Nasce l’Amore

25 dicembre 2016

Galati 4,4 – 7

Care sorelle e cari fratelli,

qualcuno dice criticamente e a ragione che oggi il Natale ha perduto il suo significato originario, che è diventata una festa consumistica e che per questo si punta molto sui bambini che sono i protagonisti di queste giornate di festa!

Eppure in questa idea del Natale come festa dei bambini e delle bambine vi è un fondo di verità, vi è un legame con la verità evangelica perché in fondo oggi noi celebriamo il fatto che Dio stesso, l’Iddio dell’universo, si è fatto bambino, misero, povero, insignificante, vulnerabile, inerme ma al contempo glorioso.

Ebbene dire che Dio si è fatto bambino, forse può risultare un’affermazione abbastanza scontata perché ripetuta in ogni sermone, in ogni poesia e preghiera, in ogni canto natalizio.

Eppure questa affermazione a ben guardare contiene ancora un sacco di sorprese…

Anche scegliere questo testo biblico per Natale può essere sorprendete.

Eppure il Natale “paolino” se ignora i cori angelici di pace, la preoccupazione per la dimora, la persecuzione di Erode o le belle annunciazioni a Zaccaria, padre del Battista, e a Maria, madre di Gesù, non ce ne sottrae la gioia e la potenza di annuncio, anzi ce ne riconsegna il significato liberatorio.

Il Natale di Paolo è la scarna notizia della venuta di Cristo attraverso una giovane donna del popolo d’Israele cui ne derivano conseguenze teologiche importanti: l’uomo “nato da donna” ci emancipa da ogni giogo secondo la legge.

Il brano che commentiamo è il canto natalizio della libertà umana dalla legge, da tutto ciò che non si compendia nella legge dell’amore.

È la libertà che nasce dalla venuta stessa del Salvatore giacché in lui noi diventiamo liberi ed eredi. Liberi da false osservanze, da riti propiziatori, da tutto ciò che dovrebbe proteggerci e invece ci lega a paure da superare.

Ma che senso ha libertà di cui Paolo parla nel suo annuncio natalizio del Cristo?

Il senso scaturisce dal fatto che questa libertà porta con sé il diritto, il privilegio, la grazia e il compito di essere figlie e figli di Dio!

E se dovessimo lasciare fuori dalla porta del nostro cuore e del nostro cervello, insomma dalla nostra vita quotidiana questo aspetto, allora finiremo con il ridurre la nascita di Gesù a un appiglio, a un pretesto, per celebrare ben altro.

Il rischio, fratelli e sorelle, sarebbe quello di addomesticare il significato del Natale se non cogliessimo la grazia che ci viene concessa e non ci fermassimo a riflettere su quali risvolti questa adozione può avere nella nostra vita!

Un primo risvolto è che, nel suo incarnarsi e donare la libertà per grazia, Dio infrange i muri di separazione tra buoni e cattivi, tra uomini e donne pii e invece peccatori destinati alla perdizione.

Dio si mostra quale genitore che ama tutti i suoi figli e figlie indistintamente e pertanto elimina le graduatorie o diversificazioni che noi costituiamo.

Ma ovviamente l’essere diventati figli e figlie di Dio per sua grazia e per mezzo dello Spirito Santo, porta anche un altro risvolto: la responsabilità di fare quanto il Padre ci chiede, la possibilità di seguire la strada aperta per noi da Gesù, nostro fratello maggiore!

Ma è pur vero che questo disegno divino per la nostra stessa vita, personale e collettiva, non può restare relegato a questo tempo, a queste celebrazioni liturgiche….

Sarebbe come ricevere un abbonamento annuo per la palestra ma usarlo soltanto uno o due giorni l’anno.

Sarebbe come dare una costituzione democratica a uno stato, ma applicarla soltanto alcuni giorni l’anno.

Per quanto noi restiamo incapaci di cogliere appieno le benedizioni e le implicazioni del nostro essere figli e figlie di Dio, del nostro essere sorelle e fratelli di Gesù, questo nostro essere è pur sempre una realtà che non vuole e che non può rimanere solo teorica e virtuale.

Natale allora può essere davvero la festa della figliolanza: una nuova occasione di scoprire ciò che Dio ci ha donato e continua a donarci, a cominciare dalla possibilità di vivere come tali. Ma come si fa?

Provo ad evidenziare alcune piste per rendere concreta e piena di speranza la nostra figliolanza.

  1. Con la sua misera nascita, Gesù ci insegna a prestare attenzione innanzitutto alla situazione delle persone piccole, povere, disagiate che magari, coi tempi che corrono, abitano pure a noi vicini. Costoro hanno non solo bisogno, ma diritto alla nostra solidarietà, alla nostra condivisione, alla nostra memoria.

