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Sola Gratia

Declinare oggi il Sola Gratia incontra una duplice criticità.La prima è che nelle controversie teologiche, in atto almeno fino al secolo scorso, il tema della grazia è stato spesso frainteso, abusato e persino mistificato in funzione della sua interpretazione e della sua appropriazione come categoria distintiva di appartenenza.La seconda è che l’avverbio «solo» ha un carattere di esclusività e di assolutezza che rende difficile abbinarlo a qualsiasi processo o evento in un contesto, come l’attuale, dove quasi ogni concetto è plurale, se non per definizione, almeno nell’ottica ecumenica che impone di condividere tradizioni diverse e approcci interpretativi talvolta divergenti.Tuttavia l’interpretazione rivoluzionaria del concetto di grazia proposta da Lutero impone un tentativo di sua attualizzazione anche in un’epoca nella quale, almeno nella percezione comune, il tema della salvezza sembra aver perso gran parte della sua rilevanza oggettiva.

Nel Primo Testamento il termine ebraico hén (grazia) individua la benevolenza che Dio mostra verso l’essere umano e le scritture ebraiche raccontano che molti personaggi centrali della narrazione trovano grazia davanti al Signore: da Noè in Gen. 6, 8 a Mosè in Es. 33, 12.17, a Davide in II Sam. 15, 25. Ma l’atto di grazia più importante compiuto da Dio è l’aver stabilito un patto con Israele, mantenendolo nonostante le sue innumerevoli trasgressioni. In tutto il Primo Testamento affiora l’idea che il Signore sia un Dio che vuole salvare il Suo popolo e non distruggerlo: la grazia rappresenta appunto la Sua volontà di salvezza e il peccatore pentito può invocare con fiducia la Sua misericordia (Sl. 51, 1).
Anche nel Nuovo Testamento il termine ha mantenuto i significati di favore e benevolenza di Dio verso l’essere umano e la grazia espressa con il patto del Sinai viene confermata dall’alleanza tra Dio e l’uomo che si compie con la vicenda terrena di Cristo, cioè del Dio fattosi uomo, un’alleanza che non sostituisce l’antico patto con il popolo di Israele, bensì lo rinnova e lo affianca. La grazia si manifesta nell’intervento gratuito di Dio nella vita dell’essere umano e genera la sua risposta nella fede (At. 18, 27). La fede, a sua volta, introduce l’essere umano nella grazia, cioè in un rapporto di benevolenza e comunione con Dio (Rom. 5, 2), un rapporto in cui il peccato è perdonato. La grazia coincide con un perdono totale che rigenera: per questo è possibile affermare che il contrario del peccato non sia la virtù, bensì la grazia.
La grazia e la fede non sono realtà coincidenti, ma piuttosto complementari, poiché la grazia risiede esclusivamente nell’ambito di Dio, esplicitando un agire di Dio stesso che rivolge all’essere umano la Sua parola di salvezza, mentre la fede è sopratutto una questione antropologica, cioè una risposta dell’essere umano o, almeno, un interrogarsi consapevole su questo dono di Dio.

Il Sola Gratia della Riforma vuole sottolineare che il peccatore non può giustificarsi da solo, né coadiuvare in alcun modo Dio nell’opera della giustificazione, negando decisamente qualsiasi possibilità di compartecipazione dell’essere umano al processo della salvezza, che resta iniziativa e compimento esclusivi di Dio, in Gesù Cristo: prima di ogni risposta umana c’è il ricevimento della grazia, che viene accolta nella fede; prima delle opere umane c’è l’amore di Dio, che le precede; nell’evento della salvezza la risposta umana è conseguenza dell’iniziativa di Dio e si traduce in un’etica evangelicamente ispirata. La specificità del messaggio evangelico sottolineato dalla Riforma è proprio questo: l’intervento della grazia divina è decisivo, l’essere umano, con le sue capacità, la sua razionalità e le sue conoscenze, da solo, non può nulla.
Ma in una società nella quale vengono quotidianamente enfatizzate la prestazione e l’affermazione personali, dove l’essere umano vale più per ciò che appare che per ciò che è, il problema della salvezza interessa ancora, oppure il suo annuncio ha perso gran parte del suo significato? Benché oggi permanga ancora l’angoscia della morte, essa viene affiancata, addirittura superata, dalle angosce della vita, dalle nostre insicurezze, fragilità, paure e miserie quotidiane.

