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Metodisti europei in assise

Da Riforma
di Greetje van der Veer e Mirella Manocchio

L’incontro autunnale del Consiglio metodista europeo (EMC) si è svolto dal 30 settembre al 4 ottobre ad Amburgo, in presenza

«I nostri fratelli e le nostre sorelle in Ucraina e Russia stanno soffrendo». Si è così espresso lo scorso 3 ottobre il Consiglio Metodista Europeo riunitosi ad Amburgo, per poi proseguire: «Abbiamo ascoltato il lamento delle nostre chiese che sono state fortemente colpite dalla guerra in Ucraina. Quando una parte del corpo di Cristo soffre, l’intero corpo soffre. Unite in Cristo, facciamo cordoglio e preghiamo insieme.  (…) al di là di tutto quanto divide, rimaniamo sorelle e fratelli e insieme rinnoviamo la nostra determinazione ad essere operatori e operatrici di pace in Europa oggi.  Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio”  (Mt. 5.9)».

Una breve dichiarazione questa del Consiglio Metodista Europeo – cui partecipano rappresentanti e vertici di chiese metodiste, wesleyane e unite – scaturita dall’ascolto delle testimonianze provenienti da alcuni membri delle chiese metodiste di Polonia e Russia in merito al conflitto che sta squassando l’Europa. La presenza della chiesa metodista russa in questa occasione ha dato una dimensione particolare all’incontro, anche perché questa è stata l’unica chiesa che in Russia ha preso posizione pubblicamente contro il regime.

Il Consiglio, il primo in presenza dopo la pandemia, ha focalizzato i suoi lavori proprio sull’impatto che prima il Covid e ora la guerra stanno avendo sull’autocomprensione delle nostre chiese e sulla missione da portare avanti in un contesto fragile, polarizzato e secolarizzato come quello europeo.

Momenti plenari si sono alternati con discussioni in gruppo per poi sfociare di nuovo in una condivisione plenaria. Un incontro proiettato soprattutto verso il futuro: cosa fare, cosa cambiare? Come migliorare e approfondire le relazioni non solo tra i membri del Consiglio, ma in particolare tra le chiese membro? Come sono cambiate le nostre chiese con l’utilizzo massiccio degli incontri da remoto e come possiamo al meglio utilizzare gli strumenti tecnologici e i social media?

Per raggiungere tale risultato il comitato esecutivo del Consiglio, di cui fa parte anche la pastora Mirella Manocchio, ha ritenuto fosse necessario partire da un approfondimento sul consiglio stesso con la domanda: bisogna cambiare qualcosa nella costituzione o nel nostro modo di rapportarci?

In tutte le discussioni è emerso che il Consiglio è una comunità di chiese che vivono di un insieme di relazioni. Si è insieme per ascoltare, condividere in un ambiente sicuro. E le relazioni vanno vissute appieno. Si è, quindi, riflettuto su come sia possibile implementarle e su quali temi focalizzare l’azione del Consiglio. Immigrazione, giustizia climatica, il ruolo dei giovani e delle donne sono sembrati essere quelli che maggiormente attraversano il nostro vissuto di chiese europee e su questi si è deciso di investire tempo e risorse creando occasioni di scambio tra le chiese nazionali, dando vita a progetti ad hoc o approfondendo la collaborazione con organismi settoriali già esistenti.

Altra opportunità di condivisione e scambio, aggiuntasi durante il periodo di maggior impatto della pandemia e non era possibile incontrarsi se non da remoto, è l’online cafè: una volta al mese ci si trova per un incontro molto informale di un’oretta, per dirsi con cosa si è impegnati. Non solo una maggiore condivisione è stato il risultato, ma anche qualche azione concreta di collaborazione tra le chiese, in particolare per sostenere quelle che hanno affrontato l’arrivo di tanti profughi dall’Ucraina.

Oltre le chiese metodiste britannica e irlandese, a quella portoghese che, come la nostra, sono chiese ‘indipendenti’, sono chiese membro di questo organismo la Chiesa metodista unita (United Methodist Church), presente in molti paesi europei, ma anche altre chiese della tradizione metodista, come la Chiesa del Nazareno, la Chiesa wesleyana o chiese ecumeniche come, per esempio, la Uniting Church of Sweden che ha unito le chiese battiste, metodiste e riformate di Svezia.  Nel 2016 alla costituzione del Consiglio è stato aggiunto un accordo che entra maggiormente nel dettaglio di cosa implichi essere una ‘comunità’ aperta ed inclusiva di chiese che si rifanno alla tradizione metodista, un patto in pieno stile metodista di accetarsi l’una con l’altra con le proprie differenze. Una dimensione che sta diventando più attuale con le probabili uscite di alcune chiese membro dalla UMC, causa le differenti posizioni sulla questione sessuale, ma non solo. Nel prossimo futuro sarà importante capire come relazionarsi con queste chiese, ma si è ribadita la volontà di mantenere il Consiglio quale organismo aperto ed inclusivo, pronto a recepire le differenti istanze delle chiese membro come pure ad accogliere nuove realtà ecclesiastiche che vogliano, con lo stesso rispetto ed apertura, divenire parte di questa ampia comunità.

