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Dopo la quarantena Che cosa resterà degli incontri Zoom?

da Riforma

Roberto Davide Papini

E con i templi aperti che faremo?  Butteremo via i culti su Zoom, le meditazioni in diretta Facebook, la preghiera su Whatsapp, le presentazioni dei libri e i dibattiti online? Che cosa resterà di queste esperienze spirituali vissute davanti a un monitor o a uno smartphone? Vedremo. Con l’allentarsi progressivo delle restrizioni per il Coronavirus cerchiamo di guadagnare ogni giorno un pezzetto di “normalità” in più. Piano piano sarà così anche per i luoghi di culto e, dopo settimane passate su varie “diavolerie” informatiche, sarà bello ritrovarci in carne e ossa e (quando sarà possibile) abbracciarci.

Ricordiamo, però, che questi marchingegni sono stati strumenti indispensabili per stare insieme a distanza, raccolti come comunità di fede. È stata un’esperienza forzata, ma ha dimostrato la vitalità delle nostre chiese, spesso un po’ pigre (se non proprio restìe) nell’affrontare strade nuove, capaci nell’emergenza di inventarsi nuovi modi di fare comunità. È stata una bella esperienza di fede, non virtuale bensì molto reale, una crescita della nostra realtà, un’occasione per ripensare a quanto il modello tradizionale di chiesa abbia funzionato, individuando i punti di forza e quelli di debolezza e dove e come, appunto, i nuovi strumenti di comunicazione possano aiutarci a migliorarlo.

Credo che questi nuovi strumenti si- ano ormai un patrimonio prezioso che dobbiamo continuare a sfruttare. Certo, non in maniera esclusiva come siamo stati costretti a fare durante il lockdown, ma resteranno la possibilità e la ricchezza di poter partecipare a uno studio biblico o seguire una meditazione a centinaia di chilometri o ancora un culto online se si ha l’impossibilità di recarsi fisicamente al tempio. Così, una proposta è quella di riprendere le belle esperienze inter-denominazionali di questa emergenza, affidando ogni settimana a diversi esponenti delle varie chiese della Fcei (a rotazione, ogni domenica a persone differenti) la cura di culti online da offrire in maniera continuativa oltre alle tradizionali attività locali. Sarebbe una bella esperienza di unità nella preghiera e nel culto e un’occasione di evangelizzazione. Ovunque e con qualsiasi strumento venga utilizzato per annunciarla, quella del vangelo resta una Parola di libertà che non possiamo confinare tra le mura dei nostri templi. Soprattutto ora che ab- biamo imparato a usare Zoom.

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Covid-19. Alessandra Trotta: Parole e opere di speranza

La Tavola valdese ha destinato la prima parte degli 8 milioni di euro dei fondi dell’Otto per mille per l’emergenza Covid-19. Intervista alla moderatora Alessandra Trotta di Alberto Corsani, direttore di Riforma

(NEV/Riforma.it), 27 aprile 2020 – Pubblichiamol’intervista integrale del direttore di Riforma Alberto Corsani alla diacona Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese


La Tavola valdese ha comunicato il 19 marzo scorso di intervenire con 8 milioni di fondi Otto per mille
per contribuire a gestire l’emergenza Coronavirus nel nostro Paese. Una decisione tempestiva, ma con la consapevolezza di guardare oltre: considerando cioè le conseguenze economiche, psicologiche e sociali della pandemia, intuibili già a marzo, e che oggi vediamo confermate. Come si articolava dunque questo duplice intendimento? Lo chiediamo alla diacona Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese.

In effetti abbiamo pensato a un piano in due tempi: un primo tempo con interventi a supporto dell’impegno di diagnosi, cura e contenimento del contagio da parte del sistema sanitario, con un’attenzione rivolta non solo agli ospedali e alle regioni più colpite, ma anche a quei servizi di medicina territoriale e di prossimità che, molto indeboliti negli ultimi anni dalle scelte compiute nella gestione della sanità pubblica, mostrano in questo momento di avere un’importanza fondamentale nella prevenzione dei rischi e nella garanzia di adeguatezza di cura per tutti. Seguirà un secondo piano di interventi che sarà orientato a contribuire, con qualche misura più sistematica, alla ripresa sociale ed economica del Paese, a partire dai bisogni delle fasce della popolazione più esposte a subire le conseguenze devastanti dei provvedimenti assunti per fronteggiare questa emergenza. Ci tengo a precisare che, accanto a questi interventi straordinari, proseguirà l’ordinario supporto al prezioso impegno sociale ed assistenziale portato avanti dai tantissimi enti del Terzo settore (673 nel 2019) che ogni anno accedono con i loro progetti a un finanziamento dell’otto per mille assegnato alle nostre chiese.

Possiamo vedere nel dettaglio a chi si indirizza l’intervento della prima fase?

