Rianimare la speranza

 1Tessalonicesi 1:2-10

Rendiamo continuamente grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e incessantemente rammentando l’opera della vostra fede, la fatica dell’amore, la perseveranza della speranza del Signore nostro Gesù Cristo davanti a Dio, Padre nostro, ben conoscendo,
fratelli amati da Dio, la vostra elezione.  Il nostro vangelo, infatti, non vi è giunto soltanto tramite parola, ma anche mediante potenza, Spirito santo e nella più piena certezza; sapete bene come ci siamo comportati tra voi e in vostro favore. Anche voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore,
avendo accettato la Parola in grande tribolazione, con la gioia dello Spirito santo, al punto da diventare un modello per tutti quelli che credono, in Macedonia e in Acaia. Da voi, infatti, si spande la parola del Signore non solo in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio è giunta in ogni luogo, di modo che non abbiamo bisogno di parlarne. Essi stessi, infatti, raccontano quale sia stata la nostra venuta fra voi, e come vi siate rivolti a Dio allontanandovi dagli idoli, per servire il Dio vivente e veritiero e aspettare dai cieli suo Figlio, che egli risuscitò dai morti: Gesù, coluiche ci libera dall’ira che viene.

Care sorelle e cari fratelli,

è di qualche giorno fa la notizia che la nostra chiesa ha dato la disponibilità ad accogliere gli immigrati che da giorni vagavano per mare sulla Sea Watch. Per la prima volta da chissà quando il nome della nostra chiesa è stato ripetuto più volte su tutti i telegiornali nazionali e sulla rete hanno circolato notizie sulla nostra chiesa, ignota a milioni di Italiani. Un breve momento di notorietà e poi di nuovo torneremo nell’oblio di sempre! La cosa divertente è stato anche vedere su internet i nostri soliti detrattori coprirci di insulti perché vanagloriosi, venduti al mondo ecc, le solite
banalità di animi invidiosi. Non credo che ci sia nulla di male nel godersi quei cinque minuti di celebrità, con tutte le responsabilità che comportano… In fondo, qualcuno diceva che l’unica forma di immortalità che ci è concessa è il ricordo, ed è umano desiderare di essere ricordati per
qualcosa di buon che abbiamo fatto. Ma è solo il ricordo, una scia di affetti, quella che lasciamo nella nostra vita? No, certo, per chi crede c’è la certezza di una vita eterna con Dio, ed è questa che conta. Non è, però, questo il tema che vorrei approfondire, vorrei piuttosto riflettere all’inizio
della lettera di Paolo. Dopo duemila anni, infatti, noi dalle parole di Paolo abbiamo un ricordo, una testimonianza forte sulla fede di nostre sorelle e nostri fratelli di duemila anni fa. È quasi una rarità, perché la stessa cosa non avviene di molte altre chiese del passato! Dei corinzi, ad esempio, tutti
si ricorderanno la loro litigiosità…
A questo punto mi chiedo: chissà, in un futuro lontano, come ci ricorderanno i nostri discendenti! Sarebbe bello ricevere parole come quelle di Paolo. Sarebbe bello se qualcuno ricordasse la nostra opera di fede, la nostra fatica d’amore, la nostra costanza nella speranza… In
effetti, se guardiamo all’inizio di questa lettera ai Tessalonicesi, ci rendiamo conto della grande differenza tra la chiesa di allora e la nostra di oggi. Con questo non voglio dire che loro fossero meglio di noi. Credo che alla fine condividessero molti dei nostri problemi, che fanno parte di
qualsiasi comunità umana. Tutto sommato, non possiamo dire di avere anche noi l’opera della fede? Certo, la perfezione è lontana, ma anche noi ci impegniamo dare una forma concreta alle nostre convinzioni. Le attività della nostra chiesa sono numerose, a cominciare dai culti domenicali, fino ai bazar, alle riunioni famigliari, alle colazioni distribuite ai senzatetto. Anche nella nostra vita privata, sappiamo quanto può essere difficile essere coerenti in un mondo come il nostro, quando siamo travolti da un’esistenza sempre più complicata… Ma ci proviamo! Lo stesso
