Il servo affidabile e vigilante

Matteo 25,1-13; Apocalisse 21,1-7

Sermone: Luca 12,42-48

Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fedele e prudente che il padrone costituirà sui suoi domestici per dar loro a suo tempo la loro porzione di viveri? Beato quel servo che il padrone, al suo arrivo, troverà intento a far così. In verità vi dico che lo costituirà su tutti i suoi beni. Ma se quel servo dice in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”; e comincia a battere i servi e le serve, a mangiare, bere e ubriacarsi, il padrone di quel servo verrà nel giorno che non se lo aspetta e nell’ora che non sa, e lo punirà severamente, e gli assegnerà la sorte degli infedeli. Quel servo che ha conosciuto la volontà del suo padrone e non ha preparato né fatto nulla per compiere la sua volontà, riceverà molte percosse; ma colui che non l’ha conosciuta e ha fatto cose degne di castigo, ne riceverà poche.

 

A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà.Il testo che ci ha proposto il nostro libretto un giorno una parola ci stimola  a prepararci. Innanzitutto prepariamo noi stessi per agire continuamente con prudenza e vigilanza. La nostra mente si impegni a fare dei progetti così che sappiamo quali sono le prime cose da fare. Il vangelo di Luca non ci risparmia oggi il nostro dovere come credenti durante il nostro tempo d’attesa.

Magari abbiamo già fatto questo, è una lunga attesa ma che si rinnova anno dopo anno, giorno per giorno. Questa parabola è anche utile per noi ora affinché  non  perdiamo di vista la nostra speranza a causa della certezza della promessa che ormai abbiamo già ottenuta.

Perché?

Perché la scena è questa.
Nella parabola immaginiamo che c’è un servo fedele  che tutti giorni si impegna a fare il suo lavoro anche senza il suo padrone.
C’è anche quello che appena se ne è andato il suo padrone ha abbandonato le cose che faceva non credendo neanche che  sarebbe tornato .
Così hanno fatto solo quello che voleva e non gli importava proprio più del padrone. Si è  impossessato della sua proprietà.
Questi facendo così ha già ottenuto il suo guadagno come se fosse il padrone.

La morale della parabola  che dobbiamo tener in mente è che verrà il tempo del  ritorno suo(del Padrone )e così sarà per noi.

Il padrone conoscendo i suoi servi fedeli e prudenti  tornerà per loro per dare il loro guadagno, il loro premio per il  futuro.

Non li deluderà perché il motivo del suo ritorno è proprio a causa  loro, e fedele verso di loro, la sua promessa sarà mantenuta.

Siete convinti  di questo  futuro?!

C’è un buon futuro  per un servo che ha fatto la volontà del padrone della sua casa, colui che ha dimostrato di essere affidabile «Beato quel servo che il padrone, al suo arrivo, troverà intento a far così. In verità vi dico che lo costituirà su tutti i suoi beni», Gesù disse ai suoi discepoli.

«Ma se quel servo dice in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”; e comincia a battere i servi e le serve, a mangiare, bere e ubriacarsi, il padrone di quel servo verrà nel giorno che non se lo aspetta e nell’ora che non sa, e lo punirà severamente, e gli assegnerà la sorte degli infedeli». Gesù disse ancora ai suoi discepoli.

Il servo infedele, chi non ha badato le cose del padrone e inoltre non ha creduto che sarebbe tornato il suo padrone  anzi ha maltrattato anche gli altri come lui quindi sarà messo in punizione.

Care sorelle e fratelli,
dal momento che abbiamo saputo la volontà del Signore Dio che è padrone della nostra vita, ci siamo sentiti sempre chiamati a lavorare, a fare ciò che si deve fare e non  abbiamo voluto  mai  più sprecare il nostro tempo.
Dal momento  che abbiamo ascoltato la chiamata di Dio a  lavorare nel suo regno ci siamo sentiti  in obbligo, senza mormorare e senza lamentarci.
L’atteggiamento o il comportamento che altri hanno visto in noi è la piena volontà, adesione e sottomissione, così diciamo sia fatta la tua volontà.
Ringraziamo il Signore perché l’evangelista Luca ci invita anche oggi a rinnovare la nostra attesa.