Questa parte dell’intervento ha raggiunto innanzitutto gli ospedali di Bergamo e Brescia, città fra le più colpite, finanziando l’acquisito di importanti attrezzature, ma anche, a Bergamo, l’intervento di personale specializzato per la gestione di nuovi posti letto di terapia intensiva. Sono state raggiunte anche le Marche, supportando un intervento di sostegno nell’ospedale di Pesaro e in varie RSA e la formazione di personale medico e paramedico da impegnare nelle cure domiciliari in varie città. Sono state messe a disposizione delle risorse, ancora, per gli Ospedali evangelici di Genova e di Napoli, che hanno dovuto profondamente modificare la propria organizzazione per concorrere alle necessità dei sistemi sanitari ligure e campano di fronte all’emergenza. Un’altra parte degli interventi già attuati ha raggiunto, poi, le campagne del Foggiano e le periferie di Roma, attraverso l’attivazione di cliniche mobili attrezzate per la prevenzione del rischio presso fasce di popolazione che vivono in condizione di particolare fragilità. Restano da attuare due interventi: un contributo a un’importante azione istituzionale in fase di definizione in Calabria, con l’attivo coinvolgimento della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), per il superamento del grave fattore di rischio rappresentato dalle baraccopoli sorte intorno alle campagne della Piana di Gioia Tauro. E infine un intervento in Piemonte, in particolare nelle zone di Pinerolo e delle valli Germanasca, Chisone e Pellice, in cui la storica, significativa presenza delle nostre chiese ci fa sentire particolarmente responsabilizzati, ma anche capaci di offrire un’operatività che possa contribuire allo sviluppo della medicina territoriale e della domiciliarità con una presa in carico globale dei malati e delle loro famiglie in ambienti non ospedalieri.

Nel comunicato con cui la Tavola valdese ha illustrato la prima parte del piano di interventi per l’emergenza Covid si trovano effettivamente indicati molteplici livelli, fra questi anche il riferimento al sostegno alle chiese locali, per quella dimensione comunitaria che è un altro aspetto della diaconia stessa. Come mai ?

Questa domanda mi offre l’opportunità di precisare la centralità del ruolo delle nostre chiese locali anche in questo frangente. Le chiese valdesi e metodiste nel nostro Paese sono spesso conosciute soprattutto per alcuni pronunciamenti pubblici su grandi temi sociali o etici, per azioni umanitarie di grande visibilità come i corridoi umanitari o per gli interventi della nostra diaconia più istituzionale e organizzata in Centri conosciuti e apprezzati al livello locale o nazionale. Ma senza le piccole chiese locali, formate da membri di chiesa attivamente e appassionatamente impegnati nella predicazione dell’Evangelo e nell’alimentare una vita comunitaria nella quale trovi radicamento un cammino di fede che si esprime anche nella costruzione, alla luce dell’Evangelo, di relazioni umane radicalmente alternative, non vi sarebbero quelle Istituzioni sociali o assistenziali, non vi sarebbero quelle azioni di denuncia sociale, di promozione dei diritti, di lotta per la giustizia, che portiamo avanti perché vi riconosciamo una coerente espressione del compito di annuncio evangelico che la Chiesa è chiamata ad assolvere. In questa emergenza, abbiamo fiducia che le nostre chiese locali sapranno assolvere, con ulteriori interventi diretti per i quali la Tavola metterà a disposizione delle risorse raddoppiate, un compito di supporto a coloro che, intorno a loro, dentro o fuori le chiese, già vivono la marginalità o che, per il Covid-19, hanno ridotto o perso il lavoro e non possono più pensare con serenità a una tranquilla vita quotidiana.

Questo rilevante intervento da parte della Tavola valdese è anche espressione di una consapevolezza spirituale ed è di fatto anche una testimonianza: che cosa muove i e le credenti a rendersi disponibili a fianco ai loro concittadini e quale può essere il messaggio di speranza che i protestanti possono portare anche in questo momento che non è solo di emergenza sanitaria ma anche di disorientamento degli individui?

Le nostre chiese da sempre interpretano la fede cristiana come fiducia di essere parte di un piano di Dio per l’intera sua creazione – un piano di vita piena, buona e abbondante per tutti – che chiama ogni singolo individuo, riconosciuto e valorizzato nella sua unicità, dignità e libertà, a mettere a frutto i suoi talenti al servizio del bene comune. Come credenti che vivono così la loro fede, siamo sfidati a vivere questo tempo, dominato dal senso di precarietà e dal disorientamento di fronte a un mondo che sembra crollare nelle sue certezze, nel suo profondo significato spirituale, ponendoci all’ascolto di ciò che il Signore ci sta dicendo, cercando di leggere i segni dei tempi e reagendo in coerenza con l’Evangelo. Pensiamo a come questa situazione sta interrogando le categorie, anche biblicamente molto dense, di vicinanza/distanza, aperto/chiuso, schiavo/libero, solo/insieme. Sarebbe grave coltivare l’illusione di tornare, anche come chiese, alla normalità di prima, senza cogliere l’opportunità unica di una ricostruzione nella direzione della solidarietà sociale, della sostenibilità ambientale, della riduzione delle diseguaglianze, nell’accesso ai beni essenziali come la salute, l’educazione, la casa, di un sistema di organizzazione del lavoro che si concili meglio con le esigenza di cura familiare e del riposo. Invochiamo tutti, dunque, l’aiuto del Signore per crescere nella capacità di vivere come comunità evangeliche, contagiatrici, in parole ed opere, di una speranza viva di conversione e rinascita.

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La necessità di costruire una chiesa nuova e un mondo nuovo

n una preghiera su Zoom, Irene Grassi nomina “positive e negativi, malati e asintomatiche, lavoratori essenziali e madri in smart-working, disoccupate e partite iva, bambine e bambini col naso schiacciato alla finestra … Non sono gli altri il nostro prossimo, ma siamo noi il prossimo per gli altri: il runner, la poliziotta, l’infermiere, lo spacciatore, la senzatetto, il presidente Conte…”

Roma (NEV), 27 aprile 2020 – Alla fine del “culto via Zoom” (ZoomWorship) di ieri, dopo la predicazione del presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), pastore Luca Maria Negro, e della pastora Dorothea Mülller, membro della Tavola valdese, i quasi trecento partecipanti hanno potuto condividere alcune preghiere. Fra queste, segnaliamo l’invocazione di Irene Grassi, membro della chiesa valdese di Pisa, che nella vita si occupa di comunicazione e raccolte fondi.

