La nostra bussola

 

Isaia 50,4-9a:

4 Il Signore, DIO, mi ha dato una lingua pronta, perché io sappia aiutare con la parola chi è stanco. Egli risveglia, ogni mattina, risveglia il mio orecchio, perché io ascolti, come ascoltano i discepoli.
5 Il Signore, DIO, mi ha aperto l’orecchio
e io non sono stato ribelle,
non mi sono tirato indietro.
6 Io ho presentato il mio dorso a chi mi percoteva,
e le mie guance a chi mi strappava la barba;
io non ho nascosto il mio vòlto
agli insulti e agli sputi.
7 Ma il Signore, DIO, mi ha soccorso;
perciò non sono stato abbattuto;
perciò ho reso la mia faccia dura come la pietra
e so che non sarò deluso.
8 Vicino è colui che mi giustifica;
chi mi potrà accusare?
Mettiamoci a confronto!
Chi è il mio avversario?
Mi venga vicino!
9 Il Signore, DIO, mi verrà in aiuto;
chi è colui che mi condannerà?

 

Vorrei iniziare questa mia riflessione a partire da un oggetto, ormai un po’ antiquato e superato dal GPS, ma comunque ancora molto affascinante: ovvero la bussola. Non so quanti di voi hanno avuto esperienze con questo oggetto. Magari chi ha avuto occasione di far parte di un gruppo scout ha più familiarità con la bussola. Mi interessa questo oggetto proprio per la sua funzione. La bussola si usava, e ancora oggi si usa, per orientarsi. La bussola seguendo le linee di forza del campo magnetico terrestre punta sempre al nord, e così dà una direzione a seconda di dove si vuole andare. In alcuni casi può addirittura salvare la vita, quando per esempio ci si ritrova dispersi in mare o in una foresta. Insomma, un’invenzione che all’epoca fu rivoluzionaria proprio perché forniva facilmente un orientamento e una direzione.

Facendo uno sforzo di immaginazione, pensate quanto sarebbe bello avere una bussola personale che ci possa orientare quando ci sentiamo dispersi in una situazione difficile della nostra vita. Oppure una bussola che possa fornire alla comunità una direzione giusta da seguire di fronte alle scelte da fare. Non sarebbe male!

Sicuramente all’epoca nella quale fu scritto il testo che abbiamo letto (Isaia 50,4-9a) avrebbe fatto comodo a un israelita avere una “bussola magica” di quel tipo. Infatti ilpopolo d’Israele si trovava in una situazione difficile. Potremmo definirlo un popolo “scombussolato”, rimanendo all’interno della metafora della bussola. Un popolo disorientato in un luogo, Babilonia, lontano sia geograficamente che religiosamente da Israele. Come comportarsi in una situazione come quella? Quale atteggiamento adottare per rimanere fedeli a Dio, nonostante la realtà non fosse delle migliori?

Il profeta Isaia esprime delle indicazioni che possano orientare il popolo d’Israele e i suoi membri. Una testimonianza delle sua reazione di fronte alla difficoltà in grado di orientare anche il resto del suo popolo. Per ben quattro volte1, il profeta definisce se stesso e Israele come servo di Dio. Il rapporto fra il popolo e ogni singolo credente con Dio si pone dunque in termini di servizio e di discepolato.

Ed è interessante notare come il canto metta in evidenza diversi aspetti e diverse dimensioni fondamentali della vita di un credente o di una comunità che voleva restare fedele a Dio anche in quella situazione di smarrimento e di stanchezza. Un discepolato autentico ha diversi tratti che lo contraddistinguono. Io personalmente mi vorrei concentrare su tre aspetti del discepolato che, a mio avviso, emergono dal testo e che mi hanno particolarmente interessato: 1) il rapporto con la Parola di Dio; 2) la resilienza nella prova (cioè la capacità di assorbire un urto senza rompersi); 3) la fiducia nella promessa di Dio.

1) Rapporto con la Parola di Dio:

In primo luogo, il canto mette in evidenza l’importanza di tenere vivo quotidianamente il rapporto con la Parola (egli [il Signore] risveglia, ogni mattina, risveglia il mio orecchio). Invita a non dimenticarsi della Parola. Il rapporto con Essa è un elemento imprescindibile e costitutivo del discepolato. Eppure come è possibile coltivare tale rapporto?

