La misura ultima dell’uomo

SERMONE: Luca 10,25-37

“La misura ultima di un uomo non è ciò che si trova nei momenti di comodità e convenienza, bensì tutte quelle volte in cui affronta le controversie e le sfide. Il vero prossimo rischierà la sua posizione, il suo prestigio e persino la sua vita per il benessere degli altri. Nelle valli pericolose e nei sentieri pericolosi, solleverà i fratelli contusi e picchiati verso una vita più alta e più nobile”. (Rev. Martin Luther King)

Chi è il mio prossimo? Una buona domanda posta dal dottore della legge a Gesù. Questa è una buona domanda per noi oggi. L’uomo picchiato e derubato? Era ebreo. Lo sappiamo per come è descritto nel suo viaggio. Stava “scendendo da Gerusalemme a Gerico”. Veniva dal tempio e tornava a casa. Forse i due che l’hanno ignorato? Erano anche ebrei. Mentre l’uomo che si ferma per soccorrerlo era un samaritano. I samaritani odiavano gli ebrei e gli ebrei odiavano i samaritani. L’odio tra i due popoli ha origini lontane, al tempo dell’esilio assiro. La cosa strana era che sia gli ebrei che i samaritani, praticavano la propria visione dell’ebraismo, e ognuno pensava che l’altra fosse sbagliata. Quindi si odiavano e non avevano alcun contatto l’uno con l’altro. Ma in questa parabola, il Samaritano ha visto il suo prossimo, in quel momento lui lascia le differenze tra i due popoli, l’animosità storica e culturale. Vide la necessità, ha avuto pietà di lui e lo ha aiutato. Al Samaritano non importa se si trova in un posto pericoloso, dove i ladri potrebbero attaccarlo.

Così, quando Gesù ha detto “Vai e fai altrettanto”, voleva significare:  Andate e fate altrettanto per tutti, amate tutti, accettate tutti, accogliete tutti, proprio come Gesù ha aperto le braccia per salvare tutti. Ci sta dicendo di aprire le nostre braccia e di essere prossimo con i nostri vicini. E se non vedi il tuo prossimo, non puoi essere a lui prossimo. “Vedere” il prossimo significa amare quella persona tanto quanto ami te stesso.

Che prossimo sei? Siamo come il prete, il levita o il samaritano? In questa parabola il sacerdote e il levita passarono dall’altra parte della strada e non danno aiuto all’uomo derubato. La prima riflessione che ci viene in mente è: che tipo di persone sono? Sappiamo tutti che il sacerdote fa la cerimonia nel tempio e il levita lo aiuta. Loro devono essere puri, evitando di toccare l’impuro, impuro come la persona ferita. Se si sono contaminati diventati impuri, dovevano andare al tempio e purificarsi per 7 giorni prima di fare di nuovo i culti. Questa è la legge.

Se stiamo cercando di obbedire alle regole, stiamo cercando di salvare noi stessi e questo ci renderà schiavi. Ma se stiamo facendo atti di amore, quell’amore e quella bontà che Dio ci ha mostrato, proprio come il samaritano, allora siamo liberi. Dobbiamo lasciarci coinvolgere e operare per alleviare la sofferenza – la compassione agisce per il bene dell’altra persona, indipendentemente da chiunque essa sia, a prescindere dal costo personale o da ciò che proviamo. Questo tipo di amore non è emotivo, semplicemente nasce da un cuore grato. Dobbiamo essere grati perché abbiamo la fortuna di sperimentare l’amore meraviglioso del nostro Dio. Possiamo trasmettere l’amore agli altri, al nostro prossimo. La nostra disponibilità a servire e l’obbedienza ad andare dove Dio ci indirizza verso alcuni bisogni e alcune persone che incrociamo lungo la nostra strada, ci rendono davvero “buoni samaritani”.

Quanto è grande il nostro quartiere? Abbiamo una visione limitata dell’amore e a chi ci prenderemo il tempo e le risorse per servire? Una delle realtà dell’amore di Dio è che Egli ama tutte le tipologie di persone. L’umanità è ciò che ci rende tutti prossimi agli occhi di Dio e chiunque abbia bisogno è il prossimo da cui dobbiamo andare. L’amore pieno di grazia fa molto di più dei semplici  appelli del dovere.

