La fede e l’accoglienza

Giacomo 2,1-13

Care sorelle e cari fratelli nel Signore, oggi il lezionario  ci propone un brano che l’apostolo Giacomo ha voluto trattare nella comunità di credenti d’allora. Il brano mette in evidenza il pericolo del giudizio basandosi all’apparenza. Giudicare secondo ciò che si vede e ciò che si vuol far apparire è un peccato contro tutta la legge di Dio.

Si dice l’apparenza inganna per cui  ciò che si vede con gli occhi, bello e brutto non può essere un giudizio giusto per parlare della verità. Ai credenti di allora erano stati ammoniti di essere immuni da favoritismi così sia per noi oggi secondo l’insegnamento dell’apostolo.  Significa che i fratelli credenti in Gesù Cristo devono stare attenti a non farsi influenzare dal modo di giudicare in base all’aspetto esteriore che rischia di avere  un riguardo personale.

Quando meditavo su questo brano mi è venuta in mente questo discorso di mia madre, noi figli, quando eravamo piccoli ci diceva spesso che quando si va in chiesa si deve vestire bene. Uno/a deve indossare il vestito più bello che ha. Un vestito nuovo si deve indossare prima in chiesa. Addirittura, ci sono i vestiti per la chiesa separati da quelli per tutti i giorni. Questo è vero tra alcuni filippini, ancora adesso sento  parlare di vestiti fatto apposta per la domenica, per il culto(Sunday dress), per il semplice motivo che è necessario presentarsi a Dio, al fratello e alla sorella con un aspetto presentabile, dignitoso, pulito, decente per sentirsi gradito. Tutti i membri della comunità devono  in un certo senso trovarsi e ritrovarsi in questo ordine e comprendere che questo fatto è la manifestazione della buona accoglienza.

Quindi, bisogna essere in ordine quando si va in chiesa. Lo stesso per il discorso sull’arredo del tempio in cui viene considerato come le panche devono essere tutte uguali, non devono mancare i fiori da mettere sul tavolo per la santa cena ogni domenica.

A me piace questa idea dell’essere in ordine, di sentirsi proprio in ordine per se stessa e poi per l’altra persona, di trovarsi tutto a posto nei luoghi di adunanza.

Lo stare insieme la cosiddetta ‘fellowship’  è un incontro in chiesa gradevole e piacevole nel vero senso della parola quando si vive con sincerità e autenticità.

E’ necessario dare il nostro meglio avendo questa coscienza e consapevolezza possiamo sentire un’atmosfera d’armonia. Questa è la vera bellezza che si ha in comunione con gli altri fratelli e sorelle in Cristo Gesù. Questo è quello che chiamiamo in una parola ACCOGLIENZA.

Una buona accoglienza ha un effetto molto positivo nel vivere la fede di ciascuno di noi  perciò cerchiamo di rinnovare questa nostra consapevolezza insieme, approfittando, questo momento,  per capire meglio l’insegnamento dell’apostolo Giacomo, rammentandoci(rievocandoci)  di non confondere,  e di distinguere con il proprio significato la fede,  e l’accoglienza, nonostante si intrecciano tra di loro. Perciò le piccole regolette che per me sono diventate abitudini, mi piacciono praticarle in nome di una buona accoglienza, facendomi riflettere e spingendomi di rivedere come ci comporteremo adesso con altro membro della chiesa.

Insomma, rimango al parere che per gli africani e i filippini, questo significa in fondo manifestare riverenza, rispetto e gratitudine per chi ci sta davanti: a Dio il Signore e anche per il fratello, la sorella che frequenta la stessa chiesa.

Leggendo questo brano di Giacomo credo che lui abbia veramente ragione quando lui avverte i credenti di separare o distinguere la fede e l’accoglienza per non avere il rischio di cadere(per non rischiare di cadere) nel dare dei valori nel vivere la fede.

Il pericolo che vedo in queste regole è quando gli altri non sanno bene perché alcune persone lo fanno e perché si fa così.  Quando ci sono i nuovi credenti che si sono avvicinati da poco nella chiesa potrebbe confonderli tutto questo che danno un significato come un modo di vivere la fede così potranno anche pensare di contribuire nella pratica della fede contando l’aspetto esteriore. L’immagine che si costruisce è ad esempio per far apparire qualcosa di attraente, che suscita gelosia o un riguardo o più un interesse personale.

Giacomo tratta il pericolo del giudicare l’apparenza della persona, dell’aspetto esteriore, (come Paolo che ha fatto a un accenno  sui cibi dei Romani parlando di credenti deboli e forti, ciò che abbiamo anche letto e ascoltato.)  Per noi è fondamentale rivedere questo concetto di essere per l’altro, come l’aspetto esteriore può influenzare la convivenza nella chiesa per evitare il pericolo che potrà accadere in comunità. Perciò il pericolo che affrontiamo in comunità è quando diamo più peso o priorità alla  accoglienza e viene scavalcata la fede nel Signore, ma se c’è una gestione equilibrata di entrambe può produrre una cosa buona nella convivenza, altrimenti possono emergere delle questioni di conflitto.

