La fede nasce dall’ascolto

Romani 10, 5-17
Secondo Paolo, come si sa, le tre realtà decisive dell’esistenza cristiana sono fede, speranza, amore. Ebbene, sono anche le tre parole più difficili da usare. Il loro significato non è oscuro, anzi: esse sono, però, consumate dall’uso. Le impieghiamo così frequentemente, senza troppo pensarci, che, alla fine, da un lato vanno sempre bene, dall’altro però significano sempre meno, diventano generiche, non mordono la realtà. Noi cristiani e cristiane le ascoltiamo volentieri, ma sotto sotto avvertiamo che il pastore sta dicendo qualcosa di un po’ astratto. Ci piacciono, queste parole, ma non ci convincono del tutto. Fuori dalla chiesa, poi, nel mondo secolare, esse lasciano il tempo che trovano. Anche coloro, tra i cosiddetti “laici”, che formalmente celebrano, ad esempio, gli interventi del papa, in realtà li considerano retorica religiosa, roba da preti. Per la verità, quando parla il papa anche noi la pensiamo un po’, così: salvo poi scoprire che non è che il pastore sia molto più incisivo.
Oggi siamo confrontati con la parola “fede”. Beh, se non siamo in chiaro su di essa, viene da dire, possiamo lasciar perdere il resto, perché tutto comincia da qui. Vero. Molto spesso, però, quando chiedo a un esame: che significa fede?, mi sento rispondere: beh… fede significa che bisogna credere. Dove gli errori sono due, entrambi grossolani: il primo è il circolo vizioso, cioè che si dice che fede vuol dire che si deve aver fede; il secondo è che si introduce il dovere, sembra cioè che la fede sia il risultato di uno sforzo che noi possiamo operare. La verità è che, sullo sfondo, c’è un’idea sballata di fede, comune a credenti, che (dicono di accettarla) e atei (che dicono di rifiutarla): fede è ritenere vero quello che non so. So che oggi è domenica, e dunque non ho bisogno di crederlo; non posso invece sapere con certezza, ad esempio, che Dio è uno e trino, e dunque devo crederlo.
Paolo propone qui un’idea completamente diversa di fede. Fede significa fiducia, credere vuol dire fidarsi. Si crede in, si ha fiducia in qualcuno. La fede della quale parla il Nuovo Testamento è fiducia in Gesù Cristo. Non ritenere vero questo o quel dogma, bensì attendersi vita, futuro, relazioni (ciò che la Scrittura chiama: salvezza) dal Dio di Gesù. Paolo esprime questo pensiero attraverso una raffica di citazioni dell’Antico Testamento, utilizzate, bisogna dire, con notevole libertà. Se il tuo rapporto con Gesù è vivo, intenso, l’essenziale è già fatto. Da un lato, infatti, tu puoi trovare in questo rapporto energie per affrontare i piccoli e meno piccoli problemi quotidiani; dall’altro, nell’ora del fallimento, quando il problema non riesco a risolverlo, scopro che c’è qualcosa di più importante del problema irrisolto, cioè il rapporto con Cristo, che resta saldo. Il problema può chiamarsi dolore, fallimento; può chiamarsi peccato, cioè la mia incapacità di vivere relazioni sane con le altre e gli altri; il problema può chiamarsi paura della morte, o semplicemente morte. Non sempre la fede cancella il problema: traccia una via per viverlo responsabilmente.
Essa è come il rapporto con la persona che si ama, per chi ha la fortuna di averne una: le difficoltà della vita continuano anche per chi è innamorato, non è che l’amore o la persona amata siano una bacchetta magica che risolve tutti i problemi. Però nell’amore si scopre che, per gravi che siano le difficoltà, c’è qualcosa di più importante, una relazione che illumina l’esistenza e fornisce anche energie per affrontare le crisi. La relazione decisiva, la madre, la radice, la fonte di tutte le relazioni, è quella con Cristo.
Paolo lo dice in dialogo critico con la fede di Israele, che non riconosce a Cristo questa centralità. In questo momento, tuttavia questo aspetto è per noi secondario: è a noi, non ad Israele, ma nemmeno alle altre religioni, o ai non credenti; è a noi che è posta la domanda: dove il tuo cuore cerca sostegno, vita, futuro? Dove cerca salvezza?
La seconda parte del brano offre un’indicazione decisiva. Che la tua fiducia possa indirizzarsi a Gesù, non te lo puoi sognare: c’è bisogno di qualcuno che te lo dica. Gesù, cioè, si incontra nella testimonianza della chiesa. Testimonianza è l’intreccio di parola e vita. Vi consiglio di non perdere tempo a chiedervi se venga prima l’una o l’altra: esse esistono insieme. L’ascolto del quale Paolo parla non è semplicemente quello di un discorso, ad esempio di una lezione. E’ l’incontro con persone che dicono questo: con tutta la nostra precarietà e con tutti i nostri limiti, la nostra vita parte da Gesù, spera di arrivare a Gesù e trova in Gesù la forza per camminare, giorno per giorno. Questo può essere anche un cammino per te. La fede, dice Paolo, nasce da questo ascolto. Cià non significa, purtroppo, che nasca automaticamente, che cioè tutte e tutti coloro che sono raggiunti dall’annuncio diventino credenti. La conversione, la nascita della fede, è opera dello Spirito santo, non di chi predica. L’annuncio ecclesiale, la nostra predicazione che testimonia, unita alla testimonianza che predica, è in ogni caso il modo nel quale Dio ha scelto di parlare alle donne e agli uomini del nostro tempo e, per questo, anche il contenuto della nostra vita. Nulla di più, ma nemmeno qualcosa di meno.
Amen
prof. Fulvio Ferrario

