Articoli

Il nome al di sopra di ogni nome

Efesini 1,20-23
15 Perciò anch’io , appresa la vostra fede nel signore Gesù e l’amore (che avete) verso tutti i santi, 16 non cesso di ringraziare per voi facendone memoria nelle mie preghiere 17 affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno Spirito di sapienza e di chiarezza nella conoscenza di lui 18 tale da illuminare gli occhi del vostro cuore, perché possiate intendere qual è la speranza della sua chiamata, quale la ricchezza della sua gloriosa eredità fra i santi, 19 e quale la straordinaria grandezza della sua potenza in favore di noi credenti secondo l’efficace intervento della sua forza vigorosa, 20 che egli dispiegò nel Cristo risuscitandolo dai morti e facendolo sedere alla sua destra nei cieli 21 al di sopra di ogni principato e autorità e potenza e dominazione
e ogni altro nome che si nomina non solo nel mondo presente ma anche nel futuro ; 22 e sottopose tutte le cose sotto i suoi piedi e lo diede (nella sua qualità di) capo su tutte le cose alla chiesa, 23 che è il suo corpo, la pienezza di lui che riempie tutto in ogni sua parte .
Celebriamo oggi la sollennità dell’Ascensione al cielo di Gesù. Abbiamo ascoltato il racconto nell’evangelo di Luca: quaranta giorni dopo la sua risurrezione, Gesù sale definitivamente al cielo. Per la verità, la festa liturgica era giovedì e in molte nazioni, come la Germania, la Svizzera o anche la Francia, che una volta erano cristiani, essa è ancora una festività civile. In Italia, no. Lo è l’Assunzione di Maria, il 15 agosto, ma non l’Ascensione di Gesù. Un po’ strano; o forse no, in questo paese.
Il mondo antico conosce molti personaggi importanti, profeti (pensiamo a Elia), eroi semidivini (Romolo), che ascendono al cielo e, in tal modo, si vedono riconosciuta l’autorità di Dio stesso. La divinizzazione dell’eroe, nell’antica Roma quella dell’imperatore, era un atto politico: se l’imperatore è divino, lo è lo stato, lo è Roma. Chi comanda nel mondo non è solo il più forte, il più brutale, il più cinico: comanda per diritto divino. Il potere sa essere anche generoso: con chi obbedisce e, più ancora, con chi adora . Obbedire al potere che si vuole divino è la condizione elementare per vivere in pace: meglio ancora, appunto, se ci si prosterna di fronte a chi siede sul trono.
L’epistola agli Efesini ha qualcosa da dire a questo proposito. Le forze che governano il mondo sono numerose e qui vengono chiamate: principati, autorità, potenze e dominazione. C’è però uno che è al di sopra di tutte quante, perché l’unico vero Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi: quest’uno è il Cristo risorto. Per orecchie cristiane, come le nostre, può apparire un’affermazione abbastanza scontata: celebrare Cristo, aggiungendo un titolo all’altro, una benedizione all’altra, ci costa poco. In realtà, quello di Efesini è un discorso molto pericoloso, non solo nel mondo antico. L’autore ci dice: quando i potenti della terra reclamano autorità assoluta, non date loro retta. Uno solo ha questa autorità. Non ci si inginocchia davanti al potere, né politico né religioso: è una bestemmia. Solo il Risorto o, come lo chiama l’Apocalisse, colui che era morto, ma ora vive nei secoli dei secoli, merita che ogni ginocchio si pieghi davanti a lui. Anche questo, dunque è un messaggio politico, come quello degli imperatori romani: solo, di segno opposto. Non il Cesare di turno, ma questo Gesù risuscitato da Dio è colui al quale il mondo è sottoposto. Lo stato, il potere politico e anche di quello ecclesiastico hanno il loro diritto, che è importante, ma relativo. La solennità dell’Ascensione proclama che il Risorto è il signore dei signori: usa il linguaggio del potere, per affermare che Dio solo regna sul mondo e sulla storia. E che dunque ogni potere umano è discutibile, se necessario contestabile.
Milioni di cristiane e cristiani, in tutti i tempi, sono morti per testimoniare questo evangelo. La città nella quale viviamo è piena di ricordi di questa testimonianza, nei primi secoli: dalle catacombe ai luoghi associati alla memoria dei martiri. A migliaia sono anche morti per testimoniare la signoria di Cristo contro la chiesa che la voleva usurpare: Cristo è il luogo – tenente (alla lettera: colui che tiene il posto) di Dio, ma il papa non è il luogotenente di Cristo. Molto spesso, per il papato dei secoli scorsi, celebrare l’Ascensione ha voluto dire: poiché Cristo è in cielo, qui in terra comando io. Cioè l’esatto contrario dell’evangelo di questo giorno. Io oggi posso dirlo con tutta tranquillità e magari qualche cattolico sarà d’accordo con me. Ma moltio evangelici sono stati uccisi per aver detto molto, ma molto meno.
Tornando al desiderio di onnipotenza del potere politico, esso va ben oltre Roma antica.. Pochi giorni fa è stato ricordato il centenario della nascita di una ragazza, Sophie Scholl, che è morta a 22 anni, assieme a diversi suoi coetanei, per dire che Hitler non era un Dio: e che siccome, invece, voleva farsi passare per dio, era in realtà un avanzo dell’inferno, un demonio. E si potrebbero elencare gli altri martiri del Novecento, uccisi dai regimi terroristici dei più diversi colori. La solennità dell’Ascensione è pericolosa, questa è la verità, perché pericoloso è Gesù: Erode ne aveva paura, Ponzio Pilato anche e il potenti di oggi sono degni allievi dei tiranni del passato. Gesù è tranquillizzante, innocuo, solo quando è ridotto a un’immaginetta, che magari lo vede svolazzare, come un passerotto o un angelo, tra cielo e terra. Colui che è asceso al cielo, invece, lo ha fatto per liberare la terra dai falsi dei. E questi ultini reagiscono e colpiscono.
Secondo l’epistola, tuttavia, vi è un luogo nel quale l’autorità del Risorto è presa sul serio. Un luogo che è ripempito della sua presenza, animato dalla libertà che promana da questo imperatore celeste che abbatte gli imperi terreni: questo luogo è la chiesa. Attenzione: non vuol dire, ripetiamolo, che la chiesa e i suoi capi sono onnipotenti. Questa è la caricatura dell’evangelo dell’Ascensione. Che il Signore dei signori, colui al quale Dio ha sottoposto il mondo, pervade e riempie la chiesa significa invece questo: ciò che la società, il mondo, non ha ancora riconosciuto, e anzi si ostina a negare, è già vero nella chiesa. E’ vero già ora, nella chiesa, che chi guida è in realtà al servizio: non però a parole, ma nei fatti. E’ vero già ora, nella chiesa, che non c’è un monopolio del potere maschile. E’ vero già ora, nella chiesa, che chi ha più soldi non è più importante di chi ne ha meno. La condivisione del pane e del vino, tra noi, non è un rito magico celebrato da uno stregone, ma l’opera di colui che, secondo sua madre, ha rovesciato i poitenti dai troni e ha innalzato gli umili, e quindi ci ha messi tutti in cerchio, per celebrare la sua memoria, cioè la sua presenza vivente. La chiesa è questo, sì o no?
Credo che possiamo osare rispondere: noi non siamo la chiesa dell’Ascensione come dovremmo, come vorremmo e nemmeno come potremmo. Però lo siamo un po’, non per merito nostro ma per grazia di Dio. Ed è questa la promessa rivolta alle nostre piccole comunità: essere segno della presenza di quel Signore che libera il mondo dai finti signori che vorrebbero trasformarci in servi.
Amen
prof- Fulvio Ferrario