Ricordiamoci dunque che tutto quello che riguarda soltanto l’accoglienza buona, giusta e gradita a tutti è un fatto esteriore e estetico che quando è bello aiuta molto a creare l’atmosfera, o la condizione reciproca per far star bene.

Così ci chiarisce l’esortazione dell’apostolo Giacomo nella quale ci invita a riflettere oggi.  Egli dice «1 Fratelli miei, la vostra fede nel nostro Signore Gesù Cristo, il Signore della gloria, sia immune(privo, esente) da favoritismi ». Con  l’esempio del ricco e quello povero che entravano nell’adunanza (si potrebbe dire nel nostro tempio) è semplicemente per darci l’idea che la fede non deve essere provocata dal giudizio. E’ fondamentale allora fare distinzione nella nostra comprensione tra l’accoglienza che riguarda puramente l’aspetto esteriore e la fede nel Signore che riguarda l’aspetto interiore. Consapevoli di questa  distinzione del limite potremo passare(proseguire) alla fase successiva che sta a cuore a Paolo. Egli invita tutti i lettori, che più meno tutti i credenti, di interessarsi all’aspetto interiore della fede nel Signore che deve produrre l’agire o far scaturire nel loro agire la giustizia, la pace e la gioia che aiutano a sostenere tutti gli altri credenti che compongono la comunità per la reciproca edificazione.

Ecco perché dice alla comunità di Roma «perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace, e gioia nello Spirito Santo. Poiché chi serve Cristo in questo, è gradito a Dio e approvato dagli uomini. Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione». Romani 14,17-19

I pensieri degli apostoli  Paolo e Giacomo sono interessanti nel fare un confronto e trovare un collegamento tra di essi per educarsi alla giusta sensibilità nei confronti delle persone, dei fratelli e delle sorelle nella fede  in Cristo Gesù, a quelli che arrivano da un altro paese o di altri luoghi che sono portatori di costume, usanza o cultura differente dalla propria.

Gli stranieri credenti, che godono l’ospitalità da parte degli italiani in termine di tempo e spazio condividendo il luogo di culto, hanno cambiato molto l’aspetto della chiesa. Le comunità italiane ora sono cambiate, nel senso che fanno dei percorsi comuni, si sono avvicinati, si sono scambiate delle idee, si sono arricchiti attraverso la condivisione di vivere la fede. Perciò bisogna continuare a fare un percorso di conoscenza reciproca utilizzando i mezzi di comunicazione come: la lingua, la fiducia, la sensibilità e la buona volontà di ascoltare l’uno l’altro.

Nel tempo odierno, secondo la mia osservazione, le nostre chiese stanno anche riscontrando delle difficoltà proprio nella gestione dell’accoglienza a causa della scarsa formazione sulla fede e della non adeguata gestione dell’accoglienza. Quando l’accoglienza e fede sono considerate, ponderate e chiarite bene nel credente i loro significati profondi sono davvero in perfetta sintonia. L’apostolo Giacomo dice che i credenti devono essere immune da favoritismi.  Che cosa vuol dire immune? Priva, avere quella sostanza come l’anticorpo per contrastare(ostacolare) o per non essere attaccato dalla malattia di favoritismi?

La parola “immune” è molto importante per noi oggi perché secondo il pensiero di Giacomo ci avverte per non cadere alla tentazione del giudicare attraverso l’apparenza, per non commettere il peccato contro la legge di Dio che è l’amore per lui e per il prossimo. Il vero problema è quando uno vuole far apparire ciò che non lo è,  e quindi si è avvolto con ipocrisia o menzogna. Questo è contro la legge di Dio. Per Giacomo è un peccato avere atteggiamento di riguardo personale poiché è un atteggiamento che giudica, che  porta a trattare le persone in maniera differente, provocando di conseguenza soltanto l’ira, la gelosia, la rivalità, causando, poi, tristezza a chi lo subisce. Così reca divisione o conflitti in tutta la comunità.

Il credente che ricerca la pace e reciproca edificazione nel suo agire può produrre un bene comune per tutti i credenti. Quando uno è forte nella fede, e si dà la priorità di non  essere oggetto di inciampo al fratello/alla sorella che ha la fede debole, tutto diventa possibile e facile nella vita comune della chiesa. I problemi si affrontano con franchezza/autenticità/sincerità.

