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Il pre sinodo della Federazione delle donne evangeliche

Il Pre sinodo FDEI – FFEVM si terrà il 21 agosto 2021 alle ore 17 sulla piattaforma zoom di Riforma, con un dibattito su “Donne e lavoro, dignità e sviluppo sostenibile”.

da Nev
Torna il Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi e i consueti  appuntamenti che animano anche i giorni precedenti all’evento. La FDEI (Federazione delle Donne Evangeliche in Italia) organizza in particolare il Pre sinodo FDEI – FFEVM (Federazione femminile evangelica valdese e metodista) il 21 agosto 2021 alle ore 17 sulla piattaforma zoom di Riforma.

La tavola rotonda, spiegano le promotrici, “sarà un momento di riflessione e confronto con uno sguardo al futuro”. Il tema scelto dalla FDEI e dalla FFEVM per il pre- sinodo è: “Donne e lavoro, dignità e sviluppo sostenibile. Come procedere, quale strada intraprendere, in un contesto dove il lavoro si sta trasformando e si intravede un lento svuotamento dei diritti? Quali possono essere le nuove forme di tutela e quali le sfide che abbiamo dinanzi?”. Interverranno al dibattito Shqiponja Dosti, responsabile dipartimento immigrazione Cgil Roma e Lazio, Simona Menghini, direttore comunicazione Oracle Italia, Antonella Visintin, coordinatrice della GLAM, Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Modera Doriana Giudici, esperta di diritti delle donne nel mondo del lavoro e nella società.

 Per partecipare è necessario iscriversi a questo link: https://bit.ly/3rnDfsd. L’evento si potrà seguire in diretta sulla pagina Facebook di Riforma – Eco delle valli valdesi.
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Questione femminile e giovani sono i temi chiave del Sinodo ritrovato

di Federica Cravero

da repubblica Torino

Dal 22 al 25 agosto, dopo lo stop di un anno, la Chiesa Valdese torna a riunirsi a Torre Pellice. Alla tavola rotonda della vigilia: “Donne e lavoro, uno sguardo altro su economia, società e politica

 

Dopo un anno di sospensione torna dal 22 al 25 agosto a Torre Pellice il sinodo delle chiese valdesi e metodiste, un appuntamento che sarà in parte in presenza e in parte in streming a causa della pandemia, in cui temi di carattere teologico ed ecclesiastico si coniugano a riflessioni sulla società e l’attualità. Due i temi che in particolare promettono dibattito e sono donne e giovani.

La questione femminile è l’argomento attorno a cui ruota la tavola rotonda pre-sinodo “Contrappunto: donne e lavoro, uno sguardo altro su economia, società e politica. Donne protestanti di fronte alle sfide della società in trasformazione”, organizzata sabato 21 agosto dalla Federazione donne evangeliche. Si potrebbe pensare che non sia un tema dibattuto quello delle donne in una chiesa che da decenni ha riconosciuto la figura della pastora e in cui alla Tavola valdese che è attualmente insediata sono state elette ben 5 donne su 7 posti, tra cui la moderatora Alessandra Trotta e la vice Erika Tomassone. Evidentemente non c’è necessità di quote rosa e lo dimostra il fatto che alcune nomine di donne siano state casuali e non studiate a tavolino per dare rappresentanza a delle donne, “ma questo non esaurisce assolutamente la discussione – mette in chiaro la vicemoderatora Tomassone – È vero che le chiese valdesi e metodiste hanno sempre dato spazio all’emancipazione femminile, ma non è scontato che questo significhi anche che i temi che interessano alle donne trovino uno spazio adeguato nella discussione perché è vero che la chiesa è intrisa nella società e se una società è patriarcale certi argomenti sono difficili da affrontare, si pensi alla violenza sulle donne o alle questioni di genere che pongono dibattiti molto diversi per esempio da quelli dei movimenti femministi degli anni 70”. All’incontro partecipano Shqiponja Dosti (Cgil), la manager Simona Menghini, Antonella Visintin della Fcei e Doriana Giudici, esperta di diritti delle donne.

Altra questione importante è quella delle nuove generazioni, che sono al centro della serata pubblica del lunedì, 23 agosto. A distanza di 20 anni dalla Carta ecumenica che proponeva il superamento dei confini nazionali non solo per gli aspetti economici ma anche e soprattutto sulla circolazione delle persone e delle idee, la Tavola valdese intende esplorare cosa vogliono e in cosa si impegnano i giovani d’oggi. A questo punta “Next generation EU? Giovani ed Europa fra sogno di ripresa e rischio di marginalità”, in cui si inserisce anche l’accoglienza dei migranti. La serata sarà condotta da Conducono Marta Bernardini di Mediterranean Hope e Valeria Lucenti, vicedirettora del centro ecumenico Agape che quest’anno festeggia i 70 anni dalla fondazione.

