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Sojourner Truth

Pubblichiamo l’intervento di Angelita Tomaselli su Sojourner Truth, tenuto durante l’incontro “Prendere la Parola” del 7 aprile scorso.

La Bibbia è la fonte primaria di autorità per le donne nere. Nelle sue pagine esse hanno imparato a rifiutare gli stereotipi che descrivono la loro gente come semplici numeri che reagiscono soltanto all’onnipresente oppressione razziale.

Il conoscere i racconti su Gesù del Nuovo Testamento aiuta le donne a prendere coscienza degli alloggi inadeguati, del superlavoro delle madri, del sottolavoro dei padri, dell’analfabetismo funzionale, della malnutrizione ancora diffusi nella comunità nera.

Tuttavia, come donne timorate di Dio, esse sostengono che la vita dei neri è qualcosa di più di una reazione difensiva a circostanze oppressive di angoscia e disperazione. La vita della gente nera è la ricca e variopinta creatività che è emersa e riemerge nella sua ricerca della dignità umana.

Il comprendere la tradizione profetica della Bibbia rende le donne nere capaci di elaborare una serie di valori, secondo il loro proprio punto di vista, oltreché di capire, radicalizzare e talvolta distruggere gli orientamenti negativi imposti dalla società nel suo complesso.

Esse sono come profetesse contemporanee, che chiamano altre donne a sbarazzarsi anch’esse delle ideologie oppressive e dei sistemi di credenze che presumono di definire la loro realtà. La coscienza femminista nera può essere più accuratamente identificata come coscienza “womanist” nera[1].

La parola “womanist” è stata introdotta dalla scrittrice africana americana Alice Walker[2]con una definizione in forma di lemma di dizionario, per sottolineare la pluralità dei significati del termine.

Uno di questi è “colei che è impegnata nella sopravvivenza e nel benessere del popolo intero, uomini e donne[3], ma sono contemplate altre sfumature: l’importanza delle reti familiari e sociali centrate sulle donne e su valori e tradizioni dell’Africa occidentale, le relazioni tra donne, l’attivismo collaborativo, la dimensione spirituale.

Attiviste quali Alice Walker, bell hooks, Delores Williams, Audre Lorde e Angela Davis, costruirono tra gli anni Sessanta e Settanta un paradigma per dare nome al potere trasformato delle azioni di resistenza individuale e collettiva al razzismo, al sessismo e allo sfruttamento di classe. Cardine di questo paradigma è la critica al concetto astratto di donna, che nella sua assenza di specificazioni presuppone la sostanziale omogeneità nelle esperienze dei soggetti di genere femminile[4].

Per le teoriche e le attiviste africane americane, il carattere di universalità presente nel termine “donna” non è neutrale, ma nasconde rapporti di potere così profondamente sbilanciati a favore delle americane bianche da rendere l’appartenenza al genere femminile un elemento fra gli altri, non il solo e non necessariamente il principale, per un indicare come un soggetto si situa nel mondo.

Negli anni Novanta il vocabolario critico del pensiero womanist si arricchisce del contributo della giurista e attivista africana americana Kimberlé Crenshaw, che introduce il concetto di intersezionalitàper descrivere la complessità delle forme di oppressione di cui hanno fatto esperienza le donne nere.

Nel corso degli anni Novanta il termine è entrato a far parte del vocabolario degli studi di genere e post coloniali per dar voce non solo ai contributi delle africane americane, ma anche a quelli di soggetti provenienti da ex colonie o da percorsi di migrazione, che vivono forme diverse di discriminazione multipla.

La coscienza femminista delle donne afroamericane non può essere compresa e spiegata senza tener conto del contesto storico in cui le donne nere si sono trovate ad agire come soggetti morali.

In tutta la storia degli Stati Uniti lo stretto rapporto tra la supremazia bianca e la superiorità maschile ha caratterizzato la realtà della donna nera, facendone una situazione di lotta: lotta per sopravvivere contemporaneamente in due mondi contraddittori, l’uno bianco, privilegiato e oppressivo, l’altro nero, sfruttato ed oppresso.

La donna nera, in quanto schiava, aveva lo status di un oggetto posseduto: il padrone aveva su di lei un potere assoluto, e negava a lei e ai suoi figli i più elementari legami sociali, quelli della famiglia e della parentela.

Come schiava e femmina, la donna nera doveva subire ogni genere di prevaricazioni. Nella cultura bianca erano correnti certi preconcetti circa la natura della gente nera, come “esseri di un ordine inferiore”, come una specie che stava tra il mondo animale e quello degli esseri umani.

La tradizione womanist nera fornisce l’incentivo per erodere le strutture oppressive. Le womanist nere s’identificano con quei personaggi biblici che si aggrappano alla vita nonostante un’oppressione schiacciante.

