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Il racconto di Marco

RHOADS David, DEWEY Joanna, MICHIE Donald,
Paideia, Brescia, 2011,
pp. 241, Euro 25,40

 

La storia di un racconto che si legge come un racconto… E’ quanto fa questo testo di tre professori americani che, applicando al Vangelo di Marco i metodi dell’esegesi narrativa, lo analizzano come una fiaba o una novella. Innanzi tutto viene esaminata la figura del narratore, che in Marco, con la sua onniscienza, ha il ruolo di tenere informato il lettore, guidarlo, fornirgli informazioni privilegiate, che i personaggi del racconto ignorano, tenere alta la suspense, trasmettere il proprio punto di vista, e quindi il sistema di valori e credenze in esso implicito. Anche l’ambientazione ha il suo ruolo, quello di creare le condizioni entro cui si muovono, non casualmente, i personaggi. Per quanto riguarda l’intreccio, elemento costitutivo di ogni racconto, gli autori si soffermano in particolare sull’esame dei conflitti, utili per vedere il disegno degli eventi che dà significato alla narrazione. Ogni racconto consiste, in fondo, nel perseguimento di un obiettivo e nelle forze che confliggono nel tentativo di raggiungerlo o contrastarne il raggiungimento. Nel caso del Vangelo di Marco vengono analizzati tre tipi di conflitto: quello di Gesù con le forze non umane (demoni, malattia, natura), basato su miracoli ed esorcismi; quello con le autorità, visto nei termini di sconfitta e vittoria, perché esso porta Gesù alla morte, ma anche alla resurrezione; quello con i discepoli, caratterizzato dall’alternarsi di successo e fallimento. In ogni caso il conflitto riguarda lo scontro tra i valori del Regno di Dio e l’egoismo umano. I personaggi, divisi in quattro gruppi (il protagonista Gesù; l’antagonista, ossia le autorità; i discepoli e i personaggi minori) sono presentati dall’Evangelista con l’intento di sensibilizzare il lettore ad accettare la “via positiva”, ossia vivere secondo le regole del Regno di Dio, e rifiutare la “via negativa”, vissuta secondo le regole umane. Il narratore, perciò, orienta la presa di distanza o l’identificazione del lettore coi personaggi, suscitando simpatia o disapprovazione nei loro confronti. La parte conclusiva del libro è dedicata al lettore, quello di ieri come quello di oggi: un racconto, infatti, può diventare se stesso soltanto tramite il canale del lettore, che lo recepisce e gli dà significato. La lettura è un dialogo, da cui entrambi gli interlocutori possono essere influenzati: il narratore cerca di indirizzare il lettore, in questo caso invitandolo a diventare seguace di Gesù; il lettore subisce il fascino della storia fino a cambiare la sua vita o i suoi valori oppure, al contrario, rimane indifferente o la rifiuta. Per chi ne subisce il fascino questo testo aiuta a comprenderne il perché.

Antonella Varcasia

 

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La nascita del giudaismo dallo spirito del cristianesimo