L’amore vince la morte

Care sorelle e cari fratelli,

prima di arrivare al brano di oggi mi preme aprire una piccola parentesi. La nostra settimana è finita con un numero elevatissimo di femminicidi che purtroppo ormai non fa più troppo scalpore o indignazione, ma fa solo numero in una sommatoria di donne scomparse nella giornata contro la violenza sulle donne. Ormai anche il nostro posto occupato non trova più spazio o se lo trova è talmente nascosto, non curato. Perché anche noi siamo assuefatti, quasi ormai indifferenti, ancora una diciamo e abbiamo questa e altre tombe troppo pensanti, continue, che ci sembra non poter far nulla. Una tomba la cui pietra rimane chiusa perché troppo pesante.

Anche oggi un brano difficile che parla di pietra pesante e del Padre. Difficile non solo da capire ma soprattutto da vivere e da credere.

 

”Signore se fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto, mia sorella non sarebbe morta”, potrebbe risuonare nei cuori, nella mente di amici, parenti e di ogni uomo o donna “di buona volontà”, che crede nella giustizia, nell’amore. Nei parenti di ognuna delle donne uccise, dei morti a Kabul, delle centinaia di morti nella totale indifferenza dello Yemen, o nei paesi assetati del Sahel. O nelle bidonville di Nairobi o di San Paolo. O semplicemente di Willi Monteiro Duarte morto lo scorso anno a colleferro

Oggi queste urla possiamo sentirle in tantissimi momenti della nostra vita quotidiana..

Ma insieme a questi pensieri penso spesso che come credente Credo, devo credere alla resurrezione, nella resurrezione. Altrimenti come dice l’apostolo nella I lettera ai fratelli di Corinto Se non vi è risurrezione dei morti, neppure Cristo è stato risuscitato; e se Cristo non è stato risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione e vana pure è la vostra fede (I Cor. 15,13-14)

Vana è la nostra fede

Ma quanto poco si parla di resurrezione nelle nostre chiese? Tra noi, nei nostri incontri e studi biblici? Quanto crediamo nella resurrezione quando ci imbattiamo in questi casi di cronaca, oppure ai bambini morti nel nostro mare, o per entrare negli Usa, in cerca di una, anche modesta, sicurezza economica?

Se siamo alla sua sequela, se crediamo in quell’uomo di Galilea, dobbiamo, e sottolineo dobbiamo, credere nella nostra resurrezione altrimenti vana sarebbe la nostra fede. Resurrezione non solo dell’ultimo giorno, ma resurrezioni quotidiane.

E come quella di Marta e Maria, perché sono, in fondo, loro che resuscitano a vita piena quel giorno.

