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L’unione fa la forza: giovani metodisti per la COP26

da riforma

Daniela Grill e Susanna Ricci

I giovani metodisti saranno impegnati in un percorso di rafforzamento dell’impegno delle Chiese metodiste nel mondo per la giustizia climatica

La COP26 avrebbe dovuto svolgersi il prossimo mese di novembre, ospitata per la prima volta nel Regno Unito, ma l’evento è stato posticipato al 2021 a causa della pandemia e si svolgerà tra Milano e Glasgow.

Il tema del rispetto dell’ambiente, forse più che mai quest’anno con l’infezione da SARS-CoV-2, è cruciale sotto vari aspetti per il nostro futuro e per la qualità e aspettativa di vita. Dal primo incontro della Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, avvenuto a Berlino nel 1995, sono stati fatti molti passi avanti, non senza difficoltà e pareri contrari da parte di istituzioni e nazioni. I governi si sono incontrati annualmente a livello mondiale per affrontare il fenomeno del cambiamento climatico, stabilire azioni volte alla riduzione delle emissioni di gas serra e accordi istituzionali e amministrativi tra gli Stati.

In vista della COP26, la Chiesa Metodista Britannica, in collaborazione con il Joint Public Issues Team e All We Can, ha ideato un progetto internazionale di avvicinamento, coinvolgendo per la parte italiana l’Opcemi, Opera per le Chiese Evangeliche Metodiste in Italia e la Glam, Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia.

Il percorso sarà sviluppato in particolare dai giovani e si inserisce nell’ambito dell’impegno delle Chiese metodiste nel mondo per la giustizia climatica. La referente e responsabile del progetto è Irene Abra della Chiesa Metodista di Novara, che spiega: «Non mi ero mai focalizzata tanto su questo aspetto dell’ambiente, poi ho visto in Greta Thunberg quello che tanti giovani vorrebbero vedere: una ragazza giovane che, dal nulla, è riuscita a coinvolgere un mondo intero verso un obiettivo comune. Vorremmo aumentare e rafforzare l’impegno delle chiese metodiste e dei partner nei confronti della giustizia climatica e cercare di essere più sostenibili possibile».

Un discorso che coinvolge le scelte quotidiane di ognuno, ognuna di noi e anche a livello di comunità, ma che si traduce anche in situazioni di emergenza internazionale, se pensiamo ad esempio alle migrazioni. «Il cambiamento climatico coinvolge questioni sociali molto importanti – conferma Irene – Pensiamo ad esempio alle persone costrette a risollevarsi dopo aver perso tutto, donne e bambini in difficoltà. Dobbiamo ascoltare le ragioni e le richieste di chi emigra per motivi climatici, siamo arrivati ad un punto in cui è necessario l’impegno di tutti, anche per aiutare coloro che stanno subendo gli effetti del cambiamento da ormai molti anni. Se usciamo un po’ dai confini dell’Italia, che pur già risente nel suo piccolo, vediamo che in alcune zone del mondo gli avvenimenti catastrofici legati al clima sono all’ordine del giorno».

Irene sarà coadiuvata da un team internazionale di lavoro, composto da giovani metodisti e referenti regionali dello Zambia, delle Fiji e del Regno Unito. «Vorremmo creare una campagna internazionale e ascoltando le esperienze degli altri miei colleghi ho capito quanto sia importante cercare di coinvolgere più persone possibili. I prossimi passi saranno quelli di visitare tutte le chiese metodiste presenti sul nostro territorio, per invitarle ad avvicinarsi a questa tematica. Ecologia e Bibbia hanno una stretta connessione: siamo stati invitati a prenderci cura della creazione. Ci sarà spazio anche per un dialogo intergenerazionale, per creare un ponte di connessione tra i più giovani e altre generazioni, per scambiarci idee e opinioni e proporremo anche delle attività con i bambini, che già sono molto attenti al tema».

Sul sito dell’Opcemi sono già stati pubblicati alcuni materiali e a breve nuovi contenuti saranno postati sulla pagina Facebook dedicata.