Non importa quanto tempo ci vorrà ad aspettare il suo ritorno.

Ciò che conta ora è di aver saputo come investire le nostre energie, lavorando insieme perché regnasse in noi il suo  regno e venisse anche  data testimonianza del suo regno  così che si allargasse sempre di più.
Pensiamo alla parabola dei talenti, ognuno e ognuna ne riceve  cinque, due, e  uno.  A ciascuno secondo la propria capacità.
Tutti hanno ricevuto liberamente e nella loro libertà questi talenti saranno investiti.
In questo modo entriamo nel cuore della nostra chiamata di vivere questo tempo di preparazione.
È davvero una lunga attesa? Se i discepoli hanno già avuto prima questo insegnamento, che cosa vi/ci spinge ad aspettare ancora?

Il giudizio che ci aspettiamo da Dio, è quello che ci permette di essere vigilanti, di rimanere più sveglie perché il libro della rivelazione di Giovanni ci porta ad immaginare un’altra vita. Un nuovo mondo, una nuova casa ci attende.  È Dio, padrone  l’ha promesso.

Leggere questi testi, la buona notizia del ritorno del Signore Dio oggi, ricordare in questo tempo dell’ultimo anno liturgico del 2017 che le nostre lacrime verranno asciugate, che non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate ci consolano.

«Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Poi disse ancora a Giovanni: «Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere»; «Ogni cosa è compiuta. Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita.  Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio».

Se crediamo in lui, in queste parole delle Sacre Scritture viviamo nella luce del Signore che ci aiuta a vivere il tempo presente, a lottare e anche a sperare che lui  tornerà per manifestare la sua giustizia e saremo giudicati rettamente. Credo che questa parabola  rinnova in noi, oggi, la nostra consapevolezza di chi siamo e di ciò in cui crediamo.

Noi siamo paragonati e chiamati suoi servi, al servizio della sua casa.

Se veramente crediamo nella sua parola sappiamo che a noi è affidata la sua casa,  il mondo in cui viviamo e tutte le cose in essa. A noi credenti ci ha rivelato la sua volontà su come dovremmo fare finché non sarà ritornato.

A ciascuno/a di noi  ci ha dato la possibilità di investire il nostro tempo e talento dove siamo. Il nostro impegno quotidiano ora sarà posto a giudizio e se avremmo fatto veramente come dovevamo ci attende un premio, un guadagno per il futuro. Se pensiamo che oggi stiamo facendo il nostro dovere , non avremo timore per il nostro futuro. Il nostro giusto comportamento in attesa del  suo ritorno, progettando sempre il suo arrivo e facendo  quello che ci ha chiesto di fare è già una certezza per il nostro futuro. Vediamo qui che siamo chiamati sempre ad operare e questa è la risposta della nostra vocazione alla chiamata nella sua casa e nel suo regno sulla terra.

Ricordiamoci che la nostra chiamata è dovuta alla fiducia che ha per noi. Siamo stati riconosciuti fedeli per curare la sua proprietà.

Cara comunità, care sorelle e cari fratelli nel Signore,
oggi è l’ultima domenica del nostro calendario liturgico.
Quindi, la prossima sarà la prima domenica di Avvento. Abbiamo visto sulla circolare che il calendario dei culti per il mese di dicembre è pieno.  Come al solito, siamo molto indaffarati. I membri del consiglio di chiesa avranno il compito di fare il culto nella prima domenica di avvento.

Essi  prepareranno la liturgia e il sermone, l’8 dicembre avremo il bazar natalizio perché in questo modo ci permette di nuovo a raccogliere denaro per continuare la nostra testimonianza. Ciò che ricaveremo aiuterà a raggiungere  il fondo ministerio, per mantenere  i nostri pastori e le nostre  pastore. Grazie per la vostra sensibilità e generosità.