Molti dei 180 deputati del Sinodo, tra uomini e donne, pastori e laici, si collegheranno ancora a distanza in video a causa del Covid: “Ma siamo fiduciosi – ha detto la moderatora Alessandra Trotta – che nella varietà dei volti, degli accenti, si esprimerà comunque tutta la forza dell’unione solidale, la gioia della condivisione, la responsabilità della partecipazione attiva di ognuno nell’assunzione delle decisioni che orienteranno la vita e l’azione delle nostre chiese nel prossimo anno”.

Gli auguri di Pasqua 2021 della Moderatora

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La resurrezione vince contro l’incertezza

da Riforma

Il messaggio del segretario del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) Sauca: «Mentre affrontiamo l’incertezza, possa la Pasqua infonderci forza e coraggio»

Nel messaggio di Pasqua il segretario generale (ad interim) del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), Ioan Sauca, ha inviato alle chiese membro il suo tradizionale saluto ricordando che «Cristo è risorto! È davvero risorto!».

Sauca, consapevole di star condividendo il messaggio pasquale in un momento difficile per la vita di molti popoli, di chiese e di nazioni afferma: «Quest’anno, osserviamo la Pasqua per la seconda volta in un contesto particolare e in mezzo a situazioni dolorose», scrive.

«Molte persone a noi vicine stanno vivendo momenti di paura e di incertezza, e ancora traumi, separazioni, isolamento, perdita di speranza, malattie e morte; sia all’interno delle loro famiglie sia nelle loro comunità ecclesiali».

La pandemia imposta dal Covid-19, che ha colpito il mondo intero, sta influenzando anche il modo in cui verrà celebrata la Pasqua, osserva Sauca.

«Eppure, nonostante queste situazioni traumatiche e dolorose, il messaggio della Pasqua oggi risplende. La Pasqua è un promemoria, un incoraggiamento, ci dice che Dio, in Cristo, continua ad amare e a prendersi cura del mondo intero, vincendo la morte con la vita, vincendo la paura e l’incertezza con la speranza».

Nel corso dei secoli il saluto pasquale «Cristo è risorto!» ha infuso ai cristiani potere e coraggio. Mentre siamo chiamati oggi a confrontarci con le sfide imposte dal Covid-19, possiamo dire di essere vicini nelle preghiere e nell’affermare insieme, uniti, la nostra comune fede e speranza nel Signore Risorto».

Leggi il messaggio completo in inglese.

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Una campagna giovanile chiede alla famiglia metodista globale di intraprendere azioni per il clima in vista della COP26

da Riforma

La campagna “Climate Justice for All” invita le comunità metodiste in tutto il mondo a impegnarsi nella questione della crisi climatica e a dichiarare «crediamo nella giustizia climatica per tutte e tutti»

La campagna “Climate Justice for All” (in breve CJ4A) in italiano “Giustizia Climatica per tutte e tutti” invita le comunità metodiste in tutto il mondo a impegnarsi nella questione della crisi climatica e a dichiarare «crediamo nella giustizia climatica per tutte e tutti».

Benché avviata da qualche mese, il 5 aprile verrà annunciata ufficialmente dall’Opera per le Chiese Evangeliche Metodiste in Italia(Opcemi) in collaborazione con la Commissione globalizzazione e ambiente (Glam) nella persona della sua coordinatrice, Antonella Visintin e dai referenti regionali provenienti da Uruguay, Gran Bretagna, Italia, Zambia e Fiji.

«Il messaggio della campagna, “noi crediamo nella giustizia climatica per tutte e tutti”, è molto importante perché come metodisti vogliamo ricordare la dichiarazione di John Wesley secondo cui l’amore di Dio è per tutte e tutti e per tutti chiediamo giustizia climatica, non è solo per un piccolo numero di individui ma per tutti» dice Camila Ferreiro, responsabile uruguaiana di CJ4A.

«Crediamo che, affinché la giustizia climatica sia per tutti una realtà, le comunità in prima linea nella crisi climatica devono essere provviste delle giuste risorse e deve esserci l’equità rispetto ai paesi maggiormente responsabili delle più alte emissioni, perciò devono essere i più ambiziosi nel ridurre il loro utilizzo di carbonio per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni». James Appleby, responsabile britannico di CJ4A.