La legge perfetta della libertà

Forse questo racconto fa più male che bene alle nostre chiese protestanti europee. Esso racconta una storia di libertà e di responsabilità. Naturalmente queste due parole non ricorrono esplicitamente nella nostra storia, ma in un certo senso la riassumono. Esse stanno a cuore a molte e molti di noi, ma sono difficili da vivere. Se ne era già accorto, con preoccupazione, lo stesso Lutero: la Riforma aveva donato alle cristiane e ai cristiani un’enorme libertà: libertà da una precettistica soffocante, da quella che il riformatore chiama la tirannia clericale sulle coscienze, da una malsana religione della paura. Una libertà che è come l’aria sottile di montagna, che si respira a pieni polmoni e che sembra aprire spazi di vita prima inaccessibili. Come tutte le cose veramente preziose, tuttavia, la libertà va vissuta con attenzione: con responsabilità, appunto. Se la libertà di coscienza, ad esempio, viene fraintesa come indifferenza nei confronti del comandamento di Dio, è una catastrofe. Perché è vero: ci sono gli ordini dei dittatori, dei potenti, del papa e del suo Sant’Uffizio, dei pastori autoritari che credono di essere il profeta Geremia; ma c’è anche il comandamento di Dio, che non ha nulla a che vedere con quelli dei vari gerarchi umani, ma non per questo è meno esigente. Nei confronti del comandamento di Dio non c’è alcuna libertà, per la semplice ragione che il comandamento stesso è la libertà.

Attento, attenta, protestante italiano/a che ascolti questo racconto: attente a comprenderlo come l’evangelo della libertà di Dio e all’indifferenza e alla suoerficialità che non provengono dall’evangelo, bensì da noi stessi.

Ricapitoliamo brevemente l’episodio. I discepoli «spigolano», cioè raccolgono il grano avanzato nei campi e lo fanno in giorno di sabato. I farisei interpretano l’operazione come «mietitura», cioè come un lavoro vietato nel giorno del riposo. Gesù risponde citando un passo biblico (I Sam. 21, 2-6), nel quale Davide si prende una certa libertà nei confronti del pane consacrato a fini liturgici. Per la verità, nel racconto di I Samuele la faccenda del sabato non compare e Gesù modifica il racconto abbastanza in modo abbastanza significativo. Il senso del paragone è comunque chiaro: come Davide si è comportato con libertà nei confronti delle leggi del culto, perché era in una situazione di necessità, così noi, se secondo coscienza lo riteniamo opportuno, possiamo comportarci con libertà nei confronti del precetto sabbatico. La tesi che Gesù vuol sostenere è condensata nei sue versetti finali: il sabato è fatto per l’uomo (l’essere umano) e non l’uomo per il sabato: infatti il figlio dell’uomo è signore anche del sabato.

Possiamo leggere queste parole in due modi.

La prima lettura pone l’accento sul v. 27: il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. Si tratta di un principio abbastanza comune in diverse culture, anche nel giudaismo del tempo di Gesù. Non è affatto vero, come ancora oggi capita di sentire nelleprediche e nelle lezioni di catechismo, che Gesù è stato il primo a pronunciare questa frase: la conoscevano anche molti rabbini. Essa esprime un’interpretazione moderata e ragionevole del precetto, sottolineando che il comandamento è un dono e non un peso che Dio impone giusto per vedere se siamo bravi. Volendo, si può leggere anche il v. 28 in questo modo, intendendo l’espressione “figlio dell’uomo” come essere umano il quale, per la ragione che abbiamo detto, è signore del sabato, può utilizzare il sabato per il proprio bene. La potremmo chiamare: la lettura del buon senso.

Poi ce n’è un’altra: l’espressione Figlio dell’uomo può anche indicare il Messia, cioè Gesù: la presenza del Figlio dell’uomo, di un re più grande di Davide, l’avvicinarsi, in lui, del Regno di Dio, superano anche la legge del sabato, perché creano un mondo nuovo già qui, su questa terra. Si tratta di un mondo nel quale donne e uomini possono vivere nella salute e nell’abbondanza; un mondo di gioia dove si può stare bene insieme, non governato da leggi da obbedire solo perché leggi e leggi religiose. La potremmo chiamare: la lettura del Regno di Dio.

