,

Il Vangelo secondo Harry Potter

PETER CIACCIO,
Claudiana Editrice, Torino, 2011,
pp. 110, Euro 10,00

 

Non so se avete letto i libri di Joanne Rowlings che narrano le avventure del celebre Harry Potter o se avete visto i film tratti da quei libri, ma questo testo del pastore Peter Ciaccio vi farà desiderare di conoscere più da vicino questo personaggio e il mondo magico nel quale la sua saga è ambientata. Il titolo non deve ingannare: non si tratta di teologia “pura”, ma di un gustoso (per quanto serio) tentativo di ritrovare – nei libri come nei film della serie – echi e suggestioni cristiane o, più generalmente, bibliche, in polemica con chi vede in questi racconti fantasy uno strumento di Satana che, attraverso l’istigazione alla magia, spinge i ragazzi verso il Male. Niente di più falso: e Peter Ciaccio ce lo dimostra, rintracciando nell’opera della Rowlings i concetti di vocazione e di predestinazione, i temi della morte e dell’amore, gli inganni del potere e il senso della giustizia, e stabilendo addirittura un confronto tra le “maledizioni senza perdono”, proibite nella scuola di magia di Hogwarts, e il “peccato imperdonabile” contro lo Spirito Santo di cui parla Gesù nel Vangelo di Matteo. Queste suggestioni cristiane, di cui forse l’autrice stessa è inconsapevole, convivono nella sua opera accanto ad echi della mitologia classica, celtica e nordica, con l’effetto di indirizzare i minori verso una crescita responsabile e una giusta presa di posizione nell’eterna lotta tra il Bene e il Male. La saga di Harry Potter è un classico romanzo di formazione, in cui la magia è solo uno strumento per catturare l’attenzione dei lettori divertendoli e stimolandone la fantasia. Infatti, essa non è offerta come la facile soluzione a tutti i problemi: è un dono, ma è anche una conquista, perché la si raffina con l’impegno e lo studio, e il mondo magico in cui Harry si muove non è alternativo, ma parallelo al nostro e non è un mondo idilliaco, ma ripropone le stesse dinamiche del nostro mondo, gli stessi problemi, le stesse paure; inoltre, l’uso della magia è vietato al di fuori della scuola di Hogwarts. Perno centrale del pensiero della Rowlings sembra essere, secondo Ciaccio, il superamento di una visione dualistica del mondo, a favore di una maggiore complessità del singolo individuo: lo stesso Harry, lungi dall’essere l’eroe per eccellenza, è pieno di dubbi, incertezze e sfumature ambigue che lo rendono perfettamente “normale”. Il superamento del banale schematismo bianco-nero e buono-cattivo è un monito contro ogni razzismo, che ci riporta alle parole di Paolo nella lettera ai Galati: “Non vi è nè Giudeo, nè Greco; non vi è nè servo, nè libero; non vi è nè maschio, nè femmina, poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù”.

Io sarò per voi

12 febbraio 2017

Esodo 3,1-14

Nelle settimane passate poco dopo l’attentato di Berlino, mi ricordo di aver assistito ad un susseguirsi di servizi televisivi e articoli che cercavano di capire le ragione del gesto dell’attentatore, il tunisino Anis Amri, partendo dalla sua storia, dai suoi dati biografici.

Insomma la domanda ‘perché l’ha fatto?’ era strettamente collegata all’altra: “Chi era Anis?”

In questo brano di Esodo due sono i personaggi che si muovono sulla scena e di entrambi qualcosa si sa, qualcosa si svela, qualcosa cambia.

Se certamente nel brano i personaggi sono due, è Dio colui che muove l’azione: tutto quel che accade in questo momento e che accadrà nella vita di Mosè avviene per iniziativa divina.

E Dio, per far risuonare la sua voce, per iniziare questa relazione con Mosè che avrà carattere personale e dialogico, sceglie una localizzazione non tradizionale e non religiosa, ma che nella Bibbia ha un valore altamente simbolico: il monte Horeb. Luogo fondamentale anche per un altro incontro, quello di Dio con il profeta Elia, e che porta ad un altro tipo di Esodo: il profeta che esce e lascia la caverna per andare in missione.

