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Dal battesimo allo “sbattezzo”

di PAOLA RICCA
Claudiana, Torino, 2015,
pp. 343, Euro 19,50

Questo complesso testo di Paolo Ricca affronta il sacramento cristiano per eccellenza, mettendone in luce origini, significato e prassi liturgica nelle diverse confessioni religiose. E’ quindi un libro storico, perché cerca di ricostruire l’istituzione e l’evoluzione del battesimo attraverso le Scritture e i documenti della prima cristianità e dei Padri della chiesa, fino alla svolta anabattista, alla Riforma e al Concilio di Trento, che hanno variamente influenzato le interpretazioni successive, per concludere con le proposte più moderne che tendono a superare l’attuale apartheid battesimale, segno di una divisione non tanto tra cattolici e protestanti, ma all’interno stesso del mondo evangelico.

Ma è anche un libro teologico, dogmatico e pratico, perché spiega ed argomenta le diverse posizioni e illustra approfonditamente le liturgie delle chiese cattoliche, ortodosse, battiste, evangeliche e pentecostali, mettendone in luce analogie e differenze.

Ma è soprattutto un libro ecumenico, il cui scopo non è quello di portare argomentazioni a sostegno dell’una o dell’altra interpretazione, o dimostrare la superiorità di una prassi o di una teologia, ma è quello di individuare gli elementi fondamentali comuni alle varie confessioni religiose, per pervenire al riconoscimento reciproco, nel rispetto delle specificità di ciascuno.

Al di là delle modalità liturgiche (aspersione o immersione, formula trinitaria o nome di Gesù, gesti rituali e simbolici, esorcismi, ecc.), o delle interpretazioni teologiche (valore salvifico attribuito all’acqua o idea della cancellazione del peccato originale), i due motivi fondamentali di divisione riguardano il battesimo dei bambini e il legame tra il battesimo d’acqua e quello di spirito. Sul primo punto Ricca, dopo aver esposto le prassi e le motivazioni scritturistiche e teologiche dei diversi schieramenti, e dopo aver ammesso che le Scritture e i testi antichi confermano una prassi maggioritaria del battesimo dei credenti, ma non escludono il pedobattismo, propone la soluzione del pastore battista Paul Fiddes, che concepisce il battesimo come un processo strettamente connesso ad un itinerario di formazione, che può precedere il battesimo o seguirlo, sfociando nella confermazione. L’unità può essere allora raggiunta attraverso il riconoscimento reciproco non delle prassi battesimali, ma del percorso di iniziazione, comune a tutti.

Quanto al secondo punto, il problema è se il dono dello spirito, che avviene nel battesimo, sia connesso con l’acqua o con l’unzione o con l’imposizione delle mani. Un elemento tipico del rito ortodosso, ad esempio, è l’unzione col myron, che costituisce un sacramento a sé stante, corrispondente alla cresima cattolica; anche i pentecostali considerano il battesimo dello spirito come un’azione separata da quella che porta, attraverso la conversione, alla confessione di fede del battesimo d’acqua: è un’esperienza distinta dal battesimo, generalmente accompagnata dal fenomeno della glossolalia. Anche qui Ricca suggerisce l’idea di Karl Barth, secondo il quale il battesimo di spirito precede quello d’acqua in quanto consiste nella conversione dell’uomo a Dio ed è quindi opera di Dio: come tale, è il fondamento della vita cristiana, il vero sacramento, mentre il battesimo d’acqua è la risposta del credente alla grazia concessagli di Dio, in ubbidienza al comandamento di Gesù.

Nell’epilogo viene spiegato il senso dell’unicità del battesimo cristiano, che si riallaccia al battesimo unico e irripetibile che abbiamo ricevuto sul Golgota. Non manca un brevissimo accenno alla curiosa pratica dello “sbattezzo”, che rende il testo completo ed esaustivo, forse un po’ appesantito dalla prolissa descrizione delle varie liturgie battesimali, ma di indubbio valore storico, teologico ed ecumenico.

