive le parole del pastore battista Martin Luther King: “Se avete fede in Dio come me questa mattina, non dovrete preoccuparvi. Potete stare in piedi nel mezzo delle tempeste. E questa mattina vi dico per esperienza, sì, che ho visto un lampo di luce. Ho sentito il rombo del tuono. Ho sentito il peccato infrangersi e provare a conquistare la mia anima. Ma ho sentito la voce di Gesù che mi dice ancora di lottare. Lui ha promesso di non lasciarmi mai, di non lasciarmi mai da solo. E quando avete questa fede, potete camminare con i vostri piedi saldi sul terreno e a testa alta e non temere nulla”1.

Quindi se abbiamo attraversato o se stiamo attraversando un momento difficile (magari per una malattia nostra o di nostro caro; magari per un lutto; magari per il senso di colpa che proviamo per un errore commesso; magari per la sofferenza dovuta alla fine di una relazione importante), se ci siamo trovati o se ci troviamo su quella barca, è normale dubitare. È normale non avere più forze, non vedere la luce, perdere la speranza. Eppure il Signore è con noi nella tempesta! Nell’ora più buia, proprio quella prima dell’alba, c’è il Dio che ci soccorre. L’ora più buia è anche l’ora della risurrezione!

Cari fratelli e care sorelle, possa questa consapevolezza rischiarare le nostre vite e la nostra fede. Possa farci vedere in Colui che è vicino a noi non un fantasma, ma il Signore, “Colui che è”, che ha mandato Gesù, suo Figlio, a salvarci, tendendoci la mano nel buio della notte.

Amen!

Simone Di Giuseppe

Le tentazioni

Matteo 4,1-11

“La grande mascherata del male ha scompaginato tutti i concetti etici. Per chi proviene dal mondo concettuale della nostra etica tradizionale il fatto che il male si presenti nella figura della luce, del bene operare, della necessità storica, di ciò che è giusto socialmente, ha un effetto semplicemente sconcertante; ma per il cristiano (….) è appunto la conferma della abissale malvagità del male. (…) Il fanatico crede di potersi opporre al potere del male armato della purezza di un principio (…) Ma viene dilaniato dall’enormità dei conflitti nei quali è chiamato a scegliere, consigliato e guidato da nient’altro che la sua personale coscienza. Gli innumerevoli travestimenti, rispettabili e seducenti, nei quali il male gli si fa incontro, rendono ansiosa e insicura la sua coscienza, finché egli finisce coll’accontentarsi di salvarla, anziché di mantenerla buona (…) C’è chi invece, sfuggendo al confronto pubblico, sceglie l’asilo della virtù privata. Ma costui deve chiudere occhi e bocca davanti all’ingiustizia che lo circonda…” (pp. 60-61, Resistenza e Resa)

Quelle che vi ho letto sono parole scritte da Bonhoeffer nel lontano 1942 a bilancio di un decennio di attività lavorativa ed esperienze di vita, in un momento storico grandemente travagliato, quello della II guerra mondiale, e pertanto anche colmo di tentazioni.

Diavolo – letteralmente colui che fa inciampare e che divide – e tentazioni, termini che nelle nostre chiese protestanti occidentali si fa fatica a declinare, mentre sono ancora una realtà ben presente per le nostre sorelle e fratelli dall’Africa o dall’Asia. Eppure in questo testo il diavolo e le tentazioni mostrano la loro effettività e persino la loro attualità se guardiamo al nostro vissuto di credenti. Direi anche perché il Gesù sottoposto alle tentazioni le vive da vero uomo, chiamato da Dio ad una missione.

L’azione si svolge nel deserto, luogo da sempre ambivalente nella storia biblica.
Israele incontra Dio nel deserto e qui riceve le Tavole della Legge, ma è sempre qui che viene tentato e che si mette ad adorare il vitello d’oro. Lo stesso accade a Gesù che si ritira nel deserto per pregare in solitudine, per incontrare il Padre, ma è anche il luogo dove viene tentato.