L’annuncio della salvezza non può non riguardare anche questi aspetti, una salvezza prima di tutto da noi stessi in quanto produttori delle nostre ossessioni, dei nostri vizi e dei nostri idoli, una salvezza che dia un senso a ciò che siamo e a ciò che facciamo, una salvezza gratuita che non si riduce al perdono delle colpe, ma che dia speranza alla nostra vita.
La grazia che ci salva rappresenta un messaggio controcorrente rispetto agli standard performativi che ogni giorno ci sono proposti mediaticamente, conferendo dignità a tutti, compresi coloro che si trovano ai margini di una società selettiva, gli ultimi, con i quali più di duemila anni fa si identificava Gesù Cristo.
«In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me». (Matteo 25, 40).

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Giornata della Riforma – Sermone del pastore Mario Sbaffi

Nella giornata in cui si ricordano i 500 anni dall’inizio della Riforma, proponiamo il sermone del pastore Sbaffi tenuto in occasione della giornata del 31 ottobre di alcuni anni fa. Un grazie particolare alla nostra presidente di chiesa, Maria Laura, che ci ha dato la possibilità di pubblicare la predicazione del suo papà.

“ Se perseverate nelle mia parola, siete veramente miei discepoli; e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi.” ( Giovanni 8/31 )

Siamo chiamati oggi, come ogni anno in questo periodo, a celebrare la  Riforma: questo evento del XVI secolo che ha avuto una così grande influenza, non solo nella vita della chiesa, ma nella vita di molti popoli e nella cultura del mondo occidentale.

E’ dalla Riforma che è scaturito l’urto fra due autorità: Chiesa e Sacra Scrittura.

E’ dalla Riforma che la lotta all’analfabetismo ha avuto il suo vero e proprio inizio.

E’ dallo spirito della Riforma che è scaturita la concezione democratica nei paesi in cui essa si è affermata.

E, della Riforma, potrebbero essere citati molti altri frutti, non solo nella vita spirituale, ma anche in quella culturale e sociale.

Durante la seconda metà del XX secolo si è formata una corrente di pensiero, rappresentata in Italia soprattutto dal prof. Valdo Vinay, che considerava la Riforma un fatto ecumenico; ciò in quanto i riformatori non volevano la rottura con la chiesa di Roma ma il suo rinnovamento.

I riformatori, infatti, erano dei cristiani della chiesa occidentale i quali, dopo due secoli che il popolo cristiano reclamava una riforma della chiesa, e come allora si diceva: nel capo e nelle membra, intrapresero coraggiosamente quest’opera.

L’intenzione dei riformatori non era quello dello scisma nella Chiesa ma del rinnovamento della chiesa.

In quell’epoca questo rinnovamento non fu possibile e lo scisma fu inevitabile.

Negli ultimi decenni questo rinnovamento avviene, sia pure lentamente, nella chiesa cattolica, e proprio in virtù di quei valori che la Riforma ha messo in luce.

Non è forse vero che tutto quanto è avvenuto e sta avvenendo nel cattolicesimo, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, cioè dopo che la chiesa cattolica si è aperta all’ecumenismo, uscendo dalla sua torre d’avorio e prendendo contatto con le altre chiese cristiane, non è forse vero che tutto questo è sempre più chiaramente su di una linea “evangelica”?

Non per nulla le correnti conservatrici, di cui il vescovo Lefevre ed i suoi seguaci hanno rappresentato la punta più avanzata, rimproverando alla chiesa post-concilio di protestantizzarsi. (ed ora, 2017, perfino papa Francesco è accusato di eresia da alcuni suoi vescovi !ndr)

Perché se la Riforma fu essenzialmente una riscoperta in profondità

dell’ Evangelo, e questa riscoperta cambiò molte cose, oggi, che la Parola di Dio è tornata a circolare liberamente nel modo cattolico, oggi che gli spiriti e gli studiosi più avveduti fanno ad essa riferimento, molte cose vengono alla luce. Proprio come accade nella nostra vita individuale e personale: una parola della Sacra Scrittura, letta e udita molte volte quasi senza nulla scalfire nella nostra esistenza, ad un tratto, in una determinata situazione, ci si rivela in tutta la sua importanza, tanto da cambiare radicalmente il nostro modo di pensare e di vivere.

La Parola di Dio, infatti, questa Parola per mezzo della quale, secondo il racconto genesiaco e la testimonianza giovannea “ogni cosa è stata fatta” (Giovanni I, 3), questa Parola che in Cristo Gesù “si è fatta carne ed ha abitato fra noi piena di grazia e verità” /Giovanni I,14), questa Parola ci è stata rivelata e ci è stata tramandata nella Sacra Scrittura. E l’apostolo Paolo, rivolgendosi al discepolo Timoteo, afferma che essa è ispirata da Dio ed è utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia affinché l’uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3/16,18).