Antonella Varcasia

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I lati oscuri di Dio

RÖMER Thomas,
Claudiana, Torino, 2008,
pp. 112, Euro 10,00

 

Quante volte, leggendo la Bibbia, restiamo sconcertati di fronte a certe azioni di Dio che ci sembrano troppo “umane”? Dio dimostra ira, gelosia, desiderio di vendetta,  crudeltà. Già gli antichi provavano imbarazzo di fronte a queste situazioni, al punto che Marcione, un eretico del II secolo, rifiutava il Dio veterotestamentario, primitivo e negativo, contrapponendogli il Dio neotestamentario, quintessenza dell’amore e del perdono. Questo bel libretto di Römer si interroga sugli aspetti sconcertanti di Dio, che spiega come sopravvivenza di antiche tradizioni confluite nella Bibbia ebraica. Tra i “lati oscuri” da lui analizzati figurano quelli legati al Dio patriarcale: Jhwh è descritto come un essere maschile per l’influenza di due concetti: il re, che doveva garantire benessere e protezione al suo popolo, e lo sposo, metafora del rapporto tra Jhwh e Israele. Alcuni testi biblici, però, mostrano che accanto a Jhwh erano venerate delle divinità femminili. L’attributo di Padre rappresenta un riconoscimento di autorità e di dipendenza in un periodo in cui, scomparsa la monarchia, l’unica struttura funzionante era la famiglia. Ma diversi testi biblici insistono sugli aspetti femminili di Dio, quali la tenerezza e la misericordia, e utilizzano spesso una terminologia femminile, come le espressioni relative al parto e all’allattamento, per sottolineare che Dio soffre per il suo popolo come una donna in travaglio. Altri “lati oscuri” riguardano la crudeltà di Dio, con riferimento ai sacrifici umani, che Dio chiede o tollera, e al tentativo di uccidere i suoi protetti. Nel primo caso Römer analizza il sacrificio di Isacco e le sue varie interpretazioni, per concludere che esso ha un intento didattico e polemico, in quanto prefigura un Dio divenuto incomprensibile e contesta un Dio costruito ad immagine dell’essere umano ideale. Nell’episodio della figlia di Jefte, invece, è descritto un Dio che mette gli uomini davanti alla loro propria crudeltà. Quanto ai tentati omicidi, Römer analizza la lotta di Giacobbe con l’angelo, che interpreta come mito eziologico per spiegare il nuovo nome del popolo di Israele alla ricerca di una nuova identità, e il tentativo di uccidere Mosè, che ha lo scopo di contestare il rigorismo esclusivista imposto da Neemia ed Esdra nel postesilio, con la proibizione dei matrimoni misti, sottolineando l’azione della moglie straniera di Mosè. Römer si dilunga anche sull’immagine del Dio tiranno, ispirata al modello del re assiro, cui si dovevano amore, timore e obbedienza esclusivi, e su quella del Dio guerriero, influenzata anch’essa dall’ideologia assira, in cui Dio appare come un comandante militare a capo di un popolo bellicoso, che conquista il paese con le armi, ideologia utile al momento della conquista della Terra Promessa. Le diverse immagini di Dio sono sempre legate al contesto storico: ad esempio il linguaggio aggressivo con cui Dio stesso esorta alla purificazione etnica, votando allo sterminio i popoli conquistati, è comprensibile in un’epoca di crisi, in cui era in gioco per Israele la perdita dell’identità come popolo, come quella successiva al ritorno in patria dopo l’esilio babilonese. Tuttavia, la Bibbia ha trasmesso anche molti racconti che si oppongono a questa tendenza, come quelli dei Patriarchi, che riflettono un mondo pacifico e un rapporto positivo con gli altri popoli. Ancora, Römer affronta l’immagine del Dio violento, con la storia di Caino ed Abele, che insegna ad accettare le disuguaglianze e a non reagire con la violenza. L’immagine del Dio vendicativo si trova invece soprattutto nei Salmi collettivi, che, in un contesto di oppressione, commemorano la disperazione di un intero popolo, che rimpiange la patria ed auspica la vendetta: qui la violenza del linguaggio è solo un grido di disperazione, non un programma politico di annientamento dei nemici. Dopo aver affrontato anche il tema della presenza della sofferenza e del male nel mondo secondo l’Antico Testamento, Römer cita due esempi dell’incomprensibilità di Dio, quando egli agisce diversamente da quello che l’uomo si aspetta: l’apparizione ad Elia, in cui, invece che in una manifestazione di potenza, Dio appare in un sussurro, e il libro di Giona, in cui, contestando la logica della retribuzione, si pone l’accento sulla misericordia divina. La conclusione del testo di Römer è che i “lati oscuri di Dio” non si ritrovano solo nell’Antico Testamento, ma anche nel Nuovo: essi vanno contestualizzati per essere compresi e, comunque, non esauriscono la complessità della figura di Dio, ma mettono in guardia contro concezioni troppo umane di Dio, perché il Dio biblico non può essere ridotto al rango di un “buon Dio”.