È paradossale!
È come se noi venissimo tentati, sfidati, in chiesa, nel luogo in cui ci ritiriamo per sentirci più vicini a Dio, il luogo dove desideriamo adorarlo e pregarlo.
Altro elemento interessante da sottolineare è che Gesù è portato nel deserto dallo Spirito Santo, come se Dio stesso volesse provare la sua tempra morale prima di affidargli la grande missione, come se volesse fargli fare un percorso accidentato e pieno di pericoli per rafforzare il suo carattere prima della sfida del ministero e della morte in croce.
In effetti anche noi a volte ci sentiamo come testati da Dio sia come singoli sia come chiese evangeliche…

Ed ecco le tre tentazioni a cui Gesù viene sottoposto: una fa leva sulla necessità fisica del cibo per la sopravvivenza; l’altra sulla voglia di apparire trionfatore, di avere successo personale; l’altra ancora sul desiderio di potere.

In queste tre tentazioni il punto centrale e comune denominatore non è il riconoscimento di Gesù come Messia, ma la sfida a vivere ed agire indipendentemente dal Padre.

Nella prima tentazione si fa leva su un bisogno primario, quello di nutrirsi, per avvallare la possibilità umana di soddisfare ogni proprio desiderio a prescindere dall’ubbidienza a Dio.

Come Gesù patì la fame, anche Israele nel deserto soffrì la fame. In questo frangente quel che potrebbe emergere è quali devono essere le reali priorità dell’essere umano. Israele rispose che era meglio essere schiavi in Egitto ed avere qualcosa da mangiare che morire di fame nel deserto.

Gesù invece risponde: “Egli…ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna…per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma…di quanto esce dalla bocca del Signore.”

Forse dovremmo ricordarci di questa Parola di Gesù quando usiamo i bisogni nostri e dei nostri cari per allontanarci dalla volontà di Dio. Soprattutto dovremmo pensarci in una società dove si usa il necessario, come il lavoro, per costringerci ad essere schiavi di certe realtà economiche e sociali profondamente ingiuste.

Diavolo è chi vuole farci scegliere tra il lavoro di migliaia di operai e la salute di un’intera popolazione come l’Ilva di Taranto. Diavolo è chi ci vuol far barattare una salsa di pomodoro e delle arance a buon mercato con la vita da schiavi di tanti migranti.

E l’elenco potrebbe continuare…
Eppure in questo tempo liturgico di inizio Quaresima, in questo tempo in cui il nostro paese è ancora in crisi, l’esperienza dell’essere privati dei bisogni personali primari, o di quelli che riteniamo tali, sebbene certamente dolorosa, per noi credenti è possibile viverla senza lasciarsi andare alla disperazione, ma invece tornando a riflettere su quale base poggia fortemente la nostra esistenza.
La seconda tentazione riguarda il desiderio di “visibilità”, popolarità, successo personale che il Messia avrebbe dovuto incarnare per essere considerato tale.
Il secondo suggerimento di Satana, tocca nel profondo il contesto messianico del ministero di Cristo perché questi gli ricorda la profezia di Malachia (3:1): un Messia che entra trionfalmente nel suo tempio, scendendo dal cielo.
Il diavolo gli domanda: perché non fai subito quello che la gente si aspetta presentandoti in maniera imponente e maestosa?
Leggendo questa tentazione sono sicura che molti di voi hanno pensato al modo trionfale e fastoso con cui si presenta la Chiesa Cattolica. Certo per noi sarebbe facile puntare il dito contro questa confessione e dire: noi siamo diversi. Ma è poi così vero?

Se anche a noi venisse offerta la possibilità di presentarci alla società civile al meglio, trionfalmente, saremmo in grado di dire no? E perché dovremmo farlo?
Il diavolo, citando le Scritture, sottilmente fa intendere a Gesù che questa è forse anche la volontà di Dio…

Ecco il vero volto subdolo del male che prende l’aspetto del bene per spingere l’essere umano verso un cammino di morte e di schiavitù…
Cosa propone il diavolo a Gesù se non semplicemente di lasciar perdere la fatica di un ministero posto sempre in questione, l’umiliazione della sconfitta e la sofferenza della morte in croce?