Non è necessario contrapporre queste due interpretazioni. Anzi, esse sono convergenti: Dio vuole un mondo nel quale le donne e gli uomini siamo più umani. Non si tratta affatto di abolire il comandamento di Dio, semmai di realizzarlo nel modo più pieno: il regno di Dio  non è un luogo di ossessione religiosa, bensì uno spazio dove gli uomini e le donne possono vivere quella che l’epistola di Giacomo chiama la legge perfetta della libertà.

Ma, se è tutto così bello, perché mai questo messaggio potrebbe fare male proprio alle chiese protestanti, alle chiese della libertà, come ci piace definirci? Perché senza culto domenicale, senza preghiera quotidiana, senza lettura biblica regolare, senza frequentazione della comunità, senza contribuzione, non c’è nessuna libertà: né quella del buon senso, che vive comunque del comandamento di Dio, né quella del Regno incarnato da Gesù, che vuole essere annunciato, celebrato, cantato. Ci sono state epoche nelle quali bisognava annunciare la libertà dalla tirannia della religione e della chiesa. Oggi, almeno nel protestantesimo, bisogna annunciare la libertà dalla banalità non cristiana che crede di poter vivere senza la disciplina della parola di Dio perché “tanto siamo liberi”. Lutero lo diceva con chiarezza: meglio la legge di questa falsa libertà! Meglio il papa di questa caricatura dell’evangelo!

La libertà è un dono immenso e proprio per questo una responsabilità impegnativa. Per tale motivo, mi permetto l’operazione, un po’ rischiosa, di riformulare con parole mie, nella nostra situazione, i due versetti finali: la libertà è per Cristo, Con cristo per la libertà; infatti, Gesù, il figlio dell’uomo, è la sola, la vera libertà.

Amen

prof. past. Fulvio Ferrario

Paganesimo e idolatria

Efesini 4, 17-32

 

Questo, dunque, dico e testimonio nel Signore: non camminate più come camminano anche i pagani, nella vanità del loro pensiero, perché sono ottenebrati nella loro mente, alienati dalla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro, a causa dell’indurimento del loro cuore. Essi sono divenuti insensibili e si sono lasciati andare alla dissolutezza, per praticare con avidità ogni impurità.  Non è così che avete imparato di Cristo,  se lo avete ascoltato e siete stati istruiti in lui. La verità in Gesù è piuttosto questa: che voi mettiate da parte l’uomo vecchio che va in corruzione, secondo la condotta di un tempo, secondo desideri ingannevoli,  che siate rinnovati nello spirito della vostra mente,  e che indossiate l’uomo nuovo, quello creato secondo Dio, nella giustizia e nella santità della verità.  Pertanto, avendo messo da parte la menzogna dite la verità, ciascuno con il suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri. Adiratevi ma non peccate; il sole non tramonti sulla vostra ira. Non date spazio al diavolo.  Chi ruba non rubi più, ma piuttosto si affatichi per il bene, lavorando con le [proprie] mani, perché abbia di che condividere con chi è nel bisogno. Dalla vostra bocca non esca nessuna parola cattiva, semmai una buona che edifichi secondo il bisogno, per dare un beneficio a quelli che ascoltano.  Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno del riscatto.  Ogni amarezza e rabbia, ira, clamore e offesa sia rimossa da voi, insieme a ogni cattiveria.  Siate benevoli gli uni con gli altri, ben disposti, perdonandovi a vicenda, come anche Dio vi ha perdonati in Cristo.

 

Care sorelle e cari fratelli,

la lettera agli Efesini porta in sé le caratteristiche di una comunità cristiana nata dal paganesimo. La polemica è evidente, nel confronto ripetuto più volte con  la vita passata dei credenti. In questo brano si evidenzia nello specifico la questione etica. Che cosa c’è che non va nella vita di un pagano?