Naturalmente anche altre tematiche hanno chiesto l’attenzione. Come il cambiamento climatico. Da un paio di anni il consiglio si confronta in modo particolare con questa problematica che influisce già sulle nostre vite. Era presente Irene Abra, l’ambasciatrice per il cambiamento climatico del Consiglio, che ha avuto l’opportunità di intervenire e di relazionarsi con le varie realtà metodiste in Europa.

Vi è poi una sorta di braccio operativo nel sociale e nella missione dell’EMC che è il Fondo per le Missioni in Europa (FMiE): non solo un modo di raccogliere e distrubuire denaro dove serve, ma che vuole vivere la solidarietà e portare le persone insieme, un modello di interazione fruttuosa per tutte le due parti.

È stato trasmesso un forte incentivo a fare il prossimo passo anche in tempi difficili, anche quando ci si sente bloccati in una rete che è appesa fra due realtà. I tanti momenti spirituali dell’incontro hanno incoraggiato a muoversi un passo dopo l’altro con fiducia nel Signore. Partendo da un ambiente sicuro si ha la possibilità di fare un passo dopo l’altro, non da soli o sole, ma insieme, guardando avanti.

Consiglio ecumenico luogo di dialogo, ma è mancato spesso il coraggio della verità

da Riforma di Claudio Geymonat

Intervista al pastore Michel Charbonnier, reduce da due settimane di intenso lavoro all’Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese 

«A livello personale si tratta di un’esperienza unica, una immersione totale nella pluralità del cristianesimo globale che si concentra in uno spazio fisico comune. Abiti di tutti gli stili, lingue e culture differenti, culti splendidi, molto curati per fare emergere anche visivamente, con forza, tale arricchente pluralità spirituale».

Il pastore valdese Michel Charbonnier è reduce da due intense settimane in terra tedesca, a Karlsruhe, dove si è appena conclusa l’11 Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), il grande organismo che riunisce oltre 350 chiese da 120 nazioni e che dal 2013 mancava del suo appuntamento più importante.

«Mi porto a casa tutte queste relazioni, questo mettersi in gioco di ciascuno dei presenti di fronte al mondo davanti a noi: un esercizio faticoso ma una buona dose di speranza viene dal vedere tanta gente che crede profondamente a tale processo di incontro: si incrociano grandi questioni teologiche e geopolitiche, in quello che in qualche modo mi pare un riflesso sfumato, temporaneo, fallace in quanto umano, del regno di Dio, nella direzione verso cui tutti noi credenti dovremmo provare a camminare».

Membro del Comitato centrale, il principale organo di governo del Cec fino all’Assemblea successiva, Charbonnier rileva come l’assise sia stata anche «una bella palestra dove ci si allena al dialogo e anche un luogo in cui si vive la tensione sana delle parti: il luogo sicuro di incontro deve andare di pari passo con il fatto di dirsi la verità, parlare la verità con parresia fraterna. Quindi, giusto voler proporsi quale spazio di dialogo, il che deve andare di pari passo poi con il dirsi con franchezza le cose».

Le sessioni plenarie con le discussioni legate ai vari documenti da approvare, sono state un continuo esercizio di mediazione, di dialogo e ascolto, a volte forse con il risultato di una mancanza di incisività dovuta al prestare estrema attenzione a sensibilità differenti. In tal senso varie voci hanno segnalato una mancanza di coraggio nei testi prodotti.

«Qui secondo me sta una delle fragilità di questa assise: il non essersi detto tutto, non essersi parlati sempre con verità. Credo che una delle cause sia perché ci trovavamo in Europa ed è emersa proprio una estrema fragilità delle chiese europee a livello di capacità di articolare la propria identità, di dire ciò che siamo, anche nelle criticità. Le chiese europee a mio avviso escono indebolite dal consesso: abbiamo crisi conclamate, chiese vuote, e come società siamo colpevoli di aver perpetuato un sistema economico ingiusto, in casa e in giro per il mondo: dalle dichiarazioni sembra che tutto ciò non esista. Si tratta a mio avviso di una grossa occasione mancata per fare autocoscienza seria e farsi aiutare dalla cristianità riunita. È in atto una grande azione di rimozione, ci si racconta che va tutto bene, salvo poi farsi dettare l’agenda dal resto del mondo. Penso alle posizioni sfumate sulla Russia, alla difficoltà di definire apartheid quanto Israele mette in pratica contro la popolazione palestinese, alle troppe timidezze nelle analisi profonde di vari temi, a partire dalle migrazioni. L’occasione è stata persa anche al momento della scelta dei vari organismi rappresentativi: manca una reale parità di genere, manca una distribuzione geografica equa, tutto appare ancora molto euro-centrico, ma i documenti approvati dicevano e chiedevano altro».