Ma torniamo al nostro testo e qui ciò che cattura l’interesse di Mosè e lo muove all’incontro è una visione. “La curiosità conduce alla vocazione” scrive l’esegeta Fretheim.

La visione del pruno che arde senza consumarsi non è, però, solo un fatto accessorio, ma aggiunge qualcosa all’ascolto perché Dio si presenta come colui che viene incontro e si rivela non solo a livello celebrale, ma afferrando la persone che ha scelto nella loro completezza, nella loro totalità anche carnale.

È un Dio che utilizza la natura come un suo strumento per rivestire quel che naturale non è, un Dio che infrange le leggi della natura per suscitare l’incontro, eppure lo fa attraverso “un’apparizione umile”, osservano i rabbini, come ad offrire all’umanità la possibilità di entrare in un dialogo genuino con lui.

Infatti, in questo incontro Dio non chiede a Mosè, e a tutti coloro che Egli sceglie e chiama, di auto-annullarsi: non siamo destinatari passivi, ma interlocutori attivi, e spesse volte oppositori.

In effetti, se ci pensiamo bene, qualcosa del genere accade a Mosè che, dopo essersi avvicinato per vedere il pruno ardente, quando comprende chi ha dinnanzi nasconde la faccia. Normalmente si è portati a pensare che questo sia un atto di deferenza, di rispetto nei confronti della maestà divina.

Però si potrebbe tentare un’altra spiegazione e sono proprio l’atteggiamento e le parole divine, secondo me, ad offrircela.

Dio si presenta come colui che ha un legame storico e affettivo con Mosè perché è il Dio dei suoi padri, degli antenati.

Ma Egli è anche colui che ha visto la sofferenza del popolo d’Israele che egli definisce il suo popolo.

Dio non osserva la sofferenza da fuori, ma se ne sente personalmente coinvolto e la partecipazione empatica, che poi diviene azione, è marcata proprio da quel ‘vedere’.

Il volto di Dio che guarda verso l’essere umano è per il salmista segno di relazione e favore divino, ma anche noi esseri umani nel voler istaurare o meno una relazione guardiamo chi ci sta innanzi o distogliamo lo sguardo.

E quante volte capita di farlo di fronte alle insopportabili sofferenze di tante vite umane?! Quante volte distogliamo lo sguardo per non essere toccati dalla sofferenza?!

Ma Dio no. Dio guarda, osserva, ascolta il grido di dolore e si muove incontro all’umanità per liberarla da ciò che provoca sofferenza, schiavitù.

Non un movimento per migliorare la situazione di questi derelitti rendendola più accettabile, ma una radicale e totale liberazione.

Questa comprensione del Dio Uno come sorgente di libertà umana si sviluppa attraverso tutti gli scritti dell’Antico Testamento fino al Nuovo trovando nell’Abbà Padre di Gesù la sua piena manifestazione.

Ma la storia di relazione tra Dio e Mosè fa qui un salto in avanti perché da questo incontro sulla scia di una promessa di libertà nasce anche la vocazione dell’essere umano a partecipare a questa liberazione.

Ed ecco che quella chiamata per nome cui l’ebreo fuggitivo riparato a Madian aveva risposto prontamente ‘Eccomi’, viene ora come fermata dalla titubanza umana: “Chi sono io per partecipare a quanto mi chiedi? È compito troppo arduo per la mia pochezza”.

In queste titubanti parole di Mosè, colme di falsa umiltà e di molta provvida viltà, tanti di noi e le nostre chiese nel complesso possono tranquillamente rispecchiarsi…

A questa, che è solo una delle otto obiezioni che l’eroe di Israele solleva per il suo mandato, Dio replica asserendo che Egli stesso starà con lui in tutto quello che intraprenderà.

L’io di Mosè sarà sempre accompagnato dall’Io divino, da quel Dio che lo conosce, che conosce Israele e la sua sofferenza e che conosce chi siamo noi.

Ed in effetti, Dio non chiama persone qualificate, ma qualifica le persone che chiama cui assicura la sua presenza costante e per conseguenza anche la certezza della vocazione anche se una tale consapevolezza giunge a Mosè come segno, e anche a noi direi, solo dopo che gli accadimenti sono avvenuti.