possiamo dire della fatica dell’amore e della costanza nella speranza. Pensiamo ai fratelli o alle sorelle che stanno male nella nostra chiesa: non è una fatica d’amore quella di chi li accompagna? Pensiamo a quante volte la nostra speranza viene messa alla prova dagli eventi quotidiani, dalle
ingiustizie che si realizzano sotto il nostro naso, da quelle che subiamo sul lavoro e nella vita di ogni giorno.
Quello, però, che ci distingue profondamente dalla chiesa antica è lo slancio evangelistico. La chiesa di Tessalonica viene ricordata da Paolo, perché si fa testimone dell’evangelo in tutta la regione. Noi, invece, da anni e anni non apriamo una chiesa nuova. Credo che l’ultima sia stata
quella di Colleferro e Ferentino nel dopoguerra. Se saremo ricordati per le cose che facciamo, certo noi non lo saremo per il nostro slancio evangelistico. Ed è forse di qui che dovremmo ripartire nella riflessione sulla nostra vocazione qui a Roma. Perché non proviamo, di nuovo, a coinvolgere nuove persone nella vita della nostra chiesa? Perché non proviamo a rilanciare la nostra evangelizzazione? Perché non ci dotiamo degli strumenti e delle energie necessarie? Potremmo fare molte cose, dallo studiare nuovo materiale, all’abbellire la nostra chiesa e al fare un corso per evangelisti. In fondo, non siamo sostenuti dalla stessa speranza che animava i cristiani della chiesa antica di Tessalonica? La fede è la medesima, il progetto di fede, culturale e volendo anche politico è anche più articolato. Perché non passare riusciamo a trasmettere tutto questo? Ieri, all’assemblea della Società Biblica in Italia ci chiedevamo: perché uno si dovrebbe associare e restare socio? Facciamoci la stessa domanda per la nostra chiesa: perché si dovrebbe diventare membri di questa comunità? Perché ci si deve rimanere, una volta passato il primo entusiasmo?
Dalla chiesa di Tessalonica possiamo ricevere un incoraggiamento: condividiamo la stessa opera della fede, la stessa fatica d’amore, la stessa costanza nella fede. Dobbiamo “solo” riscoprire lo slancio evangelistico.
Poi Paolo continua e, con due tratti di penna molto ben riusciti, descrive la vita della comunità: essersi convertiti agli idoli, per servire il Dio vivente e vero, e aspettare dai cieli la sua venuta. Ci ritroviamo in questo quadro? Direi di sì. Se siamo qui, è perché abbiamo lasciato alle spalle gli idoli vani che ci tenevano prigionieri e perché sappiamo che questa lotta è quotidiana e per vincerla abbiamo bisogno della forza dello Spirito Santo. Abbiamo rifiutato tutto ciò che, nella nostra vita tende ad allontanarci dal Signore, ed a sostituirsi a lui. Sappiamo quanto è difficile, ma noi siamo qui per testimoniare al Signore la nostra volontà. Di conseguenza, noi siamo qui per servire il Signore con un impegno che modella la nostra vita, perché nasce spontaneamente dalla scelta fondamentale che abbiamo fatto per lui. Certo deve essere coltivato con la lettura della Bibbia e con la preghiera, ma servire il Signore è qualche cosa che nasce spontaneamente nel nostro cuore dalla volontà nuova di vita che lo Spirito ci dona. Bisogna solo organizzare questo desiderio e dargli forma con efficacia. Per questo è fondamentale che i nostri organismi, come il consiglio di chiesa, siano efficaci nel loro lavoro di programmazione e di amministrazione.
È anche interessante mettere in evidenza l’ultimo punto che Paolo richiama ai Tessalonicesi. Egli dice, infatti, che noi serviamo il Signore mentre attendiamo la venuta del Regno. Forse l’idea dell’attesa ci può indurre in inganno, quasi che fosse un’attesa passiva…
Quello che abbiamo appena detto sul servizio, però, non ci permette di pensarlo neanche per un momento. Questo è un tempo ricco di attività, a cominciare dall’evangelizzazione: dovremmo vivere la prospettiva del Regno come una realtà che ci trasforma mediante lo Spirito Santo, una
realtà nuova di cui noi siamo portatori e di cui noi dobbiamo farci interpreti di fronte al mondo che ci circonda.