La campagna chiede alle comunità metodiste di fare tre cose in vista del COP26: ascoltare, chiamare e impegnarsi.

«Prima di tutto ascolteremo perché come gruppo abbiamo compreso che raccontare le nostre storie e ascoltare gli altri è uno strumento importante per conoscere e rispondere agli effetti della crisi climatica.

 In secondo luogo, chiameremo chi ha responsabilità di governo perché sappiamo che non è sufficiente parlare di giustizia climatica all’interno delle nostre comunità metodiste, bensì trasmettere questo messaggio ai nostri rappresentanti politici.

 In terzo luogo, ci impegneremo perché ciò assicura che, mentre le comunità prendono impegni personali per attuare il cambiamento all’interno dei loro contesti, il lavoro della campagna sia sostenuto dopo la COP e che il cambiamento sia realmente integrato nella vita delle comunità metodiste». Iemaima Vaai, responsabile CJ4A delle Fiji.

Nel quadro della campagna, CJ4A pubblicherà mensilmente dei brevi filmati e delle risorse liturgiche per aiutare a raccontare le storie delle comunità metodiste che si stanno impegnando per il pianeta.

«Questa campagna è particolarmente emozionante perché offre alla famiglia metodista globale la possibilità di agire insieme per il clima, ascoltando e imparando gli uni dagli altri su come prendersi cura al meglio del pianeta che tutti noi condividiamo». Irene Abra, operatrice italiana CJ4A.

Oltre ai responsabili provenienti da cinque paesi diversi, CJ4A ha costruito una rete di volontari provenienti da altri quindici paesi, tra cui Russia, India, Argentina, Zimbabwe e Stati Uniti.

«Abbiamo una grande opportunità di mostrare il tipo di cooperazione globale che vorremmo fosse svolta dai nostri leader alla COP26» afferma Mollie Pugmire, responsabile britannica di CJ4A.

COP26 è la conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a Glasgow dal 1 al 12 novembre 2021.

Sei sicuro che il tuo maglione non sia frutto di lavoro forzato?

da Riforma

Mobilitazione di Christian Solidarity Worldwide e altre organizzazioni per i diritti umani contro i grandi marchi della moda che utilizzano il lavoro forzato di minoranze etniche nella regione uigura della Cina

Ci stiamo avvicinando al periodo delle festività natalizie, e anche se quest’anno il Natale sarà molto diverso da quello a cui siamo abituati, ci sarà il momento di scambiarsi i regali, tra i quali non mancheranno articoli di abbigliamento. Ma come sono stati realizzati quei capi che troveremo impacchettati sotto l’albero? Siamo sicuri che per essere stati realizzati non sia stata utilizzata manodopera forzata? In particolare, alcune organizzazioni per i diritti umani come Christian Solidarity Worldwide (CSW), denunciano che i vestiti che vengono acquistati nel Regno Unito sono collegati a una delle più gravi violazioni dei diritti umani nel mondo: la detenzione arbitraria di massa e il lavoro forzato di minoranze religiose ed etniche nella regione uigura della Cina.

La Coalizione per porre fine al lavoro forzato nella regione uigura stima che il 20% del cotone mondiale proviene dalla regione autonoma cinese dello Xinjiang uigura (XUAR, denominata da molti uiguri Turkestan orientale), e che un capo di cotone su cinque presente sul mercato globale dell’abbigliamento sia stato realizzato dal lavoro forzato utilizzato nelle grandi fabbriche presenti in quella zona. Con questi dati e cifre, è difficile capire quanti di noi possono aver svolto un ruolo, anche se inconsapevolmente, in questa orribile industria. Nonostante ciò, ci sono ancora azioni che i consumatori possono intraprendere per fare pressione sulla Cina e per porre fine alla difficile situazione degli uiguri, uno dei numerosi gruppi etnici prevalentemente musulmani che risiedono nella regione uigura nel nord-ovest della Cina.