Il testo dice attraverso l’ascolto. Ascoltare non significa semplicemente fare attenzione a quello che la Parola comunica, ma significa anche predisporre la propria mente a imparare qualcosa di nuovo. Un po’ come quando ci si sveglia per andare a scuola. Nel tempo che precede l’inizio della giornata ci si predispone per imparare nozioni nuove. Chissà cosa verrà insegnato oggi? Chissà cosa mi comunicherà oggi la Parola? Questo il primo punto che viene messo a fuoco: si è sempre discepoli e discepole a confronto con la Parola. C’è sempre da imparare, da sorprendersi, da emozionarsi. Ma ciò è possibile solo attraverso un continuo processo di ridimensionamento di se stessi, che ha origine dalla Parola ma che in seguito richiede a noi di predisporre l’orecchio a ciò che il Signore vuole comunicarci. Questo discorso valeva per il popolo d’Israele all’epoca, ma vale anche per noi oggi.

Inoltre il testo fornisce un’altra indicazione: il rapporto con la Parola si coltiva anche attraverso la sua trasmissione. Il messaggio che Dio infonde nei nostri cuori non è qualcosa da conservare gelosamente, ma è una buona notizia da portare fuori. Più precisamente per aiutare chi è stanco, per sostenere coloro ai quali sono negati i diritti, per soccorrere chi viene emarginato dalla società. Non è una Parola che schiaccia e imprigiona chi si trova in una condizione di debolezza. Al contrario è una Parola che valorizza il debole per come è e lo libera dai condizionamenti della società. L’aiuto a chi è stanco è dunque il criterio da tenere a mente nel trasmettere e annunciare la Parola, che a nostra volta riceviamo.

1 Sono quattro i canti riportati nel libro di Isaia (42, 1-4[5-9]; 49,1-6[7-12]; 50,4-9[10-11]; 52,13 – 53,12), nei quali il profeta definisce il popolo d’Israele o se stesso come servo di Dio. Infatti, seguendo l’ordine cronologico, il passaggio in questione è tradizionalmente definito il terzo canto del servo di Dio.

page2image3723888

2) Resilienza nella prova:

La trasmissione di un messaggio liberante, accogliente, valorizzante, solidale, fiducioso spesso non è popolare. È un’operazione che può esporre il credente a sua volta a subire l’ostilità di chi porta invece un messaggio di chiusura e, ahimè a volte come ci insegna la storia e il presente, anche l’ostilità delle autorità politiche e civili.

Una condizione, quella del servo di Dio e delle nostre piccole comunità protestanti in Italia, che può generare facilmente un senso di impotenza, di frustrazione, di scoraggiamento. Cosa può cambiare il nostro annuncio e la nostra azione di fronte a tanta ingiustizia, violenza, sofferenza delle quali ogni giorno veniamo a conoscenza? Io penso che in una condizione tale si possa facilmente inciampare in due reazioni: da una parte la paura e la paralisi che possono condurre al vittimismo o all’indifferenza; dall’altra parte il rancore e la rabbia che possono condurre alla maledizione (“dir male”) e alla violenza.

Ciò che invece è straordinario nel testo di Isaia è il cambiamento di prospettiva. A quanto pare un passaggio fondamentale e unico nell’Antico Testamento: niente più vittimismo, niente più maledizioni, ma resilienza! Non un invito all’accettazione passiva della propria situazione, bensì un invito alla resilienza attiva, caratterizzata dalla non-violenza. Un cambiamento di prospettiva che era anche espressione di una convinzione inedita: i mezzi che si usano caratterizzano anche i fini che si vogliono raggiungere. A questo riguardo trovo indicate le parole di Mahatma Gandhi: «il mezzo può essere paragonato a un seme, il fine a un albero; e tra il mezzo e il fine vi è appunto la stessa inviolabile relazione che vi è tra il seme e l’albero». E allo stesso modo Martin Luther King Jr. affermava: «la pace non è solo un fine remoto da raggiungere, ma un mezzo per raggiungere quel fine». Un cambiamento radicale nella storia d’Israele che ci rende attenti al tipo di testimonianza che vogliamo portare nella nostra società, ma che allo stesso tempo valorizza un’altra via. Anche una piccola testimonianza in un mondo molto vasto può fare la differenza. Anche se può comportare sconfitte, il discepolato richiede il porgere l’altra guancia.