Lazzaro si pone al centro di quelli che sono chiamati i segni giovannei (il Verbo che avanza, le nozze di Cana, il cieco dalla nascita, la samaritana al pozzo di Giacobbe, Nicodemo, il paralitico della piscina, la cacciata dei mercanti dal tempio, Lazzaro che torna alla vita, il corteo verso Gerusalemme…)

Veniamo allora a Lazzaro e al suo ritorno alla vita, tra il fascinoso e il delirante. Su quelle righe tutto cammina su una soglia più alta di noi e corrergli dietro ci conquista e nello stesso tempo ci sfianca.

Lazzaro si spegne mentre il Maestro è lontano.

Gesù si presenta ed è descritto come amico guida amante sposo: quanto di più sacro possiedi e per nessuna ragione ti rassegneresti a perdere. Una parte o il tutto di te. I termini usati da Giovanni non lasciano dubbi

Un’esagerazione? Chiamiamola come ci pare ma questo è Lazzaro. Di tutto questo Lazzaro è segno. Tutto questo c’è dietro il poema di Lazzaro: esitazioni discussioni rimproveri lacrime malintesi grida suppliche.

Ed estasi finale. Perché quello vuole, a quello tende, quello esige il Gesù giovanneo è il Padre, l’unica ragione e l’unico amore della sua vita. Il Padre, la vita che recupera Lazzaro.

 

Gesù tentenna aspetta. Non vuole arrivare mentre Lazzaro è in vita. Non vuole vedere vivo l’amico amato. Che assurdità! Noi corriamo al capezzale di un amico che sta morendo. Gesù invece ritarda.

Perché?

Forse perchè confida nel Padre e per lui sta per recarsi a un appuntamento con la vita che ha un nome solo: Padre. Il Padre, la sua vita, il suo oggi e il suo domani, lo smisurato amore che gli manca sempre. Così ripete con ossessione. L’impatto con la casa di Lazzaro è subito scontro e incomprensione. Le sorelle sono fredde e amareggiate. Non capiscono non ci stanno a quella urtante lentezza di Gesù. E il vangelo di Giovanni va a nozze quando si tratta di combattere.

Perché non sei venuto subito? Se fossi stato qui non sarebbe successo. Sguardi di traverso, bocche cucite o parole a mezza bocca. Lo senti nell’aria e ti accorgi subito che fino a cinque minuti prima hanno parlato male di te e magari ora abbassano lo sguardo.

 

Perché ha tardato. Un tempo lunghissimo sfiancante irritante. Un ritardo incomprensibile. Sono i nostri dubbi e lamenti di fronte alla morte. Ad ogni morte. Ma sono i nostri tempi. I tempi eterni di fronte alle morti. Gesu va piano, perchè i cambiamenti dalla morte alla vita hanno bisogno di tempo, di crescita, di piccoli cambiamenti continui e non di facili entusiasmi.

 

quel ritardo è il segno di una vigilia decisiva e imperdibile. Una veglia indispensabile prima della resurrezione. Di ogni resurrezione. Una fede messa alla prova da notti lunghissime. Un dubbio atroce: possibile che il mio amore si sia dimenticato di me, che altri pensieri e altri affetti gli occupino la testa, che io non conti più niente per lui? Possibile che mi lasci gridare a vuoto?

Le lacrime di Marta e Maria, le lacrime della delusione e forse della disperazione per un abbandono senza motivo. Lacrime che si mischieranno insieme a quelle del Maestro. Perché se ami piangi ad ogni morte. E gioisci ad ogni ritorno alla vita. Ma solo se ami.

Per una volta, dunque, le lacrime non commuovono il Maestro; lo irritano invece e lo infastidiscono. Le scene mezzo isteriche di Marta gli danno lo stesso dolore che un giorno gli procureranno i dubbi e gli indurimenti di Tommaso. Maria, la tenera appassionata non fa un passo verso di Lui. Quell’intensa amicizia ora tutto sembra però sospesa e perfino interrotta.

Gesù ora vuole andare alla tomba.