Si dice che l’apparenza inganna. Perciò nella comunità il credente deve combattere in sé tutto ciò che non è, e tutto ciò che suscita un giudizio negativo nei suoi confronti e simili. Gesù aveva condannato gli scribi e i farisei per l’atteggiamento/il comportamento personale che manifestavano, distinguendosi dagli altri come parlavano. Essi insegnavano gli altri la legge ma non agivano come dovrebbero essere. Gesù li ha rimproverati perché non erano coerenti al loro insegnamento. Gli scribi erano i dottori della legge, insegnavano bene i comandamenti di Dio, ma di amore per lui e per il prossimo non erano in grado di compiere perché non sapevano praticare la misericordia che Gesù aveva rivelato ai suoi discepoli.

L’apparenza non è una giustificazione valida dell’essere di una persona, come l’aspetto esteriore non può essere sufficiente per definire la bellezza di una persona.

In questo modo che Giacomo ci ammonisce ora dal pericolo di inganno, e i danni  che potremmo recare nella comunità e nella nostra comunione fraterna quando si giudica. Far apparire di essere ciò che in realtà non lo è, è contro la legge di Dio perché non è un segno d’amore, non aiuta alla crescita della comunità, non facendo bene al corpo ecclesiastico.

Leggiamo le esortazioni finali dell’apostolo Paolo ai Tessalonicesi al cap. 5 , versetti da 12 a 28:«12 Vi preghiamo poi, fratelli, di aver riguardo per quelli che faticano tra di voi, che vi sono preposti nel Signore e vi ammoniscono; 13 trattateli con molto rispetto e carità, a motivo del loro lavoro. Vivete in pace tra voi. 14 Vi esortiamo, fratelli: correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti. 15 Guardatevi dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti. 16 State sempre lieti, 17 pregate incessantemente, 18 in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. 19 Non spegnete lo Spirito, 20 non disprezzate le profezie; 21 esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. 22 Astenetevi da ogni specie di male.
23 Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. 24 Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo! 25 Fratelli, pregate anche per noi. 26 Salutate tutti i fratelli con il bacio santo. 27 Vi scongiuro, per il Signore, che si legga questa lettera a tutti i fratelli. 28 La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi.

Galati 6,10: «facciamo del bene a tutti e specialmente ai fratelli in fede» e leggiamo nella  lettera agli Ebrei cap 12,1-3« Anche noi, dunque poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che CREA la fede e la Rende perfetta.

 

Tutto questo significa che Dio ci ha dati quest’occasione di partecipare alla sua gloria. Amen.

 

past. Joylin Galapon

 

C’è una nuova vita

Marco 9: 14-29

È difficile tornare nella realtà dopo una bella esperienza. È bello avere dei momenti che incoraggiano, ma poi bisogna mettere in pratica ciò che si è vissuto e per lo più questo risulta una delusione. Dopo le vacanze uno deve ricominciare con la vita di ogni giorno e subito si deve confrontare con le difficoltà di sempre, con nuove forze, ma le difficoltà sono quelle di sempre e hanno il potere di scoraggiare, di togliere la nuova linfa. Così anche Gesù, che ha vissuto un momento intenso sul monte della trasfigurazione, quando scende si deve subito confrontare con la realtà di ogni giorno. Difficile non pensare ad un’altra discesa dopo un incontro con Dio, che risultò anche esso essere una constatazione deludente dell’incredulità crescente, Mosè che scende dal Sinai e trova il popolo intorno al vitello d’oro.

Subito dopo la discesa del monte della trasfigurazione Gesù si trova in mezzo alla folla, dove i suoi discepoli hanno vissuto un momento umiliante, non erano stati capaci di scacciare lo spirito immondo dal ragazzo. In più Gesù si rivolge a loro dicendo: o generazione incredula, forse lo dice anche al popolo, almeno la parola generazione lo fa supporre. Generazione incredula! Due volte uno schiaffo in faccia ai discepoli, prima perché non erano in grado di scacciare lo spirito immondo, poi questo rimprovero da parte di Gesù. Un chiaro monito a noi che ci chiamiamo cristiani. La nostra fede è racchiusa in non so quanti libri, ma siamo una generazione incredula. Non capaci di scacciare le potenze del male che ci assalgono, non capaci di spezzare il potere delle potenze negative che regnano in questo mondo.