La versione spirituale di questa parabola è la mia, la tua storia. Il nostro orgoglio, la gelosia e la ricerca di prestigio ci hanno derubato e ferito ed è per questo che i buoni rapporti e il servizio per gli altri stanno cominciando a venire sempre meno. L’amore che deve essere l’ingrediente principale nei nostri rapporti sta svanendo. Il sacerdote in questa storia rappresenta proprio noi: nella maggior parte delle situazioni non vogliamo essere coinvolti.  Il levita rappresenta la persona che non parla con le persone e non mostra alcuna compassione verso di loro. Il samaritano, invece, rappresenta una persona che è disposta a servire in qualsiasi situazione, è disposta a dare tutto ciò che ha.

Il samaritano vide la necessità, ebbe pietà di lui. 34 avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno”.

Questa storia ci ricorda anche come Gesù raccolse le nostre vite spezzate e legò le nostre ferite e offrì il vino del suo sangue per salvarci, l’olio del suo Spirito Santo per la guarigione, e annullò tutti i nostri debiti con la sua morte sulla croce.

Domenica scorsa abbiamo festeggiato (Oggi è) il secondo anniversario di BREAKFAST TIME, uno dei servizi della  chiesa metodista di Milano che  la nostra chiesa  ha adottato. Durante i nostri turni ogni domenica mattina, ho visto situazioni diverse dei senzatetto. All’inizio, nelle prime 3 settimane del mio giro, ho sempre pianto al ritorno a casa. Mi ricordava la mia esperienza senza una casa da bambina. Sì, ero una di loro e grazie a Dio c’è stata una famiglia che ci ha lasciato vivere sotto la loro casa. Non è un buon posto per dormire, dormire  a terra a 9 anni, per me e per le mie due sorelline e il mio fratellino. Mio padre era malato, metà corpo paralizzato, poteva camminare solo molto lentamente. Mia madre andava tutti i giorni nelle famiglie a chiedere un lavoro di lavanderia, ma non era sempre fortunata a trovarlo. Mio padre, io, le sorelline e il fratellino, andavamo per strada a chiedere qualcosa da mangiare.  Sembrava che non ci fosse speranza, nessuna fine, non volevo svegliarmi la mattina e chiedermi di nuovo “Che cibo avremo oggi?”. Tante cose che non capivo. Un giorno, alcuni vicini hanno iniziato a darci un pasto regolare (è durato per 3 mesi fino a quando mia madre ha ottenuto un lavoro regolare), hanno visto le nostre esigenze e si sono resi disponibili a dare ed ad aiutarci. Dalle loro azioni, qualcosa è cambiato. La mia famiglia ha iniziato a dormire bene e mi piaceva svegliarmi ogni mattina, perché sapevo che avevamo qualcosa da mangiare, che qualcuno aveva cura di noi e che ci aiuterà per avere una vita migliore. Ogni colazione che condividiamo ogni domenica con i senzatetto, cambia la loro vita quotidiana. Anche solo per una notte possono dormire meglio, perché sanno che c’è qualcosa da mangiare la mattina successiva. Sentono che ci sono alcune persone che danno loro importanza, disposte ad aiutarli e dare speranza. Ogni domenica li incontriamo, e la fiducia e l’amicizia tra di noi crescono.  E le differenze tra di noi diminuiscono. Quello che conta di più è che facciamo il servizio con amore e disponibilità. Lo facciamo perché vogliamo condividere le benedizioni che abbiamo ricevuto e trasmettere l’amore di Dio attraverso questo nostro essere prossimo.  E magari un giorno uno di loro si alzerà e avrà una vita più nobile.

Continuiamo, allora, a servire gli altri per la Gloria del nostro Signore, come è scritto nel libro dell’Ecclesiaste 11:1 “Getta il tuo pane sulle acque, perché dopo molto tempo lo ritroverai”.  Amen

Rowena Abad

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