Poi il gruppo delle sorelle e dei fratelli filippini , per la seconda domenica di avvento,  prepareranno un programma per tutta la giornata con il culto, il pranzo,  e avremo anche ospiti che verranno dalla chiesa metodista di Pescara e ancora il gruppo della scuola domenicale in cui i bambini con Maria Letizia e altri prepareranno la loro recita. Infine , saremo tutti quanti pronti per la vigilia e il culto di natale.

Infatti, il testo che ci ha proposto il libretto un giorno una parola sottolinea a mio avviso ciò che precede il natale, cioè  attendere il tempo della nascita di Gesù, il compimento della manifestazione della promessa di Dio e nello stesso tempo per noi dopo quella nascita ci sarà l’attesa del ritorno.

E’ bello vivere l’attesa nello spirito di dover preparare, di imparare a vivere nel presente con la consapevolezza che aspettare è niente altro che andare avanti operando, impegnandosi su ciò che è stato a ciascuno e ciascuna affidato di fare in questo mondo. Per fortuna noi cristiani non penso che subiremo delle percosse perché stiamo imparando a non sprecare i beni materiali che abbiamo . Cerchiamo sempre di più di imparare a sfruttare meglio quello che abbiamo ma c’è un bene che non dobbiamo trascurare ed è  quello di cui daremo conto singolarmente.

Abbiamo letto nel versetto 48: « A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà.

Care e cari, giudicate voi queste parole che ci vengono donate per una buona causa.

Abbiamo ricevuto innumerevoli doni di cui Dio  terrà conto se li abbiamo a nostra volta riconosciuti come tali, ed essi si moltiplicano a causa nostra per il bene di un gruppo, di una comunità come la nostra e per i popoli del mondo.

Assistiamo che ci sono le nazioni  povere e altre  ricche e vedendo queste come a volte un segno di ingiustizia, questa considerazione  ci sproni a dare conto di ciò che personalmente abbiamo già avuto.

Che il Signore ci benedica. Amen.

past. Joylin Galapon

 

,

30 novembre – commemorazione di H. J. Piggott

Di  Agenzia NEV

Roma (NEV), 29 novembre 2017 – Domani, giovedì 30 novembre alle 11, si terrà preso il Cimitero acattolico di Roma una commemorazione del missionario metodista Henry J. Piggott, nel giorno esatto del centenario della sua morte.

Nato a Lowestoft (Gran Bretagna) nel 1831, Piggott svolse un’intensa opera di predicatore itinerante in Italia a partire dal 1861, spostandosi da Torino a Ivrea, Milano, Padova, per poi stabilirsi a Roma nel 1873. Contribuì alla costituzione della Chiesa evangelica metodista d’Italia di cui fu il primo Sovrintendente. Morì a Roma il 30 novembre 1917.

All’incontro nella cappella del Cimitero acattolico interverranno la pastora Jacqui Horton, membro del Consiglio per le relazioni ecumeniche della Chiesa metodista di Gran Bretagna, e Tim Macquiban, pastore della Chiesa metodista di lingua inglese di Ponte Sant’Angelo e direttore dell’Ufficio ecumenico metodista di Roma (MEOR). Tra gli ospiti sarà presente la pastora Mirella Manocchio, presidente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI)

Alla figura di Henry J. Piggott è stato dedicato lo scorso 9 novembre a Roma, il VI Convegno organizzato dal Centro di documentazione metodista (CDM), organizzato in collaborazione col Dipartimento di Storia-Culture-Religioni dell’Università “La Sapienza” di Roma.

,

Studi Biblici

  •  Italiano da giovedì 25 marzo “Buddha e Gesù” tenuto dalla pastora Hiltrud Stahlberger

 

 

 

  • Primo ciclo 2020-2021 La Predestinazione. i video degli incontri sulla pagine facebook della chiesa e sul canale youtube.
 3 dicembre Le origini: la controversia tra Pelagio e Agostino (V sec.). 

libero arbitrio, peccato, grazia semipelagiani

17 dicembre  La Riforma: la controversia tra Erasmo e Lutero (XVI sec.)

il De servo arbitrio di Lutero Melantone e Zwingli

7 gennaio  Calvino e Calvinismo: la doppia predestinazione di Calvino

supralapsariani e infralapsariani

Arminio e i Cinque punti della Rimostranza

21 gennaio  L’età moderna:  Wesley e il metodismo (XVIII sec.)