In questo testo non si tratta dei dubbi della fede (anche se spesso e volentieri si parla dei dubbi della fede in relazione con questo testo). E poi i dubbi non fanno sempre male. I dubbi talvolta possono essere sani, in quanto ci portano ad approfondire le questioni della fede, a confrontarci con esse, e quindi possono anche contribuire a una crescita della fede. In più il contrario della fede non è l’incredulità, un non credere in certi concetti. Fede ha a che fare con la fiducia. L’incredulità è la mancanza di fiducia. Credere non è sapere a memoria delle regole, ma è avere fiducia nelle promesse di Dio. La fiducia è minata dalla paura, la paura non si fida di ciò che sta intorno a qualcuno. Basta pensare all’epoca in cui viviamo, piena di paure. I dati dicono che non c’è un’invasione di immigrati, infatti nei primi mesi di quest’anno sono arrivati molti meno immigrati, i dati dicono che non c’è un’invasione di musulmani, infatti il 53% degli immigrati in Italia sono cristiani, ma la paura c’è. Non ci si fida. Questo concetto della paura che è il contrario della fede, è reso vivo da un versetto della 1 Giovanni 4: Nell’amore non c’è paura; anzi, l’amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paurateme un castigo. Quindi chi ha pauranon è perfetto nell’amore (vs 18). Vi invito a leggere al posto della parola ‘amore’ la parola ‘fede’: Nella fede non c’è paura; anzi, la fede perfetta caccia via la paura, perché chi ha paurateme un castigo. Quindi chi ha pauranon è perfetto nella fede. Fa riflettere …

Nel brano che abbiamo sentito c’è un ragazzo che è dominato da uno spirito. Sono stati scritti tanti saggi sulla malattia di questo ragazzo. Posso sbagliarmi, ma secondo me è chiaro che si tratta di epilessia. Infatti leggiamo prima: uno spirito muto lo fa cadere a terra; egli schiuma, stride i denti e rimane rigido,e dopo ancora: lo spirito cominciò a contorcere il ragazzo con le convulsioni; e, caduto a terra, si rotolava schiumando. L’evangelista Marco di solito non è così dettagliato (è l’evangelo più breve), quindi qui non vuole lasciare dubbi. In quell’epoca questa malattia era conosciuta. Marco vuole sottolineare un aspetto particolare di questa malattia, l’aspetto demoniaco. Per lui non è una semplice malattia. C’è di più. Molto di più.

Pare che lo spirito ha preso talmente possesso del ragazzo che non si distinguono più le azioni del giovane e di questo spirito. Il giovane non è più capace di vivere la sua vita. Quando finalmente questo spirito si arrende, il ragazzo è come morto per terra, ma dopo ha di nuovo la sua autonomia, è di nuovo padrone dei suoi movimenti e delle sue azioni e parole. Qui traspare una prima risposta alla domanda che i discepoli si erano posti sul significato della risurrezione dei morti, quando dopo il ritorno dal monte della trasfigurazione Gesù accenna alla risurrezione dei morti.  Una prima risposta: c’è una nuova vita, senza spiriti maligni.

La preghiera per la fiducia o la fede è la chiave che conduce allo spezzare del potere di questo spirito. Il potere di ciò che distrugge un essere umano è spezzato da Dio, che agisce qui in e per mezzo di Gesù. Si assiste qui a una anticipazione di ciò che più tardi succederà con la resurrezione di Gesù: Nuova vita! Ecco perché si può dire che con questo racconto si ha una prima risposta alla domanda dei discepoli, chesignifica quel resuscitare dei morti?

Quindi è chiaro. Qui non si tratta di una guarigione miracolosa, come anche forse tutte le altre storie di guarigioni non sono delle semplici guarigioni. Qui si tratta dello spezzare, della frantumazione del potere di ciò che rende un essere umano meno di un essere umano.

E si spezza questo potere, sentite, sentite, con la preghiera! La preghiera è una forza. Dico spesso che la rivoluzione comincia con la preghiera. Cioè se una persona crede veramente in ciò che prega, sarà la prima a non intralciare la realizzazione della sua preghiera. Cioè, se una persona prega per la pace (e non dimentichiamo che l’altro giorno, il 21 settembre era la giornata internazionale della pace), sarà forse non proprio la prima persona ad impegnarsi concretamente per la pace (ma perché no), comunque non intraprenderà niente che possa contrastare la pace, non mette il bastone fra le ruote della realizzazione della pace, almeno così dovrebbe essere, quindi forse dobbiamo credere di più nelle nostre preghiere. Se viviamo le nostre giornate senza preghiera e senza letture bibliche, le nostre giornate scorrono lo stesso, si arriva ugualmente alla fine della giornata, ma in questo modo i giorni si vivono perlopiù come una ripetizione. Se invece si comincia la giornata con una preghiera, con una lettura biblica, la giornata acquista un altro senso, si vivono le cose che succedono in un altro modo, e si faranno altre scelte, la vita quotidiana acquista così un significato più profondo e non è più vissuta come un’eterna ripetizione. La preghiera è una cosa fondamentale, che non si può sottovalutare. Nella preghiera viviamo la promessa di Dio, nostra fonte di vita e speranza, unica vera fonte di vita e speranza.