SCHÄFER Peter,
Paideia, Brescia, 2014,
pp. 188, Euro 22,00

E’ ormai acquisito che il cristianesimo non sia nato come una religione autonoma contrapposta al giudaismo, ma che anzi abbia avuto origine all’interno di esso, ma solo di recente gli studi si sono focalizzati sui rapporti reciproci tra i due movimenti e sull’influsso che a sua volta il cristianesimo ha avuto sulla nascita del giudaismo rabbinico. E’ proprio su questa influenza che si sofferma il testo di Schäfer, il cui pregio risiede soprattutto nella novità delle teorie sviluppate, nell’originalità del materiale studiato, nella prospettiva inconsueta da cui vengono analizzati i rapporti tra cristianesimo e giudaismo. La tesi di Schäfer è che i due sistemi di pensiero si sono sviluppati parallelamente dalla comune radice del giudaismo classico, influenzandosi a vicenda, prima di prendere strade diverse: il giudaismo avrebbe eliminato alcuni elementi presenti nella propria tradizione proprio in quanto usurpati dal cristianesimo, o, al contrario, si sarebbe riappropriato di tali elementi, riaffermandoli orgogliosamente proprio per ribadire la loro appartenenza originaria alla tradizione giudaica. Il libro si sofferma, in particolare, sul tema del messia bambino, sulla polemica contro la teologia binitaria e sul concetto del messia sofferente. Quanto al primo argomento, l’autore prende spunto da un racconto del Talmud palestinese, con la nascita del re messia Menachem a Betlemme e la sua sparizione ad opera di un vortice di vento, per analizzare questa tradizione, parallela a quella classica del messia adulto, e concludere che la storia talmudica sarebbe un capovolgimento ironico del racconto di Natale neotestamentario: in particolare, i sentimenti omicidi della madre nei confronti del figlio esprimerebbero il desiderio di uccidere il nascente cristianesimo. Il secondo tema viene affrontato sotto diverse angolazioni, per dimostrare che una parte del giudaismo cercava di ammorbidire il rigido monoteismo tradizionale. Tracce di una concezione binitaria della divinità si rinvengono infatti in diversi elementi e testi, come nella teologia della Sapienza, nei diversi nomi di Dio, nelle sue diverse incarnazioni, in particolare nella presenza di un Dio vecchio, giudice, e di un Dio giovane, guerriero. Schäfer avanza l’ipotesi di un’influenza della struttura dell’Impero romano di epoca dioclezianea, con la sua diarchia e la sua tetrarchia, i suoi augusti e i suoi cesari, e, studiando i motivi del Figlio dell’Uomo e dell’angelo Metatron nella letteratura canonica ed apocrifa, conclude che l’idea delle due potenze fosse presente soprattutto a Babilonia, in cerchie giudaiche che avevano risentito dell’influenza del cristianesimo: è qui che si ritrova l’idea di un essere umano straordinario asceso al cielo e trasformato in vicerè divino, idea che capovolge l’insegnamento neotestamentario, in cui è l’essere divino che si incarna, rinunciando alla sua divinità. Sull’ultimo punto Schäfer analizza un’altra figura di messia, appartenente alla stirpe di Efraim, il quale, a differenza di quello della stirpe di David, finisce ucciso nello scontro escatologico. Esso è presente in diversi testi giudaici, specie in alcune omelie, dove il ruolo di redentore è stabilito a monte da Dio: Efraim dovrà soffrire, dopo essersi incarnato ed essere stato inviato sulla terra, per poter permettere la creazione dell’uomo. Le tracce cristiane in queste omelie indicherebbero una riappropriazione giudaica di concetti usurpati dal cristianesimo. In conclusione, con la sua ricchezza di contenuto e di significato, il libro di Schäfer ha tutto il fascino della ricerca e costituisce un ulteriore passo avanti nella consapevolezza della nascita comune di giudaismo e cristianesimo, fratelli nutriti dallo stesso grembo.

 

Antonella Varcasia

 

 

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Deuteronomio

GERHARD von RAD,
Paideia Editrice, Brescia, 1979,
pp. 231, Euro 18,00

Il “Deuteronomio” di Gerhard von Rad è un libro senza tempo: nonostante siano passati alcuni decenni, esso mantiene inalterato il suo fascino e la sua attualità ed è facilmente reperibile. Il merito è forse del suo linguaggio scorrevole e comprensibile, che fa luce su un testo “difficile”, come è comunemente ritenuto il Deuteronomio. A differenza di Genesi ed Esodo, che sono libri più narrativi, il Deuteronomio è un libro teologico: invece delle storielle dei Patriarchi e dei racconti del deserto, qui abbiamo lunghi discorsi di Mosè, elenchi puntigliosi di leggi che regolamentano ogni aspetto della vita, strani rituali di benedizione e maledizione. Tutto è finalizzato a sottolineare i temi che stavano a cuore al redattore deuteronomista: il monoteismo, il patto, la centralizzazione del culto, la separazione del popolo eletto dai Gentili. L’esegesi di von Rad, condotta secondo il metodo storico-critico, ci permette di districarci nella complessità del testo, evidenziando le stratificazioni che si sono succedute nel tempo e che sono attribuibili a fasi storiche, autori e quindi anche mentalità e intenzioni differenti. In tal modo riusciamo a capire i motivi di certe usanze per noi inconcepibili, come lo sterminio, a spiegarci certe contraddizioni, a chiarire l’oscurità di talune affermazioni, a riconoscere le formule tipiche e i generi letterari, a evidenziare le interpolazioni tardive. Von Rad spiega il testo puntualmente, capitolo per capitolo, versetto per versetto, ma la sua non è un’esegesi erudita, finalizzata a mostrare il suo sapere: è invece un’esegesi chiarificatrice, ricca di contenuto, ma condotta con un linguaggio accessibile a tutti. Particolarmente interessante è il raffronto tra i comandamenti in Esodo 20 e in Deuteronomio. Il decalogo sembra identico, ma von Rad ci fa capire che la diversa motivazione messa a base del rispetto del sabato sottolinea un mutamento nella struttura sociale, che ora si fa più attenta ai bisogni del popolo: il sabato associato non più alla creazione, ma all’uscita dall’Egitto, ed esteso a schiavi, stranieri e animali domestici, denota sensibilità psicologica e caritativa piuttosto che cultuale, come era invece nel racconto dell’Esodo. Allo stesso modo, la “spigolatura” è giustificata da un motivo non più sacrale (lasciare qualcosa per gli spiriti dei campi), ma umanitario (lasciare qualcosa per i poveri). L’autore si sofferma anche sulle diverse motivazioni che sono alla base della centralizzazione del culto, sulle varie interpretazioni dell’anno sabbatico, sul significato di alcuni termini, come “giustizia”, sul passaggio delle feste di Israele da celebrazioni di natura agricola a memorie della storia salvifica. Il Deuteronomio, infatti, recupera e attualizza antiche tradizioni cultuali e giuridiche: anche ciò che sembra più innovativo e rivoluzionario, come l’abolizione del principio della responsabilità collettiva, in realtà è, secondo von Rad, anteriore al Deuteronomio stesso, mentre altri elementi, come il concetto del ritorno di Israele, appartengono già all’opera storiografica deuteronomistica, in cui il Deuteronomio è stato letterariamente inserito. In conclusione, il commento di von Rad rappresenta un utilissimo strumento per affrontare la lettura del libro biblico, mettendoci in grado non solo di capire, ma anche di amare questo testo, di cui ci fa riscoprire il fascino e l’attualità.