“Dio d’amore,
vieni a trovarci nelle case da cui non possiamo uscire – o da cui ci affacciamo rapidi, guardinghe, col volto coperto.

Vieni ad abbracciarci una per uno, positive e negativi, malati e asintomatiche, lavoratori essenziali e madri in smart-working, disoccupate e partite iva, bambine e bambini col naso schiacciato alla finestra.

Vieni a raccoglierci dal divano, o dal pavimento, stringici forte le mani, scuotici, soffia.
Fioriscici dentro.

Vieni a sederti nelle nostre bolle da un metro e ottanta e preparaci per quando, tra non molto, incontreremo i glicini ormai sfioriti, e i nostri simili, a distanza di sicurezza.

Vieni a tirarci i capelli quando ci dimentichiamo che non sono gli altri il nostro prossimo, siamo noi il prossimo per loro: il runner, la poliziotta, l’infermiere, lo spacciatore, la senzatetto, il presidente Conte.

Vieni a scompaginare le nostre Bibbie e mostraci la Parola che pensavamo di sapere. Vieni a prenderci per mano e portaci fuori, a combattere l’ingiustizia, la violenza, la sopraffazione, e poi la solitudine, l’angoscia, il dolore, nel rispetto della distanza fisica, e perciò con più forza, con più audacia, con più fermezza.

Vieni a sederti al nostro posto in chiesa, quando torneremo in chiesa, così da costringerci a vagare alla ricerca di un posto nuovo; così da convincerci alla necessità di costruire una chiesa nuova, un mondo nuovo, un assaggio – del tutto migliorabile! – di quel giorno che arriverà il Tuo Regno, quando saremo, finalmente, guarite/i.

Fino ad allora, che il Tuo Spirito ci guidi, e trapassi ogni mascherina”.

Il Signore è risorto

Vivere la gioia pasquale in questo momento difficile in cui come creato viviamo potrebbe sembrare difficile. L’annuncio che il Signore è risorto, irrompe maggiormente nella nostra vita quotidiana e nella nostra esperienza di fede. Spezza le catene della morte, certi di una vita che va al di là della nostra dimensione umana. L’annuncio di un amore immutabile, di un Dio che si offre sulla croce per la nostra salvezza, un amore immutabile che sconfigge le nostre paure, difficoltà.

L’augurio del Signore risorto riempia il nostro quotidiano e lo riempie di gioia, pace e fiducia!

I pastori delle comunità valdesi e metodiste di Roma hanno preparato un video con il messaggio della Resurrezione di Cristo e  per augurare a tutte e tutti una Pasqua di resurrezione.

past.Joylin Galapon, chiesa metodista via XX settembre

past.Emanuele Fiume, chiesa valdese di via IV novembre

past. Marco Fornerone, chiesa valdese di p. Cavour

past. Daniel Chaptman, chiesa metodista di ponte sant’Angelo

 

 

 

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Incontro Progetto Rosarno

Il prossimo 4 dicembre alle ore 18.00 presso il salone della Chiesa Metodista di Roma in via Firenze 38 sarà presentato il progetto Rosarno ideato e promosso dalla Federazioni delle Chiese Evangeliche in Italia. Parteciperanno:

Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope

Francesco Piobbichi, responsabile del progetto 

Operatori del progetto

 

Al termine si potranno assaggiare i prodotti coltivati e fare delle prenotazioni degli stessi.

Vi Aspettiamo!!

 

Qui sotto trovate un articolo di prestazione del progetto e la lettera di presentazione da parte della FCEI:

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Arance color giustizia. A Rosarno parte un nuovo progetto delle Chiese evangeliche per i migranti

ROMA-ADISTA. Arriva anche a Rosarno (Rc) Mediterranean Hope, il programma per rifugiati e migranti della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), che così si arricchisce di una nuova presenza nel sud Italia: dopo Lampedusa e Scicli, in Sicilia, ora la piana di Gioia Tauro, con un intervento a Rosarno, “patria” delle arance calabresi, anni fa salito alla ribalta delle cronache per le aggressioni razziste-mafiose contro i migranti e la “rivolta” di questi ultimi, costretti a lavorare nei campi in condizioni disumane.

«L’iniziativa si sviluppa attraverso tre azioni principali – spiega Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope –: uno sportello sociale mobile che ha il compito di raccogliere e per quanto possibile soddisfare richieste di interventi sociali, sanitari e legali da parte di immigrati; il sostegno ad una scuola di italiano che opera nelle vicinanze della tendopoli di San Ferdinando; lo sviluppo, attraverso la promozione di un marchio “etico”, di una filiera “virtuosa” composta da aziende che, lottando contro la criminalità organizzata della ‘ndrangheta da una parte e la grande distribuzione dall’altra, cercano di realizzare un’economia sostenibile, ecologica e rispettosa dei diritti dei lavoratori, sia italiani che immigrati».

