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Covid-19. Alessandra Trotta: Parole e opere di speranza

La Tavola valdese ha destinato la prima parte degli 8 milioni di euro dei fondi dell’Otto per mille per l’emergenza Covid-19. Intervista alla moderatora Alessandra Trotta di Alberto Corsani, direttore di Riforma

(NEV/Riforma.it), 27 aprile 2020 – Pubblichiamol’intervista integrale del direttore di Riforma Alberto Corsani alla diacona Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese


La Tavola valdese ha comunicato il 19 marzo scorso di intervenire con 8 milioni di fondi Otto per mille
per contribuire a gestire l’emergenza Coronavirus nel nostro Paese. Una decisione tempestiva, ma con la consapevolezza di guardare oltre: considerando cioè le conseguenze economiche, psicologiche e sociali della pandemia, intuibili già a marzo, e che oggi vediamo confermate. Come si articolava dunque questo duplice intendimento? Lo chiediamo alla diacona Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese.

In effetti abbiamo pensato a un piano in due tempi: un primo tempo con interventi a supporto dell’impegno di diagnosi, cura e contenimento del contagio da parte del sistema sanitario, con un’attenzione rivolta non solo agli ospedali e alle regioni più colpite, ma anche a quei servizi di medicina territoriale e di prossimità che, molto indeboliti negli ultimi anni dalle scelte compiute nella gestione della sanità pubblica, mostrano in questo momento di avere un’importanza fondamentale nella prevenzione dei rischi e nella garanzia di adeguatezza di cura per tutti. Seguirà un secondo piano di interventi che sarà orientato a contribuire, con qualche misura più sistematica, alla ripresa sociale ed economica del Paese, a partire dai bisogni delle fasce della popolazione più esposte a subire le conseguenze devastanti dei provvedimenti assunti per fronteggiare questa emergenza. Ci tengo a precisare che, accanto a questi interventi straordinari, proseguirà l’ordinario supporto al prezioso impegno sociale ed assistenziale portato avanti dai tantissimi enti del Terzo settore (673 nel 2019) che ogni anno accedono con i loro progetti a un finanziamento dell’otto per mille assegnato alle nostre chiese.

Possiamo vedere nel dettaglio a chi si indirizza l’intervento della prima fase?

Questa parte dell’intervento ha raggiunto innanzitutto gli ospedali di Bergamo e Brescia, città fra le più colpite, finanziando l’acquisito di importanti attrezzature, ma anche, a Bergamo, l’intervento di personale specializzato per la gestione di nuovi posti letto di terapia intensiva. Sono state raggiunte anche le Marche, supportando un intervento di sostegno nell’ospedale di Pesaro e in varie RSA e la formazione di personale medico e paramedico da impegnare nelle cure domiciliari in varie città. Sono state messe a disposizione delle risorse, ancora, per gli Ospedali evangelici di Genova e di Napoli, che hanno dovuto profondamente modificare la propria organizzazione per concorrere alle necessità dei sistemi sanitari ligure e campano di fronte all’emergenza. Un’altra parte degli interventi già attuati ha raggiunto, poi, le campagne del Foggiano e le periferie di Roma, attraverso l’attivazione di cliniche mobili attrezzate per la prevenzione del rischio presso fasce di popolazione che vivono in condizione di particolare fragilità. Restano da attuare due interventi: un contributo a un’importante azione istituzionale in fase di definizione in Calabria, con l’attivo coinvolgimento della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), per il superamento del grave fattore di rischio rappresentato dalle baraccopoli sorte intorno alle campagne della Piana di Gioia Tauro. E infine un intervento in Piemonte, in particolare nelle zone di Pinerolo e delle valli Germanasca, Chisone e Pellice, in cui la storica, significativa presenza delle nostre chiese ci fa sentire particolarmente responsabilizzati, ma anche capaci di offrire un’operatività che possa contribuire allo sviluppo della medicina territoriale e della domiciliarità con una presa in carico globale dei malati e delle loro famiglie in ambienti non ospedalieri.

Nel comunicato con cui la Tavola valdese ha illustrato la prima parte del piano di interventi per l’emergenza Covid si trovano effettivamente indicati molteplici livelli, fra questi anche il riferimento al sostegno alle chiese locali, per quella dimensione comunitaria che è un altro aspetto della diaconia stessa. Come mai ?