Da dove…

Gv. 2,1-11
1Tre giorni dopo, ci fu una festa nuziale in Cana di Galilea, e c’era la madre di Gesù. 2 E Gesù pure fu invitato con i suoi discepoli alle nozze. 3 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». 4 Gesù le disse: «Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta». 5 Sua madre disse ai servitori: «Fate tutto quel che vi dirà». 6 C’erano là sei recipienti di pietra, del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei, i quali contenevano ciascuno due o tre misure. 7 Gesù disse loro: «Riempite d’acqua i recipienti». Ed essi li riempirono fino all’orlo. 8 Poi disse loro: «Adesso attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. 9 Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l’acqua che era diventata vino (egli non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano bene i servitori che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: 10 «Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono fino ad ora».
11 Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.
12 Dopo questo, scese a Capernaum egli con sua madre, con i suoi fratelli e i suoi discepoli, e rimasero là alcuni giorni.
I suoi discepoli credettero in lui: così si conclude il racconto vero e proprio. C’è però una persona che crede in Gesù fin dall’inizio. A prima vista, si tratta di una fede un po’ strana. La fede della madre di Gesù si dimostra in questo: che non prende troppo sul serio suo figlio. Ma chi legge con attenzione constata che proprio questa è la fede più pura.
Qui non c’è nessuno che sta morendo di malattia, non ci sono lebbrosi né indemoniati. Semplicemente, gli sposi sono rimasti a secco, come si dice. La madre rivolge a Gesù una richiesta implicita, ma chiara: Non hanno più vino. La prima metà della risposta di Gesù è molto brusca e potremmo renderla così: Che accidenti vuoi da me, donna? (si noti: donna, non: madre). Che significa tanta durezza? Calvino afferma: Gesù vuole insegnarci a evitare una venerazione fuori luogo per Maria. Una tesi molto protestante, ma non la più verosimile. Meglio rivolgerci alla seconda metà della risposta di Gesù: L’ora mia non è ancora venuta. Gesù è concentrato sulla sua ora, che scoccherà all’avvicinarsi della croce. E’ come se dicesse: nemmeno tu, madre mia, puoi distrarmi da questa meta. Per me non si tratta di matrimoni, né di feste, né di vino: si tratta del Padre, della vita eterna, dell’ora decisiva nella quale tutto sarà rivelato. E quest’ora non è ancora giunta.
Maria, però, non si scompone neanche un po’. In questo senso dicevo: non prende sul serio Gesù; più precisamente non prende sul serio il no che le viene rivolto. Fate tutto quel che vi dirà. La fiducia di Maria non si spaventa nemmeno davanti al no di suo figlio. Anche se non è ancora giunta l’ora, anche se si tratta “solo” di una festa, dove c’è Gesù accade qualcosa di buono, e la festa non è “solo” una festa. Il primo segno operato da Gesù è questo: la festa sia una vera festa. Maria confida che così sarà. Fate tutto quel che vi dirà. La fede di Maria, qui, consiste nel cogliere che nel no di Gesù vi è un sì. Naturalmente non si tratta di una regola matematica, non vuol dire che Gesù esaudisce ogni nostra richiesta, come una macchina a gettone. Vuol dire però che la fede sa guardare anche oltre i no di Dio. Anzi, potremmo dire così: solo chi, come Maria, sa cogliere il sì nascosto dentro al no, solo chi sa cogliere la promessa racchiusa in quanto appare un diniego, potrà cogliere la verità di Gesù, la sua gloria, quando l’ora verrà. E nel racconto di Giovanni, nell’ora della manifestazione più piena, nell’ora della croce, Maria è presente, insieme al discepolo che Gesù amava. Qual è la radice di una simile fede? Torneremo tra poco su questa domanda.
Una volta che si è deciso, comunque, Gesù non usa mezze misure: il numero e la capienza dei recipienti parlano di ben più di cinquecento litri di acqua, trasformata in vino. Il primo segno operato da Gesù non solo si svolge nel quadro di una festa, ma è caratterizzato dall’abbondanza, dalla gioia e anche, è lecito supporre, da quel tipo particolare di gioia legato a una buona dose di vino che, a quanto afferma il maestro di cerimonia, è anche di eccellente qualità. A proposito del maestro di cerimonia: egli non sapeva da dove venisse il vino. Ebbene: nell’evangelo di Giovanni, quando compare questa espressione, da dove (o: donde), è come una luce rossa che si accende, per segnalare qualcosa di importante. Da dove veniva quel vino? I servi lo sapevano, ma non ci viene detto che cosa hanno pensato. Oltre a loro, lo sapeva la madre di Gesù. La sua fiducia nel figlio ha la sua radice nella consapevolezza di questo da dove.
