Le tentazioni

Matteo 4,1-11

“La grande mascherata del male ha scompaginato tutti i concetti etici. Per chi proviene dal mondo concettuale della nostra etica tradizionale il fatto che il male si presenti nella figura della luce, del bene operare, della necessità storica, di ciò che è giusto socialmente, ha un effetto semplicemente sconcertante; ma per il cristiano (….) è appunto la conferma della abissale malvagità del male. (…) Il fanatico crede di potersi opporre al potere del male armato della purezza di un principio (…) Ma viene dilaniato dall’enormità dei conflitti nei quali è chiamato a scegliere, consigliato e guidato da nient’altro che la sua personale coscienza. Gli innumerevoli travestimenti, rispettabili e seducenti, nei quali il male gli si fa incontro, rendono ansiosa e insicura la sua coscienza, finché egli finisce coll’accontentarsi di salvarla, anziché di mantenerla buona (…) C’è chi invece, sfuggendo al confronto pubblico, sceglie l’asilo della virtù privata. Ma costui deve chiudere occhi e bocca davanti all’ingiustizia che lo circonda…” (pp. 60-61, Resistenza e Resa)

Quelle che vi ho letto sono parole scritte da Bonhoeffer nel lontano 1942 a bilancio di un decennio di attività lavorativa ed esperienze di vita, in un momento storico grandemente travagliato, quello della II guerra mondiale, e pertanto anche colmo di tentazioni.

Diavolo – letteralmente colui che fa inciampare e che divide – e tentazioni, termini che nelle nostre chiese protestanti occidentali si fa fatica a declinare, mentre sono ancora una realtà ben presente per le nostre sorelle e fratelli dall’Africa o dall’Asia. Eppure in questo testo il diavolo e le tentazioni mostrano la loro effettività e persino la loro attualità se guardiamo al nostro vissuto di credenti. Direi anche perché il Gesù sottoposto alle tentazioni le vive da vero uomo, chiamato da Dio ad una missione.

L’azione si svolge nel deserto, luogo da sempre ambivalente nella storia biblica.
Israele incontra Dio nel deserto e qui riceve le Tavole della Legge, ma è sempre qui che viene tentato e che si mette ad adorare il vitello d’oro. Lo stesso accade a Gesù che si ritira nel deserto per pregare in solitudine, per incontrare il Padre, ma è anche il luogo dove viene tentato.

È paradossale!
È come se noi venissimo tentati, sfidati, in chiesa, nel luogo in cui ci ritiriamo per sentirci più vicini a Dio, il luogo dove desideriamo adorarlo e pregarlo.
Altro elemento interessante da sottolineare è che Gesù è portato nel deserto dallo Spirito Santo, come se Dio stesso volesse provare la sua tempra morale prima di affidargli la grande missione, come se volesse fargli fare un percorso accidentato e pieno di pericoli per rafforzare il suo carattere prima della sfida del ministero e della morte in croce.
In effetti anche noi a volte ci sentiamo come testati da Dio sia come singoli sia come chiese evangeliche…

Ed ecco le tre tentazioni a cui Gesù viene sottoposto: una fa leva sulla necessità fisica del cibo per la sopravvivenza; l’altra sulla voglia di apparire trionfatore, di avere successo personale; l’altra ancora sul desiderio di potere.

In queste tre tentazioni il punto centrale e comune denominatore non è il riconoscimento di Gesù come Messia, ma la sfida a vivere ed agire indipendentemente dal Padre.

Nella prima tentazione si fa leva su un bisogno primario, quello di nutrirsi, per avvallare la possibilità umana di soddisfare ogni proprio desiderio a prescindere dall’ubbidienza a Dio.

Come Gesù patì la fame, anche Israele nel deserto soffrì la fame. In questo frangente quel che potrebbe emergere è quali devono essere le reali priorità dell’essere umano. Israele rispose che era meglio essere schiavi in Egitto ed avere qualcosa da mangiare che morire di fame nel deserto.

Gesù invece risponde: “Egli…ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna…per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma…di quanto esce dalla bocca del Signore.”

Forse dovremmo ricordarci di questa Parola di Gesù quando usiamo i bisogni nostri e dei nostri cari per allontanarci dalla volontà di Dio. Soprattutto dovremmo pensarci in una società dove si usa il necessario, come il lavoro, per costringerci ad essere schiavi di certe realtà economiche e sociali profondamente ingiuste.

Diavolo è chi vuole farci scegliere tra il lavoro di migliaia di operai e la salute di un’intera popolazione come l’Ilva di Taranto. Diavolo è chi ci vuol far barattare una salsa di pomodoro e delle arance a buon mercato con la vita da schiavi di tanti migranti.

E l’elenco potrebbe continuare…
Eppure in questo tempo liturgico di inizio Quaresima, in questo tempo in cui il nostro paese è ancora in crisi, l’esperienza dell’essere privati dei bisogni personali primari, o di quelli che riteniamo tali, sebbene certamente dolorosa, per noi credenti è possibile viverla senza lasciarsi andare alla disperazione, ma invece tornando a riflettere su quale base poggia fortemente la nostra esistenza.
La seconda tentazione riguarda il desiderio di “visibilità”, popolarità, successo personale che il Messia avrebbe dovuto incarnare per essere considerato tale.
Il secondo suggerimento di Satana, tocca nel profondo il contesto messianico del ministero di Cristo perché questi gli ricorda la profezia di Malachia (3:1): un Messia che entra trionfalmente nel suo tempio, scendendo dal cielo.
Il diavolo gli domanda: perché non fai subito quello che la gente si aspetta presentandoti in maniera imponente e maestosa?
Leggendo questa tentazione sono sicura che molti di voi hanno pensato al modo trionfale e fastoso con cui si presenta la Chiesa Cattolica. Certo per noi sarebbe facile puntare il dito contro questa confessione e dire: noi siamo diversi. Ma è poi così vero?