È  impietrito come la tomba del suo Lazzaro. Il Quarto Vangelo concede una tregua sul suo Gesù sempre così alto e lo coglie in uno scoppio di pianto. Non semplici lacrime ma addirittura singhiozzi (il testo greco è puntiglioso). Il poema di Lazzaro osa mettere un piede nell’intimità del Maestro e leggermente introdursi nelle sue emozioni. Le lacrime di Dio. Un Dio umano che spinge l’uomo a farsi divino.

Ma è un attimo perché a quel sepolcro egli è ormai proiettato come a una lotta senza respiro.

Padre. Eccolo l’amore col quale scardinerà quella pietra. Eccolo il fiato sottile che basterà a far crollare il mostro di separazione fra il nostro mondo morto e la luce immortale. Un muro, una barriera invalicabile, una frontiera torva come una volta a Berlino e tuttora, ahimè, proprio lì a Gerusalemme e nell’intera Cisgiordania occupata o al confine tra Texas e messico dove, la notizia è di ieri, 7000 haitiani vivono sotto un ponte.

Padre. Il Gesù giovanneo respira col Padre, è immerso nel Padre, gli è come impastato.

 

Fondersi col Padre. Eccolo il Gesù giovanneo di fronte a una pietra assurda che finora gli nega l’infinito. La pietra che incarcera Lazzaro, la nostra rozza coscienza. E solo il fondersi con il Padre farà rotolare quella pietra che indica la morte e le morti quotidiane. È solo l’amore che farà rotolare quella pietra, quelle pietre pesanti delle nostri morti..

 

Le nostre pesanti pietre che ci chiudono nei nostri sepolcri.

Il racconto della risurrezione di Lazzaro è la pagina dove Gesù appare più umano: freme, piange, si commuove, grida, ma anche libera e fa tornare alla vita.

Quando amiamo, l’uomo e la donna compiono gesti divini; quando ama, Dio lo fa con gesti molto umani. Non è la vita che vince la morte. La morte, nella realtà, vince e ingoia la vita. Invece ciò che vince la morte è l’amore.

La ribellione di Gesù contro la morte passa per tre azioni: 1. Togliete la pietra. Rotolate via i macigni dei nostri cuori, contempliamo la pesantezza della pietra, le macerie sotto le quali ci siamo seppelliti con le nostre stesse mani; via i sensi di colpa, l’incapacità di perdonare a se stessi e agli altri;

  1. Lazzaro, vieni fuori! Fuori nel sole e gusta l’infinito amore del Padre.
  2. Liberatelo e lasciatelo andare! Sciogliamo i morti dalla loro morte: liberiamoci tutti dall’idea che la morte sia la fine di una persona. Liberatelo, come si liberano le vele al vento, come si sciolgono i nodi di chi è ripiegato su se stesso, i nodi della paura, i grovigli del cuore. Liberatelo da maschere e paure. Liberiamolo per donarlo alla vita infinita del Padre. Lasciare andare i nostri morti e le nostre morti. Che fatica, ma è un punto fondamentale della nostra fede e prova dell’amore per loro.

Eppure a me che cosa importa di Lazzaro, cosa me ne faccio della sua resurrezione? A me non importa Lazzaro, a me importa Gesù e il suo amore per l’amico, amore fino alle lacrime. È questa la salvezza: il pianto di Dio. Sono io l’amico che Egli non accetta di veder finire nel nulla della morte. Se amico è un nome di Dio il mio nome è: amato per sempre. Quante volte sono morto! Quante volte mi sono addormentato. Era finita la voglia di amare, forse anche la voglia di vivere. E mi dicevo in qualche grotta oscura dell’anima: Dio non mi interessa più. Non mi importa se mi ama. Poi un seme ha cominciato a germogliare, non so da dove, né so perché.

Una pesante pietra si è mossa, è entrato un raggio di sole, un grido d’amico ha percosso il silenzio, delle lacrime hanno bagnato le bende. Ciò è accaduto per palesi, pubbliche, sconvolgenti ragioni d’amore: la resurrezione è possibile per le lacrime di Dio. Perché il Signore prova dolore per il dolore del mondo, perché il suo amore per l’amico non accetta di finire. Se tu fossi stato qui nostro fratello non sarebbe morto. Diventano ora: se Tu sei con me, non morirò. Se Tu sei con me, la notte non verrà.