Delores Williams in Sisters in the Wilderness[5]propone una complessa declinazione teologica del pensiero womanist che, attraverso una lettura dei due racconti biblici di Genesi 16:1-16 e Genesi 21:9-21 dal punto di vista della schiava egiziana Agar, elabora l’esperienza storica di oppressione delle sue antenate che vissero in schiavitù in America.

La lettura womanist mette in rilievo la trama sottostante il conflitto tra Agar e Sara attraverso due temi: la maternità e la sopravvivenza legata all’esperienza del deserto.

Il forte valore simbolico del deserto è documentato dalle autobiografie delle ex schiave, in cui ricorre il tema di Dio come unico sostegno.

Tra queste, ha forte valore simbolico e storico la testimonianza della ex schiava e attivista Sojourner Truthdurante un suo famoso discorso alla Women’ Right Convention in Ohio, nel 1852: “Ho partorito tredici figli e li ho visti quasi tutti venduti in schiavitù. E quando ho gridato l’angoscia di una madre, soltanto Gesù mi udì[6].

Una delle più famose ed ammirate donne afro-americane della storia degli Stati Uniti, Sojourner Truth cantava, predicava e discuteva nei raduni all’aperto in giro per il paese, guidata dalla sua devozione al movimento anti schiavistico e dal suo ardente desiderio di perseguire i diritti delle donne.

Oratrice affascinante ed implacabile profetessa, Sojourner incantava l’uditorio con le storie sulla sua vita in schiavitù e con le sue toccanti interpretazioni di inni metodisti e di inni da lei stessa conosciuti.

Frederick Douglass ha descritto il suo messaggio come “una strana combinazione di testimonianza e saggezza, di selvaggio entusiasmo e di un buonsenso duro come una pietra”.

La vita di Sojouner[7]attraversa il periodo della schiavitù e dell’emancipazione. Nacque sul finire del 1790 e visse fino al 1883.

Ha vissuto approssimativamente metà della sua vita in schiavitù a New York, città che divenne “stato libero” il 4 Luglio 1827, e l’altra metà l’ha vissuta come donna emancipata.

Il 1843 fu un momento di svolta per Sojourner. Divenne metodista e cambiò il suo nome da Isabella Baumfree a Sojourner Truth. Disse ai suoi amici: “Lo Spirito mi chiama ed io devo andare”.

Così si mise in viaggio ed iniziò a predicare sull’abolizione della schiavitù.

Si guarda alla vita di Sojourner come esempio delle lotte, tipiche della schiavitù, per l’umanità e la libertà. La sua vita dopo l’emancipazione rappresenta la ricerca delle donne nere di avere voce, autonomia ed uguaglianza che caratterizzano il periodo dell’emancipazione.

Lo straordinario racconto “Narrative of Sojourner Truth”, pubblicato per la prima volta nel 1850, offre uno sguardo unico sul mondo della schiavitù nel Nord degli Stati Uniti.

Truth racconta la sua vita come schiava nella New York rurale, la sua separazione dalla famiglia, la sua conversione religiosa e la sua vita come predicatrice in viaggio negli anni’40 del 1800.

Sojourner racconta anche del suo lavoro come riformatrice sociale, consulente di ex schiavi e promotrice di una migrazione nera verso l’ovest degli Stati Uniti.

Come lo storico Nell Painter nota, in diversi modi Sojourner era “una donna afro americana rappresentativa” di questi due periodi. Truth era rappresentativa delle lotte di quel periodo così come delle speranze e delle ricerche sotto il profilo spirituale[8].

Sojourner ha viaggiato per il paese cogliendo l’opportunità di parlare, anche quando parte della folla preferiva che ella rimanesse in silenzio.

La sua voce era quella pubblica sollevata per intraprendere la battaglia per l’uguaglianza delle donne nere e dei neri in generale.

Frances Gage racconta che prima del famoso discorso di Sojourner “Nonsono io una donna” tenuto ad Akron, nell’Ohio, alcune persone nella folla urlarono, “Non lasciatela parlare, non lasciatela parlare”. Sojourner era determinata a rispondere alla pretesa che gli uomini avessero diritti e privilegi superiori rispetto alle donne. Un ministro di culto nella folla dichiarò, “se Dio avesse voluto l’uguaglianza delle donne, egli avrebbe dato loro qualche segno della sua volontà attraverso la nascita, la vita e la morte del Salvatore[9].

Sojourner si fece strada sul davanti e con la folla in protesta, iniziò a parlare.

Il tumulto si placò all’improvviso, ed ogni occhio era puntato su questa quasi figura di Amazzone, che in piedi era alta circa sei piedi, testa dritta, ed occhi perforanti l’aria sovrastante, come qualcuno che sogna.

Alla sua prima parola ci fu un profondo silenzio[10].

Sojourner si accattivò la folla e pronunciò il suo discorso.

Sojourner era ben nota ad amici, sostenitori e a coloro i quali si opponevano a lei e al suo programma.