L’uomo di Dio!

E noi possiamo certamente aggiungere: la chiesa del nostro Signore Gesù Cristo.

I riformatori, quindi, quando proclamarono il “ Sola Scriptura “ posero la base sufficiente e dinamica per la vita della chiesa e per il suo rinnovamento.

Il che non significa far riferimento alla Scrittura in senso letterale, ma comprendere il messaggio in profondità ed in tutta la sua attualità.

La Parola di Dio prende di petto l’uomo, i popoli, le civiltà che nel tempo si susseguono e dice loro: si tratta di te, della tua causa, della tua vita, della tua esistenza.

Ma il “ Sola Scriptura “ vuol dire anche Parola di Dio senza termini aggiuntivi, senza interpretazioni prese a prestito dallo spirito dell’epoca, dalle mode del tempo, dalle filosofie spicciole, e perfino dalle scelte del predicatore.

Ma questo non vuol dire che la Parola di Dio sia un messaggio asettico, fuori del tempo. Anzi, è un messaggio che si incarna nel tempo, ma che non vuol lasciarsi strumentalizzare dalle mode del tempo.

E il messaggio della Riforma fu un messaggio di libertà.

Allora, innanzitutto, libertà nei confronti di una autorità ecclesiastica che era in contrasto con la verità evangelica. E da questa libertà molte altre ne sono scaturite, sia sociali che storiche.

E’ la verità che fa liberi non la menzogna.

E’ il perseverare nella Parola di Dio che ci permette di chiamarci discepoli del Cristo, non il mettere da parte il Suo insegnamento.

E la Chiesa del XVI secolo aveva offuscato molti degli insegnamenti della Parola di Dio; i suoi vescovi ed il suo clero non avevano più né la fermezza di un sant’Ambrogio né la purezza di un san Giovanni Crisostomo; anzi erano spesso guidati da considerazioni di interesse materiale, quando, addirittura, gli scandali della loro vita privata non toglievano ogni credibilità al loro ministerio.

E questa chiesa, non più credibile, cercava di mantenere le sue posizioni con l’influenza di una autorità che sfiorava spesso il sopruso, non soltanto nella sfera dello spirito ma anche in quella degli interessi mondani.

La Riforma, rivendicando la priorità dell’autorità di Dio sulle autorità umane, ha liberato l’uomo dalla schiavitù delle autorità che contraddicono la verità che ci è stata rivelata in Cristo Gesù.

Ogni tentativo di costrizione dell’anima umana è stata considerata dalla Riforma una usurpazione dei diritti di Dio.

E alla base della rivendicazione della libertà da parte dei riformatori, vi è il sentimento grave e puro del rispetto per l’autorità di Dio.

Ma la libertà proclamata dai riformatori non è anarchia: essa è sottomissione alla sola autorità legittima: l’autorità di Dio e della Sua Parola. E’ cioè una libertà fondata sulla verità. Dice, infatti Gesù nel nostro testo: “ Se perseverate nella mia parola siete veramente miei discepoli e conoscerete la libertà e la libertà vi farà liberi “. E Gesù aggiunge: “Se….. il Figliuolo (cioè Gesù Cristo stesso) vi farà liberi, sarete veramente liberi”.

La libertà è il dono della grazia divina; è una scelta che realizziamo innanzitutto in noi stessi, per sentirci poi liberi fuori da noi stessi, cioè nei confronti di quanto vorrebbe far violenza alla nostra libertà.

E non dobbiamo dimenticare che la libertà proclamata dai riformatori non è una qualsiasi libertà ma, innanzitutto, libertà in Cristo.

Non è quindi una libertà senza direzione, senza significato, senza orientamento. Non può essere confusa con l’arbitrio o con la pura fantasia. E’ una libertà che esprime l’azione dello Spirito Santo: “ Dov’è lo Spirito del Signore, quivi è libertà” (2 Corinzi cap.3 v. 17) afferma l’apostolo Paolo. Ed è una libertà che si esprime nel servizio: “Pur essendo libero da tutti, mi son fatto servo a tutti” (1 Corinzi cap. 9 v. 19 ) scrive ancora Paolo ai Corinzi.

E poiché l’apostolo Paolo nella stessa epistola esorta: “ fate tutto alla gloria di Dio” (1 Corinzi cap. 10 v. 32) noi dobbiamo ricordare che la nostra libertà non è solo indipendenza ma anche responsabilità. Per questo i riformatori, riaffermando sulla scia dell’insegnamento paolino ci hanno gettato in una avventura che è ad un tempo drammatica e gloriosa. Una avventura nella quale la Chiesa e i credenti sono chiamati a rendere sempre più acuto il senso della loro responsabilità.