In un articolo pubblicato su christiantoday.com, Ellis Heasley, funzionaria di CSW, afferma che diversi grandi marchi – tra cui Zara, Nike e Uniqlo, Adidas, Calvin Klein, H&M, Gap, Fila, Lacoste… – sono stati collegati a casi specifici di lavoro forzato della minoranza etnica uigura. Il mese scorso, molti sono stati chiamati a testimoniare davanti al Comitato Affari, Energia e Strategia Industriale del Parlamento britannico per un’inchiesta «che esplora la misura in cui le imprese del Regno Unito stanno sfruttando il lavoro forzato degli uiguri nella regione cinese dello Xinjiang». Una società che ha presentato prove per l’inchiesta è stata Inditex, la società madre di diversi noti marchi di abbigliamento, tra cui Zara. Inditex afferma di avere una politica di tolleranza zero nei confronti del lavoro forzato di qualsiasi tipo, tuttavia i ricercatori del Consorzio per i diritti dei lavoratori affermano di aver identificato legami tra Inditex e due importanti produttori cinesi che sono noti per essere complici del lavoro forzato degli uiguri.

La Coalizione per porre fine al lavoro forzato nella regione uigura ha invitato le aziende a firmare un “impegno per il marchio” che li vedrà interrompere tutte le forniture dalla regione uigura, dal cotone agli indumenti finiti, entro dodici mesi dalla firma. Finora Inditex e, per estensione Zara, non hanno firmato l’impegno anche se non dovrebbero avere problemi a farlo, considerata la loro dichiarata politica di “tolleranza zero”.

Questa settimana, CSW partecipa a una mobilitazione che mira a convincere Zara a firmare “l’impegno per il marchio” e ad impegnarsi a tagliare tutti i legami con le aziende che stanno beneficiando della crisi dei diritti umani in corso. «È chiaro – scrive Ellis Heasley – che anche la comunità internazionale nel suo insieme deve prendere posizione per prevenire queste continue atrocità nella regione uigura. Gli Stati devono fare pressione sulla Cina per porre fine alle detenzioni e al lavoro forzato, anche chiedendo un intervento internazionale indipendente nella regione. In quanto consumatori, anche noi abbiamo un ruolo da svolgere. Per le aziende che fanno affidamento sui nostri acquisti, le nostre voci contano e quale modo migliore per prendere posizione se non inviando una petizione a Zara per garantire che nessuno dei suoi prodotti sia il risultato del lavoro forzato uiguro?».

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Annapaola Carbonatto (FGEI): Visione e creatività per il post covid

da Nev

La seconda ondata della pandemia rappresenta un’occasione per elaborare il passato e ripensare il futuro. La Federazione giovanile evangelica in Italia porta il suo contributo. La Segretaria Carbonatto: “C’è il timore di fare un salto nel vuoto; è una sfida a cercare di vincere la propria necessità di certezza e di punti fermi, ma vogliamo essere pronti sui territori per l’incontro e il confronto, con speranza ed energia”

La Federazione giovanile evangelica in Italia (FGEI) raccoglie giovani credenti di diverse provenienze e organizza incontri di formazione locali e nazionali su temi di interesse politico e sociale, partecipando attivamente alla vita delle chiese battiste, metodiste e valdesi.

Abbiamo chiesto alla Segretaria Annapaola Carbonatto di raccontarci come la FGEI sta affrontando questo periodo di pandemia e le sue proposte.

Il covid ha fermato molte attività in ogni settore. Cosa avete portato avanti come FGEI?

Per forza di cose i nostri campi ed eventi sono stati annullati. Dall’inizio della pandemia abbiamo avuto una riunione telematica ad aprile e due in presenza, in ottemperanza alle norme anti covid, a luglio e ottobre. Quest’ultima si è svolta in Toscana a Casa Cares, dove abbiamo avuto tutta la struttura a disposizione.

Sono state occasioni per confrontarci e inseguire il cambiamento che abbiamo vissuto in questi mesi, a livello sociale e personale. A ottobre abbiamo inoltre avuto quella che noi informalmente chiamiamo la “CA12”, cioè una riunione consultiva e deliberativa “allargata”, secondo l’articolo 12 del nostro statuto.

È una sessione in seduta più ampia a cui partecipano tutte le persone che ricoprono un ruolo nella Federazione, dai responsabili del web e del notiziario, ai redattori della rivista GE (Gioventù evangelica), ai referenti territoriali e internazionali.

Avete parlato della pandemia nelle vostre ultime riunioni?

Della pandemia abbiamo parlato principalmente a livello di Consiglio. Durante la CA12, invece, non abbiamo voluto che il covid fosse il tema principale. È stata una riunione operativa su altri aspetti più pratici, anche in preparazione del Congresso che speriamo di poter organizzare in presenza nel 2021.

Il venerdì sera ci siamo ritagliati un momento di cura dedicato all’elaborazione di come abbiamo vissuto questi mesi, di come ci siamo sentiti, delle nostre paure.