Al momento possiamo andare solo con la fiducia in questo Dio che sarà con noi, cui fa da pendant teologico la domanda retorica: “E se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rm. 8,31b)

La stessa fiduciosa domanda che un Wesley ormai anziano e privo di forze fisiche, ma non certo mentali e spirituali, rivolgeva in una lettera al deputato americano anti schiavista, William Wilberforce per sostenerlo nel suo impegno di liberazione.

Ebbene nel dialogo serrato che avviene tra l’essere umano e il divino ecco che sorge un’altra domanda che si lega alla prima: dal “chi sono io?”, Mosè passa al “Chi sei tu che prometti di camminare con me?”

La disponibilità umana si incontra con la disponibilità divina.

Dio si rivela interagendo con l’interlocutore umano che lo interroga.

Ecco che qui si presenta uno dei versetti su cui si sono maggiormente spesi i traduttori, gli esegeti e i teologi, quello che indica il nome divino: “elyeh asher elyeh” composto da una voce del verbo essere in ebraico, ripetuta due volte alla prima persona al singolare, più un pronome personale.

Questa frase è normalmente tradotta con “Io sono colui che sono” o “Io sarò quel che sarò”, ma potrebbe anche essere tradotta, e più correttamente secondo Fretheim, “Io sarò quel che sono/Io sono quel che sarò” che indicherebbe “Io sarò Dio per e con voi” quindi non solo ora ma pure nel futuro.

E allora quel “Io sarò con te” detto a Mosè al versetto 12 anticipa l’indicazione del Nome divino.

Pertanto nell’indicare il suo nome, il Signore esplicita anche la sua relazione con il popolo d’Israele e l’umanità tutta perché se da una parte vi è il legame con la storia del popolo attraverso l’essere il Dio dei patriarchi, dall’altra vi è pure in quel “Io sarò Dio per voi” un impegno forte ad essere una parte della storia attraverso un legame personale anche con i singoli che questo popolo compongono.

Ma far conoscere il proprio nome implica pure una certa vulnerabilità e un mettersi a disposizione di coloro, in ogni tempo, di cui si ascolta il grido di dolore.

Questo vale per Dio che si rivela e definisce nel suo nome relazionale, ma vale anche per l’eroe e profeta del mondo ebraico che nella sua chiamata in missione, nel cammino di fede con il Creatore del cielo e della terra, scoprirà pure la sua identità.

Un progetto e una rivelazione in divenire.

Sorelle e fratelli,

se Dio è il Dio per noi che ci chiama, la nostra missione in quanto singoli e come chiesa metodista è, come quella di Mosè, di cooperare a liberare il popolo dall’oppressione e riconoscere agli altri il diritto alla libertà.

La chiamata ci può giungere ogni giorno in un luogo che non è sacro per definizione, ma che lo diventa in virtù di questo incontro. E Dio si incontra con noi nella nostra unicità e ci coinvolge in una missione di salvezza dove ognuno di noi è chiamato a svolgere la sua parte unica, irripetibile.

Anche nel nostro vagare distratto, annoiato, possiamo inciampare nei nostri pruni ardenti – sono le brucianti opportunità che Dio ci offre per catturare la nostra attenzione nel quotidiano.

Ci lasceremo cogliere dallo stupore e dalla curiosità per una passione che nel bruciare non si consuma?

“Suolo sacro” per noi anche in assenza di templi, di chiese, perché da questo evento noi udremo la voce di Dio che ci chiama per nome, come chiamò l’ebreo fuggitivo, e da questa chiamata fa nascere la nostra vocazione che è pure un impegno per l’umanità, come lo esprimeva Wesley sintetizzandolo nel motto: “la mia parrocchia è il mondo”.

E Dio, il nostro Dio, “il sarò per voi” fornirà a noi suoi chiamati gli strumenti necessari, non per farci saltare in aria come il presunto Dio del giovane tunisino, ma per farci partecipi di un’azione di liberazione in una situazione di abbandono e di degrado che sembra essere senza via di uscita, eppure non lo è se Dio è con noi.