Questa domanda mi offre l’opportunità di precisare la centralità del ruolo delle nostre chiese locali anche in questo frangente. Le chiese valdesi e metodiste nel nostro Paese sono spesso conosciute soprattutto per alcuni pronunciamenti pubblici su grandi temi sociali o etici, per azioni umanitarie di grande visibilità come i corridoi umanitari o per gli interventi della nostra diaconia più istituzionale e organizzata in Centri conosciuti e apprezzati al livello locale o nazionale. Ma senza le piccole chiese locali, formate da membri di chiesa attivamente e appassionatamente impegnati nella predicazione dell’Evangelo e nell’alimentare una vita comunitaria nella quale trovi radicamento un cammino di fede che si esprime anche nella costruzione, alla luce dell’Evangelo, di relazioni umane radicalmente alternative, non vi sarebbero quelle Istituzioni sociali o assistenziali, non vi sarebbero quelle azioni di denuncia sociale, di promozione dei diritti, di lotta per la giustizia, che portiamo avanti perché vi riconosciamo una coerente espressione del compito di annuncio evangelico che la Chiesa è chiamata ad assolvere. In questa emergenza, abbiamo fiducia che le nostre chiese locali sapranno assolvere, con ulteriori interventi diretti per i quali la Tavola metterà a disposizione delle risorse raddoppiate, un compito di supporto a coloro che, intorno a loro, dentro o fuori le chiese, già vivono la marginalità o che, per il Covid-19, hanno ridotto o perso il lavoro e non possono più pensare con serenità a una tranquilla vita quotidiana.

Questo rilevante intervento da parte della Tavola valdese è anche espressione di una consapevolezza spirituale ed è di fatto anche una testimonianza: che cosa muove i e le credenti a rendersi disponibili a fianco ai loro concittadini e quale può essere il messaggio di speranza che i protestanti possono portare anche in questo momento che non è solo di emergenza sanitaria ma anche di disorientamento degli individui?

Le nostre chiese da sempre interpretano la fede cristiana come fiducia di essere parte di un piano di Dio per l’intera sua creazione – un piano di vita piena, buona e abbondante per tutti – che chiama ogni singolo individuo, riconosciuto e valorizzato nella sua unicità, dignità e libertà, a mettere a frutto i suoi talenti al servizio del bene comune. Come credenti che vivono così la loro fede, siamo sfidati a vivere questo tempo, dominato dal senso di precarietà e dal disorientamento di fronte a un mondo che sembra crollare nelle sue certezze, nel suo profondo significato spirituale, ponendoci all’ascolto di ciò che il Signore ci sta dicendo, cercando di leggere i segni dei tempi e reagendo in coerenza con l’Evangelo. Pensiamo a come questa situazione sta interrogando le categorie, anche biblicamente molto dense, di vicinanza/distanza, aperto/chiuso, schiavo/libero, solo/insieme. Sarebbe grave coltivare l’illusione di tornare, anche come chiese, alla normalità di prima, senza cogliere l’opportunità unica di una ricostruzione nella direzione della solidarietà sociale, della sostenibilità ambientale, della riduzione delle diseguaglianze, nell’accesso ai beni essenziali come la salute, l’educazione, la casa, di un sistema di organizzazione del lavoro che si concili meglio con le esigenza di cura familiare e del riposo. Invochiamo tutti, dunque, l’aiuto del Signore per crescere nella capacità di vivere come comunità evangeliche, contagiatrici, in parole ed opere, di una speranza viva di conversione e rinascita.

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La necessità di costruire una chiesa nuova e un mondo nuovo

n una preghiera su Zoom, Irene Grassi nomina “positive e negativi, malati e asintomatiche, lavoratori essenziali e madri in smart-working, disoccupate e partite iva, bambine e bambini col naso schiacciato alla finestra … Non sono gli altri il nostro prossimo, ma siamo noi il prossimo per gli altri: il runner, la poliziotta, l’infermiere, lo spacciatore, la senzatetto, il presidente Conte…”

Roma (NEV), 27 aprile 2020 – Alla fine del “culto via Zoom” (ZoomWorship) di ieri, dopo la predicazione del presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), pastore Luca Maria Negro, e della pastora Dorothea Mülller, membro della Tavola valdese, i quasi trecento partecipanti hanno potuto condividere alcune preghiere. Fra queste, segnaliamo l’invocazione di Irene Grassi, membro della chiesa valdese di Pisa, che nella vita si occupa di comunicazione e raccolte fondi.

“Dio d’amore,
vieni a trovarci nelle case da cui non possiamo uscire – o da cui ci affacciamo rapidi, guardinghe, col volto coperto.

Vieni ad abbracciarci una per uno, positive e negativi, malati e asintomatiche, lavoratori essenziali e madri in smart-working, disoccupate e partite iva, bambine e bambini col naso schiacciato alla finestra.

Vieni a raccoglierci dal divano, o dal pavimento, stringici forte le mani, scuotici, soffia.
Fioriscici dentro.

Vieni a sederti nelle nostre bolle da un metro e ottanta e preparaci per quando, tra non molto, incontreremo i glicini ormai sfioriti, e i nostri simili, a distanza di sicurezza.

Vieni a tirarci i capelli quando ci dimentichiamo che non sono gli altri il nostro prossimo, siamo noi il prossimo per loro: il runner, la poliziotta, l’infermiere, lo spacciatore, la senzatetto, il presidente Conte.

Vieni a scompaginare le nostre Bibbie e mostraci la Parola che pensavamo di sapere. Vieni a prenderci per mano e portaci fuori, a combattere l’ingiustizia, la violenza, la sopraffazione, e poi la solitudine, l’angoscia, il dolore, nel rispetto della distanza fisica, e perciò con più forza, con più audacia, con più fermezza.