Karl Barth e Max Weber (XX sec.)

La visione cattolica

4 febbraio  I fondamenti biblici: Antico e Nuovo Testamento
18 febbraio La posizione di Paolo: Rom 8 e Ef 1

dubbi e problemi

 

 

  •  Internazionale riprenderà domenica 22 novembre alle ore 9.30 presso il salone della Chiesa in via Firenze 38

,

Come gli angeli giungono a noi

HELMUT FISCHER,
Claudiana Editrice, Torino, 2015,
pp. 107, Euro 14,90

 

Breve e semplice questo testo di Helmut Fischer, teologo tedesco, che, con un linguaggio colloquiale e scorrevole, affronta un tema teologico denso e ricco di spunti e riferimenti interculturali, senza appesantirlo con disquisizioni dogmatiche o filosofiche, ma limitandosi a tracciare una sintesi, comunque completa per quanto ci interessa, della storia dell’angelologia. Il testo perde, ovviamente, di profondità accademica, ma ci guadagna in chiarezza e semplicità. E’ quindi un libro divulgativo, alla portata di tutti, che parte dalla constatazione di come, nonostante la secolarizzazione, la laicizzazione e la modernizzazione della nostra società e delle religioni, l’interesse per gli angeli non solo non sia diminuito, ma anzi accresciuto, e come la fede negli angeli sia presente anche in coloro che non professano una fede religiosa. Il libro contiene innanzi tutto una storia dell’origine della figura angelica, che non è specifica del cristianesimo, ma ha i suoi precursori in altre culture, in particolare nell’ebraismo, nello zoroastrismo e nell’ellenismo, cui si aggiungono nel tempo le influenze di sistemi filosofici, come lo gnosticismo e il neoplatonismo. Gli angeli nascono dall’esigenza di avere un intermediario, man mano che si affermano la trascendenza di Dio e il monoteismo: essi assumono i ruoli prima svolti direttamente da Dio nel suo rapporto con gli uomini e nel cristianesimo primitivo ereditano le funzioni già ricoperte nell’Antico Testamento: sono interpreti, messaggeri, aiutanti. Con il tempo il sistema angelico si articola e arricchisce, fino a dare vita alla gerarchia dello Pseudo Dionigi, che li suddivide in tre triadi, ognuna delle quali viene analizzata da Fischer, con riferimento anche alla sua rappresentazione figurativa: dall’aspetto di uomini barbuti o di giovani imberbi all’acquisizione dell’aureola e delle ali, dai simboli della sfera, dello scettro, degli abiti, del diadema, agli attributi del giudizio apocalittico, come la tromba o la spada. L’autore affronta poi la storia degli angeli nel Medioevo latino, nella Scolastica, nella Riforma, nell’Illuminismo, nel mondo cattolico ed ortodosso, cercando di evidenziare la concezione che di volta in volta è prevalsa: accettazione o rifiuto, interpretazione salvifica o simbolica, rifiuto del culto o uso nella liturgia. Una particolare attenzione è dedicata alla figura dell’angelo custode, che ancora oggi conosce un grande sviluppo nelle scienze e nelle arti. Col tempo gli angeli si modificano, acquistando maggiore realismo e perdendo il proprio significato religioso, fino a diventare gli amorini, simboli terreni del piacere sensuale. Il testo, arricchito da molte illustrazioni, termina con alcune riflessioni sul significato dell’angelo oggi, nella nostra vita personale: può essere considerato il messaggio d’aiuto nel bisogno o il messaggero che ci dà la forza di accettare ciò che non possiamo cambiare: è comunque un segno della presenza di Dio nella nostra vita.

 

Antonella Varcasia

,

Gli Ebrei di Lutero

 di THOMAS KAUFMANN,
Claudiana, Torino, 2016,
pp. 219, Euro 19,50

Una corretta celebrazione della Riforma non può prescindere da una valutazione obiettiva dei suoi lati oscuri. E’ quanto cerca di fare, con grande rigore storico, questo testo di Kaufmann a proposito dell’atteggiamento di Lutero nei confronti degli ebrei. L’obiettivo è quello di inquadrare storicamente tale aspetto cogliendone la diffusione generalizzata anche negli ambienti cattolici ed umanistici dell’epoca, al fine non di giustificarlo, ma di comprenderne le motivazioni.