Allora Gesù dice di più, af­ferma: «Io sono la risurre­zione e la vita». Prima la ri­surrezione, poi la vita. Non nell’ultimo giorno, bensì o­ra. Risurrezione è un’espe­rienza che interessa il no­stro presente e non solo il futuro. A risorgere sono chiamati i vivi prima che i morti.

C’è una vi­ta morta, propria di chi, nella paura di perderla, si chiude nell’egoismo per trattenerla. Il vero risorto non è Lazzaro, tornato alla vita mortale, ma le sorelle di Be­tania e quanti credono in Gesù, passati alla vita di Cristo.

Noi sappiamo cosa è la vi­ta, ne facciamo esperienza. E poi c’è la vita risorta, che è la vita stessa di Cristo: «per me vi­vere è Cristo» (Fil 1,21). E come lui lasciarsi catturare dalla pietas, saper piangere il pianto dell’uomo, amare pace e giustizia, riempire la vita di quelle cose che du­rano oltre la morte, riem­pirla di Dio. Allora anche se non parli mai di risurrezione, mo­strerai con tutto te stesso una vita risorta.

 

Vieni fuori Lazzaro, ritorna alla vita, la vita ti appartiene. Diventa per noi esci dalle tue tombe quotidiane, dalle tue prigioni

Migliaia di schiavi che aspettano che noi togliamo quella pietra: i senza diritti, senza cibo, lavoro, educazione. Ai tanti a cui è Negata la dignità umana

Non restiamo sepolti nella nostri morti quotidiane, nella tristezza senza scampo, nell’atrocità della depressione e dell’abbandono. Ora sappiamo che a spingerci fuori e a liberarci è stato ancora una volta Lui, il soffio dell’inizio. Che tutti possiamo, una volta o l’altra, sentirci addosso come un vento luminoso. Come un amore infinito….quello del Padre

 

 

 

Un granello di senape

Luca 17,5-6

5 Gli apostoli dissero al Signore6 «Aumenta la nostra fede!».  Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe.

 

Care sorelle e cari fratelli,

perché gli apostoli hanno chiesto al Signore di accrescere (rafforzare, aumentare) la loro fede?

Perché solo così l’impossibile diventa possibile per loro. Ciò che è impossibile per l’uomo, Dio lo rende possibile.

L’evangelista Luca richiama la attenzione di coloro che predicano su questi due termini apostoli e Signore. Egli ha chiaramente in mente Gesù il Signore risorto della chiesa e gli apostoli come “guida/capi” della chiesa.  Nel versetto 5 gli apostoli sentono il pesante fardello di questa responsabilità. Pertanto, la parola che focalizza l’attenzione degli apostoli, e anche di noi oggi, è l’affermazione condizionale usata qui dal Signore: “Se avete fede”. Fred B. Craddock, un esegeta, commenta questo: “Voi che avete fede siete invitati a vivere sulla base della piena possibilità di questa fede. Anche la poca fede che ha cancella parole come <<impossibile>> un albero che si sradica e <<assurdo>> per piantare un albero nel mare, e questo lo mette in contatto diretto con la potenza di Dio”.

 

Per qualcuno è già faticoso pensare al significato dello sradicamento e del trapianto di un albero. Me ne rendo conto. I verbi sradicare e trapiantare sono importanti che dobbiamo prendere in considerazione quando ci riferiamo a un albero che ha già vissuto per anni, e non come una pianta appena cresciuta perché è più probabile che si adatti al suo ambiente. Spostando la nostra attenzione sull’albero e sul suo habitat completamente nuovo, siamo ora chiamati a spostare il nostro sguardo anche verso il basso: “sulle radici” e non solo a quello che spesso vediamo: l’albero. (Vi invito a guardare la slide).  Osserviamo con attenzione un albero rovesciato e guardiamo le sue radici con i suoi rami. Vediamo delle radici sottili,  e fragili che spesso e inevitabilmente vengono tagliate.

Care e cari, esaminate, analizzate attentamente che cosa è per voi questo albero. Potrebbe anche essere una metafora che vi identifica? Possiamo essere come questo albero?  Sia gli autoctoni che gli immigranti credenti in Italia sono come degli alberi radicati in una terra comune che con la loro fede comune possono testimoniare ciò che prima era impossibile. Le prove che mediante la fede sono state superate.