Secondo questa lettera, la prima cosa è che sono insensibili, hanno indurito il loro cuore. Sentono solo la propria voce! Sono rinchiusi nel loro cuore e così non possono confrontarsi con Dio, con la sua parola, neppure con la vita dei loro vicini e del loro prossimo. Esiste solo il loro io, in quel mondo sigillato verso l’esterno. È l’apoteosi del narcisismo, dell’autoreferenzialità. Per cui sono guidati esclusivamente dal desiderio di assecondare se stessi, i propri desideri e le proprie ambizioni, che considerano inderogabilmente legittime, senza se e senza ma. Il loro orizzonte è dunque il proprio io e il prossimo, l’altro o l’altra entrano in questo orizzonte sono nella misura in cui possono assecondare questo io, assurto a divinità.

L’analisi del paganesimo che troviamo negli scritti paolini è interessante perché quasi psicologizza il profilo del pagano. Non è più soltanto la polemica contro gli idoli muti, dunque, ma la polemica contro l’Io che diviene idolo indiscutibile. Il cuore indurito lo troviamo anche nell’AT, come ad esempio nel Faraone, che non vuole riconoscere altra autorità sull’Egitto all’infuori della sua. E cederà solo quando Dio comincerà a togliergli le sue cose più preziose, per poi pentirsi subito della sua debolezza per andare a caccia degli ebrei, ma pagare con la sua propria vita. Anche il popolo d’Israele indurisce il suo cuore di fronte alla volontà di Dio, quante volte! E si volge così agli idoli, abbandonando il suo Signore.

Un aspetto interessante della questione è che sovente è Dio a far indurire il cuore dei suoi nemici o dei nemici del suo popolo. Lo vediamo nell’episodio dell’esodo, lo vediamo anche nella lettera ai romani. Anzi, lì c’è un discorso sottilmente diverso: gli idolatri potrebbero conoscere Dio, ma lo abbandonano per seguire la creatura anziché il creatore. E così Dio li abbandona alle loro passioni, lasciando che si rovinino l’esistenza. Perché poi, alla fine, è questo il problema: il pagano consuma la sua esistenza arrovellato dal Male. Il pagano è l’essere umano lasciato a se stesso, che perde immediatamente la strada e non ha le risorse per essere autonomo, soprattutto nelle sue scelte etiche.

Non essendo in grado di uscire dall’orizzonte della sua vita, l’idolatra non può amare e rispettare il prossimo, ma sarà sempre alla ricerca del suo proprio interesse. Per questo l’idolatria è un problema sempre presente nella vita dell’umanità, qualunque forma di adorazione vediamo intorno a noi, anche in una società dove ci si sente cristiani prefetti. L’idolatria alla fine non riguarda l’idolo che sta nel tempio o negli angoli delle strade, bensì l’idolatria di noi stessi. Lutero lo dice bene, quando ricorda che una teologia delle opere può diventare – pur nell’illusione di essere profondamente cristiana – solo un modo per nutrire il proprio ego narcisistico. Se la vita cristiana si riduce ad una lista della spesa, questa serve solo a farmi sentire a posto con la mia coscienza. E sempre, senza alcuna eccezione, una teologia delle opere finisce in quella direzione. Lo vediamo bene, ad esempio, nella differenza tra Pietro Valdo e Francesco d’Assisi. Il primo vede la povertà come un mero strumento per annunciare la Parola, il secondo come un mezzo per guadagnare Dio mortificando se stessi. Perché anche la mortificazione di noi stessi non è altro che una forma di narcisismo: Dio non ci vuole sofferenti, disincarnati, ma ci chiama a vivere la nostra vita valorizzando noi stessi alla luce della sua parola nel servizio al prossimo. Solo chi ha capito la grazia di Dio può davvero essere di aiuto al prossimo.