A più riprese molti interventi dei delegati asiatici, latinoamericani, africani, hanno in effetti richiamato la necessità di allargare lo sguardo alle tante ingiustizie presenti sulla Terra, alle tante guerre dimenticate, al dramma delle popolazioni indigene che pagano sulla propria pelle le devastazioni conseguenti al cambiamento climatico, le cui cause sono generate a migliaia di chilometri dalle loro terre, a intere società ancora nei fatti sottoposte a trattamenti coloniali.

Charbonnier ha potuto presentare i risultati di un Gruppo di lavoro fra Cec e Chiesa cattolica, un gruppo di circa venti persone che tra un’assemblea e l’altra porta avanti una riflessione comune tra questi due organismi e che ha visto la luce all’indomani del Concilio vaticano II, nel «tentativo di consigliare le rispettive parti per migliorare la collaborazione e la comprensione reciproca in ambito ecumenico tramite documenti di indirizzo teologico per orientare il lavoro comune e le prassi delle rispettive famiglie. I due temi di approfondimento scelti per questo appuntamento appaiono oggi quasi profetici: la costruzione della Pace e le migrazioni umane».

L’Assemblea è stata dunque «Un momento per ricaricare le batterie spirituali, per continuare a lavorare verso la riconciliazione, una delle parole chiave emerse a più riprese, sapendo bene che nella Bibbia gli episodi di riconciliazione si contano sulle dita di una mano, e ci spiegano che la vera riconciliazione passa per un cambiamento radicale della tua identità, non di quella dell’altro».

Consiglio ecumenico, appello all’unità

di Nev – Notizie evangeliche

Ha chiusto i battenti l’11esima assemblea del Cec. «Riconciliazione» la parola-chiave

Si chiude l’undicesima Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), il “gotha” dell’ecumenismo a livello mondiale, la più ampia riunione dei cristiani e delle cristiane – e non solo – da tutti i continenti.

«Riconciliazione» la parola-chiave. E all’insegna dell’inclusione si sono svolti i lavori e le tante iniziative a margine del summit ufficiale. Grande spazio è stato infatti riservato a popolazioni indigene, esponenti da tutto il mondo, ma anche tantissime voci della società civile, attivisti e realtà impegnate per i diritti delle persone e dell’ambiente.

Questa mattina l’ultima plenaria con le dichiarazioni del “public issues committee“, la commissione che si occupa in buona sostanza delle questioni di più stretta attualità politica – come guerre e ambiente – e importanza sociale.

Il documento “Guerra in Ucraina, Pace e giustizia nella regione europea” è stato al centro di una discussione, nel contesto di un’Assemblea in cui sedevano sia i rappresentanti della chiesa russa sia delle chiese ucraine. Il testo, che sostanzialmente riprende le posizioni espresse dall’ultimo Comitato centrale del Cec, è stato inizialmente contestato da entrambe le parti, cosa che tuttavia non ne ha impedito l’approvazione. «il proposito del documento non è di essere esaustivo o di compiacere una o l’altra parte, ma di permettere la continuazione del dialogo, fare in modo che il Cec continui ad essere uno spazio di dialogo sulla strada della riconciliazione», ha spiegato l’arcivescovo Angaelos della Chiesa copta ortodossa e moderatore della Commissione per le questioni pubbliche del Cec.

Lo stesso documento su “Guerra in Ucraina, pace e giustizia nella regione europea” verte, come anticipato, anche sulle migrazioni e comprende un preciso riferimento all’esperienza dei corridoi umanitari e dei progetti di ricerca e soccorso nel Mediterraneo.

Torsten Moritz, segretario generale della Commissione delle chiese per i migranti in Europa (CCME), conferma: «Le migrazioni hanno avuto un ruolo in questa 11^Assemblea, dai Brunnen alle conversazioni ecumeniche fino alla discussione anche in plenaria e come risultato, nel testo della dichiarazione finale, c’è una pagina su migrazioni, razzismo e xenofobia. È un ottimo risultato e un buon segno, utile nel senso che riconosce davvero l’impegno delle chiese, particolarmente in Europa negli ultimi nove anni, da Busan a oggi, e quanto è stato raggiunto rispetto alla protezione dei migranti. C’è ancora molto da fare, anche in termini di advocacy. In questo contesto per la prima volta in un organismo ecumenico di questo livello c’è un riferimento preciso ai passaggi sicuri e ai corridoi umanitari: è il riconoscimento del lavoro che le chiese che fanno parte del Ccme e del Cec sulle questioni migratorie hanno fatto e continuano a fare».