Il testo approfondisce diversi elementi: innanzi tutto il passaggio di Lutero dall’antigiudaismo, caratterizzato da motivazioni religiose, all’antisemitismo, improntato invece ad un odio razziale. In secondo luogo Kaufmann affronta il differente atteggiamento del primo Lutero rispetto a quello maturo: la prima fase si rispecchia nel trattato Gesù Cristo è nato ebreo (1523), caratterizzato dalla tolleranza e da un atteggiamento benevolo che fece addirittura sperare gli ebrei del suo tempo di aver trovato in lui un amico e sostenitore; la seconda risalta particolarmente nell’opera Degli ebrei e delle loro menzogne (1543), segnata invece da un fermo rifiuto, da un linguaggio volgare e da una polemica violenta che arrivava fino a propugnare l’espulsione degli ebrei dall’Europa cristiana.

Kaufmann cerca di comprendere le motivazioni dell’uno e dell’altro atteggiamento, sostenendo che il mutamento non è imputabile alla modifica delle convinzioni teologiche, bensì ad una serie di fattori “pratici”, prima fra tutti la delusione per le mancate conversioni degli ebrei, che Lutero riteneva possibile ottenere con un atteggiamento benevolo e che invece non ebbero luogo nella misura sperata: questo “indurimento” degli ebrei convinse Lutero della loro natura demoniaca.

Infine, l’autore affronta la storia degli effetti, attraverso una carrellata storica caratterizzata da una “recezione selettiva” che, rifacendosi al primo o al secondo Lutero, ha recepito ora l’atteggiamento tollerante ora quello polemico: ad esempio, i pietisti considerarono Lutero un modello di tolleranza e di mentalità illuministica; i populisti e i nazisti lo strumentalizzarono per sostenere la politica razziale. A parere di Kaufmann, gli scritti di Lutero non possono aver ispirato direttamente l’ideologia antisemita eliminatoria del nazionalsocialismo, ma certamente hanno favorito l’Olocausto, paralizzando il coraggio civile della popolazione luterana. Kaufmann conclude criticando sia la recezione selettiva di Lutero sia la sua trasformazione in un’icona e sottolineando che “l’antisemitismo di Lutero è una componente integrale della sua persona e della sua teologia; lo si può trattare adeguatamente soltanto con una corretta storicizzazione”, che lo relativizza e ne fa emergere la fallibilità.

Antonella Varcasia

,

Ripensare la Riforma protestante.

Ripensare la Riforma protestante. Nuove prospettive degli studi italiani
a cura di LUCIA FELICI,
Claudiana, Torino, 2016, pp. 410,
Euro 29,00

Questa raccolta di saggi ripercorre la storia degli studi italiani sulla Riforma protestante, evidenziandone limiti e lacune, ma anche sottolineandone i nuovi orientamenti. Il volume è suddiviso in due parti: la prima relativa ai movimenti eterodossi in Italia; la seconda al rapporto tra questi e il mondo europeo. Diversi sono i pregi del testo: innanzi tutto, l’approccio interdisciplinare, che permette di cogliere le diverse “anime” della Riforma. Accanto ai saggi storici, infatti, ne esistono altri concernenti la storia dell’arte e della letteratura, come quello sul dibattito relativo alle immagini, con un’interpretazione “riformata” di Jacopo Pontormo, il quale avrebbe utilizzato le sue opere per trasmettere messaggi teologici eterodossi. O come quello che spiega perché i testi religiosi eterodossi furono a lungo esclusi dal canone della letteratura italiana, in quanto considerati non rappresentativi del sentimento religioso nazionale. Teologico è invece il saggio di Paolo Ricca, dedicato all’analisi della natura stessa della Riforma, che consiste nell’aver dato un nuovo fondamento alla Chiesa, ponendo la Bibbia al posto del papato. Altro pregio del volume è l’attenzione alle figure “marginali” della Riforma, di cui viene sottolineata l’importante opera di sostegno e propagazione delle nuove idee, come i nobili e le donne del territorio padano-veneto che, protagonisti di una dissidenza “sommersa e silenziosa”, incapace di influenzare la vita politica, sociale e culturale, erano però in grado di intessere vaste reti clandestine di contatti.