Il nuovo progetto, che verrà presentato il 4 dicembre alle 18.30 nel salone della Chiesa metodista di Roma (via Firenze, 38) da Naso e dal coordinatore Francesco Piobbichi, verrà portato avanti dalla Fcei in collaborazione con alcune realtà associative già impegnate da anni nella filiera “slavery free”, come la cooperativa SOS Rosarno (che, oltre ad un coraggioso impegno antimafia, ha promosso una rete di produzione e distribuzione di una produzione di eccellenza ottenuta nel pieno rispetto del lavoro degli immigrati) e la rete Calabria Solidale-Chico Mendes.

«Ci auguriamo – aggiunge Luca Maria Negro, presidente della Fcei – che le nostre chiese rispondano con entusiasmo alla campagna di promozione di agrumi e altri prodotti “etici” che abbiamo lanciato in questi giorni. È un modo concreto per esprimere il nostro impegno per la dignità del lavoro dei braccianti e per un’economia non solo equa e solidale ma anche ecologicamente sostenibile: gli agrumi che saranno distribuiti, infatti, sono di produzione rigorosamente biologica. Una campagna, dunque, che coniuga l’impegno per la giustizia con quello per la salvaguardia del Creato».

(la Fcei cerca anche volontari, in particolare per l’attività di sostegno alla scuola di italiano nei pressi della tendopoli di San Ferdinando. Per informazioni: mh.rosarno@fcei.it)

 

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Care sorelle e cari fratelli,

con molto piacere ci facciamo tramite di una bella iniziativa promossa dalla nostra Federazione delle chiese evangeliche in Italia, frutto del convegno organizzato dalla FCEI lo scorso ottobre a Rosarno (RC). Il progetto Rosarno nasce dalla necessità di tutelare i lavoratori immigrati a livello locale e di assicurare un’economia giusta e sostenibile, e si svilupperà attraverso tre piani di azione: uno sportello sociale mobile, il sostegno ad una scuola di italiano e la promozione di un marchio “etico”.

Di seguito la lettera ufficiale stilata dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI):

“Cari fratelli e sorelle,
come avrete letto su NEV e altri organi di stampa, il 22 e il 23 ottobre tra Reggio Calabria e Rosarno si è svolto un convegno in cui la FCEI, nell’ambito di Mediterranean Hope – Programma Rifugiati e migranti, ha presentato un nuovo intervento nella piana di Gioia Tauro (RC).
Questo intervento si sviluppa attraverso tre azioni principali:

uno sportello sociale mobile che ha il compito di raccogliere e per quanto possibile soddisfare richieste di interventi sociali, sanitari e     legali da parte di immigrati; il sostegno ad una scuola di italiano che opera nelle vicinanze della tendopoli di San Ferdinando; lo sviluppo, attraverso la promozione di un marchio “etico”, di una filiera “virtuosa” composta da aziende che, lottando contro la criminalità organizzata della ‘ndrangheta da una parte e la grande distribuzione dall’altra, cercano di realizzare un’economia sostenibile, ecologica e rispettosa dei diritti dei lavoratori, sia italiani che immigrati.

La richiesta che avanziamo è di un sostegno a questo marchio in via di registrazione invitando membri di chiesa, comunità, istituti ed opere sociali ad acquistare i prodotti commercializzati con questo marchio registrato di proprietà della FCEI.
Previa verifica dei luoghi e delle modalità di produzione, il marchio viene concesso, dagli operatori e da tecnici di MH a aziende che dimostrino di produrre, oltre che biologicamente, nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori italiani e immigrati.

Nel momento in cui partiamo con questo progetto, il referente primario è la Cooperativa SOS Rosarno (www.sosrosarno.org) che da anni si distingue, oltre che per un coraggioso impegno antimafia, per aver promosso una rete di produzione e distribuzione di una produzione di eccellenza ottenuta nel pieno rispetto del lavoro degli immigrati, vale a dire paghe negli standard sindacali, orari e condizioni di lavoro secondo le norme. Una quota del ricavato delle vendite va a progetti sociali e solidali da realizzarsi nel territorio calabrese.

Tra le aziende associate segnaliamo anche Sfruttazero, una cooperativa pugliese composta da giovani che hanno investito nel settore della produzione della passata di pomodoro.
Altra rete con la quale collaboriamo è quella delle associazioni raccolte sotto l’ombrello di Calabria Solidale-Chico Mendes, presso la quale è possibile comprare vari prodotti tipici regionali.Attraverso il marchio, Mediterranean Hope svolgerà un’attività di sostegno ad aziende virtuose, aiutandole ad aprirsi nuovi mercati in Italia e all’estero. Le chiese e le opere che intendono acquistare prodotti con il marchio etico possono comunicare i loro ordini direttamente a SOS Rosarno.

È evidente che un progetto come questo avrà successo se si accompagnerà a un’azione educativa e informativa sul tema della sostenibilità in agricoltura, delle distorsioni di un mercato che, mentre espande i costi della distribuzione, riduce quelli della produzione al punto da imporre salari che autorizzano la definizione di economia paraschiavistica.

L’ultimo appello che vogliamo rivolgere riguarda la possibilità di svolgere un periodo di volontariato presso questo nuovo progetto. In allegato troverete una scheda che spiega la natura del lavoro che viene richiesto e le competenze necessarie a svolgerlo. Crediamo che per molti, giovani ma non solo, possa essere una bella occasione di formazione, impegno e testimonianza.

Come FCEI intendiamo sostenere le chiese e le opere che vorranno misurarsi con questa sfida nel nome dei principi della giustizia e dei diritti umani. Siamo quindi pronti ad accogliere inviti per spiegare e promuovere il progetto, ed a inviare materiali di studio e approfondimento.
A tutti voi, sorelle e fratelli, chiediamo di accompagnare questo nuovo impegno degli evangelici italiani con la predicazione e la preghiera, perché il Signore benedica chi opera per la giustizia.”