La parola di Paolo che abbiamo letto questa mattina è, dunque, una parola che ci incoraggia a continuare nel cammino fin qui percorso, esortandoci a riprendere la testimonianza dell’evangelo nella nostra vita, in questa nostra città. Ci siamo rispecchiati nella comunità di Tessalonica? Un po’ sì, un po’ no. Facciamoci coraggio, però, e continuiamo a portare questa
parola con caparbietà. Magari un giorno anche di noi qualcuno scriverà le belle parole che Paolo scrisse della chiesa di Tessalonica!

prof. Eric Noffke

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Liturgia ecumenica della Parola

 

Mercoledì 23 gennaio alle ore 18.30 presso la nostra chiesa in via .XX settembre 122 c si terrà una liturgia ecumenica della Parola insieme alla parrocchia cattolica di santa Maria degli Angeli e dei martiri

Tu devi vivere alla grande!

Lc 3, 15-16 21-22

Tu sei, prediletto, compiaciuto.

Tu devi vivere alla grande!

Sembra questo il senso delle parole uscite dallo squarcio del cielo. Il battesimo di Gesù, come raccontato da Luca, arriva del tutto inaspettato, quasi non lo trovi scorrendo il testo. E Giovanni non si accorge per nulla di aver battezzato proprio la persona di cui parlava: si perde nella folla. Come si perde nelle frenesie delle nostre giornate la presenza di Dio, l’azione di Dio. Nel 1° libro dei Re al capitolo 19, come abbiamo ascoltato, Dio si manifesta nel vento sottile, quasi impercettibile. (1 Re 19, 11-13). Dio non era nel tuono. Non era nel terremoto, non era nel vento impetuoso, non era nel fuoco. Era in una leggera brezza. Quasi impercettibile!

Il vento. Quanto nella Bibbia è presente. Sarebbe bello uno studio biblico sul vento, fuoco ecc. Alito di Dio soffiato sulla creta di Adamo, vento leggero  sull’Oreb, vento impetuoso di Pentecoste.

Vento che viene da Dio, che ama gli spazi aperti, riempie le forme e passa oltre, che non sai da dove viene e dove va, fonte di libere vite. Libere vite.

Dove passa anche oggi. Passa in una stalla di Betlemme, o come qualcuno il giorno di Natale attualizzando ha detto: “lo troverete nella spazzatura”. Lo troveremo dove meno ce lo aspettiamo. E soprattutto non nei grandi eventi o nelle situazioni che colpiscono la nostra attenzione per la magnificenza. Dio va scoperto e trovato nella piccolezza.

Ma è una presenza, presenza costante, puntuale, attenta ma discreta.

Ma se il libro dei re ci dice dove sta Dio domandiamoci: Dove sta l’uomo? Dove sto io? E la domanda che Dio ha abbandonato la terra ci risuona sempre come una tentazione continua. Invece di saper cogliere, si cogliere, il vento leggero e piacevole della Sua presenza. È più semplice constatare e lamentarsi dell’assenza di Dio che della sua presenza costante, amorevole. Anche se difficile non farlo se pensiamo ai porti chiusi, alle politiche di chiusura, ai 4 clochard già morti a Roma dal 1 di gennaio. Però la scrittura tutta ci descrive questa piena e totale presenza sempre, anche quando non la cogliamo. Lui c’è. E opera, salva, perdona. E agisce. Le nostre chiese hanno aperto, hanno accolto, hanno testimoniato amore e presenza.

Tornando a Luca, il passo, però segna il passaggio dalla predicazione di Giovanni a quella di Gesù, che concretizza le parole del Battista. È interessante che venga raccontato come un’esperienza intima, quasi interiore. Sembra come se solo Gesù, nella preghiera, si accorgesse dello Spirito e della voce. In fondo, però, di pubblico finora c’è stato solo Giovanni Battista. Tutte le storie che riguardano Gesù fino a dopo le tentazioni sono personali, quasi segrete…

È interessante notare come il Gesù di Luca prega al Battesimo, come inizio della sua vita pubblica, e sulla croce, momento ultimo della sua esistenza.

Se ci fermassimo qui, la nostra esperienza di fede dal Battesimo in poi sarebbe un fatto personale, chiuso, nel mio cuore, nella mia testa, quasi un rapporto esclusivo, quasi, lasciatemi dire egoistico con Dio. Ma quel cielo che si apre e le parole «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» operano una conversione totale del rapporto con Dio, di Gesù ieri e di me oggi.