Ma non è proprio questo cammino sofferto che Gesù deve compiere per rivelare l’amore di Dio al mondo? Condividere le sofferenze dell’umanità essendo vero uomo; mostrare la prospettiva del Regno nella sua predicazione controcorrente e nei segni visibili di guarigione e resurrezione non per costringere l’umanità ad aderire ad un’evidenza gloriosa, ma per convertirla alla volontà di vita di Dio.

Cosa dice questa scelta di Gesù a noi credenti di oggi?
E veniamo alla terza tentazione quella in cui il diavolo vuole offrire a Gesù il potere sul mondo.
In effetti, è il piano di Dio che Gesù sia il reggente del mondo, anche se di un mondo totalmente diverso da quello attuale.

In questo frangente, però, il padre della menzogna dice la verità: è lui il padrone di questo mondo, lui che ne detiene il potere.
Anche qui le finalità di Satana si mischiano, distorcendola, alla missione vera di Gesù. Diventare il Re di tutto, senza sofferenza, senza la croce e soprattutto senza ubbidire a Dio.

Insomma la prospettiva di Satana è quello di spingere Gesù a superare il suo status creaturale e a divenire lui stesso Dio.
La risposta di Gesù è perentoria, citando anche lui le Scritture, afferma: bisogna adorare solo Dio!!

“Adora il Signore Iddio tuo” non è soltanto una questione di culto liturgico ma, alla luce dell’Antico Testamento, è un mettere in pratica il suo patto, la sua giustizia, l’amore per il prossimo, a cominciare da coloro che sono ai margini della società. Significa non adorare gli idoli del mondo e quindi non avere altro Signore nella vita che Dio. Ammettere che DioèDioealuisolovailculto.

Su questa affermazione finale da parte di Gesù che non lascia spazio ad altre opportunità, si potrebbe riflettere su cosa per noi oggi significa adorare solo Dio!
Il contrasto è evidente soprattutto in questa nostra società che definiamo post-cristiana, secolarizzata.

Dio non è più al centro della nostra esistenza, sostituito dalle innumerevoli possibilità materiali e dalle tante opportunità che i nostri contesti socio-economici ci fanno intravedere.

La ricerca del successo e del potere determinano oggi il valore di ciascun individuo.
Non si vale perché si è, ma per ciò che si ha!
Le tentazioni emergono in scenari alla cui base stanno rapporti umani inquinati e le ingiustizie sono frutto di un rapporto con Dio che l’uomo non sente più necessario.

Si può benissimo essere dei “credenti-senza fede” o dei “credenti senza impegno” il tutto all’insegna del fatto che ciascuno di noi può essere sufficiente a se stesso senza bisogno di Dio…

Gesù ha resistito alla tentazione di porre i suoi bisogni prima di Dio; ha pure resistito alla tentazione di compiere miracoli per il gusto di soddisfare il proprio orgoglio o le pressioni della gente.

Le sue azioni sono state di servizio e in continua comunione con il Padre. Gesù non viene sconfitto dalla tentazione, sia essa proveniente dal Diavolo o dal proprio io. Egli sa farsi servitore e vince, vince anche per noi aprendo le porte al tempo della pace messianica di cui stiamo attendendo la realizzazione.

In questo tempo che ci separa dalla realizzazione, però, le tentazioni rimangono ancora forti e presenti. Eppure la lettera agli Ebrei ci dice che per questo Gesù è diventato il nostro sommo sacerdote, colui che può intercedere per noi, al quale possiamo avvicinarci in preghiera con piena fiducia.