 

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Umanità in cerca di pace

da Riforma

di Fabio Perroni

Afghanistan, Sudan, Repubblica democratica del Congo… Il lungo elenco degli Stati impegnati nei conflitti oggi in  corso ha dato inizio alla veglia di preghiera per la pace organizzata da alcune sorelle e fratelli di due chiese evangeliche di Roma presso la chiesa valdese di piazza Cavour, che ha aperto loro le porte lo scorso 18 ottobre. Dopo il saluto iniziale del pastore Marco Fornerone, brevi letture, preghiere spontanee,  brani sulla pace, testimonianze, hanno ritma- to il tempo della preghiera. Una preghiera silenziosa, vissuta, profonda. «L’umanità in cerca di pace» è stato il titolo della serata, seguito  dal versetto tratto dalle beatitudini di Matteo, «Beati coloro che si adoperano per la pace». Filo conduttore dei cinque momenti è stato il salmo 82, che ha modulato i tempi che hanno  visto alternare brevi brani della Parola, silenzio, brani musicali di pace eseguiti alla viola  da Emma Amarilli Ascoli. Dopo la lettura dei versetti un ampio spazio agli interventi liberi  dei partecipanti, che non hanno lasciato troppo tempo all’assenza di parole. Si sono ricordati  avvenimenti, persone, impegnate o vittime del- le guerre, curdi, iracheni, siriani, yemeniti ecc.  Il rischio di conformarsi, di assuefarsi, ha con- giunto ancora una volta la Parola, con i versetti  dell’epistola di Paolo ai Romani, con le nostre parole: essere attenti, il peccato di abituarsi alle situazioni di violenza, il non prestare orecchio  ai troppi conflitti come se non ci interessassero. Porre attenzione ha significato denunciare  anche le nostre responsabilità come italiani e denunciare le implicazioni che abbiamo in moltissime situazioni di guerra e come credenti aprirsi al disarmo. Proprio la parola disarmo è  risuonata forte, dura, profonda, tramite le parole del patriarca Atenagora: «Bisogna riuscire a disarmarsi. Io questa guerra l’ho fatta… ma ora sono disarmato. Non ho più paura di niente  perché l’amore scaccia la paura… Ma se ci disarmiamo, se ci spogliamo, se ci apriamo al Dio  uomo che fa nuove tutte le cose… allora è lui a  restituirci un tempo nuovo dove tutto è possibile». Anche la pace è possibile. Una pace ancora lontana riecheggiata nelle parole della poesia  in ricordo di Asia Ramazan Antar, eroina curda morta per combattere l’Isis: «Io vado, madre. Se non torno la mia anima sarà parola… per tutti i poeti». A conclusione della veglia, che ha visto  la partecipazione di oltre cento persone, appartenenti a diverse confessioni cristiane, si è letta  la presa di posizione della Tavola valdese che «si associa alla preghiera di molti credenti di tutte le religioni – musulmani, cristiani, ebrei e altri – e ai loro appelli a unirsi anche nell’impegno concreto accanto a tutti coloro che rivendicano e ricercano una pace giusta con parole e azioni  coerenti», seguita dalla recita comune del Padre nostro e dall’uscita silenziosa dal tempio  per tornare nella quotidianità dove far risuona- re e vivere «il tutto è possibile».

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I mafiosi ultimi calvinisti?

da Riforma

di Peter Ciaccio

Le parole di Roberto Saviano al Festival del Cinema di Venezia sono profondamente errate. Lettera aperta allo scrittore da parte del pastore Peter Ciaccio

 

Caro Roberto Saviano,

ti scrivo perché non riesco a credere a quanto avresti detto alla Mostra del Cinema di Venezia durante il lancio della nuova serie tv ZeroZeroZero, tratta dal tuo libro e diretta da Stefano Sollima. Non riesco a crederci per la stima che ho per te, per il tuo lavoro, anzi per la tua missione. O, calvinisticamente, potrei dire, che ho stima della tua vocazione e di come combatti per non cedere alla tentazione di mollare tutto, di ritirarti, di far vincere “loro”.

Non sono riuscito a trovare la citazione esatta di quanto hai detto a Venezia. Tuttavia, comparando le diverse testate, il concetto che hai voluto esprimere appare alquanto chiaro: nella criminalità organizzata esiste una mistica del potere, una dimensione religiosa e, in quest’ottica, i boss sono “gli ultimi calvinisti” del mondo.

Potrei dirti che questa espressione è sbagliata, fuorviante e offensiva. Chi ti scrive conosce l’opera di Giovanni Calvino ed è pastore della Chiesa Valdese, espressione “ufficiale” del calvinismo in Italia. Certo, la fama dei calvinisti è quella di essere sobri, puritani, dedicati al lavoro, rigorosi. Max Weber ha addirittura associato al calvinismo lo “spirito del capitalismo”, con buona pace dei cattolicissimi fiorentini, inventori della cambiale e dell’espressione “bancarotta”. Ma non è questo il punto.