 

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I Salmi. Vol. I

ZENGER Erich, Paideia, Brescia, 2013,
pp. 203, Euro 18,80

L’esegesi dei Salmi condotta da Erich Zenger ha un taglio particolare, che la rende degna di nota, al di là della competenza storica, filologica e teologica di cui dà testimonianza. Il Salterio è interpretato all’interno del suo contesto veterotestamentario, ma con un risvolto attualizzante che ne motiva anche l’uso cristiano, tradendo l’impegno dell’autore nel dialogo Ebreo-Cristiano. Zenger, ad esempio, rifiuta il concetto che il Dio di vendetta sia tipico dell’Antico Testamento, esistendone testimonianze anche nel Nuovo, e intende le espressioni di odio di alcuni Salmi (ad es. Sl 137, 8) non come dogma, ma come forma di poesia, manifestazioni di paura, dimostrazione che Dio non è neutro di fronte al dolore. In questo primo di quattro volumetti previsti (due finora pubblicati) l’autore prende in considerazione alcune tipologie di Salmi, ad ognuna delle quali è dedicato un capitolo, con una breve introduzione sulla tipologia e l’analisi di due o tre Salmi per tipo. Per ogni Salmo l’autore effettua un commento generale ed un’esegesi specifica, con proposte di struttura e di datazione, analisi degli ambienti di utilizzo e delle modalità di composizione. Dopo aver spiegato l’inquadramento dei Salmi nella Bibbia, le diverse traduzioni, i titoli, il genere letterario, la metrica, il contesto vitale di produzione, l’autore analizza le diverse tipologie di Salmi: i primi due e gli ultimi due Salmi del Salterio, che fungono da cornice teologica e politica di tutto il libro; i Salmi di lamento e di ringraziamento, che erano recitati nella famiglia o nel clan o nel santuario locale; i Salmi della teologia di Sion, che hanno come riferimento il Tempio, e quelli della teologia del popolo di Dio, che riguardano il popolo. In particolare, il Sl 47 colpisce per la visione universalistica del popolo di Dio, probabilmente non abbastanza compresa dalla Chiesa quando canta questo Salmo nel giorno dell’Ascensione. Dei Salmi storici viene esaminato il Sl 114, in cui si propone un’attualizzazione dell’Esodo, mentre dai Salmi regali l’autore ricava il senso della responsabilità della politica sul benessere del popolo. All’opposto dei Salmi regali si trovano i Salmi che spostano l’attenzione sui poveri, in quanto alla base del Dio dei poveri c’è la mancanza di fiducia nel re. I Salmi di lode al Dio creatore, come il Sl 33, hanno il loro contesto nel culto ufficiale, in quanto, a differenza dei Salmi individuali di lamento e ringraziamento, essi cantano Jhwh come signore del cosmo, come Dio di un popolo. Di grande importanza teologica è il Sl 8, che mette a raffronto la maestà di Dio e la piccolezza dell’uomo, considerato sovrano degli animali, col compito di difendere la natura, come fa un buon re. L’ultimo capitolo è dedicato alla mistica di Dio, cioè al rapporto stretto, di relazione intima, che si instaura tra Dio e l’uomo: l’autore prende in esame, fra gli altri, il Sl. 23, reinterpretato non come canto di ringraziamento per il pasto rituale, ma come Salmo di fiducia che usa la metafora del pastore per indicare il buon re. In conclusione, un lavoro esegetico accurato ed approfondito, che esamina i Salmi sotto il profilo letterario, filologico, storico e teologico, che li inquadra nel loro contesto storico-geografico, spiegandone alcuni passaggi con richiami intertestamentari e legando alcune immagini alle tradizioni giudaiche o vicino-orientali, sulle quali ci fornisce interessanti informazioni: ad esempio, la differenza tra i gruppi dei Coraiti e degli Asafiti; l’uso dell’olio nel mondo antico; il motivo del giubilo, usato per l’incoronazione del re, per il raccolto, per la salvezza escatologica; il concetto del sogno profetico. Ma il merito maggiore di questo testo è il tentativo di accordare l’uso cristiano dei Salmi con la loro originaria destinazione giudaica, conservandone quindi il significato primario, che non viene svalutato, ma anzi rafforzato, ma da cui viene tratto anche un senso per la nostra spiritualità moderna e cristiana.

 

Antonella Varcasia