La venuta del Signore è vicina
Giacomo 5,7-8
“Siate dunque perseveranti, fratelli, sino alla venuta del Signore. Ecco, il contadino attende il frutto prezioso della terra, perseverando fino al giorno in cui non abbia raccolto la primizia e il frutto tardivo. Siate perseveranti anche voi, fortificate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina”
Una delle più famose opere teatrali del secolo scorso vede in scena due personaggi, che ne aspettano un altro, il quale è sempre atteso, ma non viene mai. Non è chiaro come debba giungere, né quando. Certamente arriverà, si ripetono i due; la commedia (o forse si tratta di una tragedia) però finisce senza che l’atteso si manifesti e il pubblico riceve l’impressione che Vladimiro ed Estragone, i personaggi principali, siano completamente pazzi e che la loro stessa attesa sia espressione di follia. Ma chi è il personaggio che deve venire? Nessuno l’ha mai visto, nessuno sa che aspetto abbia. Ne è noto solo il nome, Godot. L’autore dell’opera teatrale, Samuel Beckett, non l’ha mai ammesso, ma è difficile sfuggire alla sensazione che questo Godot che è sempre atteso e non arriva mai alluda a God, a Dio.
In effetti, è inutile girarci intorno. Sono duemila anni che la chiesa si sente ripetere questa parola: la venuta del Signore è vicina. Era vicina già per i destinatari dell’epistola di Giacomo. Strana vicinanza, però, visto che, come Vladimiro ed Estragone, siamo ancora qui ad aspettare. Non siamo i primi ad avvertire una sgradevole perplessità su questo punto. L’autore della II epistola di Pietro, forse contemporanea a quella di Giacomo o un poco successiva, cita il salmo 90 per osservare che, visto che per il Signore mille anni sono come un giorno, in fondo la sua venuta non è così in ritardo. Noi però non siamo il Signore, mille anni sono tanti e duemila ne sono il doppio. Il rischio è di rassegnarsi: certo, il Signore verrà, come no; ma in un futuro talmente lontano da non cambiare assolutamente nulla nella mia vita. Oppure, ancora più radicalmente: aspettare il Signore è come aspettare Godot. Possono farlo Vladimiro ed Estragone, che sono matti. Le persone sane di mente, hanno lasciato perdere da un pezzo.
Care sorelle e cari fratelli, penso che molti di noi facciano progetti per la loro famiglia e i loro figli; quanti possono mettono da parte qualche soldo per quando saranno più anziani; anche la chiesa cerca di organizzarsi per sopravvivere economicamente nel medio periodo, per pagare le pensioni dei dipendenti, per restaurare gli stabili: ciò significa che tutti viviamo pensando che il mondo durerà ancora un bel po’ e che il Signore non tornerà sulle nubi del cielo nei prossimi giorni o nei prossimi mesi. In un certo senso, non possiamo saperlo, ma in realtà lo sappiamo, si vede da come viviamo. Ebbene, io non credo che sia una colpa. L’abbiamo appena detto, già una sessantina d’anni dopo la morte e la risurrezione di Gesù, le chiese si organizzavano per vivere e testimoniare nel lungo periodo. Questo significa che Giacomo non dice la verità? Che la venuta del Signore non è vicina?
Tutta l’esistenza cristiana dipende da come rispondiamo a questa domanda. Se Giacomo non ha ragione, se la venuta del Signore non è vicina, allora la fede non ha contenuto. Possiamo mantenere abitudini religiose, ma il nerbo della speranza cristiana, l’attesa del Signore vivente, è completamente perduto. E’ vero invece il contrario: Giacomo dice la verità. E’ vero, l’attesa dura da duemila anni: non però perché il Signore non è realmente venuto, ma perché viene ogni volta di nuovo.
La venuta del Signore è vicina nella predicazione della parola: non per modo di dire, ma realmente. Certo, non passa , come se fosse un treno, alle 11 di ogni domenica. A volte ascoltiamo le parole della Scrittura, senza che Cristo giunga a noi nella sua parola. Anzi, direi che, almeno per me, il più delle volte è così. Egli però vuole che perseveriamo nell’attesa, perché egli viene realmente, quando meno ce l’aspettiamo, a scuotere la nostra indifferenza. La venuta del Signore è vicina nell’annuncio della chiesa: andare al culto significa perseverare nell’attesa della sua venuta, significa fortificare il cuore che deve affrontare la sfida dell’incredulità, dell’indifferenza, della propizia spirituale.
La venuta del Signore è vicina nel pane e nel vino della cena, nella condivisione della fede tra persone che magari non si conoscono, ma che sono accolte da lui come peccatrici e peccatori perdonati, nella compagnia della sua chiesa. Nemmeno questo accade automaticamente. Si può partecipare alla cena come a un rito che si celebra la prima domenica del mese e che ci lascia esattamente come eravamo. Non è nemmeno detto che sia colpa nostra, semplicemente la venuta del Signore non si può programmare come la sveglia. Per questo è necessario attendere, perseverare, fortificare i cuori nella chiesa.
La venuta del Signore è vicina nella donna e nell’uomo che ci è accanto e che ha bisogno di noi, in coloro che chiamiamo “il prossimo”. Qui più che altrove, il problema non è che il Signore non viene, ma che noi volgiamo lo sguardo dall’altra parte. Non lo vediamo perché non vogliamo vederlo, ma egli è vicino, vicinissimo, e bussa alla nostra porta perché vuole abitare presso di noi. Qui più che altrove occorre perseverare nell’attesa e alzare lo sguardo; qui più che altrove occorre fortificare il nostro cuore, per respingere la pigrizia quotidiana ed essere pronti per colui che vuole venire.
Perseverare nell’attesa significa prendere sul serio la promessa del Signore di non lasciarci soli. E’ l’invito dell’Avvento, non perché valga solo per un mese all’anno, ma perché in questo mese la chiesa sottolinea ciò che è vero ogni giorno e lo pone con forza rinnovata al centro della nostra meditazione. Come il saggio agricoltore, che attende le primizie e il frutto tardivo, anche voi siate perseveranti, fortificate i vostri cuori, perché non si tratta di un modo di dire, ma della più reale delle realtà: la venuta del Signore è vicina.
Amen
prof. Fulvio Ferrario