Responsabilità che l’uomo veramente libero non deve mai dimenticare né verso Dio, né verso il suo prossimo.

Fratelli e sorelle, sono trascorsi oltre 4 secoli e mezzo (ndr. Oggi 500 anni ) dai giorni della Riforma e da allora molte cose sono cambiate nella vita della Chiesa e nei suoi rapporti col mondo incostante. Sono cambiate, soprattutto in quest’ ultimo  secolo nel quale ecumenismo e comunicazione di massa hanno agevolato la circolazione delle idee, hanno permesso il dialogo, hanno costretto la chiesa cattolica, non solo a diffondere la Parola di Dio, ma a confrontarsi con il suo messaggio e la Riforma, considerata per secoli una malefica eresia, è diventata anche per il cattolicesimo un punto di riferimento e i teologi protestanti sono oggi studiati in campo cattolico con una attenzione che talvolta supera quella che noi stessi prestiamo loro. Sono cioè i valori della Riforma che hanno continuato a fermentare nei secoli e che fanno lievitare, oggi più di ieri, la  cristianità. Ma di questi valori noi siamo i primi a dover saper vivere, sarebbe folle orgoglio spirituale accontentarci di additarli agli altri.

Per questo, celebrare la Riforma significa ricordare innanzitutto a noi stessi che quando non facciamo più riferimento all’ Evangelo, a tutto l’ Evangelo, quando lo mutiliamo o lo strumentalizziamo, noi ci allontaniamo dalla verità e non realizziamo la libertà dei figliuoli di Dio ma cadiamo sotto il giogo della schiavitù del presente secolo. E quando questo avviane tradiamo lo spirito della Riforma, di quella Riforma che ancora oggi ci ripropone il monito e le promesse delle parole di Gesù: “ Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli”

Questo è il monito e la promessa è:” conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.

Che questo monito non sia dimenticato, che questa promessa ci sia di continuo incoraggiamento.

Amen

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Soli Deo Gloria

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La Riforma protestante nell’Europa del Cinquecento

di LUCIA FELICI,
Carocci, Roma, 2016,
pp. 326, Euro 29,00
Un saggio esaustivo dal punto di vista storico, per l’approfondita analisi delle origini, della diffusione e dell’articolazione del movimento riformatore del XVI secolo, ma anche un testo di piacevole lettura, strutturato secondo due direttrici: una, verticale, ricostruisce la storia della Riforma attraverso il tempo, a partire dall’analisi dei secoli precedenti, dove si possono rintracciare i primi germi di insoddisfazione religiosa, politica e sociale, proseguendo con la genesi del movimento, il suo consolidamento e la sua diversificazione in varie tipologie, nell’ambito sia della Riforma magisteriale sia di quella radicale. La seconda direttrice, orizzontale, analizza la propagazione del movimento nei paesi europei, con speciale riferimento all’Italia. Particolare rilievo assume la ricerca delle motivazioni che sono all’origine della nascita della Riforma e della sua diffusione a livello europeo. Le motivazioni religiose si legano con quelle politiche, economiche, culturali e sociali: non solo la decadenza della Chiesa, ma anche il desiderio di autonomia dei sovrani europei rispetto al centralismo romano; lo sviluppo dell’Umanesimo e degli scambi internazionali; l’affermarsi della stampa; le proposte di rinnovamento di intellettuali come Erasmo: tutto ciò favorì l’apertura delle menti e la circolazione delle idee, preparando il terreno alla protesta luterana e alla sua trasformazione da semplice disputa teologica in un processo di rottura con la tradizione romana. La complessa articolazione della Riforma è affrontata attraverso luoghi e protagonisti e molto spazio viene dato alle persecuzioni di anabattisti, antitrinitari e nicodemiti e al significato storico della ricerca eterodossa, che portò all’elaborazione dei moderni concetti di libertà e tolleranza, di universalismo e di relativismo religioso. In Italia lo sviluppo fu condizionato dalla presenza della Chiesa, dall’eredità rinascimentale, dall’indipendentismo repubblicano, dall’anticlericalismo, dalla frammentazione politica, tutti elementi che plasmarono la Riforma italiana in modo originale, favorendo lo sperimentalismo dottrinale e la rielaborazione autonoma. In Europa la Riforma fu accolta, tollerata o respinta, a seconda dell’influenza di diversi fattori, come il sostegno politico della Chiesa agli stati coinvolti nel conflitto confessionale o l’opera di evangelizzazione dei gesuiti. Generalmente, la tolleranza rispose più a esigenze pratiche che al riconoscimento di un ideale di libertà, così come l’accoglimento o il rifiuto delle nuove dottrine dipesero dalla convenienza delle alleanze politiche. Il saggio sottolinea infine l’impatto avuto dalla Riforma non solo sulla vita spirituale, ma anche sulla società e sulla cultura, i cui valori furono completamente trasformati: l’idea del tempo e del lavoro, il ruolo della famiglia e della donna, l’assistenza sociale e la circolazione culturale, l’atteggiamento positivo nei confronti della scienza, che contribuì alla nascita del pensiero storico-critico, nonché la relativizzazione del concetto di verità, rivelatasi fondamentale per lo sviluppo del pensiero moderno. Antonella Varcasia