Quali riflessioni vi sentite di condividere e come state attraversando emotivamente questo periodo?

La percezione cambia moltissimo da persona a persona. Abbiamo visto che cambia in base alle nostre specificità di lavoro, di studio, di esperienze personali, affetti, famiglie. Ci sono persone che stanno a casa con i genitori e altre che si sono trasferite per motivi di studio. Le diverse comunità e chiese di appartenenza, ognuna delle quali ha seguito le direttive della Tavola valdese o dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (UCEBI), hanno inoltre reagito in modo diverso e influenzato la nostra elaborazione individuale e collettiva.

È stato un periodo molto faticoso, non solo a livello generale della FGEI, ma anche singolarmente. Paradossalmente, però, sono stati quasi più facili i mesi di confinamento di marzo e aprile, perché era più chiaro cosa potevamo fare: cioè… restare a casa.

Casa Cares, riunione FGEI ottobre 2020

Cosa è accaduto dopo la fase 1?

Quando siamo usciti per cercare di riprendere ciascuno e ciascuna la propria routine e la propria vita, si è avvertita la fatica. Non tutti e non tutte hanno riprese a fare le stesse cose di prima. Alcuni studenti hanno continuato a dare esami e a fare lezioni online; ancora adesso, nella sessione autunnale, è così. E le matricole universitarie non hanno mai fatto lezione in presenza.

Cosa vi è mancato di più?

Come Consiglio abbiamo cercato di restare in contatto fra noi, con le singole persone e con i gruppi. Resta il desiderio di volersi incontrare. Ci manca la presenza fisica. La Federazione ha le sue modalità, nei campi e negli eventi, difficili da trasportare online. L’incontro virtuale ti obbliga a fare cose più frontali e l’animazione è difficile, soprattutto su grandi numeri.

Cosa ti piacerebbe dire a chi ti sta leggendo? Qual è il tuo “messaggio nella bottiglia”?

Sto imparando, in questi mesi, a non dare per scontato tutte le cose che abbiamo e il funzionamento delle organizzazioni di cui facciamo parte. Questa è un’occasione ed è uno stimolo a cercare di ripensarci, di reinventare, di provare a fare delle cose nuove. Siamo senza punti di riferimento, proprio in questa situazione. Non abbiamo un metro di paragone, perché nei 51 anni di vita della FGEI una cosa del genere non è mai accaduta, nemmeno a chi ne ha fatto parte in passato.

Qual è secondo te il maggiore ostacolo?

C’è il timore di fare un salto nel vuoto, di non sapere cosa accadrà il prossimo mese, mentre cerchiamo di programmare sul lungo periodo; è una sfida a cercare di vincere la propria necessità di certezza e di punti fermi.

Quale può essere il contributo della FGEI?

Nella FGEI ci sono caratteristiche e modalità che rimangono, ma il nostro mandato è stato completamente stravolto. In primavera abbiamo fatto il culto FGEI nella modalità “zoom worship”. Nessuno aveva mai immaginato di poter essere in 300 persone insieme, come gruppo interdenominazionale e interregionale.

Nei prossimi mesi vorremmo lavorare sul locale. In attesa che le situazioni siano migliori, vogliamo essere pronti sui territori per l’incontro e il confronto, con speranza ed energia.

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In arrivo un’altra Buona Notizia

da Riforma

 

Giovedì 12 novembre la presentazione online di “Una buona notizia. Il vangelo di Marco, su misura per te”

l volume di lettura facilitata del vangelo di Marco, pubblicato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, attraverso il servizio istruzione e educazione (Sie) e distribuito dall’editrice Claudiana sarà presentato online, in collaborazione con il settimanale Riforma, giovedì prossimo (12 novembre) alle 18.

Il libro è dedicato principalmente a bambini e bambine, ragazzi e ragazze per una lettura facilitata del testo del vangelo di Marco.

«Non si tratta infatti di un’armonizzazione della vita di Gesù – ricorda la Fcei – prendendo qua e là dai quattro vangeli, né di una parafrasi del racconto biblico. Il volume propone invece il testo del vangelo di Marco, basato sulla recentissima traduzione della Bibbia italiana della Riforma ed elaborato con caratteristiche di alta leggibilità – tanto dal punto di vista linguistico quanto da quello grafico -; una piacevole lettura per tutti, accessibile sia per coloro che hanno disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa), sia per coloro che hanno altre difficoltà linguistiche e di lettura».