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Il pane e il Regno

RICCA Paolo,
Morcelliana, Brescia, 2001,
pp. 192, Euro 11,00

 

Non esiste forse preghiera più recitata dal Padre nostro, e non esiste forse preghiera più bella. Ma  siamo così avvezzi ad essa che ormai la recitiamo quasi automaticamente, senza passione e senza entusiasmo, soprattutto senza renderci conto di quello che esattamente significhi. Questo testo di Paolo Ricca, che vi invito a leggere, è un commento al Padre nostro, ma non un commento generico sulla sua portata teologica, bensì una guida a penetrare in profondità ogni singola parola, per aiutarci a comprendere appieno che cosa veramente chiediamo al Signore quando ci rivolgiamo a Lui nella nostra intimità o nella preghiera comunitaria. Il testo è la trascrizione della trasmissione radiofonica Uomini e Profeti in cui la conduttrice Gabriella Caramore ha intervistato Paolo Ricca sull’argomento: uno dei pregi del libro sta proprio nella scorrevolezza della lettura, data dalla struttura a domande e risposte, e nell’apporto di altri interventi, non solo cristiani, ma ebraici, islamici e addirittura buddisti, induisti e laici, che arricchiscono di significato le spiegazioni dell’ospite principale. Si parte dalla richiesta dei discepoli a Gesù “Insegnaci a pregare”, per indagare il senso e lo scopo della preghiera, le sue modalità, la differenza tra preghiere spontanee e rituali. Quindi, dopo aver ricordato che esistono due versioni del Padre nostro, si analizza il testo più lungo, contenuto nel Vangelo di Matteo, setacciandone ogni parola, di cui si approfondisce il significato, con interpretazioni sorprendenti. Ad esempio, la parola Padre, che Gesù deriva dall’ambiente giudaico del tempo, è profondamente innovata, perché Gesù usa un termine più intimo e confidenziale per mostrare la vicinanza di Dio all’uomo, la sua tenerezza amorevole e materna, che contraddice l’idea del padre autoritario e tirannico, tipica delle società patriarcali. Viene descritto il significato del Nome nella tradizione ebraico-cristiana e si discute sull’impronunciabilità del nome di Dio in quella ebraica e musulmana, mentre la santificazione del nome è contrapposta alla sua profanazione. Vengono individuate le caratteristiche del Regno di Dio di cui noi invochiamo la venuta e si discute sul paradosso della vicinanza di questo Regno in una società che ne sembra totalmente agli antipodi. Si affronta lo spinoso problema della Volontà di Dio, non sempre coincidente con la nostra, mentre la richiesta del Pane è occasione per stimolare la nostra coscienza riguardo alla fame nel mondo e si sottolinea che, non a caso, il pane è “nostro”, cioè della collettività, come “nostro”, cioè di tutti, è il Padre. Molto toccante il discorso sul Perdono, con la distinzione tra il perdono divino, che cancella completamente il peccato, e quello umano, che non toglie la colpa, ma la mette tra parentesi, spezzando la catena del male. Scopriamo poi che Dio ci induce veramente in Tentazione, e non solo ci espone ad essa, come vorrebbe una traduzione più edulcorata del testo, e scopriamo che il Male di cui imploriamo la liberazione è una forza che ci trascende e non va identificata solo con ciò che di negativo facciamo, ma anche con ciò che di negativo subiamo. Molto interessante è il raffronto tra l’interpretazione cristiana e quella ebraica della parola Amen, che chiude la dossologia finale della preghiera, mentre il confronto finale interreligioso evidenzia la particolarità cristiana di sentirsi figli di Dio. In definitiva, la lettura di questo commento ci aiuterà ad essere più consapevoli delle nostre richieste quando invocheremo il Signore con le parole che Gesù ci ha insegnato.

Antonella Varcasia