Se anche a noi venisse offerta la possibilità di presentarci alla società civile al meglio, trionfalmente, saremmo in grado di dire no? E perché dovremmo farlo?
Il diavolo, citando le Scritture, sottilmente fa intendere a Gesù che questa è forse anche la volontà di Dio…

Ecco il vero volto subdolo del male che prende l’aspetto del bene per spingere l’essere umano verso un cammino di morte e di schiavitù…
Cosa propone il diavolo a Gesù se non semplicemente di lasciar perdere la fatica di un ministero posto sempre in questione, l’umiliazione della sconfitta e la sofferenza della morte in croce?

Ma non è proprio questo cammino sofferto che Gesù deve compiere per rivelare l’amore di Dio al mondo? Condividere le sofferenze dell’umanità essendo vero uomo; mostrare la prospettiva del Regno nella sua predicazione controcorrente e nei segni visibili di guarigione e resurrezione non per costringere l’umanità ad aderire ad un’evidenza gloriosa, ma per convertirla alla volontà di vita di Dio.

Cosa dice questa scelta di Gesù a noi credenti di oggi?
E veniamo alla terza tentazione quella in cui il diavolo vuole offrire a Gesù il potere sul mondo.
In effetti, è il piano di Dio che Gesù sia il reggente del mondo, anche se di un mondo totalmente diverso da quello attuale.

In questo frangente, però, il padre della menzogna dice la verità: è lui il padrone di questo mondo, lui che ne detiene il potere.
Anche qui le finalità di Satana si mischiano, distorcendola, alla missione vera di Gesù. Diventare il Re di tutto, senza sofferenza, senza la croce e soprattutto senza ubbidire a Dio.

Insomma la prospettiva di Satana è quello di spingere Gesù a superare il suo status creaturale e a divenire lui stesso Dio.
La risposta di Gesù è perentoria, citando anche lui le Scritture, afferma: bisogna adorare solo Dio!!

“Adora il Signore Iddio tuo” non è soltanto una questione di culto liturgico ma, alla luce dell’Antico Testamento, è un mettere in pratica il suo patto, la sua giustizia, l’amore per il prossimo, a cominciare da coloro che sono ai margini della società. Significa non adorare gli idoli del mondo e quindi non avere altro Signore nella vita che Dio. Ammettere che DioèDioealuisolovailculto.

Su questa affermazione finale da parte di Gesù che non lascia spazio ad altre opportunità, si potrebbe riflettere su cosa per noi oggi significa adorare solo Dio!
Il contrasto è evidente soprattutto in questa nostra società che definiamo post-cristiana, secolarizzata.

Dio non è più al centro della nostra esistenza, sostituito dalle innumerevoli possibilità materiali e dalle tante opportunità che i nostri contesti socio-economici ci fanno intravedere.

La ricerca del successo e del potere determinano oggi il valore di ciascun individuo.
Non si vale perché si è, ma per ciò che si ha!
Le tentazioni emergono in scenari alla cui base stanno rapporti umani inquinati e le ingiustizie sono frutto di un rapporto con Dio che l’uomo non sente più necessario.

Si può benissimo essere dei “credenti-senza fede” o dei “credenti senza impegno” il tutto all’insegna del fatto che ciascuno di noi può essere sufficiente a se stesso senza bisogno di Dio…

Gesù ha resistito alla tentazione di porre i suoi bisogni prima di Dio; ha pure resistito alla tentazione di compiere miracoli per il gusto di soddisfare il proprio orgoglio o le pressioni della gente.

Le sue azioni sono state di servizio e in continua comunione con il Padre. Gesù non viene sconfitto dalla tentazione, sia essa proveniente dal Diavolo o dal proprio io. Egli sa farsi servitore e vince, vince anche per noi aprendo le porte al tempo della pace messianica di cui stiamo attendendo la realizzazione.

In questo tempo che ci separa dalla realizzazione, però, le tentazioni rimangono ancora forti e presenti. Eppure la lettera agli Ebrei ci dice che per questo Gesù è diventato il nostro sommo sacerdote, colui che può intercedere per noi, al quale possiamo avvicinarci in preghiera con piena fiducia.

Dobbiamo imparare a invocare Dio con fiducia perché ci permette di cambiare il sistema dell’aiuto visto come compromesso, per entrare nella dimensione del gratuito.
E la chiesa, come comunità di credenti, può guardare a Gesù nei tempi di forte crisi come i nostri perché egli c’insegna che le nostre debolezze e fragilità non sono alibi, ma risorse di umanità all’interno di una dimensione di promessa del Signore.

Chiedere aiuto nel nome del Signore questo ci può sostenere e le sue promesse ci possono permettere di riprendere il nostro cammino.
Allora vi lascio con la domanda che Bonhoeffer usa per chiudere la sua riflessione sull’essere umano e il suo agire: “chi resta saldo? Solo colui che non ha come criterio ultimo la propria ragione, il proprio principio, la propria coscienza, la propria libertà, la propria virtù, ma che è pronto a sacrificare tutto questo quando sia chiamato all’azione ubbidiente e responsabile nella fede e nel vincolo esclusivo a Dio.” (p. 62, Resistenza e Resa)

 

Amen

Past. Mirella Manocchio

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