All’incontro parteciperanno il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), il pastore Luca Maria Negro, la moderatora della Tavola valdese Alessandra Trotta, il presidente della Claudiana editrice Eugenio Bernardini, i curatori del volume Patrizia Barbanotti Erick Noffke insieme alla professoressa dell’Università di Firenze Silvia Guetta.

L’incontro che sarà moderato dal segretario esecutivo delle Fcei, il pastore Luca Baratto e sarà aperto con un breve saluto introduttivo di Gian Mario Gillio, coordinatore del Sie. La regia online sarà a cura di Pietro Romeo.

«Lo sforzo di rendere quanto più accessibile il testo dal punto di vista linguistico, cercando di rimanere fedeli alle intenzioni del testo evangelico, ha prodotto uno strumento nuovo. L’augurio è che possa permettere a più persone di scoprire la buona notizia annunciata nel vangelo di Marco», ha spiegato all’Agenzia di stampa Nev Patrizia Barbanotti, insegnante, membro del Comitato del Servizio istruzione educazione (SIE) della Fcei, curatrice dei testi del volume.

La supervisione del testo biblico è stata affidata al professor Eric Noffke, docente di Nuovo Testamento alla Facoltà valdese di teologia di Roma.

«Da sempre – ha dichiarato all’Agenzia Nev il presidente Fcei, Luca Maria Negro – le chiese nate dalla Riforma protestante hanno promosso la diffusione della Bibbia, traducendone i testi nella lingua parlata dalla gente comune, per favorire l’alfabetizzazione e la scolarizzazione delle popolazioni. Non è quindi un caso che la Fcei abbia deciso di impegnarsi in questo progetto accogliendo la sfida di arrivare a un testo che faciliti la lettura autonoma del testo biblico».

E il volume lo fa attraverso un testo biblico semplificato ma fedele all’originale, disegni, cartine, brevi note esplicative su personaggi e temi della narrazione, strisce del tempo.

La pubblicazione è inoltre frutto di diverse professionalità e competenze: è stato curato dal già citato Sie; finanziato con i fondi dell’Otto per mille metodista e valdese; realizzato dalla casa editrice Giunti Edu; ed infine distribuito dall’editrice protestante Claudiana, sul cui sito è possibile acquistare il volume.

Per iscriversi e ricevere il link di invito per partecipare scrivere all’indirizzo: sie@fcei.it

Chiese sicure e tutela dei minori

nev

Roma (NEV), 4 novembre 2020 – Sabato 7 novembre, il Centro Ecumene in collaborazione con l’XI Circuito propone un incontro online sul tema della “Tutela dei minori”.

Si legge sulla locandina: “Come rendere i nostri ambienti delle chiese e dei centri luoghi sicuri e protetti, in cui bambini e giovani possano trovare un posto di libera espressione e valorizzazione rispettosa della loro dignità, dei loro tempi e degli spazi personali? Come prevenire comportamenti inadeguati e situazioni di abuso? Come ispirare fiducia e imparare a cogliere e gestire in modo adeguato eventuali segnali di sofferenza e disagio? La nostra Chiesa, per cominciare, ha scelto lo strumento di una semplice ‘linea guida’ perché si appella alla responsabilità dei singoli. La formazione si propone di presentare la nostra ‘linea guida’, di invitare ad uno scambio su essa e di prendere in considerazioni gli aspetti giuridici”.

Parleranno l’avv. Ilaria Valenzi, consulente legale della Federazione delle chiese evangeliche in italia (FCEI) e Hiltrud Stahlberger-Vogel, pastora e counsellor.

L’appuntamento è dalle 10 alle 13 (clicca qui per visualizzare la locandina). Per prenotazioni e chiavi di accesso al seminario, scrivere a hstahlberger@chiesavaldese.org

Questo appuntamento di formazione telematica è rivolto a tutte e tutti coloro i quali vogliano acquisire e/o migliorare strumenti per il lavoro con bambini/e e giovani in chiese e campi evangelici. I campi di formazione proposti da Ecumene offrono, da un lato, strumenti per lo sviluppo di competenze teoriche nel campo del lavoro educativo con i/le bambini/e e giovani; dall’atro, rappresentano uno spazio di riflessione sul fondamento teologico dell’impegno evangelico e metodista.

Ecumene si trova a Velletri (Roma) ed è un centro di studi, vita comunitaria e culto dell’Opera per le Chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI).

“Non abbiamo bisogno di nemici”

da nev

Roma (NEV), 2 novembre 2020 – A cura della Commissione Globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in italiane –

Il 5 novembre 2001 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiarava la data del 6 novembre di ogni anno Giornata internazionale della prevenzione dell’utilizzo dell’ambiente in guerre e conflitti armati.