Andiamo, cerchiamole, aiutiamole!

  1. Con la sua nascita come persona non accolta e accettata, Gesù ci rende sorelle e fratelli andando al di là dei legami di parentela, di appartenenza confessionale o etnica.

Ci insegna a interessarci per il diritto e per la dignità del nostro prossimo e ad accoglierlo concretamente proprio quando è diverso da noi.

Anche se questa diversità non è sempre facile da accettare perché è portatrice di valori differenti dai nostri.

  1. Con la sua nascita come bambino, Gesù pone al centro della nostra attenzione la situazione e il futuro di bambini e bambine del nostro tempo – intrappolati tra scandali di pedofilia (parola bruttissima per ciò che invece si nasconde dietro) e le tante guerre in atto dove spesso sono arruolati quali piccoli soldati oppure fanno da scudi umani.

Per non parlare di quanto sempre meno fanno i nostri governi perché la scuole che i bambini frequentano siano adeguate nei contenuti e nella struttura.

Lo sviluppo e l’avvenire di bambini e bambine, di ogni bambino e ogni bambina, non solo dei nostri s’intende, deve diventare per noi una priorità, farli sentire veramente amati sia la nostra necessità

  1. Con la sua nascita come figlio di Dio, Gesù infine incarna la promessa che Dio si prende cura di noi – e ci insegna a fare altrettanto, confidando nel fatto che siamo sorretti e sospinti al di là dei nostri angusti limiti del possibile da quello stesso Spirito che ci permette di chiamare Dio, Abbà, “Papà”, e, perché no, “Mamma” – nel senso più profondo di queste parole cariche di affetto e di relazione.

Celebriamo dunque, care sorelle e cari fratelli, in questo giorno di festa, la grazia e la sfida che sono contenute nel dono di Dio: nel dono di suo figlio e nel dono della nostra figliolanza.

Rallegriamoci e impegniamoci, scopriamoci nuovamente destinatari dell’immenso amore di Dio, e condiviamolo con chiunque ci sta accanto!

AMEN.

past. Mirella Manocchio

Lot, l’uomo ospitale

4 dicembre 2016

Genesi 19,1-11

Distruzione di Sodoma e di Gomorra
(Eb 13:2; Ge 18:1-8)(Ge 18:16-22; Ez 16:49-50) Gc 19
I due angeli giunsero a Sodoma verso sera. Lot stava seduto alla porta di Sodoma; come li vide, si alzò per andare loro incontro, si prostrò con la faccia a terra, e disse: «Signori miei, vi prego, venite in casa del vostro servo, fermatevi questa notte, e lavatevi i piedi; poi domattina vi alzerete per tempo e continuerete il vostro cammino». Essi risposero: «No, passeremo la notte sulla piazza». Ma egli fece loro tanta premura, che andarono da lui ed entrarono in casa sua. Egli preparò per loro un rinfresco, fece cuocere dei pani senza lievito ed essi mangiarono. L’ospitalità di Lot a tal punto che ha voluto sacrificarsi. Non fare male all’ospite, allo straniero.  In cambio ha dato le sue figlie. Ma prima che si fossero coricati, gli uomini della città, i Sodomiti, circondarono la casa: giovani e vecchi, la popolazione intera venuta da ogni lato. Chiamarono Lot e gli dissero: «Dove sono quegli uomini che sono venuti da te questa notte? Falli uscire, perché vogliamo abusare di loro». Lot uscì verso di loro sull’ingresso della casa, si chiuse dietro la porta, e disse: «Vi prego, fratelli miei, non fate questo male! Ecco, ho due figlie che non hanno conosciuto uomo: lasciate che io ve le conduca fuori, e voi farete di loro quel che vi piacerà; ma non fate nulla a questi uomini, perché sono venuti all’ombra del mio tetto». Essi però gli dissero: «Togliti di mezzo!» E ancora: «Quest’individuo è venuto qua come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a quelli!» E, premendo Lot con violenza, s’avvicinarono per sfondare la porta. Ma quegli uomini stesero la mano, tirarono Lot in casa con loro e chiusero la porta. Colpirono di cecità la gente che era alla porta della casa, dal più piccolo al più grande, così che si stancarono di cercare la porta.

 

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

Lot è il nostro protagonista oggi ma tutti i personaggi  intorno a lui in questo brano come in un film, hanno dei ruoli fondamentali che ci fanno riflettere.

Essi rivelano a ciascuno e ciascuna di noi la radice del nostro  agire nel presente e  forse nel nostro passato. Noi abbiamo deciso di rifiutare  alcuni  modi di comportarsi e soprattutto ci siamo già messi in guardia da certi atti orrendi perché recano solo danno a noi stessi.