Il clima è stato l’altro grande protagonista dei lavori dell’Assemblea generale: a breve sul sito www.oikumene.org saranno pubblicati tutti i materiali dell’evento, inclusa la dichiarazione pubblica a proposito di ambiente e cura del creato.

Su un altro documento particolarmente discusso, quello sulla situazione in Medio Oriente, e la pace in Palestina e Israele, è stata trovata alla fine dei lavori una sintesi che ha sostanzialmente dato conto delle diverse posizioni espresse dalle delegazioni (in particolare, rispetto all’uso del termine “apartheid”).

Il testo rileva che le autorità stanno comprimendo la presenza cristiana a Gerusalemme, minacciando lo status quo e l’identità multireligiosa e multiculturale della città, oltre a sfollare i palestinesi.

La dichiarazione afferma che il Cec guarda alla regione del Medio Oriente per «le origini storiche della nostra fede, dove Gesù Cristo è nato, crocifisso e risorto».

Il Cec ha affermato il posto legittimo di Israele nella comunità delle nazioni, riconoscendo le sue legittime esigenze di sicurezza.

«Allo stesso tempo, affermiamo il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione e che l’occupazione israeliana dei territori palestinesi dal 1967, così come la costruzione e l’espansione degli insediamenti nei territori occupati, è illegale secondo il diritto internazionale e deve finire».

Il sodalizio ecumenico mondiale ha sempre cercato di essere solidale con i cristiani del Medio Oriente, che continuano una linea ininterrotta di fedele testimonianza cristiana nei loro Paesi, dando contributi vitali alla vibrante diversità e allo sviluppo delle loro società.

«Gli sconvolgimenti, l’estremismo violento che usa la religione come giustificazione, le occupazioni militari in corso, le discriminazioni e le violazioni sistematiche dei diritti umani, le crisi economiche e la corruzione, l’assenza dello stato di diritto e altri fattori hanno contribuito a una crisi gravissima per tutti nella regione».

«Riconosciamo la minaccia al futuro dei cristiani indigeni e di tutti i popoli del Medio Oriente», si legge  ancora nella dichiarazione, che esprime anche preoccupazione per «un’altra ondata di sfollamenti forzati di palestinesi dalle loro case – a volte in più occasioni dal 1948 – come a Sheikh Jarrah, Silwan, nelle colline meridionali di Hebron, così come nel resto dell’Area C».

Il Cec si è infine pronunciato, con tre brevi note, su altrettanti conflitti o situazioni che destano preoccupazioni: Nagorno KarabakhCorea e Papua.

Speciale Karlsruhe// Dorothee Mack, “un cuore per l’ecumenismo”

La teologa e pastora ha celebrato vari culti in preparazione dell’appuntamento del CEC, ospitando anche il pranzo sociale di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della FCEI, domenica 4 settembre.

Consiglio ecumenico delle chiese: la cura del Creato

di Riforma

La giornata dei lavori assembleari di ieri, giorno dell’apertura della stagione del Tempo del Creato, è stata interamente dedicata all’emergenza ambientale in corso

La conferenza stampa del 1° settembre dell’11ª Assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) in corso a Karlsruhe in Germania ha attirato diverse domande da parte dei giornalisti rivolte a tre relatori che hanno celebrato i doni della terra all’apertura del Tempo del Creato, le settimane dedicate dalle chiese cristiane alla sensibilizzazione sull’emergenza ambientale.

Joy Kennedy, moderatora del gruppo di lavoro del Cec sul cambiamento climatico, ha offerto una prospettiva molto personale sul motivo per cui tutti dovremmo preoccuparci del futuro. «Sono stata per molti anni nel gruppo di lavoro del Cec sul cambiamento climatico. Sono una nonna e mi occupo di giustizia intergenerazionale perché il cambiamento climatico riguarda tutti, ma in particolare coloro che sono giovani e non ancora nati», ha detto. «Come nonna, sento che dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere su questo pianeta per avere un futuro sostenibile».

Julia Rensberg, delegata della Chiesa di Svezia e rappresentante del Consiglio del popolo Sami all’interno della Chiesa svedese, ha ringraziato i giornalisti per il loro interesse nella giustizia climatica per i popoli indigeni.

«Faccio parte del popolo Sami e oggi celebriamo il Giorno della Creazione – e per me questo è un grande paradosso», ha detto, aggiungendo che «la natura è fantastica. È magia. È bellezza».

Abbiamo bisogno di Madre Terra per continuare a vivere, ha commentato. «Ma oggi stiamo affrontando la crisi climatica e nella regione artica sta aumentando più velocemente che altrove. Abbiamo visto arrivare la crisi climatica da molto tempo».