Nel “Book of Life” di Sojourner, ella racconta di un incontro con il Presidente Abramo Lincoln per ringraziarlo del suo ruolo nella liberazione degli schiavi. Sojourner ha ringraziato il Presidente Lincoln per essere uno strumento di Dio per emancipare la sua gente. Ella ha ammesso al Presidente di non aver mai sentito parlare di lui prima che si candidasse come Presidente.

Lincoln le sorrise e le rispose, “Ho sentito parlare di te molte volte prima di questa”. Nella maniera in cui Sojourner era ben nota e ben rispettata da molti, un giornale del New Jersey fece commenti dispregiativi e stereotipici su di lei.

Il giornale riportava che una chiesa in Springfield, Union Country, New Jersey fu “honored on Wednesday night by the presence of that lively old negro mummy [sic], whose age ranges among the hundreds – Sojourner Truth – who fifty years ago was considered a crazy woman. When respectable churches consent to admit to the houses open for worship of God every wandering negro minstrel or street spouter who profess to have a peculiar religious experience, or some grievance to redress, they render themselves justly liable to public ridicule…

She is a crazy, ignorant, repelling negress, and her guardians would do a Christian act to restrict her to private life[11].

Sojourner non fu dissuasa dalla sua missione da una simile diffamazione di reputazione.

Mentre gli abusi sessuali di Sojourner non vengono più menzionati nel suo “Book of Life”, la questione se lei fosse o meno una donna era solo una disumanizzazione.

Sebbene Nell Painter contesti la validità del racconto, Frances Gage raccontava che Sojourner si denudò il seno per provare che era davvero una donna. Sojourner continuò a camminare orgogliosamente “con l’ariadi una regina” e a combattere per il diritto di parlare dell’oppressione delle donne e dei neri in generale.

Vale la pena di riportare, dalle pagine del racconto su Sojourner già menzionato, la testimonianza che riguarda l’approccio che la donna aveva nei confronti delle Scritture. Neill Painter riferisce che Sojourner si faceva leggere la Bibbia da persone adulte ma questo comportava il fatto che esse apportassero sempre dei commenti ai passi.

Così la donna decise di farsi leggere la Bibbia dai bambini, sicura del fatto che essi non avrebbero commentato. Ciò divenne prassi per lei. E questo è dovuto al fatto che Sojourner desiderava confrontare i racconti biblici con la testimonianza di cui ella era portatrice e concluse che lo spirito della verità ha parlato in quei racconti ma i narratori li hanno mescolati alle loro idee ed interpretazioni. Questo è indubbiamente uno dei tratti che contraddistinguono l’energia ed il carattere indipendente di Sojourner Truth.

 

Angelita Tomaselli

 


[1]Vedi Katie Geneva Cannon, “L’emergere della coscienza femminista nera” in Letty M. Russell, Interpretazione femminista della Bibbia, Cittadella Editrice, Assisi 1991, p. 39 sgg.

[2]Vedi A. Walker, In Search of Our Mothers’ Gardens: Womanist Prose, Harcourt Brace Jovanovich, San Diego 1983, pp. 11-12. La Walker chiarisce che il termine womanistderiva “da womanish (contrapposto a girlish, ossia frivolo, irresponsabile, non serio): una femminista nera o una femminista di colore.” Il movimento womanist riguarda solo le donne nere e quelle di colore degli USA, senza confronto o contrapposizione con le femministe bianche.

[3]Vedi A. Walker, In Search, cit., p. 11.

[4]Cfr. P. Ottone, Il punto di vista womanist su Agarin L. Tomassone, Figlie di Agar. Alle origini del monoteismo due madri, Effatà Editrice, Torino 2014, p. 96 sgg.

[5]D. Williams, Sisters in the Wilderness: The challenge of Womanist God-Talk, Orbis Books, Maryknoll, NY 1993.

[6]…and when I cried with my mother’s grief, none but Jesus heard me!” Sojourner Truth, citata in D. Williams, Sisters, cit., p. 38.

[7]Vedi A. Elaine Brown Crawford, Hope in the Holler. A Womanist Theology, Westminster John Knox Press, Kentucky 2002, pp. 49-51.

[8]Sulla figura di Sojourner Truth vedi Nell Painter, Sojourner Truth: A Life, a Symbol, W. W. Norton, New York 1996; Henry Louis Gates Jr., Narratives of Sojourner Truth: A Bondswoman of Olden Time, with a History of Her Labors and Correspondence Drawn from Her “Book of Life”, Oxford University Press, New York 1991; Gilbert Olive, Narrative of Sojourner Truth, Dover Publications, New York 1997.

[9]Henry Louis Gates Jr., Narratives of Sojourner Truth, cit., pp. 132-133.

[10]Ibid., p. 133.

[11]Ibid., pp. 203-204.

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