Da dove viene il vino? Da Gesù evidentemente, il che sposta la domanda: da dove vengono la persona, il dire e il fare di Gesù? Compreso il suo intervento per aiutare due giovani sposi in difficoltà? Su questo, Giovanni è chiaro fin dalle prime righe del suo vangelo: l’intera storia di Gesù proviene dalle profondità di Dio e manifesta, anche a una festa di nozze, la realtà che era nel principio. Questo primo segno annuncia il grande tema dell’evangelo di Giovanni: la gloria di Gesù è la manifestazione progressiva del suo da dove, cioè del Padre, dal quale egli proviene e al quale, alla fine, ritorna. Il testo lo sottolinea, è il primo segno, siamo ancora all’inizio del cammino della gloria di Gesù, ma è come nella musica sinfonica, i temi fondamentali sono ben presenti già in apertura, anche se non ancora sviluppati.
Trasformare l’acqua in vino non è in nostro potere, così come non è in potere di Maria. La verità di Gesù, il fatto che egli è davvero il centro delle nostre vite, che vuole trasformarle e anzi ha già iniziato a farlo: tutto questo lo può rivelare solo Gesù stesso, nella sua parola. Egli solo può trasformare l’acqua in vino, un libro di carta nella testimonianza del Padre, parole umane nella parola che salva.
Forse però qualcosa possiamo fare anche noi. Quando incontriamo Gesù, nella lettura personale della Bibbia, nel culto o nella predicazione, possiamo porci la domanda che percorre in modo sotterraneo tutto l’evangelo di Giovanni e che ogni tanto emerge: da dove proviene veramente questo annuncio? Dalla chiesa, certo; dalla Bibbia, dalla pastora dal catechista. Tutto vero, ma ma non ci si può fermare lì. Gesù, tu, con tutto il tuo dire, il tuo fare, con tutti i racconti e i miracoli, con il tuo destino… Gesù, tu da dove sei, da dove provieni? Fratelli e sorelle, è vero, noi non possiamo far altro che porre questa domanda, a volte con speranza, a volte con angoscia. Ma quando essa è posta e lo è con serietà, siamo molto vicini al luogo nel quale l’acqua è trasformata in vino, al luogo nel quale Gesù manifesta la sua gloria.
Amen
Piccolo compito a casa. La traduzione presentata è quella della Nuova Riveduta, modificata però al v. 9, in modo da evidenziare l’espressione «da dove», che è presente nell’originale, ma va persa nella NR. Chi vuole, può cercare nell’evangelo di Giovanni i passi nei quali ricorre l’espressione «da dove» (greco: pothen): oltre a 2,9, sono interessanti: 3,8; 4,11; 7,27; 8,14; 9,29 s., per culminare in 19,9. E’ un esercizio di estremo interesse.
past. Fulvio Ferrario

Rallegratevi nel Signore, sempre

“Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi. La vostra mansuetudine sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino. Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù”, (Filippesi 4:4-7).

 

Rallegratevi nel Signore, sempre… Tutti gli esseri umani vedano la vostra gentilezza, la vostra mansuetudine, la vostra bontà …Non siate in ansia, non angustiatevi ...”.

Queste parole piuttosto che una citazione dell’apostolo Paolo sembrano essere tratte dal Vangelo secondo Pollyanna, la protagonista di un famoso romanzo per l’infanzia che affronta la vita attraverso il “gioco della felicità“: un particolare modo di vedere l’esistenza sempre in positivo, nonostante le avversità.

A Pollyanna muore la madre; muore il padre; la zia che l’accoglie la tratta freddamente; lei rimane per un periodo paralizzata, … ma tutto avviene con il sorriso sulle labbra.

Un atteggiamento di ottimismo patologico tanto che in psicologia esiste addirittura una sindrome che porta il suo nome – la sindrome di Pollyanna – che consiste “nel percepire, ricordare e comunicare in modo selettivo soltanto gli aspetti positivi delle situazioni, ignorando quelli negativi o problematici”.

Tuttavia, è difficile pensare all’apostolo Paolo come a un ottimista compulsivo. Certo, il suo invito a rallegrarsi e a vivere liberi da ansie, Paolo lo scrive dal buio di una prigione, a Efeso, dove è rinchiuso – in effetti, una situazione non inusuale per l’apostolo.

Se però leggiamo il modo in cui egli descrive le difficoltà della sua vita di testimone di Cristo, troviamo delle parole che non lasciano presupporre alcun sorriso: “Spesso – scrive Paolo – sono stato in pericolo di morte; tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio. Spesso in pericolo sui fiumi, in pericolo per i briganti; in fatiche e in pene; nella fame, nel freddo e nella nudità”. C’è davvero poco di cui rallegrarsi. Eppure, Paolo ci esorta a farlo. Perché?