Dobbiamo imparare a invocare Dio con fiducia perché ci permette di cambiare il sistema dell’aiuto visto come compromesso, per entrare nella dimensione del gratuito.
E la chiesa, come comunità di credenti, può guardare a Gesù nei tempi di forte crisi come i nostri perché egli c’insegna che le nostre debolezze e fragilità non sono alibi, ma risorse di umanità all’interno di una dimensione di promessa del Signore.

Chiedere aiuto nel nome del Signore questo ci può sostenere e le sue promesse ci possono permettere di riprendere il nostro cammino.
Allora vi lascio con la domanda che Bonhoeffer usa per chiudere la sua riflessione sull’essere umano e il suo agire: “chi resta saldo? Solo colui che non ha come criterio ultimo la propria ragione, il proprio principio, la propria coscienza, la propria libertà, la propria virtù, ma che è pronto a sacrificare tutto questo quando sia chiamato all’azione ubbidiente e responsabile nella fede e nel vincolo esclusivo a Dio.” (p. 62, Resistenza e Resa)

 

Amen

Past. Mirella Manocchio

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Un solo battesimo, una sola fede: contronto tra cattolici e metodisti

Martedì prossimo 12 marzo , all’interno del percorso che stiamo facendo insieme alla parrocchia di santa Maria degli angeli e dei martiri,  si svolgerà l’incontro “Un solo battesimo, una sola fede”.

l’appuntamento è alle ore 18.30 con ingresso in via Cernaia.

Vi aspettiamo!

Serata in compagnia di Karl Barh

Marta e Maria

Luca 10, 38-42

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,
nel capitolo 10 del vangelo di Luca ci narra 4 episodi: nei versetti da 1 a 12 racconta la missione dei 70 discepoli, (ricordiamo però che all’inizio, Gesù aveva scelto i dodici discepoli, poi i 70. I 70 avevano avuto l’istruzione di compiere la loro missione e di andare in due in due e proseguire il loro cammino fermandosi casa per casa).
da 13 a 16 Gesù rimprovera le città impenitenti,
da 17 a 24 il resoconto della missione compiuta dai 70 discepoli e Gesù che conferma l’opera dello Spirito Santo in mezzo a loro,
da 25 a 37 il racconto della parabola del buon samaritano,
infine da 38 a 42 la missione di Gesù svolta nella casa di due sorelle Marta e Maria.
Gesù per questa volta era capitato di fermarsi a casa di due donne.

Quale era la missione svolse Gesù nella vita di queste donne? Certamente, svelare la buona notizia come era in qualsiasi luogo dove passava e andava.
Ecco, il racconto era iniziato nella casa delle due sorelle adulte, due persone autonome, due donne che vivevano da sole. Gesù incontrò loro per farle sentire ciò che stava annunciando a tutti.
Come queste parole: “Il tempo è compiuto e il regno è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo (Mc. 1,15)
“La tua fede ti ha salvato” Va in pace (Lc.7,50).
“Oggi, la salvezza è entrata in questa casa”. ( Lc.19,9)
Beati i misericordiosi perché a loro misericordia sarà fatta (Mt.5,7 )
E non solo. Noi leggendo i racconti dei vangeli ci siamo accorti che Gesù non aveva mai scelto chi con cui parlare.
Egli non escludeva nessuno e tutti e tutte erano coinvolti, dai bambini ai grandi. Lui istruiva tutti e nel suo potere di guarire riusciva a far passare il messaggio concreto della salvezza, coinvolgere e accattivare la loro attenzione, gioia e stupore dominavano nei cuori delle persone che gli seguivano.

Maria era così incantata forse dalle buone notizie, dalle belle parole che ascoltava da Gesù mentre sua sorella Marta doveva fare ciò che aveva imparato bene dai suoi antenati /genitori come doveva essere una donna accogliente. Allora alla donna, veniva delegata il mestiere di casa e la cura dei bambini. Marta era quella portata a fare le cose in casa, era esperta di faccende domestiche.
Ma le due sorelle, Marta e Maria ci avevano fatto osservare che erano anche diverse tra di loro, non erano tutte e due uguali, i loro comportamenti erano diversi. Esse erano presentate dal vangelo di Luca come due donne dai comportamenti diversi ed è così che le abbiamo identificate. Marta aveva ereditato la tradizione ebraica di quel popolo in cui le donne furono impegnate soltanto alle faccende domestiche, allevando i figli Maria invece previlegiava ascoltare quello che diceva Gesù.