 

Trasportiamoci in quel giorno

Sono uno dei tanti della folla dei battezzati in quel giorno da Giovanni. Perché sono qui? Cosa cerco? Sicuramento un perdono dei peccati, che non credo venga più dagli sterili rituali del Tempio. Da animali offerti, da parole vuote, quasi magiche, da riti che non hanno significato di profonda conversione del mio essere. Infiniti mea culpa, lunghe processioni di penitenti, litanie interminabili, noiosi riti da sinagoga, tempio o chiesa poco importa. A questo sono legato?

Sono qui a chiedere un perdono dalle catene del peccato, catene che tengono la mia mente e il mio corpo legate ad una delle tante schiavitù del momento, dalle dipendenze della moda, dagli slogan in voga degli urlatori di turno. Troppe scorie, troppi legacci piccoli ma forti, condizionanti. Talmente forti che non riesco a liberarmene e troppe volte neanche a dare loro un nome.

Ci vuole uno stop nella mia vita, un punto di non ritorno. Ecco l’acqua, ecco le promesse del Battista. Sono titubante, come è debole la mia fede. Mi lancio allora? Chissà che non vada bene. 

Succedeva che invece di pensare al passato, a quello che ero stato fin allora e allemacerie che avrei dovuto rimuovere, mi ritrovavo una voglia matta di sprint come diconogli americani, un prurito addosso che mi diceva ma dai ma che aspetti a cominciare? Non

lo vedi che vogliono te, non ti rendi conto che sei necessario e forse indispensabile.

Incerto lo sono sempre stato, timido non ne parliamo, con la stima per me stesso sotto lasuola delle scarpe. Figurati alla mia età andare a capo e… signori si parte. No, ma che,non se ne parla proprio. E Invece…

Invece fu davvero così, non ci credo neanche adesso.

Stiamo finendo. Aspetta c’è ancora uno, il solito ritardatario. L’acqua è impregnata dei nostri peccati. Non l’acqua benedetta pulita dei nostri battesimi odierni. Ecco si avvicina, il ritardatario. È muto, assorto. Continua dopo essersi bagnato, a pregare in silenzio.


Non so gli altri, ma io, all’improvviso, vedo il cielo aprirsi in modo spettacolare e si apre sopra di lui. Il ritardatario. Quel cielo che era chiuso, con un Dio che ormai sembrava lontano, che si fosse dimenticato dell’uomo, del mondo, della vita.

Perché proprio su di lui? Chi è?

Ma che significa quel cielo aperto su quell’ultimo uomo? Ora con un colpo da circo si cala una corda, o una scala e fugge lontano per estraniarsi completamente da questo mondo balordo, non-umano, non inclusivo, non….. Perché proprio su di lui? E non su di me che ho tanto bisogno di sentire la presenza di Dio? Ma chi è mai?

Tutto il contrario, tutto l’opposto. 

Figlio, l’Amato, il Preferito. Quelle parole udite e non udite su quell’ultimo uomo arrivato in ritardo apparve, risuonò, rimbombò ai miei occhi e nel cervello come preferito, prediletto da Dio. 

Una consacrazione, un’investitura, una trasfigurazione. Una fede.

 

Questo forse fu il battesimo di Gesù quel giorno.

«Scese lo Spirito Santo» si può quindi tradurre così: «Scese la vita di Dio». Soffio che rianima, respiro profondo dell’essere, soffio di primavere.

Quella voce dal cielo annuncia tre cose:
Figlio è la prima parola: Dio è forza di generazione. Siamo tutti figli nel Figlio, frammenti di Dio nel mondo, abbiamo Dio nel sangue.
Amato.Prima che tu agisca, prima di ogni merito, che tu lo sappia o no, ad ogni risveglio, il tuo nome per Dio è “amato”. «Tu ci hai amati per primo, o Dio, e noi parliamo di te come se ci avessi amato per primo una volta sola. Invece continuamente, di giorno in giorno, per la vita intera Tu ci ami per primo» (Kierkegaard).
Mio compiacimento è la terza parola, che contiene l’idea di gioia, come se dicesse: tu, figlio mio, mi piaci, ti guardo e sono felice.

Se ogni mattina potessimo ripensare questa scena, vedere il cielo azzurro che si apre sopra di ognuno e ognuna di noi come un abbraccio; sentire il Padre/Madre che ci dice con tenerezza e forza: figlio mio, amato mio, mio compiacimento; e come un bambino abbandonarsi felici e senza timore fra le braccia dei genitori, questa forse sarebbe la mia più bella, quotidiana esperienza di fede.

Figlio è colui che prolunga nella sua vita la vita del padre e della madre.

