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Pentecoste

Sembra tutto chiaro, sembra tutto evidente. Un storia e la sua contro storia. Un tragedia e la sua soluzione.

Da Babele, la tracotanza umana respinta nella dispersione,  l’unità megalomane frantumata nella divisione … L’empia rivolta umana contro Dio che l’ha cerata … a Pentecoste, una nuova umanità che grazie allo Spirito ritrova in Cristo la comunione con Dio e quindi l’unità …

Babele come anti-Pentecoste, Pentecoste come anti-Babele …

La storia di Babele è tutta e solo nera? E’ solo una storia di peccato e castigo?

Un piccolo gruppo emigra da oriente, dove Caino era andato a finire (4,16) nel paese del vagabondaggio; cammina cammina, arriva nella grande piana di Babilonia e lì si stanzia.

C’era in tutta la terra, letteralmente, “un solo labbro e parole uniche”. Che vuol dire? Normalmente si pensa che l’umanità parlasse una sola lingua, che tutti avessero lo stesso lessico. Così la nostra traduzione. Stranamente, però, il capitolo precedente della Genesi ha già  fatto un lungo e complesso elenco di tutti i discendenti di Noè, lo scampato al diluvio, ognuno con la sua lingua (10,20.31). C’erano già “lingue, paesi e nazioni”. La storia di Babele vuole raccontare dopo quello che è successo prima?

C’è un’altra possibilità. “un solo labbro e parole uniche” non vuole indicare che non c’erano ancora lingue straniere, ma che tutti avevano gli stessi propositi, facevano gli stessi progetti. Non l’unità dell’idioma, ma l’unità degli intenti, gli stessi piani condivisi. L’umanità  tutta intenta ad uno stesso scopo, ottimisticamente lanciata in una sola direzione. Sappiamo che la propaganda degli assiri, che Israele aveva conosciuto a sue spese, diceva che il sovrano aveva  fatte avere “una bocca sola” ai popoli che sottometteva, li aveva ridotti a una bocca sola, cioè tutti obbedivano e non si ribellavano. L’unanimità, volontaria o estorta.

Proviamo a seguire questo filo di pensieri. Qual è il proposito unitario, il progetto che tutti mobilita, senza cedimenti o dissensi? Sono due, preceduti da una innovazione tecnica: hanno imparato a costruire mattoni e a cuocerli e a usare come malta il bitume, che affiorava dal terreno.  Sono due, dicevamo: vogliono costruire una torre e una città. E’ ovvio che intendono una città cinta da mura, una città in grado di resistere.

Cosa voleva essere la torre? Una struttura difensiva, per l’avvistamento dei nemici? Oppure  uno dei quei templi a gradoni che sappiamo esistevano: quello di Babilonia (Babele), si chiamava Etemenanki ed era alto più di 90 metri, una altezza eccezionale, per allora.

Volevano che la torre fosse alta, con la cima in cielo.

Qui c’è uno snodo importante. Si cela qui il proposito di una scalata al cielo, per raggiungere lo spazio degli dèi e mettersi al loro livello? Una sorta di sfida alle divinità, una tentativo di superare la distanza tra il cielo degli dèi e la terra degli uomini con una “iniziativa dal basso”, pensata come inarrestabile? Una pretesa titanica? Una “ribellione contro l’Altissimo”, per dirla con parole bibliche? La  torre che svetta orgogliosamente come “simbolo di ateismo”?

Oppure “la cima in cielo” è solo una immagine per dire che volevano fare una torre molto alta, forse la più alta che si potesse fare o che si fosse mai vista, ma senza nessuna pretesa di ascendere al cielo. Così è in Deut 1,28 e 9,1  dove si parla di città fortificate fino al cielo per dire che avevano alte torri. In Isaia 14,13 viene rimproverato al re di Babilonia di aver detto: “Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio  …” L’ sì che si parla di sfida a Dio …

Perché vogliono fare così? Per “acquistare fama” e “non essere dispersi”. “Acquistare fama” è “letteralmente “farsi un nome. Alcune volte l’espressione è usata per Dio … per esprimere la grandezza che gli si riconosce, la fama che ha ottenuto … ma Dio ha anche “fatto un nome” a Davide (2 Sam 7,9 // 1 Cr 17,8) e Davide stesso “si è fatto un nome” con i suoi successi militari (2 Sam 8,13). Qui, a Babele, “farsi  un nome” e il tentativo di non essere dispersi sono collegati; forse è solo la volontà di realizzare qualcosa che venga ricordato, attraverso chi porterà dopo di loro il loro nome … resistenza all’oblio, continuare nella memoria. Noi ce ne andremo, ma lasciamo qualcosa di memorabile … Oppure si tratta di delirante megalomania, ricerca di fame imperitura? Senso di onnipotenza o semplicemente ansia …?