Sebbene l’umanità abbia sempre contato le proprie vittime in termini di soldati e civili morti e  feriti, città e mezzi di sussistenza distrutti, l’ambiente spesso è la vittima non nominata della guerra. Pozzi sono stati contaminati, derrate bruciate, foreste tagliate, suoli avvelenati e animali uccisi per acquisire vantaggi militari.

Inoltre il Programma della Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) ha rilevato che negli ultimi 60 anni almeno il 40% di tutti i conflitti interni era collegato all’utilizzo di risorse naturali, sia di alto valore come legname, diamanti, oro e petrolio, sia scarse come terra fertile e acqua. Conflitti che coinvolgono risorse naturali hanno anche doppia probabilità di ricaduta negativa. 

Le Nazioni Unite attribuiscono grande importanza ad assicurare che l’azione sull’ambiente sia parte della prevenzione dei conflitti, delle strategie di mantenimento e di costruzione della pace, perché non può essevi pace durevole se le risorse naturali che reggono i mezzi di sussistenza e gli ecosistemi sono distrutte.

Il 27 maggio 2016 l’Assemblea sull’Ambiente delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione UNEP/EA.2/Res.15 che riconosce la funzione di ecosistemi sani e gestione sostenibile delle risorse per ridurre il rischio di conflitti armati, e ha riaffermato il proprio forte impegno per il pieno rafforzamento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, elencati nelle risoluzione 70/1 dell’Assemblea Generale dal titolo “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”. 

Inoltre, dall’8 all’11 novembre 2020, si svolge la Settimana Internazionale su Scienza e Pace promossa dalla Nazioni Unite dal 1986. Obiettivi di questa settimana sono promuovere la pace internazionale e i diritti umani, la protezione dell’ambiente e la consapevolezza del ruolo di scienza e tecnologia per il mantenimento della pace mondiale e per lo sviluppo sociale. 

In questo 2020 disarticolato dalla pandemia, è con emozione che si può ricordare la data di venerdì 23 ottobre che ha consentito alle Nazioni Unite di annunciare la ratifica del trattato che mette al bando gli ordigni nucleari, con entrata in vigore fra 90 giorni. Una data che, a distanza di 75 anni, coincide con il 24 ottobre 1945. Quando cioè entrò in vigore lo Statuto delle Nazioni Unite e che rinnova a distanza di tre quarti di secolo il ripudio per il crimine del bombardamento nucleare contro il Giappone sulla via della resa, il 6 e il 9 agosto 1945, a Hiroshima e Nagasaki. L’intensa mobilitazione dell’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons/ ICAN, insignita del Premio Nobel per la Pace del 2017, ha portato i suoi generosi frutti. È ora compito di cittadin* dei singoli paesi di imporre ai propri parlamenti e governi di aderire a questa scelta di civiltà per cui d’ora in poi la detenzione di armi nucleari non è solo immorale, ma criminale. La strada sarà lunga, in salita, ma da essa non si può tornare indietro. Per noi in Italia, che negli arsenali di Aviano e Ghedi abbiamo un imprecisato numero di testate nucleari stoccate, bisognerà insistere con pazienza e perseveranza. Ricordando anche che queste testate ci rendono un bersaglio. Gli effetti ambientali degli ordigni nucleari sono terribili e di durata secolare.

Ormai da decenni l’area mediterranea e lo spazio verso oriente fino all’Afghanistan sono investiti in modo continuativo da guerre convenzionali, con interventi di stati, e conflitti irregolari di milizie e gruppi non istituzionali. Situazioni nelle quali l’Italia è molto coinvolta. Il territorio è devastato senza pietà e le immagini che giungono, di ordigni, mezzi militari, rifiuti abbandonati nel deserto sahariano, indicano ferite che non si rimargineranno facilmente, in aree che erano rimaste relativamente isolate e protette. Senza parlare di ciò che non si vede, come le bombe scaricate in alto Adriatico a fine del secolo scorso, durante le operazioni militari nella ex Jugoslavia, o le centinaia se non migliaia di soldati contaminati dall’uranio impoverito (ma sempre pericoloso), nella stessa situazione.