3) Fiducia nella promessa di Dio:

Certo, non so a voi, a me viene da pensare: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Già, è proprio così! Una Parola da ascoltare e annunciare senza paura a chi si trova in uno stato di debolezza, portando avanti una testimonianza in grado di resistere alle pressioni sociali contrastanti e di farlo nello spirito della non-violenza. Facile a dirsi, decisamente più difficile a farsi! Come riuscirci allora? Come poter esprimere il nostro servizio a Dio, il nostro discepolato, come credenti e come comunità?

Il testo ci fornisce un terzo fondamentale elemento complementare ai precedenti che ci proietta su un altro piano: la fiducia nella promessa di Dio. La Parola che ci viene affidata è infatti una Parola profetica. Una Parola che decentra le nostre paure su Dio, cioè trasferisce il peso di ciò che ci blocca e rallenta su Colui che davvero può farsene carico. Una Parola che ci trasmette la speranza. Non siamo soli! Non dobbiamo giustificarci ed essere inavvertitamente gli avvocati di noi stessi! Il Signore è con noi. Se c’è un giudizio, una ricompensa del discepolato, allora spetta a Dio, e solo a Lui, esprimerla. A noi, invece, il compito di essere suoi messaggeri, nella consapevolezza di essere nelle sue mani, di poter appoggiare il nostro giogo su di Lui affinché ci alleggerisca, di essere protetti, di aver le spalle coperte, di non preoccuparci di giustificare quello che facciamo o non facciamo perché il Signore è la nostra garanzia per il futuro ed è infinitamente più forte di chi vorrebbe oscurare la sua Parola.

Riassumendo in una frase il senso del discepolato di Isaia: Dio ci dona una Parola profetica da ascoltare e trasmettere senza paura a chi ne ha bisogno. Una Parola che ridimensiona il nostro ego, decentra le nostre paure su Dio, proietta la nostra azione nella promessa di Dio, così da permetterci di esprimere un autentico discepolato.

Un autentico discepolato, quello del servo di Dio, che trova espressione in un altro membro del popolo di Israele: il discepolo Gesù. Oggi è la domenica della Palme che ci introduce al tempo della Passione e che ci rimanda a Colui che con la sua vita espresse i tre aspetti del discepolato descritti nel canto di Isaia. Un Gesù discepolo di Dio, che ha saputo ascoltare la Parola aprendo l’orecchio, che ha saputo trasmetterla verso gli “stanchi” (gli ultimi, gli emarginati) della sua società, che ha saputo resistere alle prove fino alla morte senza l’uso della violenza, sperando e credendo all’interno dei suoi limiti umani alla promessa di Dio. La sua persona ha incarnato la condizione di servo, ponendosi così come una bussola in grado di orientare ancora oggi le nostre esistenze e il nostro discepolato verso Dio.

Concludo, riprendendo l’oggetto con il quale ho iniziato questa riflessione: la bussola. Ci sentiamo disperse e smarriti in una situazione difficile della nostra vita? Come comunità non sappiamo quale siano le scelte giuste da prendere? Come portare avanti il nostro discepolato e servizio a Dio? Fratelli e sorelle, lasciamoci orientare dalla bussola Gesù Cristo. È una bussola che punta sempre verso l’ascolto quotidiano della Parola. Una bussola che indirizza sempre verso la trasmissione della Parola a chi si trova realmente nel bisogno con il suono della libertà, dell’accoglienza, dell’amore. È una bussola che orienta sempre verso la resilienza, non quella dettata dall’odio, ma dalla volontà di incontrasi come fratelli e sorelle, e per questo motivo priva di violenza. È una bussola che punta sempre verso la speranza, quella del Regno, che come discepole e discepoli già sperimentiamo e che un giorno vedremo pienamente realizzata.

Amen!

Simone di Giuseppe

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.