Amen

Pastora Mirella Manocchio

 

 

 

 

 

 

 

Letture bibliche: Matteo 17,1-9; Romani 8,31-34

La missione di Mosè

5  febbraio 2017

 

Esodo 3,1-14

Il pruno ardente; la chiamata di Mosè
At 7:30-34 (Es 2:23-25; 6:2-8) Am 7:14-15
1 Mosè pascolava il gregge di Ietro suo suocero, sacerdote di Madian, e, guidando il gregge oltre il deserto, giunse alla montagna di Dio, a Oreb. 2 L’angelo del SIGNORE gli apparve in una fiamma di fuoco, in mezzo a un pruno. Mosè guardò, ed ecco il pruno era tutto in fiamme, ma non si consumava.
3 Mosè disse: «Ora voglio andare da quella parte a vedere questa grande visione e come mai il pruno non si consuma!» 4 Il SIGNORE vide che egli si era mosso per andare a vedere. Allora Dio lo chiamò di mezzo al pruno e disse: «Mosè! Mosè!» Ed egli rispose: «Eccomi». 5 Dio disse: «Non ti avvicinare qua; togliti i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale stai è suolo sacro». 6 Poi aggiunse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio d’Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe». Mosè allora si nascose la faccia, perché aveva paura di guardare Dio.
7 Il SIGNORE disse: «Ho visto, ho visto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni. 8 Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei. 9 E ora, ecco, le grida dei figli d’Israele sono giunte a me; e ho anche visto l’oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire. 10 Or dunque va’; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall’Egitto il mio popolo, i figli d’Israele».
11 Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire dall’Egitto i figli d’Israele?» 12 E Dio disse: «Va’, perché io sarò con te. Questo sarà il segno che sono io che ti ho mandato: quando avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, voi servirete Dio su questo monte».

 

La missione di Mosè
De 32:3; Es 4:28-5:4
13 Mosè disse a Dio: «Ecco, quando sarò andato dai figli d’Israele e avrò detto loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato da voi”, se essi dicono: “Qual è il suo nome?” che cosa risponderò loro?» 14 Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono». Poi disse: «Dirai così ai figli d’Israele: “l’IO SONO mi ha mandato da voi”».

 

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

il 15 gennaio, il nostro un giorno una parola ha proposto di interrogarci sulla richiesta di Mosè a Dio di farsi vedere, di rivelare il suo volto.

Dio non ha esaudito la sua richiesta ma gli ha fatto sapere che assicurerà a lui la sua bontà, il suo nome, la sua grazia e la sua pietà.

Oggi facciamo un passo indietro perché l’incontro di Mosè con Dio è successo per un motivo preciso,  per un incarico,  per una missione. Dio disse: <<Io ti mando, va!>>.

Ciò che farà Mosè dopo questo incontro è di eseguire la richiesta di portare alla libertà il popolo di Israele dalla mano del Faraone.  Mosè sarà quello che dovrà far uscire gli israeliti dalla casa di Egitto.

Da questo intervento Dio  sarà riconosciuto il liberatore, colui che è, colui che opera attraverso l’uomo che sceglie.

È  attraverso questa persona  che  manifesta la sua potenza.

E  in cambio sarà lui(il Dio) proclamato e adorato dalla comunità dei credenti liberati.

Il monte Oreb diventa santo perché lì si incontrano l’adorato e gli adoratori a partire dall’incontro di Dio e Mosè.

Il monte Oreb è il luogo di una conversazione intima: il luogo di preghiera

Dio e Mosè si sono parlati, Dio ha profetizzato sull’ obiettivo da raggiungere.

Per un lungo tempo, Dio e Mosè  devono proseguire insieme il cammino per una buona causa, per liberare un popolo dalla sofferenza creata da un altro.

Questo significa che anche  oggi,  in primo luogo,  Dio continua a chiamare un uomo  per un compito ben preciso da svolgere. Non importa quando ciò avvenga.  In secondo luogo il chiamato diventa uno che porta avanti questo compito per l’altro o per gli altri.

Gli israeliti saranno liberati dalla schiavitù degli egiziani.

Essi saranno liberati dalla mano, dal dominio di un altro popolo.

Il Dio dei padri (Abramo, Isacco e Giacobbe) è quello che manderà Mosè a compiere il compito di liberare un popolo, il popolo di Israele.

Mosè mostra curiosità durante il primo incontro con Dio.

Mosè, che accompagnava il gregge di suo suocero Ietro , deve cambiare mestiere e assumere un compito molto importante e come diciamo spesso  servire Dio e fare la sua volontà è un compito serio. E uno non si sente spesso all’altezza o in grado di farlo. Solo con Dio si può fare: <<io posso con colui che mi fortifica>>come dice l’apostolo Paolo.