Vieni a sederti al nostro posto in chiesa, quando torneremo in chiesa, così da costringerci a vagare alla ricerca di un posto nuovo; così da convincerci alla necessità di costruire una chiesa nuova, un mondo nuovo, un assaggio – del tutto migliorabile! – di quel giorno che arriverà il Tuo Regno, quando saremo, finalmente, guarite/i.

Fino ad allora, che il Tuo Spirito ci guidi, e trapassi ogni mascherina”.

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Il valore della preghiera comune dei cristiani.

La risposta dell’Opcemi e della Tavola all’invito della Chiesa Cattolica Romana a pregare insieme con il Padre Nostro

Torre Pellice, 25 Marzo 2020

Il Comitato permanente dell’Opcemi e la Tavola Valdese esprimono, per le chiese metodiste e valdesi, condivisione per ogni iniziativa che rafforzi, in questo momento di profondo dolore, smarrimento, paura il sentimento di unione dei cristiani nella preghiera, privata o pubblica, per coloro che affrontano la distretta, le perdite dei loro cari, per le persone impegnate nella ricerca, nella cura e nella sicurezza.

Dalla fiducia che il Cristo risorto intercede per l’intera umanità sofferente, smarrita, impaurita traiamo insieme consolazione, forza e speranza. Nella condivisione della preghiera all’interno dell’ecumene cristiana ravvisiamo un segno potente della comune partecipazione alla dimensione universale del popolo di Dio e di cura per tutti gli uomini e le donne che Egli ama.

In questo quadro leggiamo per l’oggi e per i giorni a venire l’invito rivolto dalla Chiesa Cattolica Romana a pregare insieme con la preghiera del Padre Nostro, la preghiera perfetta insegnataci da Gesù, che accompagna da sempre un cammino ecumenico che si nutre di preziose occasioni di ascolto comune della Parola, di sostegno reciproco, di collaborazione nell’aiuto ai minimi e di comune impegno e intercessione per la salute, la pace e la giustizia nel mondo intero.

Coronavirus: le Chiese valdesi e metodiste stanziano 8 milioni di euro

Le Chiese valdesi e metodiste e le loro organizzazioni di servizio sociale, educativo, culturale, partecipano pienamente alla sofferenza e alle preoccupazioni, ma anche alla volontà di condivisione delle speranze e delle migliori espressioni di impegno solidale che attraversano in questo tempo di emergenza la vita del Paese in tutte le sue componenti, con uno sguardo particolarmente attento alle realtà più vulnerabili e marginali.

La Tavola valdese, avvertendo, per le chiese che rappresenta, la responsabilità di contribuire anche con mezzi straordinari all’impegno diretto a fronteggiare la crisi sanitaria, sociale ed economica prodotta dal diffondersi del virus Covid-19, ha deciso di stanziare 8 milioni di euro, ricavati dai fondi dell’Otto per mille assegnati annualmente alle Chiese valdesi e metodiste, per la costituzione di un Fondo speciale destinato a tale finalità.

La Tavola è già impegnata nell’attenta valutazione di serie, credibili e lungimiranti linee di azione e intervento, che esigono scelte non affrettate, non emotive, da confrontare con soggetti istituzionali ed enti del terzo settore. Tali linee di azione si muoveranno lungo due direttrici: la prima è concentrata sui bisogni immediati e urgenti, soprattutto di tipo sanitario, su cui stanno già confluendo molte risorse generosamente messe a disposizione da singoli, fondazioni e altre organizzazioni benefiche e rispetto ai quali si vuole, quindi, mantenere l’attenzione sull’evoluzione della situazione, soprattutto in quelle zone del Paese che appaiono più fragili e meno attrezzate a fare fronte all’emergenza. La seconda direttrice riguarda le necessità della ripresa oltre l’emergenza, considerando ciò che ancora non si vede: le voragini di disagio, esclusione e impoverimento nelle quali precipiteranno le categorie sociali più esposte alle conseguenze del blocco prolungato di attività produttive e reti di sostegno sociale e delle scelte di redistribuzione di risorse umane e finanziarie imposte in questi mesi dalle misure adottate per frenare il contagio.

Metodisti: no alla meschina cultura primatista dell’odio e dell’esclusione

Anche l’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI) si esprime sui casi Segre, Pecora elettrica e Aurora Desio

Roma (NEV), 11 novembre 2019 – La presidente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI), pastora Mirella Manocchio, ha diramato questa mattina un comunicato in cui il Comitato permanente dell’OPCEMI, ente ecclesiastico cui afferiscono le chiese metodiste in Italia “guarda con preoccupazione a quanto sta accadendo in Italia in questi anni rispetto all’elevarsi dello scontro sociale e l’aumento di atti discriminatori, anche violenti, nei confronti di persone di colore o ebree, di chi si proclama antifascista e di chi fa propri i valori dell’accoglienza e del rispetto per tutti ‘senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali’ (art. 3 della Costituzione italiana)”.