Paolo non ci invita ad essere degli ottimisti patologici – o meglio, dei cristiani patologici– che vedono nel presente il bene che non c’è, si vestono di un sorriso che oltraggia la fatica del vivere umano, o di una devozione priva di solidarietà perché si è arresa al fatalismo. Non è verso questa patologia che Paolo ci spinge. Piuttosto, l’apostolo ci invita all’ottimismo della fede che, nonostante il presente, continua a farsi guidare dalla speranza. L’ottimismo di una vita orientata alla speranza.

E, secondo Paolo, la speranza è possibile perché “il Signore è vicino!” Per questo è possibile sperare e rallegrarsi: perché il Signore è vicino. Questo può significare due cose. Il Signore è vicino: cioè, mi è accanto ed è qui, vicino a me, nel momento della difficoltà e del dolore per donare pace e consolazione, per custodire il mio cuore e la mia mente. Ma anche: il Signore è vicino perché sta arrivando, viene – non so quando non so come, ma viene per raddrizzare i torti e fare giustizia, per capovolgere i giudizi della storia e delle miserie umane. E’ questa presenza che ispira la speranza e permette, nonostante la realtà, di raccontare un’altra storia, una storia diversa della nostra vita e di quella degli altri.

Un cristiano è proprio questo: qualcuno/a che, in ogni occasione, è capace di raccontare un’altra storia, di sé, degli altri, di questo mondo.

I cristiani di Filippi, a cui Paolo scrive, erano certamente capaci di comprendere questa dimensione della fede perché l’avevano vista all’opera in Paolo stesso quando per la prima volta venne nella loro città. A Filippi, ci racconta il capitolo 16 degli Atti degli apostoli, Paolo viene arrestato con il suo collaboratore Sila. In carcere, Paolo e Sila invece di lamentarsi e disperarsi, con gran stupore del loro carceriere, si mettono a cantare. Pure in catene, fanno della loro vita un canto. Poi, nella notte accadde un evento eccezionale: c’è un terremoto che scioglie i ceppi dei prigionieri e spalanca le porte delle celle.

Il carceriere reagisce con disperazione: il terremoto per lui è una catastrofe, le autorità chiederanno conto a lui dei prigionieri fuggiti. Così sguaina la spada e sta per uccidersi. Ma Paolo lo ferma: cosa fai? Rimetti a posto la spada: siamo tutti qui! Nessun detenuto è fuggito. Non certo Paolo, che sebbene prigioniero è un uomo libero e un uomo libero, appunto, non ha nessun motivo per scappare. Allora il carceriere lo accoglie alla sua tavola, gli dà da magiare e si inginocchia davanti al detenuto … e chiede di essere battezzato nel nome di Gesù e di entrare anche lui in questa storia, in cui una persona nonostante in catene, può sapersi libera; nonostante il dolore, fare della sua vita un canto; nonostante le difficoltà del presente, raccontare un’altra storia fatta di speranza.

Dunque, rallegratevi, siate mansueti, non angosciatevi, ma raccontate un’altra storia. Raccontate il mondo in modo diverso. Raccontate un’altra storia che permette di essere generosi nonostante la scarsità, accoglienti nonostante le paure, fiduciosi nonostante i tanti inganni, capaci di ricostruire nonostante le macerie che ci circondano, solidali con gli altri nonostante i nostri guai. Rallegratevi, siate mansueti, non angosciatevi, perché il Signore è vicino. Amen.

 past. Luca Baratto

, ,

Giornata della memoria di John Wesley

Domenica 3 giugno la nostra comunità ha tenuto un culto insieme alla comunità valdese di via IV novembre di Roma per la giornata della memoria di John Wesley. La liturgia è stata curata da pastore Emanuele fiume, che ha tradotto un culto del 1700 composto proprio da J. Wesley, mentre il sermone è stato preparato dalla pastora J. Galapon.

Qui di seguito trovate la liturgia e il sermone.

Liturgia per l’amministrazione della Cena del Signore
Rev. John Wesley
Bristol, 10 settembre 1784

Traduzione di Emanuele Fiume

Saluto e introduzione

Inno: “Rejoice, the Lord is King/Gioite nel Signor” (Charles Wesley – G. F. Händel)

La tavola al tempo della Comunione, coperta di un panno fine di lino, sarà preparata dove sono convocati i culti del mattino e della sera. E l’Anziano, presenziando alla Tavola, dirà la Preghiera del Signore, con la seguente preghiera di colletta, mentre il popolo sta in ginocchio.

Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà in terra come in cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e perdona le nostre trasgressioni come noi perdoniamo coloro che ne hanno commesse nei nostri confronti, e non condurci nella tentazione, ma liberaci dal male. Amen.

La preghiera

Dio Onnipotente,
al quale ogni cuore è aperto, ogni volontà è conosciuta, al quale nessun segreto è nascosto, purifica i pensieri dei nostri cuori mediante l’ispirazione del tuo santo Spirito, affinché possiamo amarti perfettamente e magnificare degnamente il tuo santo nome, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

L’Anziano, rivolto verso il popolo, dovrà ripetere distintamente tutti i DIECI COMANDAMENTI: e il popolo, ancora in ginocchio, dopo ogni Comandamento, chiederà a Dio pietà per le sue trasgressioni commesse nel passato e grazia per l’avvenire, come segue:

Il Ministro legge un comandamento per volta. Ad ogni comandamento, il popolo risponde:

Segue questa preghiera

Preghiamo!