Da un altro punto di vista, prendiamo in esame questa metafora di noi come degli essere alberi sradicati dalla terra dalle quali siamo nati e poi ripiantati in questo paese. Guardate bene le radici di questo albero (Guardate la slide). Pensiamo a queste radici che sono state spostate, tagliate  o danneggiate, certamente li abbiamo ancora, ma non sono più come prima. Molte sono cresciute, molte hanno subito delle modifiche per potersi adattare alla nuova condizione, di fronte ad un nuovo ambiente. Le radici sono come le lingue, le culture, le tradizioni, e i cibi che sentono di essere modificate durante i trapianti in un’altra terra. E’ un processo che non manca certo di diverse problematiche di adattamento. Per questo, la nuova terra che lo ha accolta ha un ruolo fondamentale perché possa  crescere e trovare la sua collocazione. Dio sa quanto sforzo richiede per superare questa nostra difficoltà di essere i suoi figli eredi della sua terra donata per tutti noi.

Qual è il ruolo della fede in questo albero sradicato e trapiantato?  E’ ciò che rende possibile ciò che è impossibile. Il credente che possiede questa piccola fede che ha potuto spostare quell’albero dalla terra al mare deve renderne conto che questa metafora usata dal Signore agli apostoli con l’albero dalla terra al mare come suo ambiente  è completamente cambiato al meglio se è compreso.

L’impossibile tra l’impossibile?  Cerchiamo di capire che tutto è impossibile se non c’è fede.

Il Signore ha usato una metafora per spiegare agli apostoli che cosa è  la fede, un punto d’inizio per un nuovo modo di vivere la vita in un mondo diverso. E’ una metafora da cui riusciamo a trarre diverse metafore che definiscono e aiutano a spiegare dove siamo arrivati. Per chi si è spostato, per chi ha avuto l’esperienza di questo tipo di vissuto come un albero trapiantato nel mare ne esperimenta un vissuto di  tante difficoltà per trovare il proprio equilibrio. Gesù, il Signore lo sapeva, sapeva di essere un straniero che vive in un ambiente in cui si deve fare sempre conti con la realtà che non si sentirà mai ferma, ma stabile in colui da cui poggiato, sostenuto la sua vita.

 

Luca parla di un sicomoro, una specie di gelso. Matteo, invece, parla di una montagna, ma non cambia in alcun modo la sostanza del messaggio: la fede si affida a Dio, per il quale nulla è impossibile, ed è Dio che dà forza alla vita dei discepoli mentre svolgono il loro mandato. Così con la fede che hanno possono sradicare un albero e trapiantarlo nel mare. Gli apostoli di oggi sono responsabili delle fede che posseggono, e devono trasmetterla con fatica (attraversando molte difficoltà).  Questo significa, come disse Pietro al suo maestro Gesù: “Tutta la notte abbiamo faticato, e non abbiamo preso nulla” (cfr. Luca 5,5). Vivere con la fede è un lavoro duro, e trasmetterla è un lavoro altrettanto duro, è un impegno della comunità che l’ha ricevuta, e assumendosi la sua responsabilità deve sempre ricordare che questa fede le è affidata da colui che l’ha data: il Signore del cielo e della terra.

Ora  ci lascia un pensiero di  insegnamento da elaborare e sviluppare ancora per comprendere meglio la nostra vita di immigranti. Se siamo radicato a Dio, credo di sì,  permettiamo noi stessi a cogliere ciò che il futuro ci sta già facendo sperimentare.  Possiamo crescere qui nonostante l’impatto del  vissuto doloroso di essere sradicato dalla nostra terra natia per godere la vita di fede che il Signore risorto ci ha donato qui dove siamo. La fiducia che riponiamo in Lui ci aiuta a capire che con la nostra fede possiamo contrastare la nostra incredulità sulla parola impossibile.  Poniamo la nostra fede sulla sua parola promettendoci  ad un futuro migliore. Quando ascolto una testimonianza di una persona(sorella o fratello di chiesa) che è stata diagnosticata di avere una malattia inguaribile,   di avere solo qualche mese o qualche anno di  vita ma che ha già superata quel limite, rimango ammutolita per la gioia di ricevere la sua testimonianza di fede, riconoscendo che con la fede ha avuto questo miracolo. Mi chiedo però dentro di me “perché i miei entrambi che avevano avuto la malattia inguaribile non avevano sperimentato questo miracolo”? Quale la mia risposta?  La fede in Dio è salda, ferma, è un dono come la vita che nessuno possa fermare di far sussistere un essere. La fede è la forza della vita, la forza emana quando la morte la minaccia. La fede è anche un dono come la vita che nessuno di noi la può mettere in questione da come noi che siamo solo le creature umane. Possiamo ragionare, arriviamo a capire ma non tutto siamo capaci di comprendere.