Per Reinsberg, i diritti degli indigeni e la giustizia climatica sono la stessa cosa. «Dobbiamo unirci come Chiesa a livello globale per aiutarci a sopravvivere a questa crisi climatica», ha esortato.

Bjorn Warde, delegato della Chiesa presbiteriana di Trinidad e Tobago, ha manifestato la sua gioia per aver potuto esprimere le sue preoccupazioni all’assemblea.

«Oggi celebriamo il Creato, perché ci sono molte cose della nostra creazione che amiamo», ha detto. «Eppure vediamo inondazioni nelle nostre terre. Vediamo frane sulle spiagge».

E ha aggiunto: «Per quelli di noi che conoscono i Caraibi e vedono il paradiso, noi che viviamo nei Caraibi vediamo anche gli effetti del cambiamento climatico».

I giornalisti hanno posto domande che spaziavano dai diritti dei popoli indigeni, all’esplorazione della risposta delle Chiese al cambiamento climatico e a come il Cec unifica il suo lavoro sul clima.

I delegati dell’ Assemblea hanno poi preso parte alla prima plenaria tematica, “Lo scopo dell’amore di Dio in Cristo per l’intera creazione – riconciliazione e unità”.

Il metropolita Emmanuel di Calcedonia, capo della delegazione del Patriarcato ecumenico, ha tenuto una presentazione. «Insieme, come comunità, chiese, città e nazioni, dobbiamo cambiare rotta e scoprire nuovi modi di lavorare insieme per abbattere le tradizionali barriere tra i popoli e smettere di competere per le risorse e iniziare a collaborare», ha detto.

L’arcivescovo Angaelos, delegato della Chiesa copta ortodossa, ha offerto un discorso sulla riconciliazione e l’unità in Medio Oriente.

Angealos ha paragonato le radici di un albero a quelle della Chiesa. «Ogni parte di un albero ha importanza ed efficacia», ha detto. «Quanto più forti sono le radici, tanto più ogni singola parte di quell’albero può esprimere la sua efficacia, il suo scopo e la sua funzione».

I relatori Bjorn Warde, delegato della Chiesa presbiteriana di Trinidad e Tobago, e Julia Rensberg, delegata della Chiesa di Svezia e rappresentante del Consiglio Sami all’interno della Chiesa svedese, hanno offerto riflessioni sul tema dell’assemblea dalle loro prospettive e dal loro contesto.

Warde ha parlato dello sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali nei Caraibi. «Sto ascoltando la Terra che grida verso di noi. Ciò ha incoraggiato i nostri giovani a diventare strumenti di riconciliazione per l’intero creato».

«Noi indigeni viviamo al confine della crisi climatica», ha detto Reinsberg, che ha sottolineato come veda in prima persona la crisi climatica che colpisce la natura. «I nostri mezzi di sussistenza, la nostra cultura e le nostre lingue sono ugualmente minacciati. Per affermare l’amore di Dio nell’intera creazione, noi della comunità globale dobbiamo vivere e proteggere la Madre Terra».

Oggi venerdì 2 settembre, è prevista la protesta per il clima del movimento #FridaysforFuture guidata dai giovani, con una marcia simbolica e un programma di interventi dal palco con voci di giovani, canti, appelli alla solidarietà e all’azione globali.

L’iniziativa è nata grazie all’Ecumenical Youth Gathering (EYG), un gruppo di giovani da tutto il mondo che si ha appunto organizzato lo sciopero per la giustizia climatica, in connessione con il movimento lanciato da Greta Thunberg. L’EYG Climate Group è composto da circa 25 volontari di età inferiore ai 30 anni. Da quando sono arrivati ​​a Karlsruhe, si sono incontrati ogni giorno durante la pausa pranzo per condividere storie ed esperienze a proposito di come il clima stia cambiando i loro Paesi e regioni di provenienza e pianificare lo sciopero.

Consiglio ecumenico delle chiese: appello per rafforzare ed estendere i corridoi umanitari

In corso in queste ore la discussione sulla dichiarazione “Guerra in Ucraina, pace e giustizia nella regione europea”. Il riferimento ai passaggi sicuri e al Mediterraneo nel testo che i delegati stanno vagliando per l’approvazione

«Chiediamo alle Chiese e agli Stati di rafforzare ed estendere progetti per passaggi sicuri come le iniziative dei “corridoi umanitari” e di ricerca e soccorso nel Mediterraneo»*. E’ questo uno dei passaggi del testo che si sta discutendo in queste ore a Karlsruhe dall’Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese, un documento pubblico – uno statement, cioè dichiarazione – su “Guerra in Ucraina, pace e giustizia nella regione europea” ancora suscettibile di emendamenti ma che dovrebbe essere approvato e divulgato nelle prossime ore.

corridoi umanitari sono un progetto realizzato dalla Federazione delle chiese in Italia, con la Tavola valdese e la Diaconia valdese, con il contributo dell’Otto per mille valdese, dal 2016, che è stato esportato poi in altri Paesi europei come Francia e Andorra. Grazie a questa iniziativa sono arrivate in Europa in sicurezza e dignità alcune migliaia di persone, dalla Siria via Libano, dalla Libia e – in un primo volo a fine luglio – anche dall’Afghanistan.