Dio onnipotente ed eterno,
noi siamo stati istruiti dalla tua santa parola sul fatto che i cuori dei principi della terra sono al tuo comando e sotto il tuo governo, e che tu ne disponi e li trasformi come pare meglio alla tua divina sapienza; noi ti imploriamo umilmente di disporre dei cuori dei governanti di questo paese e di governare su essi, che ci governano, affinché in tutti i loro pensieri, parole e opere possano cercare il tuo onore e la tua gloria, e si impegnino a preservare il tuo popolo sottoposto alla loro autorità in salute, pace e bontà. Fa’ questo, Padre di ogni grazia, per amore del tuo caro Figlio Gesù Cristo, Signore nostro. Amen.

Poi segue la preghiera del giorno:

 O Dio,
baluardo di tutti quelli che confidano in te, accogli con misericordia le nostre preghiere e poiché, a causa della debolezza della nostra natura mortale noi non possiamo fare nulla di buono da soli, dacci il soccorso della tua grazia, così che osservando i tuoi comandamenti possiamo piacerti, con la volontà e con le opere, per Gesù Cristo, Signore nostro.

Subito dopo la preghiera, l’Anziano leggerà l’Epistola, dicendo: L’Epistola (o la parte della Scrittura indicata come Epistola) è scritta nella I Lettera a Timoteo, capitolo 6 a cominciare dal versetto 17  al 19 Quando finisce la lettura, dirà, Qui finisce l’Epistola. Poi leggerà il Vangelo (il popolo sta in piedi), dicendo, Il santo Vangelo è scritto nel Vangelo di Luca, capitolo 12 a cominciare dal versetto 13 al 21

Poi segue il sermone

Luca 12,13-21

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,
questa parabola che abbiamo ascoltato ci ricorda ciò che Dio ha consegnato a noi credenti come responsabilità da custodire nei cuori e nella nostra mente. Il nostro vivere nella fede in lui determina fiducia, obbedienza e servizio.

Fiducia perché? obbedienza perché? servizio perché?

Fiduciaperché il nostro vivere oggi come dei credenti in Dio è un affidarsi. Affidare a Dio tutto quello che abbiamo, tutto quello che possediamo e tutto quello che siamo. Essere noi riconoscenti  che dalla sua mano abbiamo avuto e apriamo anche noi le nostre mani rimettendo quello che ci è stato dato, consegnandolo  nelle sue mani per aiutarci  nella suddivisione e moltiplicazione dei beni per tutti.

Obbedienzaperché il nostro vivere è un cammino  per seguire le sue  leggi, per mezzo di cui, si compiono la sua volontà di  guidarci verso  la meta, il traguardo in cui la nostra anima raggiungerà la pace e la giustizia in relazione con gli altri.

Servizio perché siamo tutti chiamati e tutte chiamate a investire di ciò che abbiamo depositato nei nostri granai vivendo in questa terra. Vediamo che il frutto della terrà è generoso perché il Padre è un grande donatore che ci fa raccogliere  tutti e tutte i beni materiali che nella condivisione con gli altri diventano i beni spiritualiche rendono gioia a chiunque li dà e li riceve. Dalla terra riceviamo, guadagniamo, e doniamo, così i beni materiali che  abbiamo noi credenti in Dio non sono doni da depositare ma da investire.

I primi cristiani hanno fatto, ad esempio, la colletta che segna solidarietà e condivisione, è  per un motivo preciso di coprire i bisogni. Essi hanno messo insieme in un granaio comune il loro denaro per poi dividere, spartire  e per sostenere le loro opere di bene. Come sta il granaio della nostra chiesa? La nostra chiesa  ha vissuto un altro anno  di vita e quindi  è  un altro anno  aggiunto come abbiamo visto nella relazione morale durante la fine dell’anno con l’assemblea di chiesa. Sia  ringraziato il Signore Dio, padrone , proprietario di questo granaio, perché forse ha trovato le ragioni per farlo esistere ancora.

A questo proposito il nostro incontro oggi è una delle motivazioni per cui esiste.

Il Dio proprietario (di questo granaio)si è resoconto del lavoro dei suoi operai a partire da noi, pastori. Un anno di lavoro di collaborazione in cui ha potuto raccogliere le sue pecore disperse dalla Cina. Essi sono stati dispersi, perseguitati dai loro capi. Essi sono qui, perché  non sono stati riconosciuti per quello in cui credono, che è il Dio di ogni popolo e di tutte le nazioni.  Ma Dio è grande ed è intervenuto, non ha permesso loro di smettere di credere perché hanno trovato un’altra nazione che li ha accolti, l’Italia. Dio del cielo e della terra, Dio di tutte le nazioni esiste per loro per mezzo di noi.

Osservo un’altra ragione per cui esiste e vive ancora il granaio della nostra chiesa metodista e valdese in Italia. Perché  da parecchi anni  lavora per gli immigrati (filippini e africani) per dare una testimonianza di un Dio che dona e libera per far vivere la propria fede vivendo in questo paese. Questo fatto direi che è veramente il lavoro più arduo che potesse mai capitare nella storia della chiesa in questo paese. Una chiesa vocata per farsi carico di liberare un popolo  dallo stato di sottomissione alla supremazia di un insegnamento missionario di molti uomini potenti, forti, e bianchi. Abbiamo visto nella nostra epoca  che  ci sono sorti dei leaders che appartengono a questi popoli che ci aiutano ora a indicare  la strada per portare avanti un insegnamento di vita verso la ricerca del senso del loro vivere  e non essere dei dittatori.