Niente sarà impossibile per noi, se viviamo in questa potenza della preghiera. In questo modo, cioè con la preghiera, possiamo inserirci in una nuova stagione, la stagione delle promesse di Dio. È così che possiamo vivere insieme la fede, la chiesa. In questo ambito (della fede, della chiesa) ci dedichiamo alla bontà e alla grazia di Dio. Una pianta assorbe la luce del sole e dà ossigeno. Noi assorbiamo la bontà e la grazia da Dio e sperimentiamo insieme fede, speranza e amore, che pregando e agendo trasmettiamo al mondo. Senza fede c’è oscurità, senza fede ci facciamo abbattere dalle situazioni negative e dalle paure che viviamo attualmente, perché non viviamo una situazione rosea, tutt’altro. Ma quella oscurità non avrà mai l’ultima parola. Tocca a noi tenere accesa questa speranza, questo fuoco, non più il fuoco che distrugge, ma quel fuoco che infiamma i nostri cuori con le promesse e parole di Dio, quel fuoco che caccia via la paura, il nostro nemico in questi tempi, scaccia la paura, il demone del nostro tempo. La preghiera caccia via questa paura e apre i nostri cuori a una nuova vita. Amen.

pred. Greetje van der Veer

Il gesto di generosità della povera vedova

Sermone : Marco 12,41-44
Care sorelle e cari fratelli nel Signore,
il vangelo di oggi ci incoraggia a dare tutto quello che possiamo, come ha fatto la povera vedova. Il Signore ci rincuora/incoraggia di donare quello che abbiamo e di mettere a servizio degli altri, quello che c’è, quello che ci è stato dato.
Gesù, in questo racconto dell’evangelista Marco, richiama l’attenzione dei suoi discepoli per la generosa offerta data da una povera vedova.
Con le parole, che il Vangelo riserva, per gli insegnamenti importanti: <<In verità vi dico…. Gesù invita i suoi discepoli a confrontarsi e a riconoscersi nel gesto generoso della vedova che non ha dato il superfluo ma << tutto quello che aveva per vivere/tutta la sua vita>>.

Il gesto della donna viene messo in risalto da Gesù, non tanto perché dona, due monetine di rame(due spiccioli che fanno un quarto di soldo cioè un quadrante), ai poveri più poveri di lei, ma, perché ha investito tutto quello che possiede ( denaro e amore) in ciò che crede.

Con la sua offerta, dimostra di amare Dio con tutta sé stessa e il suo prossimo nella stessa misura in cui, avrebbe usato quei due spiccioli, per comprarsi da mangiare.
Con il suo sacrificio silenzioso, completo e spontaneo rinuncia a tutte le sue sicurezze per affidarsi interamente alla misericordia di Dio perché con lui e in lui realizza una comunione totale dei beni.
Così il Signore ha detto: <<Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date >> (Mt. 10,8)

È nostra consuetudine dire che, molti problemi sociali, familiari o di salute, si risolvono con il denaro, allora, pensiamo che per fare la carità, occorrono molti soldi dei ricchi e non i pochi centesimi dei poveri.

Ma Gesù ha criteri diversi dai nostri e ci richiama all’attenzione dicendo che è importante condividere quel che serve e che abbiamo. Il Signore non guarda la quantità della sostanza ma la qualità; vede e legge nel cuore dove c’è la vera generosità.

Quando ci sentiamo poveri, poveri in tutti i sensi, è perché siamo poveri di speranza, di gioia, di volontà, di fedeltà, di pazienza, di capacità, in queste condizioni è difficile essere generosi perché si è tentati di pensare che non si vale niente e non vale niente, anche, quello che facciamo.
Invece il Signore ci dice che vale. Che vale tutto quello che possiamo dare con amore, perché siamo uniti a Lui e facciamo grandi cose.
Sento spesso fare questa osservazione:<< chi è povero è più propenso a dare tutto, proprio perché non ha niente da perdere, invece, chi è ricco, ha paura di perdere la sua comodità (prosperità).

Infatti ora che viviamo nell’abbondanza non condividiamo più il cibo o le cose con gli altri, invece, quando ero piccola e vivevo in campagna, tra gente povera, ci si aiutava e c’era sempre qualche pezzo di pane, o un pugno di riso, da dare a chi bussava alla porta.

La carità, generosità e condivisione, significa che, se si ha ad esempio una bella e buona torta non si deve mangiarla da soli ma con gioia va divisa con gli altri.

Gesù in questo breve episodio mette in evidenza “lo stile di vita” del regno di Dio che è quello di dare tutto sé stessi, disinteressatamente, senza riserve, con il cuore in mano, verso Dio e verso gli altri <<Vi esorto fratelli a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente>>Rom 12,1.