Ho provato a immaginarmi al posto di Marta, perché a volta mi trovo ad accogliere delle persone, amici/che, parenti che si fermano per qualche giorno(a casa pastorale) e ho pensato molto a quella fatica di dovere fare tutto in casa.
Ho anche pensato molto ai gesti di accoglienza, offrire qualcosa da mangiare e un letto ad un ospite. In questo episodio Marta aveva cercato di dare la massima attenzione a Gesù, sentendosi di essere la padrona di casa. Era veramente un’accoglienza massima nei confronti di Gesù. Si era messa a lavorare in cucina cucinando forse molte cose così si era sentita stanca che le aveva portato alla fine a lamentarsi(proprio al loro ospite)?

Gesù nel fermarsi da Marta e Maria, accadde qualcosa, una svolta, un cambiamento epocale per le donne, quello a cui siamo arrivati oggi a elaborare in parte perché il comportamento delle due donne continuerà a progredire nel loro modo di concepire la loro possibilità e capacità di evolversi. Nulla le vieta perché era Gesù stesso il loro maestro a suscitare la curiosità e anche a farle rendere conto chi erano e che sono tutt’ora(ricordiamo la storia primordiale della prima donna che si chiamava Eva). Sì, Maria era un’altra(ma sempre stata lei, quella donna che aveva creato YWHW il Dio creatore . Eva era curiosa, voleva sapere e conoscere la sua identità e la realtà in cui ci muoveva.
Maria si identificava a lei, la sua passione di ascoltare le mostrava di essere una curiosa, voleva forse sapere perché Gesù aveva bussato a casa loro, che cosa voleva da loro anche si erano donne.

Gesù disse: «Marta, Marta, tu ti affanni e sei agitata per molte cose, ma una cosa sola è necessaria. 42 Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta». Come comprendiamo queste frasi di Gesù? Il mestiere di casa è messa in discussione in questo episodio. Perché la scelta di Maria era giusta?
Mi sono immaginata al posto di Maria. Sento molto la sua curiosità di ascoltare le parole di Gesù. Studiare( la Bibbia) è la mia passione e anche cucinare (quindi una donna riesce a fare tutti e due e anche di più) .
Quando leggo i testi biblici che raccontano ciò che aveva fatto Gesù, il modo in cui aveva parlato, comunicando in parabole il regno di Dio, sono cose che mi piacciono molto e leggerle e ascoltarle continuamente mi appassionano. Le medito e penso che quello che sia stato, quello che era accaduto a Marta e Maria è un bel ricordo di un passato che possiamo tranquillamente dare un buon giudizio che dobbiamo riconoscere per quello che riesce fare una donna definita “multi-tasking”.

Mentre Maria ascoltava Gesù come punto di partenza nasceva in lei una volontà di capire, innanzitutto di capire se stessa. Quella che poteva essere che in molte anni non poteva fare, studiare, parlare di Dio davanti a tutti, la famosa frase dell’apostolo Paolo: ad es.«Come si fa in tutte le chiese, le donne tacciano nelle assemblee»1 Co 14,34. A causa di qualcuno o di una tradizione di un popolo alla donna era sottratta qualcosa, qualcuno l’ aveva privato, bloccato allo sviluppo della sua potenzialità di esprimere la sua identità a suo tempo, così di sicuro non era il Signore Dio colui che l’creata a impedirgliela.
Quella possibilità di poter parlare(come ora) in conseguenza di dare voce alle donne oppresse, che riescano a lottare per la parità di diritti o l’uguaglianza dei diritti, maschio e donne sono uguali e complementari.