In questo scenario dobbiamo ricordare il conflitto in Yemen, nell’ambito della coalizione guidata da Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Qui è stato documentato che armamenti, in particolare bombe, prodotti in Italia e dei quali è stata autorizzata l’esportazione verso paesi della coalizione (quindi in contrasto con le norme ONU che vietano vendita di armi verso belligeranti), hanno investito popolazione civile, contadini con la loro piccola agricoltura, suoli coltivati. Anche qui una nota positiva: è in fase di costruzione, con la partecipazione di chiese tedesche, della Federazione delle chiese evangeliche in Italia e soggetti locali, un progetto di riconversione produttiva della stabilimento RWM Italia SpA in Sardegna, che produce appunto tali bombe e ordigni. 

Nella fatica di organizzarsi nella pandemia, probabilmente non si è prestata la necessaria attenzione a due documenti importanti: uno del Ministero della Difesa, il Documento programmatico pluriennale della difesa per il triennio 2020-2022 e un altro del Senato della Repubblica, l’Autorizzazione e proroga missioni internazionali 2020 (Esame della deliberazione del Consiglio dei ministri del 21 maggio 2020, DOC. XXV n. 3 e DOC. XXVI n. 3, 10 giugno 2020) che tracciano in modo dettagliato e preciso gli indirizzi in materia militare e strategica del prossimo futuro.

La lettura di tali documenti non è del tutto tranquillizzante. Ci sono punti positivi, come una riflessione sul ruolo delle forze armate nella pandemia con proposte di miglioramenti che l’esperienza indica come utili. Ma ci sono anche punti sui quali si può avere qualche dubbio. Viene ribadita la indiscussa adesione alla Nato ritenendo necessario un aumento di finanziamento: in realtà la Nato non gode di buona salute e in ogni caso l’epicentro mondiale ormai è nel Pacifico. Ma si indica come necessaria anche la difesa europea: è ovvio che le due cose non sono compatibili perché gli obiettivi sono diversi. Si ritiene necessario un aggiornamento tecnologico di quello che viene chiamato lo Strumento militare per essere competitivi a livello internazionale. L’avanzamento tecnologico in campo militare vuol dire probabilmente armi e  esportazione delle stesse. Infatti si prevede coordinamento con i ministeri economici. Infine si rimane perplessi vedendo il numero molto elevato di missioni estere: di alcune ci si può domandare la ragione. E vedendo le cifre che accompagnano i singoli interventi non si può non avere la sensazione che ci siano interessi economici di una certa consistenza (incluso il doppio salario per chi è in missione) che rischiano di protrarre nel tempo tali missioni. Ora la presenza di eserciti, militari, armanenti ecc. comporta sempre ricadute ambientali non indifferenti. Inquinamento che le strutture militari comportano, disorganizzazione delle comunità locali per pressione sulle risorse locali (alloggi, alimenti, servizi) che fanno lievitare i prezzi, messa in contatto di culture diverse apparentemente senza azioni preparatorie. Sorprende che non vi sia accenno nelle diverse ipotesi di missioni estere alla formazione di personale che sappia le lingue locali, che conosca le culture nelle quali ci si inserisce con la brusca presenza militare che sappia come sono gli ecosistemi locali. Su questo aspetto c’è, sembra, da imparare molto dal modo di operare statunitense che sempre ha mediatori culturali molto preparati. 

Nel riflettere sul tema della giornata del 6 novembre, cioè prevenzione di un uso dannoso dei quadri ambientali in situazioni di guerra e conflitto armato, va aggiunto un ulteriore punto. Nei lustri recenti ai conflitti armati si sono affiancate quelle che vengono chiamate guerre ibride: cioè modi di operare volti a combattere o abbattere con tattiche non solo belliche quello che viene considerato un nemico. Alcuni esempi: l’uso delle sanzioni, l’impiego massiccio di notizie false per deformare i processi elettorali, il ricorso manipolato alla giustizia per emarginare avversari. Spesso le guerre ibride hanno conseguenze ambientali molto pesanti. L’embargo e le sanzioni sono la strada maestra per promuovere il contrabbando, ad esempio di petrolio e naturalmente armi, in modo selvaggio: gli esempi non mancano, a cominciare dalle passate vicende dell’Iraq. La manipolazione del processi elettorali non di rado mira a promuovere gruppi che saccheggiano l’ambiente. Anche qui gli esempi non mancano, a cominciare dal Brasile dal 2016 in poi e dalle vicende della Bolivia dal 2019. Insomma, c’è molto da fare per onorare la data del 6 novembre. Certamente buona cosa è ridurre le armi, la presenza di militari e mezzi e moltiplicare il personale preparato in lingue e conoscenze culturali e ambientali, per poter capire e comunicare. In ogni caso, non abbiamo bisogno di nessun nemico”.

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