Facciamo bene a dichiarare di non appartenere più a questa generazione ma è anche vero che facendo parte di questa umanità, le esperienze di violenze e tribolazioni  a cui assistiamo nelle cronache di tutti i giorni, vicine e lontane  ci testimoniano che non siamo stati ancora liberati.

Molti uomini e molte donne compiono ancora delitti e violenze, l’uno  contro l’altro facendo prevalere la prepotenza.

L’apostolo Paolo dice ai romani: <<Tutta la creazione geme ed è in travaglio>>   Romani 8,22.  Così noi attendiamo ancora con pazienza e perseveranza   il giorno promesso e stabilito dal Signore in cui Egli porrà fine ad ogni sofferenza.

 

Dunque questo brano che è stato  proposto per oggi, per questa seconda domenica di avvento, nonché domenica dedicata alla diaconia della nostra chiesa(l’opera diaconale della chiesa valdese),  dal mio collega pastore Francesco Sciotto ci permette di confrontarci oggi, con il nostro passato e il nostro presente .

 

Il nome di Lot appare a partire dal capitolo 11 del libro della Genesi viene descritto nell’albero  genealogico della sua famiglia.

Egli era uno dei nipoti di Abramo figlio di Aran suo fratello, quindi di provenienza ebraica , quella del popolo eletto di Dio.

Abramo e Lot partirono insieme, intrapresero un viaggio con le loro mogli ed il bestiame, si allontanarono dal loro paese, dal paese di Ur, Caldea.

Il giovane Abramo non ebbe nessun figlio da sua moglie Sarai perché lei era sterile.

Ma da uomo credente, Abramo ebbe un figlio da Sara nella sua vecchiaia chiamato Isacco, affinché si adempisse la promessa di Dio che rivela il  potere di cambiare la vita del suo eletto, chiamato per fare la sua volontà.

 

Lot  invece ebbe  due figlie da sua moglie.

Poi a causa di divisioni territoriali, Abramo decise che si separassero.  Quindi  per questo motivo Lot si trovò nella città di Sodoma, un uomo straniero, eletto  da Dio,  visse in mezzo ai sodomiti che non fecero altro se non il male secondo gli occhi di Dio. Tutti loro  furono definiti dei malvagi.

Ora il brano è molto chiaro per noi, Lot era diverso perché veniva  da una famiglia per bene, consanguineo di Abramo , e aveva ereditato la tradizione dell’ospitalità.

In Lot si era incarnato il giusto comportamento d’accoglienza allo straniero  e ovunque lui andasse ciò non era negoziabile.

Questo ci spiega nella lettera agli ebrei cap. 13,1-2 <<l’amore fraterno rimanga tra di voi. Non dimenticate l’ospitalità; perché alcuni, praticandola, senza saperlo hanno ospitato angeli>>.

Così Lot visse e accolse due uomini  che passavano davanti  casa sua considerandoli  ”due angeli”.

 

Sì, abbiamo letto questo brano, esemplare e straordinario  di come Lot abbia manifestato e dimostrato cosa vuol dire essere  ospitale in un paese che non era abituato all’accoglienza.

In questa occasione lui che non era mai stato accolto aveva potuto manifestare a questi due uomini, stranieri , la sua vera natura.

Il racconto dice, come li vide, si alzò per andare loro incontro, si prostrò con la faccia a terra, e disse: «Signori miei, vi prego, venite in casa del vostro servo, fermatevi questa notte, e lavatevi i piedi; poi domattina vi alzerete per tempo e continuerete il vostro cammino». Poi , egli preparò per loro un rinfresco, fece cuocere dei pani senza lievito ed essi mangiarono.

Cari e care, avete notato come era stato Lot nei confronti di questi due stranieri?

Io, rileggendo questi versetti sono stata colpita dalla personalità di uomo  accogliente di Lot.

Egli era seduto davanti  alla sua porta, all’ingresso della città di Sodoma, come se stesse aspettando che venissero persone nuove che portassero un cambiamento, una novità,  in quel  paese pieno di malvagità.

È così poi sono arrivati i suoi ospiti.

Due uomini che sono stati  persuasi dalla sua gentilezza.

Essi rimasero a casa sua per una notte, nella sua famiglia composta da tre donne con lui. Egli li ha accolti nel  massimo della sua possibilità.

Questo fatto era venuto a conoscenza dagli abitanti di Sodoma.

I giovani e gli anziani si erano messi insieme e avevano circondato la sua casa.