Il calvinismo è la prima confessione cristiana che si comprende come minoranza: gli ugonotti in Francia e i valdesi in Italia sanno che non possono (e forse non devono) aspirare a comandare, a diventare religione di stato. Pertanto, nel rapporto tra chiesa e società, i calvinisti non tramano contro la legge, ma ricercano il bene della città, come diceva il profeta Geremia agli esuli in Babilonia. Non è detto che poi nei fatti vada sempre così, ma questa è almeno la teoria. Per questo, ad esempio, i valdesi in Italia hanno il pallino della laicità dello stato, usano la libertà di cui godono per fare in modo che altri abbiano riconosciuti i diritti negati, usano l’Otto per Mille per progetti umanitari, sociali e culturali e non per pagare i pastori o ristrutturare le chiese.

Per carità, non siamo dei “santi”, come suol dirsi. Anzi, come scriveva Heinrich Böll, siamo ossessionati dalla precisione e dal dettaglio e, come probabilmente si evince da queste righe, puntigliosi fino a risultare antipatici. Nonostante questo, però, associare l’atteggiamento egoista, violento, idolatra, malvagio di un boss mafioso al calvinismo non è una piccola deviazione, un dettaglio sbagliato, una semplice imprecisione, ma è una sciocchezza enorme.

E, per dimostrarti quanto un calvinista può essere antipatico nell’essere puntiglioso, ti dico che il motivo per cui ti scrivo non è farti una lezione su chi sono veramente gli ultimi calvinisti d’Italia. Il motivo è riflettere sulla tua vocazione, che è quella di raccontare la mafia con semplicità e forza narrativa, di usare l’arma che ti è concessa, quella penna che è più potente della spada, come il piccolo Davide usò la fionda contro la potenza del gigante Golia. A differenza di Davide che poi divenne re, il successo di Gomorra ti ha trasformato in un recluso. Nonostante questo sei andato avanti per la tua strada da “calvinista” (se me lo concedi); in sintesi, possono farti di tutto, ma non toglierti la tua vocazione, che è raccontare come stanno le cose con una grande capacità comunicativa.

Ecco perché non puoi concederti una sciocchezza come quella che hai detto sui boss calvinisti: non perché sia falso (ed è falso), ma perché ne va della tua vocazione.

Calvinisticamente tuo,

Peter Ciaccio

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Metodista e donna, la nuova moderatora della tavola valdese. intervista ad Alessandra Trotta

Da Adista

di Luca Kocci

 

TORRE PELLICE (TO)-ADISTA. Una Chiesa a trazione femminile. È quella che emerge dal Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi, che si concluso a Torre Pellice (To) lo scorso 30 agosto con l’elezione della nuova moderatora della Tavola valdese, la palermitana Alessandra Trotta, avvocata civilista, diacona e metodista, che succede al pastore Eugenio Bernardini, moderatore dal 2012 al 2019 (v. Adista Notizie n. 30/19).

È la prima volta che una metodista guiderà l’organo esecutivo delle Chiese metodiste e valdesi, unite da un patto di integrazione dal 1975. Ed è la seconda volta di una donna moderatora (finora c’è stata solo Maria Bonafede, dal 2005 al 2012). Ma è l’intera Tavola valdese ad essere “rosa”, con cinque donne su sette, fra cui anche la vice-moderatora, la pastora valdese Erika Tomassone, eletta alla seconda votazione, dopo aver fallito il quorum alla prima (gli altri componenti della Tavola valdese sono: Laura Turchi, Italo Pons, Greetje van der Veer, Dorothea Müller, Ignazio Di Lecce).

Cinquantuno anni, laureata in Giurisprudenza a Palermo, Alessandra Trotta ha esercitato la professione di avvocato civilista sino al 2001. Ha diretto il Centro diaconale “La Noce” dal 2002 al 2010. Presidente dell’Opera per le Chiese evangeliche metodiste in Italia (Opcemi) dal 2009 al 2016, ha successivamente svolto il ministero diaconale al servizio delle Chiese metodiste e valdesi del XIII Circuito (Campania). Membro della Tavola valdese dal 2018, fra gli altri incarichi ecclesiastici ricoperti ci sono quello di sovrintendente del XVI Circuito (Sicilia), presidente del Sinodo, membro della Commissione per le discipline, membro dell’esecutivo del Consiglio metodista europeo (Cme), responsabile dell’Ufficio affari legali della Tavola valdese e coordinatrice del gruppo di lavoro per la tutela dei minori. Adista l’ha intervistata.

È la seconda volta di una donna alla guida della Tavola valdese. Ed è tutta la Tavola ad essere al femminile, con cinque donne su sette componenti. Quali sono state le ragioni di questa scelta da parte del Sinodo?

In realtà siamo arrivati ad un punto per cui queste decisioni per noi sono piuttosto ordinarie, perché abbiamo raggiunto una grande libertà di scelta. Sono già molti anni che, nelle nostre Chiese, le donne ricoprono posizioni di grande responsabilità. Credo che si sia raggiunta la maturità di individuare le persone che sono, o che sembrano, giuste in quel ruolo, al di là del fatto che si tratti di uomini o di donne. Quindi non credo che sia stata una scelta deliberata. Anzi mi pare molto rilevante il fatto che scegliere una donna per un ruolo di così grande responsabilità non costituisca un tema, non sia un fatto straordinario, ma una decisione in un certo senso ordinaria.

Una Tavola a grande maggioranza femminile può costituire un’opportunità in più, o diversa, per le Chiese metodiste e valdesi?