I metodisti, impegnati in ambito ecumenico e internazionale, si sono sempre “battuti per la costruzione di una società laica e pluralista”, si legge nel comunicato, che sottolinea il dilagare di diffidenza, paura del diverso, pregiudizi e odio.

Le chiese metodiste e valdesi, attraverso la moderatora Alessandra Trotta, hanno rivolto la settimana scorsa un plauso alla senatrice Liliana Segre per aver fortemente voluto la Commissione contro il razzismo e l’antisemitismo, consapevoli che questa è “una battaglia di civiltà che va combattuta, oltre che a livello penale, con le pacifiche armi dell’istruzione, della memoria storica, della cultura solidaristica essenziali per alimentare la costruzione di un tessuto sociale aperto, accogliente, pluralista.

Si è, invece, dovuto assistere con sgomento all’indegno spettacolo di un astensionismo al voto parlamentare legato a speciose motivazioni di opportunità politica e poi al susseguirsi di atti intimidatori contro la senatrice a vita che hanno resa necessaria l’assegnazione di una scorta – denunciano i metodisti, esprimendo solidarietà alla senatrice Liliana Segre e offrendo collaborazione – a quanti (come la libreria ‘Pecora Elettrica’ o la squadra di calcio ‘Aurora Desio’) si adoperano per contrastare il consolidarsi di un fronte sociale, prima che partitico, farcito di una meschina cultura primatista dell’odio e dell’esclusione”.

La Pecora elettrica è una libreria e caffetteria di Roma, luogo dichiaratamente antifascista nella popolare zona di Centocelle, distrutta per la seconda volta quest’anno da un incendio, alla vigilia della riapertura.

Il caso “Aurora Desio” riguarda il settore calcistico dei “pulcini” nati nel 2009. Durante la partita del 2 novembre scorso contro la Sovicese, una persona, probabilmente una mamma della squadra avversaria, ha rivolto a un giocatore di 10 anni insulti razzisti. A questo episodio è seguita una immediata reazione, iniziata con una lettera a firma dell’US Aurora Desio 1922 (indirizzata al Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, all’Assessore Regionale allo Sport Martina Cambiaghia, al Sindaco con delega allo Sport del Comune di Sovico Barbara Magni, alla Federazione italiana giuoco calcio e alla Società Sovicese calcio) e che continua con manifestazioni di solidarietà fra cui la scesa in campo, sabato scorso, di tutta la squadra con segni neri sul volto, magliette con la scritta “L’unica razza che conosco è quella umana” e uno striscione “Vietato ai razzisti” (VAR, come il sistema di assistenza arbitrale tramite video). L’Aurora Desio ha lanciato la campagna #VAR, che sta ricevendo numerose adesioni in ambito sportivo e sui social.

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Culto evangelico della Riforma

Culto evangelico della Riforma
Domenica 3 novembre
RAIDUE ore 10,00

In Eurovisione dalla Chiesa valdese di Prali
nelle valli valdesi del Piemonte
a cura della rubrica Protestantesimo

Solus Christus
Culto in occasione della domenica della Riforma
protestante presieduto dai pastori valdesi della Valle con la
partecipazione del coro «Eiminal», diretto da Pierpaolo
Massel, e delle corali protestanti della Val Germanasca.
All’organo Malte Dahe.

Per rivedere le puntate visita il sito VIDEO
Protestantesimo su Facebook
Indirizzo mail : protestantesimo@fcei.it; protestantesimo@rai.it

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Prolusione Facoltà Valdese di Teologia

Da Riforma

La prolusione della pastora Letizia Tomassone sul variegato contributo femminile alla Riforma protestante

di Maria Teresa Piani

 

Sabato 5 ottobre, la Facoltà valdese di Teologia di Roma ha inaugurato il 165° anno accademico. Alla prolusione erano presenti il corpo docente, gli studenti e le studentesse iscritti alla Facoltà in vista del pastorato, gli iscritti al corso di Scienze bibliche e teologiche, gli studenti universitari ospiti del centro Melantone e gli aderenti al programma Erasmus. La prolusione, affidata per la prima volta a una donna, è stata tenuta dalla professoressa di Studi femministi e di genere Letizia Tomassone. Tema trattato: «Donne della Riforma. Un soggetto imprevisto?». Nella prolusione la Riforma è stata analizzata con criteri storici e con criteri di genere, attraverso l’analisi di testi scritti dalle donne che in vari modi ebbero parte attiva nel promuovere un cambiamento sociale e spirituale, nel XVI secolo.

 Si è approfondito il tema di come e se la Riforma portò trasformazioni per le donne nella chiesa e nella società. Se cambiarono i rapporti tra donne e uomini e come le prime poterono riappropriarsi e far valere i propri diritti: ricevere un’educazione, ereditare, avere proprietà, esercitare una professione.