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

il testo della predicazione è stato scelto da me e dal pastore Fiume e  durante il nostro incontro per preparare questo culto ci siamo  confrontati  sulle nostre esperienze di   ministri della Parola di Dio, cioè  su come esercitiamo la nostra vocazione al servizio della Parola e della chiesa di Dio. Ci siamo  ricordati dei nostri padri che hanno predicato l’evangelo, particolarmente su questo brano  durante i funerali in cui  è più efficace l’ascolto e l’annuncio del vangelo. Perciò, con questo testo che abbiamo voluto condividere con voi,  abbiamo pensato che fosse adatto per rinnovare fondamentalmente insieme  la nostra consapevolezza sullaricchezza, ciò che ci rende veramente ricchi nel Signore in questo mondo. John Wesley uscì dalla chiesa per portare  l’evangelo agli uomini e alle donne che erano in condizione di sfruttamento e di povertà.  Chissà che cosa avrebbero detto se avesse predicato su questo testo per la prima volta.

Questa  parabola che Gesù ha raccontato alla folla allora,  in molti di coloro che l’hanno ascoltata avrà  suscitato  forse una riflessione  sulla vita di un uomo ricco  per cogliere l’insegnamento  di come deve o dovrebbe essere. L’uomo qui in questo racconto è definito ricco, perché  possiede tutto, la terra e anche dei gran  lavoratori , è penso che sia lui soprattutto  il primo grande lavoratore,  perché con la sua fatica ha potuto accumulare molti beni. Con la sua arte di risparmiare e di investire negli anni ha avuto dei granai pieni, poi ne ha avuti ancora di più grandi  facendo dei sacrifici come un buon risparmiatore.  Così  una volta riempito  il suo granaio,  ha pensato giustamente di demolirlo per costruirne un altro. E’ un esperto che ha saputo e acquisito sempre di più l’arte del buon risparmiatore, è diventato un esperto ma questo non basta per essere felice. Qualcuno gli ha domandato la sua vita che è altrettanto un bene prezioso.

Che cosa è la vita perché è un bene prezioso quando è vissuta bene?Che cosa vuol dire veramente il vivere bene?  La nostra parabola ce lo rivela, anzi il maestro di vita ce lo insegna ancora,  un’altra volta.Dall’insegnamento del maestro di vita che crediamo il nostro Maestro, noi che siamo credenti in Dio, come osserviamo che anche se tra noi ci sono i ricchi e i poveri, e quindi  non siamo mai tutti uguali  in termini di avere e di denaro potremo essere felici entrambi.  Questo è il messaggio di felicità(che ci rende felici) e che traiamo da questa parabola.

Perciò Gesù non ha accontentato colui che gli chiedeva di assumere un  ruolo di giudice o arbitro tra due fratelli come ci racconta Luca in questo vangelo perché la ricchezza dell’uomo non dipende mai da quello che possiede ma da quello che lo rende soddisfatto, lo rende contento. E’ questo è il nostro tesoro, il messaggio che ci accompagna , ci insegna per stare bene con noi stessi e gli altri.

Perciò  la nostra parabola ha  aggiunto una parola per definire e distinguere un vero uomo ricco dal ricco stolto. Il maestro Gesù ha raccontato questa parabola perché  un uomo che lo seguiva gli aveva chiesto di intervenire nella sua vita per dividere con suo fratello i beni materiali secondo uguaglianza e giustizia. Qui ci sono due fratelli,  un fratello che vorrebbe avere una  metà forse  dei beni che ha l’altro ma non basta, c’è di più che potremo ricavare nella profondità di questa parabola. L’uguaglianza non è solo nei nostri averi, ma anche nel sentirci veramente contenti di quello che abbiamo.  Gesù gli ha risposto, è sottinteso, che non può farlo perché nessuno gli ha dato l’autorità di essere  un giudice o un arbitro ma anche perché non è solo in questo modo che possiamo avere il sentimento di uguaglianza. Così con il racconto della parabola lo ha ammonito riguardo all’atteggiamento che deve mantenere, nel suo vivere in confrontocon la realtà della vita,  in rapportocon se stesso con il denaro, il possesso, e tutto quello che può essere riferito alla ricchezza che uno può  acquisire in questo mondo.

Gesù in questa parabola, oggi, ci invita  a proseguire nella nostra immaginazione e guardare in noi stessi  e poi  fare un ritratto di noi stessi. Ognuno e ognuna di noi potrà dipingere una fotografia di se stesso e di se stessa perché negli anni di vissuto sulla terra possiamo quantificare quanto siamo ricchi di beni materiali e di beni spirituali. Ognuno e ognuna di noi possiede un granaio in cui ha potuto immagazzinare tutto quello che ha guadagnato ed essere felice nel presente che determinerebbe anche il nostro futuro.

Questa parabola che il Maestro  Gesù ci ha insegnato come credenti in Dio donatore, padrone di tutti i beni che possiamo avere in questo mondo, ci  istruisce su cosa dobbiamo fare veramente per vivere bene, in pace e in giustizia.  Gli insegnamenti di Gesù fatti di parabole sono stati e sono tuttora degli insegnamenti per farci capire che cosa vuol dire il vivere. Essi suscitano inquietudine anziché pace oggi perché il Signore deve ancora lavorare molto su di noi per farci capire bene l’insegnamento suo su come il giusto modo di vivere in questo mondo.

Dalle parabole l’uomo impara a capire il valore, il senso della sua vita giorno per giorno secondo le scelte richieste dalla circostanza. Da esse l’uomo impara a conoscere e riconoscere  se stesso.

Questa parabola dell’uomo ricco che ha guadagnato il frutto della sua fatica è particolare. Secondo me egli  ha avuto un giusto comportamento , «anima divertiti..» perché dopo aver investito nella sua terra tutto il dovuto, denaro e fatica ecco ha ricevuto un guadagno che lo ha ricompensato. E’ un investimento  azzeccato,  come frutto ha avuto un raccolto generoso. Così dovremo stare attenti a distinguere e a non confondere i significati delle parole vita, anima, guadagno, opera personale, dono,  benedizione della vita, perché l’uomo avveduto e l’uomo stolto si distinguono per come considerano queste cose.