«Se fosse confermata la dichiarazione, dichiara il pastore valdese Luca Baratto, osservatore a Karlsruhe, sarebbe un segnale importante e un riconoscimento anche del lavoro fatto dalle nostre chiese, dalla Federazione delle chiese protestanti in Italia, fautrici di questo virtuoso modello di accoglienza delle persone migranti».

Nel testo, inoltre, un forte impegno contro la marginalizzazione, la stigmatizzazione, la discriminazione, e un’affermazione della «dignità di tutti i rifugiati e i migranti».

* in inglese, il testo originale: “We call on churches and states to strengthen and extend projects for safe passage like the “humanitarian corridor” initiatives and search-and-rescue services in the Mediterranean”.

Il Mediterraneo protagonista all’Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese

da Riforma di Barbara Battaglia

Simone De Giuseppe, pastore battista è intervenuto, davanti a centinaia di delegati da tutto il mondo, all’Assemblea del Cec in corso in Germania, per raccontare l’impegno delle chiese evangeliche italiane nell’ accoglienza e per i diritti delle persone migranti

Anche un pezzetto di Italia e di Mediterraneo oggi di fronte alle centinaia di delegati e partecipanti dell’XI Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec), in corso a Karlsruhe, in Germania. Simone De Giuseppe, 30 anni, alla sua prima esperienza come delegato all’Assemblea del Cec, è intervenuto in seno alla riunione plenaria. Il pastore battista in prova nelle chiese di Gravina e Altamura ha raccontato l’esperienza e l’impegno della Fcei, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, per l’accoglienza e i diritti delle persone migranti.

«Le chiese oggi in Europa hanno una doppia missione – ha detto – : una al loro interno e una verso l’esterno. Quella “fuori da noi” è stare con le persone che si trovano ai margini. Dal mio punto di vista, come italiano, il Mediterraneo è uno di questi margini, una di questi luoghi marginalizzati. Stiamo vivendo un processo migratorio epocale e non possiamo essere indifferenti e dimenticare i tantissimi naufragi che ci sono stati in questi anni. Come Federazione delle chiese evangeliche in Italia, ci occupiamo della questione migratoria nel Mar Mediterraneo da diversi anni con diversi programmi come i corridoi umanitari e il progetto migranti e rifugiati, Mediterranean Hope. In questo senso è stata particolarmente importante l’esperienza del “Pellegrinaggio di giustizia e pace” del Consiglio ecumenico delle chiese che ha visitato Lampedusa e la Sicilia lo scorso maggio.

Allo stesso tempo, le chiese in Europa hanno una missione interna. abbiamo bisogno di imparare a vivere e trasformare le nostre comunità in modo interculturale poiché molti membri delle nostre chiese sono persone migranti. In tempi di secolarizzazione, le nostre chiese spesso crescono grazie ai migranti. C’è quindi la necessità di testimoniare la nostra fede cristiana attraverso la ricchezza delle nostre diverse culture e tradizioni», ha concluso il pastore battista.

Com’è stato parlare di fronte alla platea del Consiglio ecumenico? «E’ stata una grande emozione, un onore e un privilegio – ha dichiarato Simone De Giuseppe all’agenzia stampa Nev una volta concluso il panel -, poter intervenire di fronte a così tante persone, di diverse tradizioni cristiane. Rispetto al tema in sé ho apprezzato e sono contento di aver potuto parlare di Europa e quindi del continente di cui faccio parte non solo focalizzando il tema su un fronte – la questione ucraina – ma cercare anche di intendere l’Europa in senso più  ampio, facente parte di un mondo più complesso, che si muove , che apre tanti fronti come quello del Mediterraneo, di cui ho parlato. Penso sia stato importante riuscire a parlare di Europa inserendola in una visione più larga, che comprende le forti relazioni con tutti i popoli del mondo. Un’esperienza arricchente e di maturazione anche personale poter condividere un messaggio come questo in uno spazio internazionale».