Voi siete seduti qui per ascoltare questo messaggio.

E pensate la malattia inguaribile cioè quello che può dire un medico valutando ciò che è impossibile a guarire. Pensate che il Covid 19 sarà sconfitto dal frutto del lavoro dei ricercatori perché con la loro intelligenza donata dal Signore possono intervenire nella storia umana?

Pensate di poter salvare molti afghani perché avete la fede?

Noi non sradichiamo il male, ma lo possiamo scacciare, c’è ovunque, e solo con  il bene possiamo contrastarlo. Perciò chiediamo al Signore di aumentarci la fede perché possiamo a sua volta i suoi strumenti  perché  guarisca la parte malata dell’umanità.  Siamo tutti parte della natura che vivono in  questo mondo che con la differenza del avere la  fede in Lui (Dio) siamo capaci e siamo anche dei portatori di quella forza che emana laddove Dio è all’opera. Il Signore Gesù era morto ed era risuscitato, ciò è la prima espressione del Dio vivente e il culmine della sua potenza.

 

Che cosa è la fede? E’ simile ad un granello di senape.

Che cosa vuol dire avere fede? Se hai fede, hai quindi questo potere di fare una cosa straordinaria. Immaginate l’aspetto fisiologico di un granello di senape che assume un nome come la fede è un’identità che ha fatto perennemente discutibile alle persone, atei e credenti. E’ rimasta salda, degna da nominare per ciò che ha realizzato possibilmente nelle vite di molte di noi.

Ebrei 11:1 Or la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono. 2 Infatti, per essa fu resa buona testimonianza agli antichi. Amen

past. Joylin Galapon

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#CJ4A. Giovani metodisti: salviamo il pianeta

La campagna metodista per il clima lancia un altro cortometraggio in vista della COP26. Settembre è il mese dedicato all’Italia

Ciclo di incontri on line per i monitori e le monitrici delle scuole domenicali

Il primo incontro si terrà sabato 25 settembre dalle 10 alle 12.30 e sarà aperto da una meditazione del pastore e presidente FCEI Luca Maria Negro

Rendete grazie

1 Tessalonicesi 14-24.
Vi esortiamo, fratelli, ad ammonire i disordinati, a confortare gli scoraggiati, a sostenere i deboli, a essere pazienti con tutti. Guardate che nessuno renda ad alcuno male per male; anzi cercate sempre il bene gli uni degli altri e quello di tutti. Siate sempre gioiosi; non cessate mai di pregare; in ogni cosa rendete grazie, perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito. Non disprezzate le profezie; ma esaminate ogni cosa e ritenete il bene; astenetevi da ogni specie di male. Or il Dio della pace vi santifichi egli stesso completamente; e l’intero essere vostro, lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Fedele è colui che vi chiama, ed egli farà anche questo.

Preghiamo:
Siano gradite le parole della mia bocca
e la meditazione del mio cuore in tua presenza, o SIGNORE, mia Rocca e mio redentore!

Care sorelle e cari fratelli,
Avete notato che la Bibbia contiene dei comandi, ma nessuna spiegazione su come metterli in pratica? Sappiamo che la Bibbia racchiude tutto ciò che dobbiamo sapere per obbedire a Dio. Tuttavia, talvolta vorremmo avere delle istruzioni più dettagliate. Per esempio, il versetto 18 del brano di oggi dice semplicemente: “In ogni cosa rendete grazie, perché questa è la volontà di Dio per voi in Cristo Gesù.”