Nelle chiese di Dio si trovano uomini e donne di entrambi i tipi ed è per  questo motivo che abbiamo ancora il dovere di  ricordare e scrutare questo racconto.

Poiché abbiamo constatato che  la nostra vita è veramente un dono, e non è di nostra proprietà  non dimentichiamolo. La nostra riconoscenza, impregna la nostra esistenza e persona, questo dimostra che siamo vivi e la nostra vita di chiesa ha ancora valore. L’apostolo  Paolo scrisse a Timoteo una bella lettera di raccomandazione  che ha accompagnato la buona novella di Gesù tramite l’evangelista Luca. «Ai ricchi nel tempo presente raccomanda di non essere superbi e di non riporre speranza nell’incerta ricchezza, ma in dio che ci procura ogni cosa riccamente perché ne godiamo, raccomanda  di fare il bene, di arricchirsi in azioni belle,, di essere generosi, solidali, così metteranno in serbo per se stessi un bel capitale per il futuro, per afferrare la vita vera». (1 Tim. 6,17-19 )   Amen. (past. J. Galapon)

Inno: “I know that my Redeemer liveth/Io so che il mio buon Redentor”
(Charles Wesley – G. F. Händel)

Poi l’Anziano dirà questo passo:
Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. (Matteo 6,19-20)

Mentre si legge questo versetto, alcune persone a ciò deputate, riceveranno le offerte per i poveri e le altre devozioni del popolo e le metteranno nella cassa a ciò destinata; e le porteranno all’Anziano, che le poserà sulla tavola.

Intanto vengono fatti gli annunci.

Fatto questo, l’Anziano dirà,

Preghiamo per l’intera condizione della Chiesa di Cristo militante su questa terra.

Dio Onnipotente ed eterno,
che ci hai insegnato per mezzo del tuo apostolo ad elevare preghiere, suppliche e ringraziamenti per tutti gli esseri umani, noi ti imploriamo umilmente di ricevere con misericordia le nostre preghiere, che offriamo alla tua divina maestà, scongiurandoti di ispirare continuamente la tua chiesa universale con lo spirito di verità, di unità e di concordia. Concedi a tutti coloro che confessano il tuo santo nome di essere concordi nella verità della tua santa parola e di vivere nell’unità e nel tuo amore. Ti preghiamo di salvare e guidare tutte le autorità, in particolare il Capo dello Stato, affinché siamo governati in modo santo e pacifico, nell’amministrazione fedele e imparziale della giustizia.

Concedi a tutti i pastori la tua grazia, affinché con la loro vita e la loro dottrina manifestino la tua vera e viva parola ed amministrino correttamente i tuoi santi sacramenti com’è giusto e doveroso che facciano.

Concedi la tua grazia celeste a tutto il popolo e in particolare alla chiesa qui presente, affinché, con cuore docile e con il timore a te dovuto, ascoltino e ricevano la tua santa parola, servendoti fedelmente in santità e giustizia tutti i giorni della loro vita.

Ti preghiamo molto umilmente di volere, per la tua bontà, consolare e soccorrere tutti coloro che in questa vita mortale si trovano in difficoltà, angoscia, bisogno, malattia o in altre avversità. (…)

Concedici questo, o Padre, per amore di Gesù Cristo, nostro unico mediatore ed avvocato. Amen

 

Poi l’Anziano dirà a coloro che vengono a ricevere la Santa Comunione:

Voi vi pentite veramente e profondamente dei vostri peccati, e siete amorevoli e caritatevoli con i vostri prossimi, e intendete condurre una vita nuova, seguendo i comandamenti di Dio e camminando da ora in poi nelle sue sante vie; avvicinatevi con fede e prendete questo santo Sacramento per la vostra consolazione, e fate la vostra umile confessione a Dio Onnipotente, mettendovi in ginocchio.

Questa confessione generale sia fatta dal Ministro nel nome di tutti quelli che pensano di ricevere la Santa Comunione. Egli e tutto il popolo stiano umilmente in ginocchio, e lui dica:

Dio Onnipotente,
Padre del nostro Signore Gesù Cristo, Creatore del mondo e giudice di tutta l’umanità,noi riconosciamo e condanniamo i nostri molteplici peccati e malvagità che noi abbiamo commesso, gravi e numerosi, contro la tua divina maestà con pensieri, parole e opere, provocando così la tua giustissima ira e il tuo giustissimo sdegno nei nostri confronti. Noi intendiamo seriamente pentirci e siamo rammaricati di tutto cuore per le nostre cattive azioni il cui ricordo è penoso per noi, e il cui peso è troppo grande. Abbi pietà di noi, abbi pietà di noi Padre clementissimo; per amore di Gesù Cristo, tuo Figlio, perdonaci tutto il nostro passato e concedici di poterti servire e di esserti graditi in novità di vita, a onore e gloria del tuo nome, per Gesù Cristo, Signore nostro. Amen.

 

Poi l’Anziano dirà:

Dio Onnipotente, nostro Padre nei cieli, che per la tua grande misericordia hai promesso il perdono dei peccati a tutti quelli che tornano a te con il cuore pentito e con vera fede, abbi misericordia di voi, perdonaci e liberaci da tutti i nostri peccati, confermaci e fortificaci in ogni bontà e conducici alla vita eterna; per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

 

Ci si alza in piedi, l’Anziano dirà:

Ascoltate quali consolanti parole dice il nostro salvatore Gesù Cristo a tutti quelli che veramente si convertono a lui:
Certa è quest’affermazione e degna di essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. (I Timoteo 1,15)

Dopo questo l’Anziano andrà avanti, dicendo:

In alto i vostri cuori!