Seek ye first the kingdom of God and all the others shall be added unto you/<<Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in più >> Matteo 6,33

Chi appartiene al Signore, ama Dio, e questo significa, essere disposti a donare tutto (persino se necessario donare la propria vita) per il bene dell’altro. L ’esempio supremo del sacrificio di sé è quello di Gesù che ha dato la sua vita per la nostra salvezza.

L’amore per Dio e per il nostro prossimo, sono i due comandamenti principali della nostra fede cristiana, vanno sempre insieme e si manifestano concretamente quando si celebra il culto.
Infatti lo scopo della raccolta delle offerte è per aiutare i bisognosi fuori e dentro la comunità.
L’altro suo aspetto fondamentale è quello che i membri sostengono con la colletta la cosiddetta fondo ministerio, le spese dei pastori i quali svolgono i compiti dell’annuncio e dell’insegnamento della Parola.

Lo scopo della colletta come dice l’apostolo Paolo non è quello di ridurci in miseria perché altri stiano bene; la si fa, per raggiungere una certa uguaglianza. Noi, che ora siamo nell’abbondanza, possiamo recare aiuto a coloro che sono nella necessità. (2 Cor. 8, 13-14 )
Gesù ci invita, ad avere il cuore di questa vedova che ama con tutta sé stessa. Lei non ha avuto l’atteggiamento di chi dice :<<Te lo do, tanto io non ne ho bisogno>> ma ha dato quel poco che aveva anche se per lei era di vitale importanza. Lei ha dato tutto a Dio e al prossimo.

La sua totale disponibilità di donare è perché ha fiducia nel Signore, sa che dipende da Lui per tutto quello che ha e che avrà.
La vedova, conosce e mette in pratica la verità che Dio è carità e consegna ogni cosa nelle sue mani misericordiose; non risparmia niente per amore, affida tutto quello che ha al Signore, perché, è sicura che Lui, lo amministrerà con giustizia.
Questa donna ci invita a ritrovare il senso del dono, non è la quantità dei soldi, ma quello che conta è il cuore con il quale ciascuno offre. <<Dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore.>>(Mt.6,21)

Gesù non condanna i ricchi, anzi riconosce il loro dono, ma fa notare( agli apostoli/discepoli) che l’offerta della vedova è grande (eccezionale) perché dona al di sopra delle sue possibilità.
Lei è sicura, non risparmia quello che ha e lo mette nelle mani del Signore perché è certa che lui lo farà fruttare.
Ai poveri è predicato la buona novella, è segno che Cristo è presente e li benedice.(“il sermone sul monte” <<Beati quelli che sono poveri….)
Dio benedice coloro che soccorrono i poveri che purtroppo sono aumentati giorno dopo giorno.
Il metro economico di Gesù non sono i soldi ma la generosità; non guarda alla somma di denaro ma al gesto del cuore e allo sforzo.
Essere discepoli di Cristo vuol dire assumersi la responsabilità che il pane (il bene ) che abbiamo ricevuto non è solo per noi stessi ma va condiviso, e si deve mettere in comunione.
Vorrei concludere la mia riflessione su questo brano, condividendo con voi la mia esperienza in questa settimana. È iniziato così lunedì scorso quando dovevo fare una cosa che ho promesso ai miei due nipoti che studiano a Manila per pagare la loro stanza che è vicino all’università in cui sono iscritti per gli studi che hanno scelto.

Quando ho fatto il controllo a casa del movimento del mio conto corrente ho scoperto due siti Uala e Gruopon che mi stavano defraudando. Sono corsa dalla banca , poi ho chiamato il numero verde per bloccare il bancomat e poi sono andata alla questura per fare la denuncia.

Mentre ero lì che aspettavo il mio turno, siccome la questura è aperta 24 su 24 ore per poter aiutare coloro che subiscono tanti e diversissimi casi di ingiustizia, arriva una telefonata a loro che una macchina è stata rubata e quindi qualcuno/un altro sta venendo a fare una denuncia. Un poliziotto che era lì mi ha detto che dovevo tornare il giorno dopo perché il caso di questa persona è più grave del mio.

Dopo due ore di attesa per me è impossibile tornare a casa, e ho insistito che non sarei tornata a casa perché dovevo concludere tutto in quella serata questa pratica perché dovrei lavorare il giorno dopo. Ho deciso di rimanere lì in silenzio, da sola poi, perché gli altri sono già andati via. Io ho aspettato finché la pratica della denuncia mi ha fatto il responsabile.