“Dio scese a vedere…” Un’altra di quelle espressioni che noi troviamo “poco da Dio”, come se avesse bisogno di avvicinarsi perché da lontano, da sopra,  non vede … E’ un modo umano, “fiabesco” di parlare, ma forse è così che ci viene detto qualcosa di importante. Dio “scende” per il grido che sale da Sodoma (Gen 18,21); promette a Giacobbe che “scenderà con lui in Egitto”, cioè che non lo lascerà solo; Dio è sceso dagli schiavi in Egitto perché ha visto la loro afflizione e udito il loro grido (Es 3,8) e vuole “farli salire” alla terra della libertà; Dio scenderà per parlare con Mosè (Num 11,17.25; 12,5); Dio scende, quando si manifesta con la sua forza (es. Giud 5,13; : Sal 18,10 ; 144,5). Dire che Dio “scende” è un modo di dire non è indifferente, che gli sta a cuore come le cose vanno quaggiù …

Dio scese a vedere la città e la torre (v. 5).  La torre è già costruita (al v. 8 smetteranno di costruire la città). Non arriva al cielo, se Dio scende. Dall’inizio della creazione, varie volte Dio “ha visto”. Al cap. 1, ha visto ogni volta che ciò che aveva creato “andava bene”.  Prima del diluvio (Gen 6,5) ha visto che l’umanità che aveva creato non andava bene. Qui vede che ciò che gli uomini costruiscono non va bene.

Che cosa non  va bene? Questo: l’unità di intenti che accomuna tutti gli umani è solo l’inizio e così nulla sarà loro impedito  di ciò che si proporranno di fare. Qui  forse è il punto del contrasto tra Dio e gli umani. Le stesse espressioni usate qui si trovano soltanto, in tutta la Bibbia, nel discorso in cui Giobbe (42,2) riconosce che  Dio “può tutto  e nessun progetto gli è precluso”.

Questo fare senza limiti viene interrotto. “Avanti, scendiamo e confondiamo la loro lingua in modo che, letteralmente, uno non ascolti più il labbro dell’altro”: pluralità degli idiomi o, anche e soprattutto, crisi dell’unità di intenti? Disperdiamoli, disseminiamoli … in un certo senso riconduciamoli così ai loro limiti, impediamo la confusione tra possibilità che si hanno e  illusioni, progetti velleitari e totalizzanti …

Dio parla al plurale. Come in 1,26: “facciamo l’umanità a nostra immagine …” e in 3,22 “Ora l’umanità è diventata come uno di noi …” Plurale maiestatico? L’immagine di una corte divina?

Sia come sia, la costruzione della città viene interrotta, i suoi abitanti dispersi, disseminati. E si ironizza sul nome della città. “Porta del cielo” voleva dire Babele … qui babele viene collegato – in ebraico ci sono suoni affini – al verbo della confusione. Le tante lingue che si sentivano nella grande città sono lette come il segno di un limite posto all’unità totalizzante … e totalitaria …

Come dobbiamo leggere la nostra storia? Come la consumazione di un dramma, come terribile atto punitivo di Dio? Come polemica contro le ambizioni del progresso e della civiltà? Oppure come reazione di Dio per difendere l’umanità da se stessa, non per avvilirla e ricacciarla indietro, per ricondurla ai suoi limiti, ma anche alle sue possibilità, senza illusioni che necessariamente saranno frustrate? Un punire e prevenire insieme … più prevenire che punire? Forse tutto è raccontato più con ironia che con il senso della tragedia.