Il popolo: Noi li eleviamo al Signore.

L’Anziano: Ringraziamo Dio, nostro Signore.

Il popolo: Questo è degno e giusto.

Poi l’Anziano dirà:

È veramente degno, giusto e doveroso che noi, in ogni tempo e in ogni luogo, ti ringraziamo, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.

Perciò con gli angeli e gli arcangeli e con tutta la moltitudine del cielo, lodiamo e magnifichiamo il tuo nome glorioso, adorandoti per sempre e dicendo…

Segue il Sanctus.

Innario Cristiano, n. 192

Poi l’Anziano, in nome di tutti coloro che riceveranno la Comunione, dirà questa preghiera; il popolo starà in ginocchio:

Noi non presumiamo di venire a questa tua tavola, Signore misericordioso, confidando nella nostra giustizia, ma nelle tue molteplici e grandi misericordie. Non siamo degni nemmeno di raccogliere le briciole sotto la tua tavola. Ma tu sei lo stesso Signore, la cui proprietà è l’aver pietà; perciò fa’ in modo, Signore, così come mangiamo la carne del tuo caro Figlio Gesù Cristo e beviamo il suo sangue, che i nostri corpi di peccato possano essere resi netti dal suo corpo e le nostre anime lavate mediante il suo preziosissimo sangue, e che noi possiamo per sempre abitare in lui e lui in noi. Amen.

 

Poi l’Anziano dirà la preghiera di consacrazione, come segue:

Dio Onnipotente, Padre nostro nei cieli,
che con la tua tenera misericordia hai dato il tuo unigenito figlio Gesù Cristo affinché soffrisse la morte sulla croce per la nostra redenzione, lui che (con la sola offerta di se stesso fatta un’unica volta) ha compiuto un pieno, perfetto e sufficiente sacrificio, offerta e soddisfazione per i peccati di tutto il mondo, e ha istituito e nel suo santo Vangelo ci ha ordinato di continuare una perpetua memoria di quella sua preziosa morte, fino alla sua seconda venuta;

ascoltaci, Padre misericordioso, ti preghiamo umilmente, fa’ che ricevendo noi questi elementi terreni del pane e del vino, secondo la santa istituzione del tuo Figlio e nostro salvatore Gesù Cristo, in memoria della sua passione e morte, siamo resi partecipi del benedettissimo corpo e sangue di Gesù che,

nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me».

Il ministro per primo riceverà la comunione sotto le due specie, poi comunicherà altri ministri (se presenti) e infine il popolo, ordinatamente, nelle mani di ciascuno. Distribuendo il pane a ciascuno, dirà:

Il corpo del nostro Signore Gesù Cristo, che è stato dato per te, ti preservi nel corpo e nell’anima fino alla vita eterna. Prendi e mangia in ricordo che Cristo morì per te. Nùtriti di lui nel tuo cuore con fede e con ringraziamento.

Il Ministro che dà il calice a ciascuno, dirà:

Il sangue del Signore Gesù Cristo, che è stato versato per te, ti preservi nel corpo e nell’anima fino alla vita eterna. Bevi questo in ricordo che il sangue di Cristo è stato versato per te, e sii grato.

Se il pane o il vino consacrati termineranno prima che tutti siano stati comunicati, l’Anziano può consacrarne ancora, ripetendo la Preghiera di Consacrazione.

Quando tutti sono stati comunicati, il Ministro ritornerà alla Tavola del Signore, rimettendo lì quello che rimane degli elementi consacrati, coprendoli con un fine panno di lino.

 

Poi l’Anziano dirà la preghiera del Signore. Il popolo ripeterà dopo di lui ogni richiesta.

Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà in terra come in cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e perdona le nostre trasgressioni come noi perdoniamo coloro che ne hanno commesse nei nostri confronti, e non condurci nella tentazione, ma liberaci dal male. Perché a te appartengono il Regno, la potenza e la gloria, nei secoli dei secoli. Amen.

Dopo la quale sarà detta la seguente:

Signore e Padre nei cieli, noi, tuoi umili servi, desideriamo che la tua paterna e misericordiosa bontà accetti questo nostro sacrificio di lode e di ringraziamento; umilissimamente ti imploriamo di far sì che, per i meriti e la morte del tuo Figlio Gesù Cristo, e mediante la fede nel suo sangue, noi e tutta la tua chiesa possiamo ottenere la remissione dei nostri peccati e tutti gli altri benefici della sua passione. Qui offriamo e presentiamo a te, Signore, noi stessi, anime e corpi, per essere un sacrificio che abbia senso e che sia santo e vivente per te; implorandoti umilmente di far sì che tutti noi che abbiamo preso parte a questa santa Comunione possiamo essere colmi della tua grazia e della benedizione del cielo. E sebbene noi siamo indegni, a causa dei nostri molteplici peccati, di offrire a te un sacrificio, pure ti imploriamo di accettare questo nostro limitato e doveroso servizio, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore; dal quale e con il quale, nell’unità dello Spirito Santo, sia a te ogni onore e gloria, Padre Onnipotente, per l’eternità.Amen.

 

Dopo si dirà,

Il Gloria in excelsis Deo.
Innario Cristiano n. 219

Poi l’Anziano, se lo ritiene utile, può elevare una preghiera estemporanea, poi congeda il popolo con questa benedizione:

La pace di Dio, che supera ogni comprensione, custodisca i vostro cuori e le vostre menti nella conoscenza e nell’amore di Dio e di suo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore, e la benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, sia con voi e rimanga con voi per sempre. Amen.

Fonte: Bard Thompson, Liturgies of the Western Church, Fortress Press, Philadelphia 1961, pp. 422-433.