Trotta: la fede cristiana è comunitaria, nella crisi riconosciamo le priorità

Riccardo Maccioni (da Avvenire)
Parla la moderatora della Tavola valdese, prima metodista a ricoprire tale incarico: «Forse è un bene che non si torni a come eravamo Troppe cose anormali nella normalità di prima»

Dall’emergenza alla normalità che, almeno all’inizio non sarà “normale” per niente. La crisi legata al contagio da coronavirus ridisegna le abitudini quotidiane, rende conquista ciò che prima era consueto, quasi banale. Vale anche per le Chiese, costrette da oltre due mesi a rinunciare ai culti pubblici, cioè alla presenza fisica della gente. Un sacrificio grande, che però in molti casi è diventato anche un’opportunità: di riflessione, di creatività pastorale, di ripensamento della vita di fede, soprattutto comunitaria.

Adesso, spiega Alessandra Trotta moderatora della Tavola valdese e prima metodista a ricoprire tale incarico, si tratta di cogliere, di valorizzare l’insegnamento maturato in questi giorni. Nei rapporti interni, come nel confronto istituzionale. In tal senso oggi potrebbe essere raggiunto l’accordo sul protocollo che disciplinerà la ripresa delle attività, in parallelo a quanto deciso per la Chiesa cattolica.

«Con il ministero dell’interno abbiamo lavorato – spiega Trotta – a un bellissimo tavolo, molto plurale, in cui noi Chiese valdesi e metodiste eravamo rappresentati dalla Fcei (Federazione delle Chiese evangeliche in Italia). Bella la circolazione di intenti come l’ascolto delle diverse sensibilità e l’idea che, fatte salve alcune prescrizioni generali in ordine alla salute, l’adattamento dei riti, la loro organizzazione siano affidati alla responsabilità delle singole autorità ecclesiastiche, religiose. Lo Stato detta alcune prescrizioni generali, poi decidere come concretizzarle nelle pratiche spetta alle Chiese».

Il ritorno delle normali celebrazioni concluderà almeno in parte una stagione che non potrà non segnare la vita dei credenti. «Per noi i locali di culto non sono spazi sacri ma luoghi privilegiati dell’incontro con Dio e comunitario, della comunità intorno alla Parola. Questo ha reso meno drammatico il problema della “riapertura”.

La crisi ha semmai reso più evidente che la comunità non vive soltanto di un incontro fisico ma che esistono altre modalità di stare insieme. Molte delle nostre Chiese hanno dovuto mettersi in discussione, cercare delle vie alternative per continuare a mante- nere i legami, curare le persone, spezzare la Parola, renderla accessibile a tutti».

In questo, le realtà digitali, stanno svolgendo un ruolo importante. «Sono i mezzi che hanno aiutato di più però al tempo stesso escludono delle persone, che hanno bisogno di altri sistemi per comunicare. Diciamo che si è creato un grandissimo movimento che ci deve far riflettere su cosa sia una comunità cristiana, e su come alimentarla nonostante le restrizioni all’incontro fisico. La fede cristiana è sociale, comunitaria, non individuale. In questo senso il bilancio è positivo perché ha risvegliato in molte persone e in forme diverse, il bisogno di spiritualità».

Ora si tratta di intercettarlo e capirlo. «Bisogna chiedersi quanto sia una spiritualità da pronto soccorso e quanto di conversione in cui cioè la Parola ti consola ma qualche volta ti dà anche un ceffone, ti richiama a mettere in discussione i tuoi stili di vita, la tua menta-lità, il tuo modo di rapportarti agli altri e di vedere il mondo». Accanto alla vita dello spirito c’è una dimensione che riguarda più direttamente il giorno dopo giorno, i problemi dell’esistenza quotidiana. Va in questa direzione lo stanziamento di otto milioni di euro per fronteggiare la crisi. «Abbiamo destinato a quest’emergenza una parte consistente dei fondi del nostro otto per mille – aggiunge la moderatora – senza però che venisse meno il resto degli obiettivi cui è finalizzato, in particolare l’aiuto a enti e associazioni del terzo settore, realtà varia e variamente qualificata il cui sostegno, crediamo, nei prossimi mesi sarà importante per la ripresa».

Gli interventi hanno seguito fasi differenti. «I primi sono stati destinati a ospedali e al rafforzamento della medicina di territorio, che ha un’importanza strategica nel fronteggiare le emergenze. Inoltre abbiamo raddoppiato i fondi a disposizione delle Chiese locali per i bisogni essenziali delle persone, come gli aiuti alimentari, o il pagamento delle bollette e dell’affitto. In un secondo tempo valuteremo come destinare l’altra parte dei fondi d’emergenza, che vorremmo raggiungessero le fasce della popolazione che pagheranno il prezzo più alto a questa situazione drammatica».

In Italia proprio sul terreno della prassi, si pensi ai “corridoi umanitari”, la collaborazione tra le Chiese sta dando bei risultati. Un dialogo che l’emergenza coronavirus non sembra aver raffreddato. «Già da alcuni anni stiamo vivendo una bella stagione ecumenica nella quale si è rafforzata l’esigenza di parlare con una voce comune di fronte ai grandi problemi del mondo. E all’Europa in particolare in una fase molto cruciale della UE in cui si avverte forte il rischio di una chiusura. Su alcuni temi le Chiese cristiane o parlano la stessa lingua dicendo cose coerenti con l’Evangelo o vengono meno alla loro missione».

Ora la sfida, come singoli e, soprattutto, come comunità sarà tradurre in vita vissuta l’eredità di questo tempo così speciale, valorizzare il buono che sta emergendo pur in mezzo a tanto dolore. «Abbiamo visto svelarsi situazioni, realtà che già esistevano ma di cui ogni tanto non ci rendevamo più conto. Cioè le grandi diseguaglianze, le interconnessioni tra i tanti elementi del creato, per cui se ne tocchi uno si verificano sconvolgimenti su ogni altro. Dalla questione ambientale alle grandi ingiustizie, tutti temi con cui ci confrontiamo drammaticamente da molto tempo e verso cui il punto di vista occidentale è molto protetto, parte da una condizione economica privilegiata e per questo risulta più distratto. La crisi ha fatto emergere priorità più prioritarie di altre: la tutela della salute, le uguaglianze, la corretta distribuzione delle risorse, la sostenibilità ambientale».

L’emergenza comunque è destinata a durare a lungo. «Dobbiamo chiederci quanto fosse normale la normalità di prima. Forse è un bene che non si torni a com’eravano perché in quella normalità c’erano tante cose anormali. Adesso la sfida è ricostruire su basi che vadano incontro alle vere priorità. L’essere umano è tassello di una creazione molto più ampia, più ricca e che si tiene tutta. Da credenti dovremmo saperlo, ma alcune situazioni lo rendono più evidente».

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