Due principi della Riforma incisero sulla trasformazione sociale nella vita delle donne: il sacerdozio universale e il Sola Scriptura. La donna doveva essere sempre vista come sposa e legata alla vita familiare, al punto che era sconsigliata la condizione di vedovanza. Viene citato l’esempio di Wibrandis Rosenblatt che fu sposa di quattro Riformatori. L’unica possibilità socialmente riconosciuta era nel matrimonio e nella vita familiare. Ma, essendo la famiglia lo spazio in cui si svolgevano le attività artigianali e commerciali, la moglie diventava di fatto assieme al marito un’imprenditrice accettata e ascoltata. Un primo esempio lo abbiamo attraverso le molteplici attività imprenditoriali, come si direbbe oggi, di Katerina von Bora sposa di Lutero. Le donne, pur non avendo ufficialmente spazi di predicazione, o decisionali, o confessionali, furono molto attive proprio nella predicazione e nella diffusione delle idee della Riforma. Il principio del sacerdozio universale permette di poter vivere e far conoscere la propria fede nelle attività e nelle professioni da loro esercitate.

Nella prolusione è stata menzionata la situazione della città di Strasburgo, sede di una Riforma più tollerante e aperta di quella tedesca. In questa città un decimo della popolazione era di fede anabattista e due donne vengono ricordate: una come “anziano di Israele”, Barbara Rebstock, e Ursula Jost come guida e profetessa della comunità. Fu ancora una donna, Margarethe Pruess, audace editrice e tipografa che pubblicò le loro visioni. Margarethe rimase dentro le regole stabilite dalla società del suo tempo, accettando di prendere dei mariti tipografi con i quali poté mantenere e esercitare, con ruolo decisionale, la sua attività. Ciò le permise di far stampare scritti che apportarono un significativo contributo allo sviluppo dell’anabattismo. Ed è sempre una donna Katharina Zell, ex badessa che uscita dal convento sposò Matteo Zell, ad avere l’incarico di organizzare e coordinare l’accoglienza dei profughi in fuga dalle stragi legate alle guerre dei contadini. Il lavoro svolto dalla Zell fece sorgere l’idea che anche le donne potevano avere un ruolo e una vocazione nell’ambito della chiesa.

Per le donne era un epoca complessa:di scontri, di discussioni, di conversioni. Un periodo fiorente per la scrittura di epistole e di testi per la Riforma quali inni, poesie, profezie. Le donne pubblicano e per poterlo fare, il più delle volte attribuiscono il merito al marito oppure firmano solo con le iniziali. Come fa notare la prof. Tomassone: «Le donne della Riforma, sono state capaci di creare una rete, di dialogare tra loro e sostenersi a vicenda. La rete delle donne in dialogo fra loro creava una forte solidarietà e sostegno che poi si riversava anche sul versante maschile delle relazioni».

Un’ altra spinta teologica della Riforma è stata la necessità di saper leggere e scrivere per accostarsi alla Scrittura in modo individuale. Per Lutero è importante che anche le donne sappiano predicare affinché, nel momento di forte necessità in mancanza dell’uomo, esse siano in grado di sostituirlo. «Quando non ci sono uomini che parlano, è necessario che lo facciano le donne». Diventa obbligatorio che i genitori, facciano frequentare le scuole sia ai figli che alle figlie. Con la Riforma anche i mariti si fanno carico e partecipano alla cura della prole. La scuola, pubblica e gratuita, verrà affidata ai magistrati civili che sostituiranno l’opera dei conventi. A Ginevra, alle ragazze della seconda generazione della Riforma, sarà preclusa l’istruzione gratuita delle scuole superiori. Questo comporterà gravi conseguenze che si protrarranno per lungo tempo.

Pertanto, le donne sono riuscite a contribuire attivamente ai cambiamenti che la Riforma ha portato nella società e nella chiesa, superando gli ostacoli imposti dalla mentalità del tempo.

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I mafiosi ultimi calvinisti?

da Riforma

di Peter Ciaccio

Le parole di Roberto Saviano al Festival del Cinema di Venezia sono profondamente errate. Lettera aperta allo scrittore da parte del pastore Peter Ciaccio

 

Caro Roberto Saviano,

ti scrivo perché non riesco a credere a quanto avresti detto alla Mostra del Cinema di Venezia durante il lancio della nuova serie tv ZeroZeroZero, tratta dal tuo libro e diretta da Stefano Sollima. Non riesco a crederci per la stima che ho per te, per il tuo lavoro, anzi per la tua missione. O, calvinisticamente, potrei dire, che ho stima della tua vocazione e di come combatti per non cedere alla tentazione di mollare tutto, di ritirarti, di far vincere “loro”.

Non sono riuscito a trovare la citazione esatta di quanto hai detto a Venezia. Tuttavia, comparando le diverse testate, il concetto che hai voluto esprimere appare alquanto chiaro: nella criminalità organizzata esiste una mistica del potere, una dimensione religiosa e, in quest’ottica, i boss sono “gli ultimi calvinisti” del mondo.