L’umiltà è un atteggiamento molto positivo da acquisire anche per la nostra comunità come chiesa, perché come dice ancora  l’apostolo Paolo: << noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché questa grande potenza sia attribuita a Dio e non a noi>>.

Mosè disse: «Ora voglio andare da quella parte a esaminare meglio questa grande visione e come mai il pruno non si consuma! Questo fatto avvia una comunicazione tra Mosè e Dio. << Il SIGNORE vide che egli si era mosso per andare a vedere>>. Mosè è andato a focalizzare meglio quella visione, fatta dall’angelo del Signore  e  Dio  ha visto che lui si è mosso.

Molte volte ci sarà capitata questa esperienza e a causa della nostra curiosità siamo andati oltre. Per un tempo abbiamo, probabilmente, abitato in un luogo con i nostri cari e per stare con loro ci siamo fermati.

Poi, magari, per alcuni di noi vedere una fotografia bella di un  paesaggio, di una città bella da visitare ha cambiato la nostra vita.

Altri e altre a causa di un incontro hanno fatto insieme un lungo cammino come nel caso della vocazione  matrimoniale. Un patto di due persone credenti porta a   sperimentare e vivere un matrimonio vissuto cristianamente perché Dio le impegna a compiere questo incarico.

Andare e vedere con i nostri occhi una cosa, incontrare una persona può essere sempre  un punto di partenza. Così è successo a Mosè. Con la sua curiosità, certo, non si aspettava questo compito. Il mondo si apre davanti a noi dopo una semplice curiosità.

Io sono in partenza.

Andrò a Chicago e per 2 mesi cercherò di raggiungere gli obiettivi che mi sono prefissata. Ho fatto un progetto in cui mi sarei impegnata a focalizzare il mio tempo analizzando il programma sull’ essere chiesa insieme, negli stati uniti a partire dalla chiesa presbiteriana di Edgewater e fare un confronto con la nostra esperienza in Italia.

Ma  il racconto di questo episodio mi fa pensare che la mia curiosità di conoscere una parte del popolo statunitense e un paese nuovo potrebbe portarmi a riconsiderare le mie idee e di conseguenza la direzione della mia vita.

Penso che questo possa essere capitato a molti di noi se non a tutti noi. Andiamo a vedere  un posto nuovo e Dio si fa vedere e lì che ci accorgiamo che è sempre presente per condurci e guidarci. Entra nella nostra vita per potenziare la nostra capacità di affrontare la realtà e ci conduce a vivere una vita più vasta e più ampia.

In questi  giorni ho avuto degli incontri con alcune e alcuni di voi. Ogni incontro è stato molto intenso perché il vostro racconto di vita e le vostre esperienze  sono state molto interessanti.

Il vostro scopo di venire a Roma per studiare o lavorare non è stato solo raggiunto e ottenuto ma a ciò si è aggiunto anche qualcosa di molto più importante: quello di aver trovato un compagno o una compagna di vita per fare un cammino insieme.

L’incontro, poi, la decisione di stare insieme e fare un percorso di vita e di crescita è ciò che succede a noi tutti quando decidiamo di stabilirci in un luogo. Il luogo in cui possiamo liberamente stabilire e costruire la nostra vita, casa e famiglia.

Quanti di voi , nostri fratelli e sorelle italiani, sono venuti  a Roma da un’altra città? Anche noi tutti stranieri che siamo venuti da più lontano impariamo a capire che siamo andati via dal nostro  paese, da una cultura diversa ma abbiamo deciso di restare qui per una ragione specifica. La realtà della vita la creiamo noi, l’ambiente dipende da noi: <<il mondo cambia quando cambiamo noi>>. Dio ci accompagna nella nostra curiosità e ricerca continuamente.

Per noi credenti che abbiamo osato  allontanarci dalle nostre  origini  e dalla nostra terra ci accorgiamo forse di più  che Dio ci ha accompagnato dove siamo arrivati.