Questi erano soffocati prima e ora dopo anni di autovalutazione attraverso la cultura abbiamo potuto riscoprire/svelare le cose che aveva voluto Dio sin dall’inizio della creazione come progetto all’uomo «li creò maschio e femmina» a sua immagine e somiglianza. Così le donne prendendo in mano la situazione, hanno capito la loro sorte.
Non si può tornare in dietro! Grazie a Dio, le nostre chiese storiche avevano toccato questo tema in relazione dell’annuncio del Vangelo che chiunque lo può fare.
La salvezza è per tutti e annunciarla, proclamarla con la voce femminile è un successo nel ambito del ministero femminile. Siamo arrivati a confermare che le donne sono capaci di predicare. Il ministero femminile è un ruolo molto importante nella chiesa. La capacità della donna di predicare sta nel suo svolgere il compito(ruolo) di mamma, di moglie, di donna pastora, incarnandosi (quella)la parola nel rendere il servizio quotidianamente.
I ruoli di Marta e Maria, due donne, due identità distinte in questo racconto di Luca ci porta ad attribuire l’inizio del ministero femminile che diventerà una delle caratteristiche vincenti delle chiese protestanti storiche con le loro capacità “manageriale” di gestire e portare avanti la chiesa.
In una donna abbiamo capito che cosa vuol dire accoglienza espressa in parole diverse: istruzione, insegnamento, impegno, pratica, e servizio. Ella può tutto, l’ ha potuto incarnarsi. Ora si vede nel mondo la capacità delle donne e in molti luoghi o spazi non c’è più bisogno di alzare la voce per farle sentire come nel passato.
Ma è importante ricordarcelo (ricordare ciò che ha raggiunto). Ora, tu, donna scegli ciò che conta per te, è fondamentale che ti confronti con te stessa e con i tuoi valori.

Gesù fu conosciuto nel Nuovo Testamento come il difensore delle donne ad es. la donna adultera, la samaritana. Egli era stato amato da loro per il suo modo di accoglierle e considerarle .
Gesù era un maestro e Maria ha scelto di ascoltare per farsi istruire dal maestro di vita, l’ istruttore del regno di Dio attraverso il racconto delle parabole. Quello che Gesù le insegnava le faceva bene.
Gesù aveva un cuore per le donne/le stava a cuore. Allora, che cosa vuol dire ascoltare? che cosa vuol dire ascoltare e saper ascoltare ciò che diceva Gesù?

Penso che ascoltando e riascoltando il messaggio evangelico di questo brano ci sveli che le donne abbiano imparato a conoscere le loro qualità attraverso uno studio approfondito e poi capire chi sono e quello che possono contribuire. Nella chiesa, come nella nostra chiesa, le nostre sorelle si impegnano a svolgere compiti diversi e anche molto bene.
Il passo successivo della donna è di saper scegliere? La sua sorte dipende dalla sua scelta? che cosa deve fare una donna per essere contenta, per sentirsi appagata dopo una lotta. Sembra che Gesù abbia dato un suggerimento a Marta. A lei la scelta che non è un’ imposizione o un voler dare un ordine da eseguire ma farle rendere conto che tutte le cose che si fanno, vanno fatte con gioia senza affaticarsi più del dovuto poi sentirsi la gioia di servire segno di gratitudine a Dio per quella che è.
A nome del nostro Signore Gesù Cristo noi donne abbiamo imparato che cosa vuol dire prestare attenzione all’altro. La scelta di Maria di ascoltare Gesù è un atteggiamento per essere istruita.
Il maestro Gesù ci ha istruite, innanzitutto come rispettare noi stesse così dobbiamo ora continuamente farci rispettare dagli altri, dal genere maschile.
Ho avuto una sensazione forte e rinnovata che Gesù da questo racconto ha avuto un ruolo di mediatore, arbitro tra i ruoli di queste donne che le ha unite, le ha riconciliate dall’atteggiamento umano che tende a distinguersi, a separarsi. Quindi possiamo confermare di nuovo che in Gesù si crea comunione e unità nelle diversità. Amen.