Pillole da Karlsruhe, il “World social forum delle chiese” nella città dei diritti

Da Riforma

di Barbara Battaglia

Non solo chiese per le strade della città tedesca ma anche decine di organizzazioni, associazioni, voci della società civile impegnate a vario titolo per i diritti, l’ambiente, le minoranze

Una specie di Forum sociale mondiale, delle chiese ma non solo. Potrebbe essere questa la prima impressione, per neofiti, ça va sans dire, camminando in questi giorni a Karlsruhe, in Germania, a metà strada tra Strasburgo e Stoccarda. Migliaia di persone da tutto il mondo, credenti e laici, si sono dati appuntamento alla 11^ Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese. Una vetrina per Ong, associazioni, società civile e realtà impegnate a vario titolo per la giustizia sociale, i diritti delle persone, l’ambiente…Ma anche un crogiolo di personaggi e persone, nazionalità e popoli, ruoli e lingue parlate. Eccone una prima – e ovviamente parzialissima – carrellata.

Karlsruhe, città del diritto (e del riposo…)

«Karlsruhe – spiega Dorothee Mack, pastora protestante che dopo anni di servizio pastorale nella Chiesa valdese e metodista di Milano si è trasferita nella città nel Baden-Württemberg –  significa “riposo di Carlo”, letteralmente. Perchè è stata fondata dopo il riposo di un marchese, Carlo Guglielmo, che dopo aver fatto un giro a cavallo in questa zona, sognò un castello. Da quel sogno scaturì la sua volontà di avere un castello come quello di Luigi XIV a Versailles: così è nata Karlsruhe, nel 1715. Prima con l’edificazione del castello nella sua forma attuale e poi con tutte le strade che da qui partono, a forma di ventaglio». Oggi la città è riconosciuta come capitale del diritto, in quanto sede della Corte costituzionale tedesca.

Per la pace tra le due Coree

Cento milioni di firme per la riconciliazione e la pace tra le due Coree. Il Consiglio nazionale delle chiese in Corea (http://www.kncc.or.kr) è presente anche con un banchetto informativo e alcuni volontari che promuovono una petizione e una raccolta firme per una soluzione ed un’evoluzione pacifica dei rapporti tra Pyongyang e Seul. L’anno prossimo ricorrerà infatti il settantesimo anniversario dell’armistizio di pace che pose fine alla guerra di Corea del 27 luglio 1953. L’obiettivo, come detto, è raccogliere entro il 2023 cento milioni di firme «contro la guerra» tra le due Coree, «per una transizione dall’armistizio alla pace» e la creazione di una penisola coreana e di un mondo «liberi dalle armi nucleari». La campagna si intitola End the Korean war, per maggiori informazioni: en.endthekoreanwar.net.

Per un’India senza caste (e per l’intersezionalità delle lotte)

Il pastore Chandran Paul Martin arriva dall’India e lavora per la chiesa evangelica luterana in America. Lo stand dove lo incontriamo si chiama “cast out caste” (gioco di parole che significa “scacciare la casta” ma anche “emarginati”, ndr). Fa riferimento ad un sistema, quello delle caste in India, «totalmente oppressivo, sociale, economico, più antico di tutte le religioni. Le caste dividono le persone in categorie e gerarchie e noi – i fuori casta – non apparteniamo a nessuna di esse. Noi lottiamo per la giustizia anche all’interno delle chiese perchè non possiamo seguire Cristo e praticare le caste; non si può essere cristiani e supportare il razzismo. Non possiamo supportare il patriarcato, non possiamo supportare nessuna forma di sessismo. Il corpo di Cristo è un corpo che parla di inclusione. Noi chiediamo al Cec e a tutto il movimento ecumenico di guardare all’intersezionalità della giustizia». Chiedono un impegno più forte delle chiese, contro ogni forma di razzismo. E al Consiglio ecumenico delle chiese, in particolare, di «includere il problema delle caste» nel suo programma e nella sua agenda, con un riferimento e una citazione in una dichiarazione pubblica tra quelle diramate dal Cec.

Per le donne afrodiscendenti di tutto il mondo

La pastora Barbarann Brelnd Paween dagli Stati Uniti è la rappresentante del Pan African Women of Faith ecumenica empowerment network, che promuove il workshop dal titolo “Justice, peace, love & Ubuntu”. Di che si tratta? «Lavoriamo per l’organizzazione e l’empowerment delle donne afrodiscendenti e africane in tutto il mondo. Vogliamo educare tutte le donne e i nostri figli, e le nostre comunità, da tutti i continenti. Vogliamo cambiare la narrativa circa il ruolo delle donne afrodiscendenti nella società e nella storia».

Il seminario si svolge il 6 settembre dalle 17 e ci si può iscrivere su https://paw-paween.eventbride.com.

Sempre a proposito di tematiche di genere, numerose attività sono state dedicate a #ThursdaysInBlack, la campagna globale per un mondo senza stupri e violenze.

E ancora, riguardo donne e femminismi, un banchetto tra quelli presenti ai Brunnen (spazi dove si svolgono attività culturali, performances e spettacoli), è dell’International Association of Women ministers, che «promuove, incoraggia e celebra le donne nel ministero cristiano», ovvero l’ordinazione delle donne.