È così che veniamo alla seconda parte del nostro brano. A noi esseri umani viene chiesto di lasciarsi alle spalle il proprio paganesimo, che ci aveva portati all’avidità e alla dissoluzione, per vivere della grazia che il Signore ci ha donato. Noi siamo salvati: viviamo la nostra salvezza, mettiamola a frutto, facciamola nostra! La salvezza in Cristo è una condizione, come un vestito da metterci addosso. Per rendere la nostra vita qualcosa di diverso, è necessario lasciar entrare nella nostra vita quella Parola di grazia che ci viene offerta. Essa ci obbliga ad uscire dal nostro orizzonte limitato per guardare l’orizzonte di Dio e scoprire che non siamo il centro dell’universo ma una parte di esso. Questo, naturalmente, limita ne nostre illusorie ambizioni, perché ci fa capire che la vita vera viene vissuta nel rispetto dell’altro, nell’incontro con l’altro. Ci aiuta a capire quanto sia importante essere parte di un tutto. E la cosa interessante è come sia sovente proprio dall’esterno che ci viene uno sprone a riconoscere la volontà di Dio. Pensiamo all’ambientalismo, oggi un’acquisizione fondamentale della nostra cultura. Esso ci è stato insegnato da altri, per nulla cristiani. E poi abbiamo scoperto che era lì, nelle nostre scritture. Il nostro indurimento, quel ripiegamento su noi stessi in cui è così facile ricadere, ci avevano impedito di vederlo. Quante altre cose possiamo imparare aprendoci al mondo, allargando all’altro il nostro orizzonte, imparando da Dio ad ascoltare anche l’altra, l’altro che cercano di dialogare con noi? Solo la parola di grazia di Dio può schiarire la nostra mente e liberarla dalle tenebre, in cui è così facile perdersi.

Ed è così che arriviamo alla lista che Efesini ci offre, per esemplificare in che cosa consista la vita cristiana. Lo ripeto, non è la lista della spesa, è qualcosa di molto più profondo, è il richiamo ad atteggiamenti di fondo, a scelte di base, che ci permettono di vivere la vita secondo la Parola. Prima di tutto non potrebbe non esserci un richiamo alla verità, alla sincerità. Senza di queste non ci può essere vita cristiana. Si può litigare, discutere animatamente, come ci fa capire l’esortazione successiva. La tutto nella sincerità e nella ricerca della verità. E se questa ci porta a litigare (antico e congenito vizio degli esseri umani!), la rabbia che ne deriva, il risentimento devono sparire entro la sera. Il giorno dopo siamo di nuovo fratelli e sorelle, per ricominciare da capo, magari come persone più mature. Quante volte, invece, risentimenti covati a lungo hanno rovinato – e rovinano – la vita anche della nostra chiesa? E, così, il diavolo si è preso il suo spazio ed ha lacerato le nostre esistenze e il tessuto comunitario…

La parola sul rubare è inquietante, anche se per fortuna non so quanto ci riguardi da vicino. Eppure anche nella chiesa c’è chi ruba e chi ha rubato, magari anche “legittimamente”, semplicemente approfittando di una situazione di poco controllo. Si deve vivere del proprio lavoro, in tutti i sensi. Anche chi si approfitta del lavoro altrui per farsi bello, ruba!

Gli ultimi sono esempi di cattiveria, che ci ricordano come una parola cattiva, sbagliata, un atteggiamento poco rispettoso possano fare molto male al nostro prossimo e alla chiesa. Come vedete, l’elenco non vuole essere esaustivo ma esemplificativo. Vuole ricordarci quanto è fragile la nostra fede, la nostra volontà di vivere la Parola, e di come facilmente possiamo ricadere nella nostra idolatria, magari andando ogni domenica in chiesa! Il credente è chiamato a farsi carico di questa fragilità e di rispettarla, facendo tutto quanto è in suo potere per edificare la chiesa e non abbatterla. L’amore che Dio ci ha insegnato in Cristo l’unico modo per realizzare la vocazione che il Signore ci rivolge. La Sua grazia di rende liberi, abilita la mente alla comprensione della Sua volontà, e il Suo Spirito ci guida nel nostro cammino. Che potremmo volere, più di così?

 

prof. Eric Noffke