Potrei dirti che questa espressione è sbagliata, fuorviante e offensiva. Chi ti scrive conosce l’opera di Giovanni Calvino ed è pastore della Chiesa Valdese, espressione “ufficiale” del calvinismo in Italia. Certo, la fama dei calvinisti è quella di essere sobri, puritani, dedicati al lavoro, rigorosi. Max Weber ha addirittura associato al calvinismo lo “spirito del capitalismo”, con buona pace dei cattolicissimi fiorentini, inventori della cambiale e dell’espressione “bancarotta”. Ma non è questo il punto.

Il calvinismo è la prima confessione cristiana che si comprende come minoranza: gli ugonotti in Francia e i valdesi in Italia sanno che non possono (e forse non devono) aspirare a comandare, a diventare religione di stato. Pertanto, nel rapporto tra chiesa e società, i calvinisti non tramano contro la legge, ma ricercano il bene della città, come diceva il profeta Geremia agli esuli in Babilonia. Non è detto che poi nei fatti vada sempre così, ma questa è almeno la teoria. Per questo, ad esempio, i valdesi in Italia hanno il pallino della laicità dello stato, usano la libertà di cui godono per fare in modo che altri abbiano riconosciuti i diritti negati, usano l’Otto per Mille per progetti umanitari, sociali e culturali e non per pagare i pastori o ristrutturare le chiese.

Per carità, non siamo dei “santi”, come suol dirsi. Anzi, come scriveva Heinrich Böll, siamo ossessionati dalla precisione e dal dettaglio e, come probabilmente si evince da queste righe, puntigliosi fino a risultare antipatici. Nonostante questo, però, associare l’atteggiamento egoista, violento, idolatra, malvagio di un boss mafioso al calvinismo non è una piccola deviazione, un dettaglio sbagliato, una semplice imprecisione, ma è una sciocchezza enorme.

E, per dimostrarti quanto un calvinista può essere antipatico nell’essere puntiglioso, ti dico che il motivo per cui ti scrivo non è farti una lezione su chi sono veramente gli ultimi calvinisti d’Italia. Il motivo è riflettere sulla tua vocazione, che è quella di raccontare la mafia con semplicità e forza narrativa, di usare l’arma che ti è concessa, quella penna che è più potente della spada, come il piccolo Davide usò la fionda contro la potenza del gigante Golia. A differenza di Davide che poi divenne re, il successo di Gomorra ti ha trasformato in un recluso. Nonostante questo sei andato avanti per la tua strada da “calvinista” (se me lo concedi); in sintesi, possono farti di tutto, ma non toglierti la tua vocazione, che è raccontare come stanno le cose con una grande capacità comunicativa.

Ecco perché non puoi concederti una sciocchezza come quella che hai detto sui boss calvinisti: non perché sia falso (ed è falso), ma perché ne va della tua vocazione.

Calvinisticamente tuo,

Peter Ciaccio

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Intervento di Maria Grazia Mazzola alla serta pubblica del Sinodo

 

La distorsione del fenomeno migratorio sul piano dell’informazione è un dato certo divulgato anche dall’Eurispes. Oltre 60 milioni di utenti in Italia non hanno una visione reale del fenomeno migratorio. E non solo sulle migrazioni aggiungo. Abbiamo assistito a titoli terroristici sull’invasione dei barconi, nonostante i dati fossero invece in diminuzione. Frasi rilanciate come un dogma: ‘la pacchia è finita, chiusi i porti’. Attenzione, riflettiamo bene però su un punto, sono frasi rassicuranti per tantissimi cittadini che non arrivano alla fine del mese, che non hanno una casa di proprietà, che hanno perso il lavoro, che non hanno servizi né pensione, anche se non c’è alcuna correlazione tra la loro condizione e i flussi migratori, ma sono frasi rassicuranti anche per certi imprenditori ricconi e sfruttatori. Sono frasi rassicuranti per gli schiavisti. ‘Ah finalmente basta co sti neri delinquenti, stupratori e usurpatori dei nostri redditi’. ‘Stai bene a 2 euro l’ora. Ti dò una stamberga e un po’ divitto… lavora 12 ore al giorno…’. Pochi giorni fa sono stati arrestati a Bari due imprenditori agricoli che pagavano 30 centesimi l’ora i pastori, un ghanese e un cittadino del Mali. Vergogna. Ho documentato tante volte non lo sfruttamento ma la riduzione in schiavitù anche alle porte di Roma. È un modello economico medievale.

Guardate, la questione è drammatica e non si risolve così facilmente perché riguarda una forma mentis radicata da una parte sulla malafede e dall’altra sull’ignoranza priva di ogni ragionevoledubbio, e invece di provvedere a cercare di conoscere i fatti e i dati, salta ogni processo logico perché’ ha come riferimento la dogmaticità fobica, la chiusura mentale, le frustrazioni, l’impotenza e una estrema fragilità unita a tanto egoismo, non c’è ragionamento sui fatti. Attenzione, le fake news non sono una banalità, ma un mondo, modi di essere che spostano l’elettorato e influenzano le opinioni dei consumatori e producono business.