Io credo che l’apporto sia significativo quando gli organi dirigenti sono misti, ovvero costituiti da uomini e da donne che decidono insieme. È questo l’elemento che fa la differenza, perché non c’è dubbio che ci sono sensibilità differenti, modi diversi di affrontare anche le tematiche quotidiane: le donne conoscono alcune fatiche della vita quotidiana che gli uomini ignorano, gli uomini portano uno sguardo diverso su altre questioni. Non mi piacciono le assemblee di soli uomini. Ma non mi piacciono tutte le assemblee di un colore solo. Non penso che si tratti di difendere qualcuno, ma di portare nei luoghi in cui si decide insieme la possibilità di una sensibilità diversa, che fascia meglio la realtà, che ne ha una visione più ampia, più allargata, più completa.

Lei è anche la prima metodista moderatora della Tavola valdese…

In effetti al nostro interno è questo l’elemento che viene qualificato e sentito di più come segno di novità. Non è mai successo nella nostra storia, e noi metodisti siamo una componente largamente minoritaria nelle nostre Chiese. Il nostro percorso di integrazione, iniziato nel 1975, presuppone una unità plurale che non vuole eliminare le differenze, ed evidentemente anche questo percorso è giunto ad una fase di maturazione, visto che questo elemento non fa più problema. In effetti da quando la mia candidatura è cominciata ad emergere, nelle discussioni non è stato particolarmente accentuato come tema di rilievo.

La Tavola valdese è l’organo esecutivo delle Chiese metodiste e valdesi che, fra l’altro, tratta direttamente con lo Stato italiano. Come pensa di interpretare il suo ruolo sotto questo aspetto?

Il mio vissuto in Sicilia mi fa dire che i rapporti con le Istituzioni non sono sempre trasparenti e liberi. Credo che sia uno di quegli ambiti nei quali la fede conta molto. Il riconoscimento della signoria di Dio ci permette di guardare alle autorità umane con il rispetto loro dovuto in quanto responsabili del bene comune, ma di non considerarle assolute ed indiscutibili. Credo, ovviamente, che sia necessario avere un rapporto di collaborazione con le autorità civili, ma anche dialettico, quando è necessario.

Firmando i decreti sicurezza, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto dei richiami alla Costituzione perché alcuni punti siano modificati. L’ormai ex ministro dell’Interno Matteo Salvini ha invocato i «pieni poteri» per governare il Paese, salvo poi far cadere il governo e finire all’opposizione, diversamente dai suoi progetti. Crede che in Italia ci sia un rischio costituzionale? Cioè che la Costituzione possa venire erosa?

Il rischio maggiore che avverto e che mi preoccupa più di tutti gli altri è rappresentato dal fatto che ci siano pezzi di società e tanti nostri concittadini che hanno perso la capacità di riconoscere l’importanza di alcuni principi fondamentali. Non si è più in grado di comprendere quanto siano importanti i diritti costituzionali, come le libertà e i diritti delle persone. Più che le forze politiche, è questo che mi preoccupa: che nel corpo sociale i valori costituzionali siano messi al di sotto rispetto ad altre preoccupazioni immediate e quotidiane e vengano considerati in un certo senso astratti, di competenza di chi ha una mentalità più intellettuale, senza capire che invece hanno a che fare con la vita quotidiana di tutti quanto il cibo e la casa.

Nel suo discorso all’assemblea sinodale, subito dopo l’elezione, facendo riferimento alla sua esperienza in Sicilia e a Palermo, ha parlato di «un contesto anche socialmente impegnativo, che allena a lottare per ottenere ciò che dovrebbe invece essere un diritto, per te e per gli altri; e alla resistenza contro le ingiustizie» (il discorso integrale può essere letto sul sito web delle Chiese metodiste e valdesi: www.chiesavaldese.org). Non pensa che troppo spesso il messaggio evangelico sia stato addomesticato e svuotato dei suoi contenuti di liberazione?

Il Vangelo viene usato come anestetico, nella storia è successo tante volte. Si accentua il suo valore di consolazione, di rassicurazione, che indubbiamente c’è, e si attenua la sua forza di rottura delle proprie abitudini, consuetudini, tradizioni, la sua capacità di spingere a compiere delle scelte che non sono le più naturali, le più comode, le più semplici. Quando questo accade, quando si ricerca solo una dimensione religiosa rassicurante, c’è un problema.

Ancora nel suo discorso al Sinodo ha parlato di «un ideale di convivenza umana coerente con il cuore dell’Evangelo, dunque aperta, solidale, inclusiva, che viene ridicolizzato, osteggiato, addirittura additato come causa dei problemi?» Stava pensando alla situazione dei migranti?

Certamente oggi si tratta della situazione più visibile. Però la sensazione è che in generale la diversità spaventi molto. La comunità umana è una comunità in cui le persone stanno con quelli che ci sono, si accolgono reciprocamente per quelli che sono, in un’ottica di convivenza, di solidarietà, nonostante le differenze. E quindi da questo punto di vista non riguarda solo i migranti. Oggi qualsiasi elemento di diversità, di non conformità viene considerato preoccupante, ansiogeno.

«Capovolgimento» e «ribaltamento» sono due parole che ha utilizzato nello stesso discorso. Cosa bisogna capovolgere?

Va capovolto lo sguardo, per vivere le relazioni umane alla luce del Vangelo. Invertendo le priorità del prima gli italiani e poi gli altri, prima io… Il Vangelo invece ci dice di decentrarci, e questo ci rende più felici, più liberi.