Queste sono parole impegnative! Siamo abbastanza veloci nel ringraziare il Signore per le benedizioni ricevute, che si tratti di una nuova nascita, di una nuova casa o di un nuovo lavoro, ma per la malattia, il dolore, la difficoltà o la perdita, come possiamo essere grati per queste cose? La risposta è che non lo sappiamo – a meno che non riconosciamo che Dio porta o permette il dolore e le difficoltà nella nostra vita per i suoi buoni propositi per noi e per la sua gloria.

Ci sono molte cose che non potremo mai capire in questo mondo, ma c’è una cosa di cui possiamo essere molto sicuri: il nostro Dio è buono. Inoltre, i suoi propositi sono buoni e ha promesso di essere con noi in ogni circostanza. Se crediamo questo, possiamo rendere grazie in ogni cosa.
in tutte le cose.

Corrie ten Boom nacque nel 1892 in una famiglia olandese profondamente cristiana in cui gli atti di generosità e di impegno sociale erano molto riconosciuti.
Suo nonno aveva fondato un’azienda di orologeria, che fu ereditata dal padre di Corrie, Casper.
Nel periodo della seconda guerra mondiale, all’età di 48 anni, Corrie fu testimone di ciò che stava accadendo con il regime nazi-socialista e specialmente con la persecuzione degli ebrei, e le venne un’ispirazione su come sostenere i rifugiati.

La sua idea prevedeva che la loro casa venisse trasformata in un rifugio per un breve periodo di tempo. Nel secondo piano della casa di Corrie costruì un nascondiglio che potesse nascondere 6 persone.
In pratica, accolsero degli ebrei e altri combattenti della resistenza olandese, nei quali a volte rimanevano per qualche ora o anche un mese in attesa per una via di fuga.

Un giorno un uomo entrò nel loro negozio di orologi e disse a Corrie che lui e sua moglie erano ebrei e che avevano bisogno dei soldi per poter corrompere un poliziotto, Corrie rispose che avrebbe cercato il modo per aiutarlo.
Fu proprio l’uomo che la denunciò. La polizia della Gestapo irruppe in casa di Corrie, arrestò suo padre, i suoi fratelli Willem, Nollie e Betsie, e suo nipote Peter.

In prigione il padre di Corrie, Casper che aveva 84 anni, fu condannato ed morì dopo 10 giorni; sua sorella Betsie morì poco dopo il loro arrivo al campo di concentramento poiché non riuscì a sopportare le privazioni e i maltrattamenti in carcere e cosi via anche per l’intera famiglia.

Ma il destino di Corrie fu salvato da un miracolo, il suo nome fu inserito nella lista delle persone che avrebbero potuto riacquistare la libertà. Ritornò nei Paesi Bassi e riuscì a guarire da tutti i problemi di salute che aveva sofferto a seguito della permanenza nel campo di concentramento. Corrie perdonò. E ha perdonato la mancanza della sua famiglia e le sue sofferenze.

Nel 1947, però, a Monaco, dovette affrontare una delle prove maggiori; un uomo volle salutarla e volle stringerle la mano… Corrie lo riconobbe come una delle guardie più crudeli del campo di concentramento, una delle tante che faceva sfilare le persone nude come Corrie e sua sorella Betsy per selezionare i prigionieri che potevano essere ancora utili.

Come poteva stringere la mano di quell’uomo?
Le disse che si era convertito al cristianesimo dopo la guerra e credeva che Dio volesse perdonarlo per tutte le cose orribili che aveva fatto nel campo di concentramento, ma aveva bisogno che lei le dicesse personalmente che lo perdonava.
Corrie in quel breve momento non voleva perdonalo, ma lo fece.
Corrie aveva così tanto amore grazie al suo rapporto con Dio.
Negli anni seguenti Corrie fondò una casa di convalescenza progettata per la guarigione e la cura dei sopravvissuti alla guerra. E giro in tutto il mondo per dare la sua testimonianza.
Sentiva che la sua vita era un dono di Dio e aveva bisogno di condividere ciò che aveva imparato nel campo di concentramento.
“Non c’è dolore così profondo che l’amore di Dio non possa guarire”.

AMEN

Antonio Montano