Un fiume di parole nei tg fino allo stordimento non fa l’informazione. Le persistenti suggestioni degli slogan gridati in numerose tv, sulle immagini dei barconi con i fuggitivi disperati, neanche quella è informazione. Il termine ‘invasione’ che gioca in modo maligno sulle sofferenze dei migranti e sullemancate risposte di chi guarda in tv i barconi nell’assenza di informazioni rigorose basate sui fatti, si chiama malafede. Una domanda: qualcuno di voi vede nei tg le inchieste sulla guerra in Siria, nello Yemen, in Africa? Ciò che sta accadendo nel Salvador e nelle altre parti del mondo?

Non c’è informazione completa: ti mostro i barconi e ti affianco l’inchiesta sul paese di origine dei migranti, punto i riflettori sulla provenienza, questa è informazione. Ti mostro da dove e da cosa fuggono e come vivono nel loro paese. Ti mostro la rete dei trafficanti di esseri umani. Ti mostro con le immagini e i documenti cosa realmente sia oggi la Libia. E non ti metto gli approfondimenti in terza serata che non li vede quasi nessuno. Perché non si punta sull’informazione in prima serata? Meglio la distrazione che l’impegno, meglio l’ignoranza?

E una volta si lavorava così nel tg: la notizia affiancata alla scheda o all’inchiesta. Ma si sa, i tempi dei tg sono ristretti e preziosi. Molto preziosi, è una corsa a gestire il potere della visibilità,

dell’esserci in quel punto della scaletta di massimo ascolto. I minuti sono oro. E quel tempo che dovrebbe essere dedicato a capire e a informare, ecco che viene dedicato alle dichiarazioni dei leader partitici. Metà tg è appaltato ai partiti. Dunque, barconi più dichiarazioni partitiche e slogan…non fanno neanche qui l’informazione. Il fatto diventa strumentale alla dichiarazione del partito.

Per la legge dell’insiemistica, 2 patate più 2 cipolle non fanno 4. In Italia ci convincono invece del contrario, fanno 4. Noi viviamo sull’equivoco dei salti logici, delle addizioni che non si possono fare ma in Italia si fa di tutto! Quella urgenza ossessiva del ricorso continuo, spasmodico quasi come un‘mayday’ del termine ‘italiano’, ’italiani’ per ogni punto e virgola, lo equiparo all’insorgenza di una malattia che si è diffusa come un virus contagioso… che ci coglie alle spalle e di lato e ci avvolge,entra dentro di noi nelle nostre case dalla finestra. Ci ritroviamo cosparsi, unti direi, di termini falsi e impropri, quasi non ce ne accorgiamo più. ‘Prima gli italiani!’. Questa centrifuga disinformativa che mescola fatterelli ai comizi demagogici di certa parte politica medievale e schiavista che nasconde un modello economico redditizio: lo sfruttamento dei migranti fino all’estirpazione totale della dignità. Attenzione: nel nostro paese la riduzione in schiavitù è sentenza definitiva. L’ostentazione nei tg di certo linguaggio dai contenuti subliminali dei ‘loro’ e dei ‘noi’. ‘Prima gli italiani. E poi quelli…’, ‘Clandestino’, il linguaggio di odio.

Ma che vuol dire? Che banalità è mai questa? C’è un prima e c’è un dopo? Abbiamo visto tutti cosa ha prodotto questa disinformazione nelle periferie romane con l’assegnazione di un alloggio popolare a una famiglia rom a Casal Bruciato, con le minacce di stupro. Si è persa la civiltà. Il cronista è testimone della realtà. Un giornalista che racconta i fatti ha il dovere di correggere i linguaggi, di intervenire mentre registra le affermazioni false e il linguaggio di odio. Non si possono mettere in onda, come megafoni, fatti deformati. Eppure, spesso, si fa… C’è la responsabilità dell’essere testimoni e la deontologia che impongono correttezza. La responsabilità.

È come giocare a carte truccate una partita …e non riesci più a venire fuori dall’inganno di quellecarte truccate. Se non butti a terra tutte le carte per denunciare che sono manipolate. Se non cambi le carte, se entri a far parte del gioco truccato, ti renderai complice inevitabilmente della falsa informazione fino ad arrivare alla propaganda. È in gioco la responsabilità di ciascuno di noi e la dobbiamo esercitare. L’Italia siamo anche noi: giornalisti, impiegati, ciabattini, panettieri, professionisti, operai, casalinghe, pensionati, studenti… ciascuno per la propria parte dobbiamo avere il coraggio di svelare quando le carte sono truccate. Dobbiamo farcene carico. Le chiese sono scese in campo e lo hanno fatto con l’azione! Si sono schierate. Non si può rimanere a guardare. Il cristianesimo, la missione della ricerca della verità coinvolge tutti in modo attivo. C’è un popolo che tiene lampade accese in mano in Italia, un popolo che sta salvando il paese, che ci rende orgogliosi: volontari, società civile, laici e religiosi, le ONG. No non siamo Ponzio Pilato, non ce ne laviamo le mani, i diritti umani non si barattano, non si negoziano. Sono indiscutibili.