Molti saggi sottolineano la politica come elemento costitutivo della Riforma in Italia: ad esempio, la polemica dei baroni napoletani contro l’introduzione dell’Inquisizione era motivata anche dalla difesa dei propri beni e prerogative, così come la repressione da loro subita derivava dal timore che le nuove idee potessero fomentare ribellioni all’ordine costituito. Altro elemento di valore è l’attenzione riservata alla Riforma radicale, sia per il risorgere dell’interesse degli studiosi, sia perché fu soprattutto in questa forma che si declinò il movimento ereticale italiano. Fra tutti emerge il saggio che propugna un’idea più ampia del radicalismo italiano, sotto la cui denominazione si nascondono fenomeni assai diversificati che, da un lato, non possono essere ridotti a semplici devianze ereticali rispetto alla Riforma magisteriale e, dall’altro, rappresentano una fucina di idee essenziali per la nascita della civiltà moderna. Dai saggi raccolti emerge un’Italia sommessa ma non taciturna, ricettiva delle novità provenienti d’oltralpe e in grado di rielaborarle in forma autonoma unendole alle proprie tradizioni, nonché di sviluppare le idee di tolleranza e libertà di coscienza, fornendo così un contributo fondamentale al protestantesimo europeo e incidendo in modo decisivo sull’evoluzione della società moderna.

Antonella Varcasia

,

Sola Scriptura

La Riforma, mettendo al centro la Scrittura (intesa come raccolta degli scritti dell’Antico e del Nuovo Testamento), ha voluto indicare la sorgente a cui quotidianamente i cristiani possono dissetare la loro sete di conoscenza di Dio. Ciò vale non solo per i protestanti ma per tutte le chiese cristiane – le quali oltretutto sono teologicamente cresciute negli ultimi decenni grazie anche al dialogo ecumenico. L’ecumenismo infatti ha trovato proprio nella Scrittura il terreno fertile d’incontro delle tre grandi famiglie confessionali. Attraverso lo sviluppo delle scienze bibliche, la contrapposizione tra Scrittura e Tradizione si è relativizzata. La Scrittura stessa è frutto di una tradizione orale che ha preceduto sia i testi scritti – i vari libri della Bibbia – sia l’ingresso, l’accoglimento a pieno titolo di questi stessi testi nella famiglia degli scritti canonici.
Anche il canone biblico rappresenta pur sempre una scelta umana, ancorché ispirata. Il canone non esaurisce la rivelazione di Dio. Da questa Scrittura (che di fatto è una biblioteca di libri diversi, sia come autori che come datazioni) si dipartono interpretazioni che, non di rado, appaiono opposte tra loro, proprio come i comportamenti morali che ne discendono. Sicché da un unico testo biblico si aprono vie che possono condurre a conseguenze ecclesiologiche differenziate, malgrado il riferimento alla stessa Scrittura. È stato così sia nel secolo della Riforma luterana, zwingliana, calvinista (si pensi, per fare un solo esempio storico, al dibattito conflittuale sulla Santa Cena), sia nei secoli successivi e oggi questa pluralità interpretativa perdura.Anche nella grande famiglia evangelica è presente una spiccata diversificazione d’interpretazioni e posizioni teologiche conseguenti. Se allarghiamo lo sguardo alle altre chiese cristiane, notiamo come le diversità interpretative si accentuino: vedi la questione del concetto stesso di chiesa o il primato petrino o la successione apostolica, o il rapporto con il popolo d’Israele o la concezione del sacerdozio e dei ministeri o il ruolo delle donne nella chiesa…
Ma come leggiamo i testi biblici? Non da oggi assistiamo alla rivitalizzazione di un approccio biblicistico alla Parola di Dio, che riduce il principio del Sola Scriptura a «Unica Scriptura». Vale a dire che si tende ad affermare l’imposizione di un’unica interpretazione dello stesso testo biblico, nella pretesa che l’interpretazione data sia la sola vera e assoluta. Quasi che ogni versetto o pericope biblica racchiuda uno e un solo significato. E questo crea un terreno favorevole al fondamentalismo nelle sue varie espressioni. Mentre sappiamo – anche perché le scienze bibliche lo hanno da tempo dimostrato – che i testi biblici (e non solo quelli) racchiudono significati e scenari diversi, insieme a una ricca gamma di indicazioni che vanno scoperte scavando nella lettera scritta. Il testo biblico, insomma, va ricollocato e compreso, per quanto scientificamente possibile, nel contesto storico in cui venne pensato e formulato. Occorre tener in debito conto che il linguaggio è frutto della temperie culturale di un’epoca. I testi biblici, alla stregua di altri testi antichi, prima di essere messi per iscritto in un momento storico preciso, sono stati tramandati oralmente. Questo passaggio dall’orale allo scritto, come da una lingua a un’altra (per esempio la Traduzione dei LXX) ha logicamente comportato mutazioni che vanno individuate con metodi scientifici.