E Lot implorò  loro: «Vi prego, fratelli miei, non fate questo male! 8 Ecco, ho due figlie che non hanno conosciuto uomo: lasciate che io ve le conduca fuori, e voi farete di loro quel che vi piacerà; ma non fate nulla a questi uomini, perché sono venuti all’ombra del mio tetto».

Purtroppo, Lot, figlio di quell’epoca di padri padroni,  non era stato educato all’uguaglianza di diritti tra maschi e femmina come oggi, e  ha dovuto fare una specie di patto (ha contrattato con  i suoi vicini ).

Non aveva  scelta in cambio del  bene dei suoi ospiti se non dare le sue due donne

essendo loro considerate sottoposte ai loro maschi.

I suoi ospiti che si erano recati nella sua casa non dovevano subire per niente nessuno violenza perché erano sotto la sua responsabilità.

Veniamo a noi, questa faccenda  in confronto alla nostra epoca e concezione presenta un modo di fare ingiusto.

Non è giusto che il padre decida come vuole quindi come un padrone.

Non è giusto che la moglie debba fare ciò che dice il marito.

Non è giusto che sia la moglie che le figlie vengano viste come un oggetto, come una  merce.

Lot ha dovuto contrattare con gli uomini violenti del suo paese in cambio delle sue figlie.

Lot da un lato ha voluto fare un bene nei confronti dei suoi ospiti e dall’altro lato ha commesso un grave errore nei confronti della sua famiglia, nell’interezza della famiglia di Dio.

Tre donne, a partire da sua moglie e figlie non hanno avuto voce in capitolo e in più non le possiamo ricordare con il  loro proprio  nome senza nominare il nome di Lot.

Nella nostra epoca questo è impossibile perché ognuno/a deve avere il suo nome , Avere la  carta d’identità è segno di distinzione e appartenenza. E soprattutto  avere il proprio nome significa oggi essere riconosciuti come persona.

Mi ricordo  che prima di avere la cittadinanza italiana, ho avuto questioni sul mio nome perché era scritto sbagliato sul certificato di nascita.

Dalle filippine ho dovuto chiarire tutto, procurando i documenti che potevano dare prova che questi due nomi appartengono alla stessa persona che sono io.

Così non è stato facile per me acquisire la cittadinanza italiana e per esperienza ho imparato  quanto sia importante avere il  proprio nome scritto giusto.

La domenica del 20 nov. abbiamo fatto due culti, sia quello del gruppo filippino che quello dell’italiano sui i testi che condannano  la violenza sulle donne.

Abbiamo cercato di ricordare alla comunità di credenti in Dio di continuare a portare avanti l’impegno per la non violenza.

E’ un appello a non trascurare questo impegno da parte della chiesa di Dio alle comunità dei cristiani oggi.

Quanti di noi leggono la Bibbia, la storia di Dio sin dalla creazione dell’uomo e della donna, con la costanza e perseveranza per arrivare a dire a se stessi oggi di aver capito di dover migliorare il  rapporto con il proprio simile?

La Bibbia dice molto a noi oggi: sulla storia del popolo di Israele e di Dio, sulla storia dell’uomo  ,   sul rapporto tra i vari  popoli, sul presente e sul futuro di queste rapporti.

500 anni fa,   i nostri padri riformatori  hanno voluto  far riflettere gli uomini di allora fino a noi ora.

A questo proposito vi leggo i due testi biblici che il nostro  libretto ‘un giorno una parola’ con il pensiero di Bonhoeffer del 28 novembre propone e concludo qui la mia riflessione.

Alleluia.
Beato l’uomo che teme il SIGNORE
e trova grande gioia nei suoi comandamenti. Salmo 112,1

L’apostolo Paolo scrisse a Timoteo queste parole consigliandogli:

Tu, invece, persevera nelle cose che hai imparate e di cui hai acquistato la certezza, sapendo da chi le hai imparate, e che fin da bambino hai avuto conoscenza delle sacre Scritture, le quali possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù. 2Timoteo 3,14-15

E Bonhoeffer conferma con le sue parole con questa sua riflessione:

La Parola di Dio esige il mio tempo. L’essere cristiano non è un affare di un momento, ma esige tempo. Dio ci ha dato la Scrittura da cui trarre la conoscenza del suo volere. La scrittura deve essere letta e meditata di nuovo ogni giorno. La Parola di Dio non è un insieme di eterni princìpi universali, che io possa avere sempre presenti, ma è Parola di Dio a me rivolta, ogni giorno nuova nell’infinità ricchezza della interpretazioni. (Dietrich Bonhoeffer)

Grazie a Dio, penso che lui stia continuamente al nostro fianco  e ci guidi,; è davanti a noi per portare a compimento il suo piano di allargare il nostro orizzonte, e dietro di noi per sostenerci. Amen.

past. Joylin Galapon