Ciò che vi voglio dire da questa esperienza, ho tratto come un insegnamento che serve qualcosa per noi credenti. L’atteggiamento della povera vedova che ha dato poco o quasi niente nella cassa per i poveri in cui la chiesa ha questo scopo e cerca di raccogliere per aiutarli è una buona opera preziosissima. Mi sono immedesimata alla donna vedova che non ha di più da dare, la sua condizione è simile a me , io che avevo solo quello che è fondamentale per me da vivere, era tutto quello che avevo. Invece ho pensato che quello che colui che apparteneva la macchina bella e lussuosa è ricco e ha anche più soldi di me.

così ho capito di più il gesto di generosità di quella donna vedova e povera. Davanti alle persone, davanti alle situazioni che ognuno/a di noi affrontiamo ogni giorno non sappiamo veramente che cosa c’è dietro a ogni storia.

Ho capito ancora di più il valore del fondo ministero per noi pastori. e quanto esso sia importante per me, condividerlo e suddividerlo anche se è poco.

Dio nostro è presente e vivo e ci insegna ogni giorno. Cerchiamoli nella nostra esperienza personale perché ci incoraggia e ci parla per proseguire alle buone opere che noi possiamo fare. I pochi soldi che spediamo per il breakfast danno molto a noi e ad altri. Ci aiutano a manifestare e condividere l’amore che è di Dio.

Vogliate ricevere l’invito del Signore a servirlo e a servire gli altri, quelli che sono meno fortunati di noi. Amen.

1

I ciechi e il muto guariti

Matteo 9,27-34;

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

oggi siamo di nuovo chiamati a riconoscere i vari aspetti significativi che ci fanno ricordare l’importanza degli occhi.

Attraverso l’uso dei  nostri occhi possiamo vedere bene e non possiamo dare per scontato la salute di questa capacità fondamentale  del nostro corpo .

I nostri occhi sono indispensabili perché servono per guidarci e portarci (servono per guidare tutto il corpo e lo rende più autonomo) verso il luogo in cui vogliamo arrivare. Anzi  con i nostri occhi  possiamo già vedere subito da lontano dove vogliamo arrivare. Così ci accorgiamo della sua grande importanza  e della ragione della sua insostituibile funzionalità  come parte integrante del corpo.

Con i nostri occhi vediamo tante cose belle o brutte che dipendono dal nostro modo di vedere e giudicare. <Beauty is in the eyes of the beholder> /<La bellezza si vede da chi la guarda>.

Sapete che ho scoperto nelle Filippine? La lapida del Colosseo nella città di Vigan. Ho letto che da lì fino qui a Roma dista 7,111 miglia. Che bello vedere e scoprire questa cosa nelle filippine!

Ci sono tanti passaggi o brani dalle Sacre Scritture che parlano dell’uso degli occhi per il bene del  corpo  e del nostro rapporto con Dio e con il nostro prossimo, del nostro percorso di  FEDE  che a seconda dello sviluppo di ogni racconto biblico notiamo la sua riflessione  alla nostra vita.  La nostra fede in Dio cresce quando il testo biblico ci parla delle esperienze di vita.

Così con la giusta funzione dei nostri  occhi possiamo avvicinarci alle varie interpretazioni di coloro che hanno avuto la fede.

Un teologo dice che  la fede ci aiuta a comprendere le cose di Dio, di come avere la fede per comprendere.

Come ad esempio Saulo di Tarso ad un certo punto della sua vita perse la vista, poi l’acquisì. Da questa esperienza  nacque una vita nuova perché ebbe avuto gli occhi nuovi per vedere ciò che Dio aveva destinato per lui come progetto di vita stessa.

Dalla sua esperienza  di cecità e dell’acquisizione della sua vista è nato un nuovo essere,  una nuova identità, chiamato Paolo. Saulo che poi era diventato Paolo attraverso il dono della fede aveva compreso tutto, che il suo passato ormai appartiene a quel tempo remoto.

Che cosa ha cambiato la sua vita? Il dono della grazia di Dio per poter vedere.

L’apostolo Paolo prima che diventasse un servitore/schiavo della parola, del vangelo di Gesù Cristo era  cieco.  Non vedeva il Dio di Cristo. Non conosceva la via del Signore. Era il persecutore dei cristiani e non vedeva Gesù come la Via, la verità e la vita. Non vedeva Gesù il Cristo! Era cieco ma Dio ha avuto pietà di lui così ha avuto la grazia di poter vedere il Salvatore.

Nel vangelo secondo Matteo Gesù visitò i due ciechi in casa. I due chiesero a lui di essere guariti dalla loro cecità. Essi riacquisirono la vista prima con la loro confessione di fede poi con il tocco della mano di  Gesù. Il racconto dei due ciechi che hanno ri-avuto la vista ci insegna come vediamo, lasciando il passato, che qualcosa è cambiata dall’intervento di Gesù, il figlio di Davide, l’inviato il portatore di salvezza  di Dio.

E anche l’uomo muto e indemoniato ebbe avuto la guarigione.