Siamo cambiati tanto da quando abbiamo deciso di andare via. Come  Mosè che ha detto: «Ora voglio andare da quella parte a vedere questa grande visione e come mai il pruno non si consuma!» forse anche noi abbiamo pensato <<vado la’ a vedere e, quindi, a sperimentare una realtà diversa da quella che abbiamo sempre fatta  >>

Questa scelta diventa  punto di partenza per  scoprire una nuova strada  con il Dio nostro che vive insieme a noi.

Grazie a questa esperienza di Mosè scritta nella Bibbia,  libro scritto dagli uomini ispirati da Dio, abbiamo un quadro chiaro della vita di un uomo credente.

Chiaro nel senso che c’è un punto di partenza dell’uomo nel suo cammino, un progetto  da realizzare,  ma poi lungo il cammino ci saranno altre  tappe per raggiungere ciò che Dio vuole per ciascuno/a di noi.

<<Le vie del Signore sono infinite>> perché ha infinite  vie che percorre  con noi.

Noi scegliamo e ci accompagna per una buona causa.

Ha ragione Dio quando disse a Mosè <<tu non mi puoi vedere>>(in questo senso che  il volto di Dio è presente nel suo percorrere la terra con noi tutti.

Dove siamo c’è anche il nostro Dio: <<l’io sono colui che sono, o io sarò colui che sarò>> il vivente è proprio il Dio dei nostri padri: Abramo, Isacco, Giacobbe.

Cara comunità, se oggi abbiamo ricordato attraverso il libro dell’ Esodo, il Dio santo che ha scelto Mosè  per liberare il popolo di Israele, ciò rinnova la nostra consapevolezza del nostro essere stati liberati e siamo liberi di fare ciò che è bene per noi e per gli altri.

Vito Mancuso, un professore universitario,  ha scritto  un libro di recente  intitolato: <<Il coraggio di essere liberi>>. Rifacendomi al suo pensiero, ricordiamo di essere già stati liberati da Dio, quindi ciò che dobbiamo fare è di vivere veramente la nostra libertà.   È contro la volontà di Dio che  l’uomo domina un altro uomo nel senso che  lo schiavizza, lo maltratta, lo fa lavorare duramente per il suo interesse. Come adesso c’è un popolo che soggioga(sottomette)  un altro popolo.

Ora, Donald Trump, il presidente neoeletto degli stati uniti ha cominciato a governare il popolo americano. Vuole implementare un governo che limita il flusso migratorio fra i popoli. Un pensiero, un’idea che vuole innanzitutto selezionare, delimitare, confinare. Alcuni  popoli stranieri non hanno più la  possibilità di entrare negli stati uniti quindi non è più un paese democratico, perché non tutti  avranno più la possibilità di accesso.

Penso che sia difficile giudicare questo fatto giusto o meno, ma come  credente io credo  che lui debba rendere conto a Dio, in qualità di capo di una parte d’umanità che deve dare una mano ad emancipare. Lo scambio di popoli immigrati che hanno dei talenti porta sempre un beneficio e una crescita a un paese come gli stati di America. Quando parliamo però di povertà nelle sue varie sfaccettature, l’aiuto deve essere un compito perenne ovunque siamo. I poveri ci sono sempre e vanno aiutati.

Dio e Mosè hanno parlato di liberazione, ognuno ha il dovere di lottare per non essere sottomesso quindi per essere libero. Dio tramite Mosè ha operato, ha lottato insieme a lui perché un popolo fosse liberato. Si lotta con Dio per una buona causa. Dio ci ha donato la nostra libertà per fare la sua volontà e questa libertà non vuol dire essere liberi di fare quello che vogliamo, ma liberi per liberare l’altro che  è oppresso. Dio ci guarda e vede le nostre mosse e conta molto sul nostro operare.

Penso che sia molto importante  farci guidare e accompagnare  da lui in questo senso, finché viviamo come suoi popoli liberati dai nostri peccati.

Dal tempo in cui Dio è sceso a dimorare fra noi, egli non ha smesso di cercare e trovare nella storia degli uomini coloro che potevano liberare gli oppressi dagli oppressori.

In questo racconto Dio ci svela di nuovo che ha bisogno di persone che dicano come il canto che abbiamo cantato nel coro: <<Eccomi Signore, è proprio io Signore/Here I am, Lord, is it I Lord?>>.

Che il Signore diriga i nostri passi e che ci accompagni nelle nostre scelte di vita. Amen.

 past. Joylin Galapon