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Dare un senso a questo tempo, guardando all’orizzonte datoci da Dio

Una riflessione, a margine dell’ultima Consultazione metodista, con la pastora Mirella Manocchio

di Alberto Corsani da Riforma
La Consultazione svoltasi per via telematica  ha affrontato per ultimo il capitolo della Relazione del Comitato permanente Opcemi relativo al difficile tempo che stiamo vivendo: chiese e opere sono abituate a questo genere di sfide, che cosa stanno già facendo e/o hanno in animo di fare? Lo chiediamo alla presidente, pastora Mirella Manocchio.

«Le chiese metodiste e valdesi hanno sempre vissuto la loro fede ancorate alla Parola di Dio e cercando di leggere i segni dei tempi. Anche oggi si cerca di farlo benché non sia facile visto che ci troviamo ad affrontare qualcosa che era inimmaginabile pochi mesi fa e che la situazione attuale, con le tragiche conseguenze dell’epidemia, è in continuo sviluppo facendo emergere nuove sacche di povertà economica e spirituale. Le nostre comunità – piccole realtà resilienti le ho definite – cercano di far fronte ai marosi che stiamo attraversando a vari livelli: quello emergenziale della distribuzione di colazioni ai senzatetto che la chiesa di via XX settembre a Roma ha proseguito e ampliato proprio durante il lockdown; la distribuzione di aiuti alimentari per famiglie cui partecipano in rete con varie associazioni il Centro Sociale Casa Mia a Ponticelli e l’Opera diaconale metodista a Scicli, ma anche quello più strutturale delle chiese di Rapolla e Venosa che lavorano a progetti per la formazione lavorativa in un territorio depauperato. Vi è poi il livello spirituale, la grande solitudine che ci attraversa, e che non può essere semplicemente colmata: in questi mesi le nostre chiese da Nord a Sud, anche con l’ausilio delle nuove tecnologie, hanno cercato di annullare le distanze e di farsi presenti portando la Parola nelle case e nelle piazze virtuali, e certo non è cosa da poco tentare di dare senso a questo tempo».

– Una delle conseguenze della pandemia è stata l’impossibilità di compiere visite alle chiese: che cosa si perde e che cosa si è riusciti a mantenere nelle relazioni fraterne?

«Quel che è più complesso è dare senso a questo tempo, è riuscire a farsi “vicini” alle persone. Ab- biamo sperimentato una sorta di nuova socialità, a distanza e virtuale, con l’utilizzo di strumenti tecno- logici interessanti e coinvolgenti che hanno permes- so di raggiungere persone e gruppi sociali che forse non sarebbero mai entrati in una chiesa metodista. Strumenti che non possono però bastare perché in una relazione fraterna vi è anche bisogno della vici- nanza fisica, di sguardi e di gesti. Senza contare che vi sono ancora fasce sociali che non hanno accesso alla tecnologia per varie ragioni e che quindi si tro- vano escluse da questa forma di socialità: e proprio in questi mesi distanziamento e isolamento hanno accresciuto la solitudine e l’angoscia di molti».

– Negli interventi e nella Relazione emerge un ruolo importante delle chiese metodiste italiane, a dispetto delle dimensioni, nell’ecumene metodista: da dove viene questa bella capacità di guardare lontano e anche di fare una sana dialettica, che ad altri magari non riesce?

«Credo che le chiese protestanti in Italia, per la loro storia di minoranze perseguitate e discrimi- nate, siano riuscite nel tempo a costruirsi una ca- pacità di leggere il contesto e i territori superiore a chiese numericamente più grandi e di dotarsi di strumenti adeguati per cercare di gestire dinami- che religiose, sociali ed economiche che altre han- no affrontato magari solo successivamente. Due esempi: lo sviluppo, già a fine anni ’80, della visione di una chiesa davvero multiculturale e, attraverso la Fcei, il progetto dei corridoi umanitari corredato con l’accoglienza diffusa».

Diaconia e predicazione: stiamo superando la dicotomia che alcuni vedevano negli anni scorsi?

«La dicotomia, reale o presunta, tra predicazio- ne e diaconia ha tenuto banco nella riflessione del- le nostre chiese per lungo tempo anche se vi è chi ha sempre sostenuto che non è possibile pensare alla testimonianza della chiesa di Cristo operando una separazione o una gerarchizzazione tra quelle che appaiono in qualche modo le due facce di una stessa medaglia: la testimonianza della Parola di Dio che salva. Lo dice la storia del metodismo in

Italia. Inoltre la struttura stessa della chiesa che ci siamo dati ha favorito per lungo tempo che questo accadesse senza quasi porlo in discussione. Forse ci dobbiamo riappropriare di questo sviluppo storico rileggendolo alla luce delle sfide attuali. Da parte sua, il Cp/Opcemi ha cercato di sviluppare una ri- flessione in merito già negli scorsi anni e qualche cenno ne è stato fatto anche nell’ultima relazione quando si afferma che “si potrebbero coniugare co- noscenza e persistenza su uno specifico territorio delle nostre chiese locali con esperienza e compe- tenza specifica di alcuni enti interni ed esterni al nostro ambito ecclesiastico” e questo potrebbe es- sere fatto anche a livello circuitale: alcune espe- rienze in tal senso si sono già attivate».

– Parallelamente all’opera che compiamo tutti e tutte, Dio parla e, mentre parla, agisce, e ci spinge a interrogarci sulla nostra vocazione… Che cosa sco- priremo?

«La questione dello stato di salute delle persone è diventato quasi un mantra, un elemento centra- le nelle settimane passate. Mi viene in mente un intervento fatto nel corso della Consultazione. Noi ci possiamo e ci dobbiamo domandare, non solo oggi e non solo ora, quale sia lo stato di salute del- le nostre chiese. E ora che stiamo attraversando la cosiddetta Fase2, è da domandarsi come vogliamo affrontarla, quali sono le nostre priorità e da chi o da cosa sono orientate? Ci poniamo queste doman- de perché è Dio stesso che ci parla e ci sollecita, è Dio che ci scuote e ci pone interrogativi. Eppure è sempre lui che ci offre un orizzonte cui guardare: quello del suo Regno che viene, del Regno che non è ancora ma che è già prefigurato nella persona di Gesù Cristo. Forse guardando alla nostra vocazio- ne scopriremo quello che scopre Israele nella sua storia: che tutto quanto è accaduto dalla chiamata di Abramo in poi è opera del Signore che è in rela- zione con noi quotidianamente e che, seppure par- rebbe non averne bisogno, ci chiama al servizio del suo Regno. E a noi si pone la domanda che Giosuè fa al popolo d’Israele “scegliete oggi chi volete servi- re” (Giosuè 24, 15a)».

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