Essere Chiesa con i templi chiusi

di Paolo Naso (Da Riforma n. 20)
Èdiventata una delle questioni più dibattute, complicate e controverse degli ultimi giorni. Ci riferiamo al recente decreto del presidente del Consiglio che mantiene la sospensione delle cerimonie non solo civili ma anche religiose.
Per semplificare, diciamo che in questo dibattito si confrontano due ragioni in sé pienamente valide e comprensibili. Da una parte la ragione dello Stato che, come recita l’articolo 32 della Costituzione, «tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». E credo ci siano pochi dubbi che ancora in questi giorni la tutela passi per l’applicazione di dolorose e faticose misure restrittive delle proprie libertà. Il divieto di assembramenti e il distanziamento sociale – ci spiegano gli scienziati – sono indispensabili per evitare il contagio e la diffusione del virus.

E poi c’è l’altra ragione, quella del diritto alla libertà religiosa garantita – e citiamo nuovamente la Costituzione – dall’articolo 19 che afferma che la Repubblica garantisce il diritto di professare
liberamente la propria fede religiosa… e di esercitarne in privato o in pubblico il culto. L’articolo è uno dei pilastri su cui si regge il sistema della libertà religiosa e del pluralismo confessionale in Italia. E dobbiamo capire che, soprattutto in tempi di intensa sofferenza individuale e collettiva, c’è chi rivendica a pieno titolo il diritto a trovare sollievo e conforto nella pratica spirituale.
In tempi normali queste due ragioni – quella della tutela della salute e quella del diritto alla pratica religiosa – convivono senza problemi. In questi ultimi giorni, invece, sono entrate in conflitto tra loro. In una nota assai critica nei riguardi del Governo, la Conferenza episcopale italiana ha dichiarato di non potere «accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto».

Come spesso accade in Italia, i giornali hanno dato conto di questa tensione tra il Governo e i vertici dell’episcopato italiano ignorando altri soggetti. Questa volta hanno sorprendentemente
dedicato scarsa attenzione anche alle chiare e incisive parole di Papa Francesco che, prendendo le distanze dai suoi stessi vescovi italiani, ha invitato tutti alla «prudenza e obbedienza alle disposi-
zioni perché la pandemia non torni».

Ora, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese sembra orientata ad avviare un dialogo per definire un protocollo di comportamento per le varie comunità di fede e quindi anche con gli evangelici italiani. Che cosa diranno questi ultimi? Anche tra di loro vi sono sensibilità diverse e se le chiese storiche della Riforma – valdesi, metodisti, battisti, luterani – sembrano più orientate a riaffermare le ragioni della sicurezza collettiva e del rispetto delle norme che impongono distanziamento sociale e chiese chiuse al culto pubblico – sia pure per il tempo strettamente necessario – altre rivendicano il diritto a tornare al più presto alla normalità.

Linee operative diverse, unite però, da una stessa idea di fondo ribadita in un documento comune della Presidenza di un organismo che raccoglie la maggioranza delle chiese evangeliche, quelle storicamente derivate dalla Riforma e quelle con una storia più recente. Ribadiamo, scrivono gli estensori del documento «che la Chiesa cristiana non è un luogo fisico ma una comunità di creden-
ti che vive nella comunione in Cristo e che pertanto la sua Chiesa ha vissuto e vive anche quando i templi sono chiusi, nella preghiera, nella fraternità e nel servizio agli altri».

In conclusione, anche nell’isolamento fisico e nel silenzio degli absidi e delle navate, la comunità dei cristiani è Chiesa e, in un tempo ancora pasquale, testimonia che la vita dell’amore in Cristo
prevale sulla morte del Covid-19.

La rubrica «Essere chiesa insieme», a cura di P. Naso, è andata in onda domenica 3 maggio
durante il «Culto evangelico», trasmissione di Radiouno a cura della Federazione delle chiese evangeliche in Italia

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