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Martin Lutero (1483-1546)

MARIO MIEGGE,
Claudiana Editrice, Torino, 2013,
pp. 180, Euro 12,50

Il titolo di questo libretto è piuttosto fuorviante: non si tratta infatti di una biografia del grande Riformatore, né di un’esposizione della sua teologia: Lutero è solo il pretesto, in quanto iniziatore della Riforma, per indagare il complesso intreccio tra componenti storiche, sociali, politiche ed economiche che fanno da sfondo, ma anche da elemento propulsore della Riforma o che sono da essa influenzate. L’esposizione narrativa e lo stile scorrevole rendono facile la lettura, specialmente nella prima parte, più storica, che tratteggia le caratteristiche della società medievale, fondata sulla compenetrazione tra pubblico e privato; le origini della Riforma, da rintracciare anche nell’Umanesimo e nella diffusione della stampa e della lingua volgare, che l’hanno trasformata in una rivoluzione anche culturale; l’opera dei Riformatori. L’attività di Lutero è ripercorsa dalla scoperta di Paolo alle indulgenze, dalle 95 tesi alle bolle di scomunica, dalla critica al potere della Chiesa all’idea del sacerdozio universale, dalla discussione sui sacramenti al rapporto tra fede e opere, dalla libertà del cristiano alla dottrina dei due regni, dalla guerra dei contadini al contrasto con Muntzer e l’anabattismo. Anche l’apporto di Calvino è colto attraverso le sue fasi principali, dalla controversia con Sadoleto alla formulazione dei capisaldi del suo pensiero: il “soli Deo gloria”, la predestinazione, il concetto di Chiesa come compagnia dei fedeli, il conservatorismo politico, le differenze da Lutero. Alla teologia del patto, elaborata da Bullinger, vengono collegate la rivoluzione religiosa scozzese e la fondazione delle colonie americane. La parte storica si allarga  a comprendere la prima rivoluzione inglese e il Puritanesimo, visti come risultato di una crisi politico-religiosa dell’antico ordine sociale, che crea il passaggio dalla concezione medievale di confusione tra Chiesa e Stato ad una concezione di netta separazione; la seconda rivoluzione inglese; il risveglio wesleyano; la protesta mennonita: il tutto sullo sfondo dello sterminio degli Indiani d’America e della tratta degli schiavi come frutto dell’imperialismo anglosassone, conseguenza, a sua volta, della dottrina della predestinazione. Leggermente più ostico il capitolo sull’etica protestante, in cui si affronta l’idea del lavoro in Lutero e Calvino, attraverso la dottrina della vocazione, che diventa critica sociale, laddove, in nome di un dovere cristiano dell’attività e dell’impegno, si condannano l’ozio e l’improduttività e si respinge l’idea tradizionale della carità. Grande spazio è lasciato alla famosa tesi di Weber sul rapporto tra etica protestante e capitalismo e alla sua contestazione da parte di storici successivi, che spostano l’accento sugli aspetti politici più che economici del Puritanesimo, che per primo trasformò la politica in un fatto collettivo, in un movimento organizzato dal basso che, solo a seguito della Restaurazione, fu nuovamente confinato nell’ambito privato ed economico. Completa il libro un epilogo sull’influenza del principio protestante della ricostruzione di se stessi nella letteratura e nella filosofia dal 1700 al 1900, mentre due appendici, dedicate alle eresie medievali e alle Chiese riformate, restano a livello di semplici citazioni. In sostanza, un testo che ha forse l’ambizione di mettere troppa carne al fuoco, ma che riesce ad esprimere bene l’intreccio tra elementi storici, politici, economici e religiosi che sono alla base di ogni evento di rottura con il passato e di trasformazione.

Antonella Varcasia