Dalla Spagna  

La pastora Marta Lopez Ballalta è delegata della Chiesa evangelica spagnola. Per Ballalta l’Assemblea del Cec «è uno spazio che apre gli occhi rispetto alle situazioni di tante parti del mondo, sulla complessità e l’ampiezza di quanto succede lontano da noi, una opportunità di conoscere modi diversi di pensare, anche non in sintonia coi nostri, che portano però ad un dialogo molto interessante. Spero che sia una occasione per aprire porte e contatti, per poter condividere diverse realtà».

Quanto alle sfide delle chiese in Spagna, «la laicità: noi difendiamo una società laica in cui la chiesa è una opzione. Ma c’è una laicità fraintesa dalla società, che tende a nascondere la religione, il fatto che esista un compromesso della fede in molti ambiti. Sulle migrazioni, che siano climatiche o causate dalle guerre, dobbiamo essere come chiese capaci di impegnarci per tutti e tutte – para todos. Il mondo è complesso, ci sono molte religioni e credi, dobbiamo essere capaci di impegnarci per tale complessità, rispettando le peculiarità di ognuno».

In merito ai diritti LGBTQI+, «sono sfide importanti per le nostre comunità e per le chiese. Per lo meno in Spagna è un tema cruciale, ma sul quale le chiese non hanno ancora fatto abbastanza».

 

Gruppi di lavoro ecumenici

Sono entrati nel vivo anche i lavori di vari gruppi tematici, ai quali partecipano anche membri della delegazione italiana presente a Karlsruhe. «Oggi ho presentato il risultato del gruppo di lavoro congiunto tra la chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico delle chiese – spiega il pastore valdese Michel Charbonnier – , un gruppo di circa venti persone che tra un’assemblea e l’altra porta avanti una riflessione comune tra questi due organismi. Si tratta di un gruppo di lavoro consultativo, che non prende decisioni dunque ma che orienta il lavoro e la discussione su temi ritenuti di importanza comune, producendo dei documenti per questi due organismi, che aiutino questi due organismi nell’impegno successivo. Ad esempio, in questi ultimi sette anni, il gruppo ha lavorato su due documenti importanti, teologici, uno sulla costruzione della pace, l’altro sul tema delle migrazioni e dell’accoglienza dei migranti nelle chiese. Tutti e due si sono rilevati estremamente attuali».

Voci dalla frontiera: Mediterranean Hope, le arance di Rosarno 

Nel pomeriggio, tra le numerose attività a margine dell’assemblea, si è svolto un seminario sull’esperienza di Mediterranean Hope (MH), programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia e in particolare sulle attività nella Piana di Gioia Tauro. Al workshop hanno preso parte per MH la coordinatrice del progetto, Marta BernardiniFiona Kendall e l’operatore a Rosarno Ibrahim Diabate. Al centro dell’incontro la vendita delle arance della filiera “Etika”, promossa da MH insieme a Sos Rosarno, con le testimonianze della Chiesa di Scozia e della Chiesa della Westfalia, che hanno organizzato una rete di distribuzione dei prodotti agrumicoli rispettosi dei diritti dei lavoratori braccianti e dell’ambiente.

Speciale Karlsruhe// Il primo giorno: “Un’occasione da non perdere per vedere le crisi da altri punti di vista”

Il commento del pastore Luca Baratto, segretario esecutivo della FCEI, in partenza per l’Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese.

Roma (NEV), 31 agosto 2022 – “Da un punto di vista ecumenico i rapporti tra le chiese sono importanti – anche in virtù di quanto successo in Ucraina – ma da una prospettiva più ampia la crisi ambientale è ancora più urgente: non perdiamo quest’occasione che si verifica ogni sette anni per cercare di avere un impatto in ogni ambito”. Così il pastore valdese Luca Baratto, segretario esecutivo della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, in partenza per Karlsruhe, dove sarà uno dei partecipanti italiani, delegato con voce consultiva, all’11^ Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC, in inglese WCC), che si tiene dal 31 agosto all’8 settembre. 

“Occorre uscire da un punto di vista esclusivamente europeo, è necessario uno sguardo globale della testimonianza cristiana rispetto alle sfide del nostro tempo”, aggiunge.

QUI il programma dei lavori, giorno per giorno: https://www.oikoumene.org/sites/default/files/2022-08/Day-by-Day-Schedule-14082022-ENG.pdf

QUI la diretta, sia delle plenarie che delle conferenze stampa: https://www.oikoumene.org/assembly/assembly-live

QUI la gallery fotografica dell’evento: https://oikoumene.photoshelter.com/galleries/C0000VFYoZ6eMlZc/WCC-11th-Assembly-Karlsruhe-Germany