È il «noi universale, non contrapposto ad un voi che individua i nemici da cui difendersi » di cui ha parlato al Sinodo…

Esattamente. Il noi viene considerato io e la mia famiglia, io e la mia comunità. Mentre il noi del piano di Dio è l’umanità intera, quindi è necessariamente inclusivo, aperto, non è settario, elitario ed escludente. Una bella differenza dal noi che sentiamo tanto spesso pronunciato con violenza, talvolta odio, per contrapporre e dividere.

Qual è il ruolo di metodisti e valdesi nella società italiana di oggi?

Prima di tutto voglio dire che noi, benché siamo una minoranza, per quanto possibile cerchiamo di non viverci come una minoranza, ma come una componente della società a pieno titolo. Mi resta molto difficile pensare i contributi specifici di metodisti e valdesi in una logica non ecumenica. Le sfide di questo tempo le stiamo affrontando insieme ad altri cristiani, per dare una testimonianza di unità di Chiesa. E questo sta accadendo anche in Italia, dove in passato i rapporti ecumenici non sono stati sempre facili, perlomeno su alcuni temi centrali. Diamo il nostro contributo a partire da quello che noi siamo: credenti, aperti a tutti, che vivono le relazioni di Chiesa in modo non gerarchico.

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Giovedì in nero

Durante l’ultimo Sinodo, appena concluso a Torre Pellice, è stato approvato un ordine del giorno che sensibilizza le chiese contro la violenza sulle donne aderendo all’iniziativa “Giovedì in nero”.

Thursdays in black è la Campagna di sensibilizzazione, nata in seno al CEC diversi anni fa, che si oppone allo stupro e alla violenza. Ogni giovedì, chi riconosce la violenza contro le donne come una piaga delle nostre società – chiese incluse – è invitato a indossare indumenti neri.

Il sinodo ha invitato le chiese ad organizzare iniziative ogni giovedì e pubblicizzarle nell’ambito locale. 

Il Consiglio ecumenico delle chiese ha, quindi,  deciso di pubblicare ogni giovedì una serie di interviste a persone che operano come «ambasciatori»contro la violenza di genere.

Come riportato da Riforma.it  Agnes Abuom è la prima a essere intervistata sul sito internet del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) nel nuovo ciclo di incontri redazionali dedicati alla Campagna internazionale del Giovedì in nero. Abuom – originaria del Kenya – è la moderatora del Comitato centrale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec).

Qui potete trovare sul sito di Riforma l’intervista alla moderatora del Comitato Centrale del CEC.

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Moderatora o moderatrice? Il perché di una parola

 Alessandra Trotta e Carola Tron – Foto di Nadia Angelucci

Da NEV

Roma (NEV), 5 settembre 2019 – All’indomani della nomina di Alessandra Trotta quale nuova moderatora della Tavola valdese, molte persone si sono chieste il motivo della parola: “moderatora”. Vezzo femminista? Forzatura di un linguaggio inclusivo? Errore grammaticale? Niente di tutto questo. Vediamo il perché.

Interpellata dall’Agenzia NEV, Alessandra Trotta ha dichiarato di aver scelto questo titolo “in continuità con la scelta compiuta dalla prima donna chiamata a rivestire questo ruolo” (la pastora Maria Bonafede, prima donna in assoluto a ricoprire l’incarico di guida della Tavola valdese, organo collegiale di governo fra un sinodo e l’altro, cui è anche affidata la rappresentanza ufficiale delle chiese metodiste e valdesi nei rapporti con lo Stato, ndr).

Spiega Maria Bonafede: “Quando sono stata eletta ho assunto il titolo dalla chiesa sorella sudamericana per coniare in Italia un termine nuovo, che rendesse ragione della novità della presenza di una donna in un incarico per secoli maschile”. Bonafede aveva ricevuto questa sollecitazione da altre donne protestanti: “A molte di loro non sembrava sufficiente il femminile italiano e vollero, quindi, una parola che indicasse sia la forza innovativa di un ruolo finalmente aperto alle donne, sia la sorellanza con la Mesa valdense, omologa latinoamericana della Tavola”.

Ricordiamo che l’attuale Moderadora dell’unione delle chiese valdesi del Rio de la Plata è Carola Tron, prima donna a ricoprire questa posizione oltre oceano.

Quindi, nessuna trovata femminista, né tanto meno un errore grammaticale, bensì una precisa e coraggiosa scelta, sulla linea di tante altre che i movimenti delle donne, e, perché no, le teologhe, hanno portato avanti.

Quanto al linguaggio inclusivo, una piccola precisazione. L’italiano permette di declinare al femminile tutti i sostantivi attraverso le desinenze -a, -aia (fioraia), -aiola (pizzaiola), -iera (giardiniera), -sora (assessora), e l’uso del relativo articolo femminile, solo per fare alcuni esempi. Ne parlava in modo approfondito già più di trent’anni fa Alma Sabatini nel suo Il sessismo nella lingua italiana, redatto su incarico della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Spesso con la scusa del “suona male” si rinuncia ad applicare le regole grammaticali, per cui “suonano bene” infermiera, operaia, impiegata, ma non vale altrettanto per ministra, assessora o avvocata (fatta eccezione per Maria, la mamma di Gesù, definita “avvocata nostra” nella preghiera cattolica “Salve regina”). L’entrata in scena delle donne in professioni e ruoli maschili impone un cambio di paradigma, ricordando comunque che non è la regola a fare il linguaggio, ma il linguaggio a creare la regola. O, come dice l’Accademia della crusca, una parola diventa “nuova” quando si diffonde ed entra negli usi collettivi della lingua per un periodo di tempo significativo.