Anche a Pentecoste, possiamo e forse dobbiamo rispecchiarci nella storia di Babele. Siamo ancora una umanità così. Progrediamo, ma ogni conquista ha un risvolto, porta con se anche le illusioni di Babele e l’ansia di Babele. Ci seduce il pensiero che, andando avanti così, nulla ci sarà impossibile e niente ci fermerà. Le nostre ambizioni e le nostre velleità ci impediscono di fare i conti con la realtà e con i nostri limiti. E così perdiamo ciò che è possibile per ciò che non può essere disponibile. Anche nella dispersione e nella pluralità delle lingue, illusioni e ambizioni totalizzanti sono sempre fra noi e dentro di noi.

A noi, che la storia di baele fa vedere come siamo, a noi Pentecoste annuncia che Dio scende ancora, per un’umanità così, con il suo Spirito che crea realtà nuove e certe.

prof. Daniele Garrone

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#IoCelebroACasa. Una proposta ecumenica per la Pentecoste

La pastora battista Lidia Maggi illustra la liturgia domestica di Pentecoste da celebrare a casa, anche in famiglie con bambini. Cattolici e protestanti hanno lavorato insieme durante il lockdown per la creazione di un sussidio pronto all’uso

Nasce informalmente sul web, fra cattolici e protestanti, questa proposta liturgica di Pentecoste. Una celebrazione domestica in due versioni, una per adulti e giovani o piccoli gruppi, una per famiglie con bambini, che prevede fra l’altro preghiere, filastrocche, “ginnastica dell’anima” e la costruzione di una girandola della pace. Il sussidio liturgico è scaricabile qui e utilizzabile per la domenica di Pentecoste, domenica 31 maggio 2020: Pentecoste libretto Definitivo.

Molte chiese, soprattutto al nord, hanno deciso per precauzione di rimanere chiuse ancora per un po’ di tempo, nonostante la possibilità di riprendere i culti a seguito della firma dei Protocolli a Palazzo Chigi, lo scorso 15 maggio. La liturgia proposta dal gruppo ecumenico può essere usata a casa da chiunque lo desideri, anche da chi per varie ragioni non possa recarsi in chiesa.

«Il contesto del coronavirus ha portato a interrogarci su come essere una chiesa aperta nonostante l’impossibilita di incontrarsi» spiega all’agenzia Nev Lidia Maggi, pastora battista che svolge il suo “ministero itinerante” per l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (UCEBI).

Racconta Lidia Maggi, che è coinvolta nell’iniziativa: «Tornare a casa come luogo dove vivere la fede è uno dei modi per sentire che la chiesa non è chiusa. Ci sono nuovi ministri, che sono i familiari. Un gruppo cattolico aveva proposto l’itinerario di preparazione alla Pasqua #IoCelebroACasa. Dopo l’esperienza pasquale, si è sentita l’esigenza di allargare al mondo ecumenico questo percorso per la Pentecoste. Ci sembra l’occasione ideale per una proposta che troviamo in linea non solo con lo spirito ecumenico che caratterizza le nostre chiese, ma anche per un altro motivo. C’è una spiritualità che rischiamo di perdere, cioè la dimensione della meditazione giornaliera in casa. Forse il coronavirus ci offre l’occasione di riappropriarci di questo spazio. Non ci sono solo il web e zoom, ma possiamo ritrovare la chiesa domestica, la dimensione domestica della celebrazione dove dare autorevolezza ai genitori, ai familiari che si riuniscono intorno alla Parola».

L’intento è quello di «trasformare la tragedia del coronavirus in opportunità – conclude la pastora Maggi – per comprendere cosa lo spirito dice alle nostre vite, per permettere allo spirito di trasformare in bene ciò che è male».

Il progetto di una liturgia domestica “mista”, cattolica e protestante, è nato sul web nel pieno della pandemia da covid-19 e raccoglie persone di diversa provenienza. Il sussidio #IoCelebroACasa di Pentecoste è stato preparato da
alcuni componenti del gruppo “insiemesullastessabarca” (Alessandro CortesiAndrea GrilloSimone MorandiniSerena NocetiMorena Baldacci), da appartenenti al movimento Pax Christi (Rosa SicilianoTonio dell’OlioMassimo Feré), dalle pastore Lidia Maggi Ulrike Jourdan e dal pastore William Jourdan.

Scarica qui: Pentecoste libretto Definitivo.