Sola Scriptura per noi significa sostanzialmente tre cose.
In primo luogo che Dio è sovranamente libero, e quindi può rivelarsi anche al di là della Scrittura stessa; ma di certo Dio si è rivelato in questa Scrittura dell’Antico e del Nuovo Testamento.
In secondo luogo che la Scrittura da noi ricevuta deve confrontarsi non solo con il tempo in cui è stata pensata e ispirata, ma anche e soprattutto con il nostro tempo: è il presente di chi legge, infatti, il vero banco di prova della comprensione dello spirito del testo e non solo della lettera.
In terzo luogo che la Scrittura è per noi il principale nutrimento della nostra fede, del nostro pregare, della nostra spiritualità, del nostro essere chiesa.

Non siamo noi, chiese protestanti, i detentori esclusivi della Scrittura e di interpretazioni che vorremmo assolutizzare. La realtà è che noi, in qualche modo, siamo stati affascinati e «catturati» dal Sola Scriptura: un principio che ci guida e spinge a percorrere itinerari nuovi e inediti nella straordinaria scoperta di un continuo dialogo con Dio in Gesù Cristo. «Fermatevi sulle vie e guardate, domandate quali siano i sentieri antichi, dove sia la buona strada, e incamminatevi per essa; voi troverete riposo alle anime vostre!» (Geremia 6, 16).
L’emozione e la fiducia in Dio, che avvertiamo nel leggere la Scrittura, non ci impediscono dall’avvalerci di metodi di analisi critica dei testi. Qualunque metodo d’indagine – da quello esegetico-storico-critico a quello letterario, simbolico, psicoanalitico, narrativo – è al servizio di una sempre migliore comprensione del testo biblico e non viceversa. Ciò che realmente conta è che lo Spirito del Signore faccia rivivere per noi quella Parola antica che ci è stata trasmessa: una Parola che per Grazia di Dio, ogni giorno, dona a noi speranza, incoraggiamento, guarigione, redenzione, gioia riconoscente.
La Scrittura vive se lo Spirito del Signore la chiama alla vita e noi con lei. La chiesa nasce, cresce e si orienta nel suo procedere attraverso l’ascolto e la comprensione della Parola biblica.

,

Solus Christus

 

Dire «Solo Cristo» non significa giudicare o disprezzare la fede, la spiritualità, le credenze altrui. Significa solo dire che, per noi, Cristo è la via attraverso la quale Dio si rivela, e, di conseguenza, quella che intendiamo seguire. Una via, un percorso, non un concetto: lungo una via si cammina, ci si guarda avanti e indietro, ci si ferma o ci si accampa, si incontrano altri viandanti. Come ci ricorda il libro degli Atti, i primi cristiani erano chiamati «quelli della Via».Cercare Dio solo in Gesù Cristo significa cercarlo nel confronto con un essere umano concreto, nato, vissuto e operante in un luogo e un’epoca storica precisa, morto di una morte atroce e vergognosa. In un mondo pieno più che mai di aspiranti maestri, sacerdoti e signori, per noi Gesù Cristo è l’unico Maestro, Sacerdote e Signore.