Come gli altri racconti di guarigione Gesù proibiva questi ciechi di divulgare ciò che a loro li aveva fatto ma con l’impulso della loro gioia non riuscivano a tacere.

In Marco abbiamo visto che il sordo muto dopo la sua guarigione, divulgò tutto a tutti. Gesù ordinò loro di non parlarne a nessun, ma più lo vietava loro e più lo divulgavano.

Essi dicevano:  « Egli ha fatto ogni cosa bene; i sordi li ha fatto udire, e i muti li ha fatto parlare. Marco 7,36-37. E la folla si meravigliava dicendo: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele».  34 Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni con l’aiuto del principe dei demòni».

Le reazioni della folla e dei farisei a ciò che videro/assistettero allora sono per noi fondamentale oggi.

Da chi parte siamo? Diciamo forse dalla folla. Vogliamo vedere il malato guarito.

Vogliamo vedere la guarigione di un malato, vogliamo che ogni malattia sia guarita e per di più vogliamo assistere un uomo o una donna guarire da una malattia incurabile.

La volontà di Gesù di guarire le nostre malattie deve prevalere nei nostri  cuori.

Dobbiamo gridare, invochiamo  il suo AIUTO insieme perché Dio intervenga.

La nostra fede e la nostra fiducia deve muovere il cuore di Gesù perché Dio unisca con la nostra volontà. Questa piccola fiamma di luce /fiducia deve essere visto da Gesù in noi come i due ciechi che hanno dimostrato di avere per poter vedere ancora il bene di questo mondo. Anche se siamo credenti /cristiani non vediamo sempre perché come nella lettera di Giovanni  ci ha insegnato di rivedere il nostro essere, il nostro intimo perché gli occhi che abbiamo possano vedere, e  perché ci accorgiamo anche che a volte ci allontaniamo da colui che ci dona gli occhi per vedere, che fa emergere/apparire ciò che è vero così capiamo che nello stesso tempo non vediamo.

I Farisei che assistettero ai miracoli di Gesù non videro niente di buono così dicevano: «  Egli scaccia i demòni con l’aiuto del principe dei demòni».

L’atteggiamento di disprezzo dei farisei nei confronti di Gesù sulle cose buone che egli faceva  sono esempi per noi ora quanto prevale l’affare dello Spirito  maligno nel mondo.

Perciò nella prima lettera di Giovanni (ciò che abbiamo ascoltato) si nota che il mondo è visto bene o male a partire dal nostro essere, quell’aspetto(quella parte) di noi stessi che ha bisogno di essere purificato.

Gli occhi vedono il male quando nell’essere dell’uomo è assunto dall’oscurità che si è avvolto. Così, si può già dire che ogni singolo o  ogni individuo è un mondo a sé.

Il Signore Gesù Cristo ci ha rivelati questi due mondi: il mondo delle tenebre e quello della luce. Chi non ama odia. Chi odia non ama. Chi nell’oscurità odia e non ama il fratello. Colui che ama non odia il fratello. La prima lettera di Giovanni ci porta a guardare bene la realtà in cui dobbiamo camminare perseverando a perseguire il nostro cammino con la luce che abbiamo e portiamo. Gesù ci ha donato la sua luce per vedere ciò che è amore.   Badiamo a noi stessi e non trascuriamo il dono dell’amore fraterno che è l’affetto che  scaturisce dal profondo del nostro cuore. La vera conversione è quel sentimento che sente di volere il bene dell’altro.

Noi non siamo più ciechi il Signore ci ha donato gli occhi per vedere la realtà donandoci  la fede. Sì, perché ci ha fatto vedere che in lui possiamo riacquisire la nostra vista. I nostri occhi sono rivolti a lui sempre perché ci dia l’illuminazione, la luce che abbiamo bisogno per guardare la realtà.

 

Dio deve intervenire allora per darci oggi dei nuovi occhi per vedere e comprendere pienamente la strada su cui percorrere, sia singolarmente che collettivamente.

Come può cambiare la nostra vita quando acquisiamo i nostri nuovi occhi (gli occhiali della fede)?. Con essi, con l’uso che ne facciamo, possiamo sentirci vivi ed illuminati, sperimentando e possedendo quella luce che diceva Giovanni nella sua lettera.  L’uomo credente , chi  crede nel Signore, può vedere le cose di Dio perché gliele rivela.Saper riconoscere o accorgersi del bisogno dell’altro è un compito prezioso del cristiano.

Sorvegliare /Vedere il bisogno dell’altro e le cose preziose nel mondo da tenere conto per sostenere la continuità della vita è il compito del cristiano. Quanto prezioso per noi oggi questo dono dei nostri occhi per poter vedere bene le cose che dona Dio ogni giorno.

Dobbiamo però invocare gridando di avere pieta di noi perché possiamo vedere la luce.

Amen

past. Joylin Galapon