Quelle carte truccate non le prenderò in mano: ho il dovere di mostrare l’inganno. Sapete, il Contratto nazionale dei giornalisti ha un articolo che consente al giornalista di ritirare la firma se gli viene chiesto di firmare un servizio falso o manipolato o incompleto, cioè di parte… ma quanti ritirano la firma? Chi lo fa e l’ha fatto ha lo stipendio fermo da anni, la carriera bloccata. È un linguaggio duro quello che richiede il pagamento di un prezzo per attenersi a una informazione vera,concreta, di fatti rigorosi… il fiume si adegua all’andazzo, meglio la vita comoda di un giornalismo di apparenza e salottiero, al trucco e al parrucco. Bisogna che ci diciamo i fatti. Non c’è più tempo da perdere. Questo è uno dei drammi del nostro paese: la mancata informazione completa e corretta.

Se andiamo a vedere quanti paesi sono in guerra in Africa, se dovessi elencarli tutti, occorrerebbeuna buona mezz’ora… immaginate nei tg. Noi viviamo al buio. Una persona che prende il suo tempo per informarsi autonomamente lo sa bene che è così! L’informazione italiana non è esterofila: è un labirinto basato sullo psicodramma dei partiti propri, di cosa ha detto pinuccio, cosa ha risposto gennaro, cosa gli manda a dire filomena e via di seguito. Una informazione che tende a parlarsi addosso e autoreferenziale. Se non guardiamo agli esteri abbiamo perso la bussola come riferimento: siamo in mare aperto e non sappiamo più dove si trova la nostra imbarcazione. Il riferimento sono gli altri popoli, non il nostro ombelico. Bruciamo i minuti preziosi di informazione dietro a Salvini o a chi per lui. Quando Presidente del consiglio è stato Renzi, era una melassa in tv, imbarazzante e onnipresente. Ci sono le parole in tv, ma i fatti raccontati, spiegati e mostrati sono pochi, con esempi virtuosi, certo. Pochi i giornali e i tg con le lampade in mano. La maggior parte delle persone forma la sua opinione in tv. Immaginate… il modello informativo è il New York Times: Europa, Asia, Africa, Nord America, Sudamerica, USA ecc. Provate a entrare sul sito del NYT e vedete il mondo delle notizie.

La distorsione o l’assenza delle notizie non riguarda solo il fenomeno migratorio. Ma anche l’Europa: noi non conosciamo nulla dei fatti di cronaca europei. Non abbiamo tg europei. Non sappiamo che le mafie si sono radicate in Europa e hanno in mano una buona parte dell’economia: società, ristoranti, immobili, eolico, energie, smaltimento rifiuti, trasporti sui tir, stanno frodando i fondi europei in Slovacchia impedendo ai piccoli agricoltori di accedervi e tentando di rubargli le terre. Hanno aggredito e picchiato i contadini e ne hanno assassinato un altro. Un fenomeno analogo a ciò che le mafie consumano sui pascoli italiani e con le frodi europee nel silenzio più assoluto, mentre qui vanno in onda ore e ore di tv sui capi dei partiti e sulle loro parole. Parole, parole che usurpano i fatti dovuti ai cittadini. Sulle terre nel mondo si sta consumando una guerra priva di informazione,ci accorgiamo dell’Amazzonia solo perché brucia. La disperazione degli indigeni è davanti al mondo, dietro c’è lo scempio degli interessi degli allevatori. L’informazione corretta appartiene ai cittadini, ne hanno, ne abbiamo diritto. La verità dei fatti è sbiadito sullo sfondo e la sovrastano le opinioni con milioni di parole. E dunque non stiamo vivendo una democrazia autentica.

Di Europa si parla solo in funzione dei partiti e solo per riflesso alla politica interna. Ma questa non è la verità; e la realtà dei fatti di cronaca dov’è? Il sistema nel quale viviamo è abbastanza mistificato e immeritocratico, dunque diventa sovversiva la ricerca della verità e sovversivo è quel magistrato, quel giornalista, quelle donne e uomini di chiesa o laici che la affermano. Il problema sei tu se dici la verità in un mare di menzogne.

Per questo sono stati assassinati i giornalisti investigativi Jan Kuciak con la sua compagna Martina Kusnirova in Slovacchia e Daphne Caruana Galizia a Malta, fatta saltare in aria con un’autobomba.Siamo in Europa e non conosciamo ancora la verità su questi tre omicidi. I colleghi indagavano infatti sul riciclaggio, corruzione politica e mafie, scrivevano verità tra tante menzogne. E oggi rischia la vita chi si avvicina a questi fili. Pretendere la verità è d’obbligo, scavare e indagare è indispensabile, tanto quanto accertare le responsabilità sui mandanti esterni e i depistaggi della strage di via d’Amelio. Il mio appello è rivolto alle lampade in mano: non spegnetele. Indaghiamo sui fatti, il giornalismo investigativo è sale della democrazia. Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza accertamento della verità, dice il vangelo.

Maria Grazia Mazzola