L’unico maestro: colui che per noi ha «parole di vita eterna» (Gv 6, 68), parole e azioni che ci mettono in questione, ci sconvolgono, ci fanno guardare con altri occhi le cose, le persone, i fatti della nostra vita.

L’unico sacerdote: il solo intermediario tra noi e Dio, che ha proclamato e attuato la fine del regime dei sacrifici e della distinzione tra sacro e profano. In Cristo non abbiamo più bisogno di luoghi santi, di professionisti del divino, di offerte sull’altare per placare l’ira di Dio o ingraziarcene i favori.
L’unico Signore: il condannato a morte, sconfitto e abbandonato da tutti, la cui autorità non si basa sul denaro, sulle armi, sulla parola seduttrice, il cui modo di agire mette in discussione tutti gli altri poteri. Il Crocifisso che, tre giorni dopo, è risorto. Con la sua risurrezione (caparra e speranza per ognuno di noi), Dio stesso ha annunciato che la morte e i poteri di questo mondo non hanno l’ultima parola.
Riconoscere il Solo Cristo significa relativizzare tutte le filosofie, le ideologie, le religioni, le potenze che aspirano alla nostra adesione e alla nostra obbedienza. Anche dopo la pretesa «fine delle ideologie» restiamo tentati di cercare la nostra sicurezza nell’abbandono acritico a qualche assoluto. Non ci sono solo i fondamentalismi religiosi: pensiamo ai nazionalismi, al razzismo, alla fiducia nella competizione, nella finanza o nel progresso scientifico.
Solo Cristo non è un integralismo contrapposto ad altri integralismi; è un criterio di libertà, soprattutto verso le idee, le cause, i modi di pensare che ci sono più vicini e congeniali. Il loro ruolo e valore è quello di strumenti per capire e cambiare la realtà, non di fini, di ideali da realizzare a ogni costo. Perché «tutto è nostro, ma noi siamo di Cristo» (cfr. 1 Cor. 3, 22-23).

Avere Cristo come maestro non significa osservare il mondo dall’alto, con la sicumera di chi possiede la verità. Al contrario, significa imparare quello che Bonhoeffer chiama «lo sguardo dal basso»: guardare gli eventi dalla prospettiva «degli esclusi, dei sospetti, dei maltrattati, degli impotenti, degli oppressi e dei derisi». In Gesù Cristo ci viene rivelato non un Dio aggressivo e distruttore che rivaleggia con gli altri poteri per la conquista del mondo, ma un Dio sofferente e solidale con tutti e tutte noi, con tutti i dimenticati e gli sconosciuti, con tutta la creazione mai come oggi minacciata.
Il Solus Christus è un aiuto a orientarsi nell’incertezza di una società «liquida», priva di punti di riferimento, dove regnano il rischio, la precarietà, l’insicurezza, la disperazione. Nel Cristo crocifisso e risorto impariamo a vivere la nostra debolezza, senza lasciarci sballottare da «ogni vento di dottrina» (cfr. Ef 4, 14), né trincerarci in identità forti e assolute. Gesù ci libera dalla frenesia dell’attivismo (anche quello ecclesiastico) e dall’ossessione di salvare il mondo: al suo seguito c’è da lavorare, ma anche da pregare, da contemplare, da «stare in silenzio davanti al Signore e aspettarlo» (cfr. Sal 37, 7).
Gesù di Nazareth non è rimasto nella tomba, ma neanche cammina visibilmente su questa terra.
Crediamo che egli è presente tra noi, dovunque due o tre sono riuniti nel suo nome. Gesù ci ha lasciato la sua Parola da meditare, e il suo Spirito che ci aiuta a farla nostra. Ci ha lasciato il prossimo in cui cercare il suo volto, e sorelle e fratelli con cui ogni giorno costituire la chiesa che testimonia di lui.