Una investitura, una chiamata, la scoperta di chi fosse. E queste domande sono rivolte a noi continuamente, non solo nel giorno del battesimo. Chi sono? A quale vocazione sono chiamato? Quale progetto di vita? Come vivere l’essere figlio, l’amato il prediletto?

Oggi come ieri viviamo momenti di narcisismo estremo che riempiono spazi e tempi, l’intimità della preghiera può essere un valido contraltare. Preghiera che è fare silenzio dentro di noi, lasciare spazio per accogliere lo Spirito e ascoltare.

La fede esibizione viene qui completamente oscurata dalla dimensione personale e prima di tutto privata della vocazione. Ma se la motivazione rimane nel cuore, la persona viene comunque gettata nel mondo e chiamata a prendere posizione. E quanto oggi come discepoli siamo chiamati a prendere posizione. Lo deve fare il Gesù lucano, lo devono fare i discepoli. Lo dobbiamo fare noi. Si noi. Siamo sicuri anche noi?

Risposta scontata. In quel giorno Gesù scopre quindi chi è: figlio amato, prediletto. Figlio di cui il Padre si compiace. Non la rivelazione di una verità astratta, ma la metafora e la realtà di una relazione concreta, stretta, profonda, come è quella tra padre e figlio. Lo sappiamo che il nostro con Dio è un rapporto tra padre e figlio.

Un rapporto che è la nostra vita quotidiana di padri/madri o di figli/e. Una realtà che tutte e tutti abbiamo vissuto, viviamo. Ma quanto è presente realmente nella fede questa modalità, o meglio questa relazione?

Una vita, una chiamata. Datti da fare allora, è di nuovo il tuo momento, non perdere tempo.

E soprattutto una frase che ancora mi porto sul petto come un tatuaggio: scopri chi sei.

Come chi sono? Chi sei? E di nuovo il rapporto padre figlio ci aiuta. Un padre ci aiuta a scoprire, accettare e vivere quello che è il figlio.

Quindi scopri, scopriamo chi siamo e certi “peccati, riti, pensieri” facciamoceli passare.

Mettiamoci in moto che è già tardi, che troppo abbiamo sbagliamo in questa Storia, in questo mondo e forse siamo già ad un punto di non ritorno, perché quel cielo che si apre è metafora del mondo nuovo di Dio e noi non possiamo che essere soggetti protagonisti. Un mondo di Dio in continua relazione con il mondo dell’uomo, come il rapporto reciproco di attenzione, costante e di amore di un padre e un figlio. Che il Padre amore onnipotente ci riempia della brezza leggera, delicata della sua presenza. Perché anche ognuno e ognuna di noi è il prediletto o la prediletta del Padre. Lasciamo quindi contagiare da questa delicata presenza, dalla profondità dell’essere figlio di un Padre amore. Lasciamo contagiare da questo cielo che si apre.

Quindi convertiamoci, ossia osiamo la vita, mettiamola in cammino, e non per eseguire un comando, ma per una bellezza; non per una imposizione da fuori ma per una seduzione. Ciò che converte il freddo in calore non è un ordine dall’alto, ma la vicinanza del fuoco; ciò che toglie le ombre dal cuore non è un obbligo o un divieto, ma una lampada che si accende, un raggio, una stella, uno sguardo.
Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui.
Conversione, non comando ma opportunità: cambiate lo sguardo con cui vedete gli uomini e le cose, cambiate strada, sopra i miei sentieri il cielo è più vicino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile.

Conversione significa anche abbandonare tutto ciò che fa male all’uomo, scegliere sempre l’umano contro il disumano. Come fa Gesù: per lui l’unico peccato è il disamore, non la trasgressione di una o molte regole, ma il trasgredire un sogno, il sogno grande di Dio per noi. (Ermes Ronchi)

E quel ritardatario al Giordano ha saputo quindi donarci questo sogno di Dio e donarci sguardi nuovi sul nostro cammino. Ci ha donato nuove primavere.

E quanto ne abbiamo bisogno, ancora oggi!  Amen.

Il Rinnovamento del patto

da Riforma

di Mirella Manocchio

Per le chiese metodiste un’occasione di testimonianza del loro costante impegno

Molta acqua è passata sotto i ponti da quando nel lontano 11 agosto 1755 venne per la prima volta celebrato il culto di Rinnovamento del Patto a Londra, nella chiesa francese di Spitalfields, alla presenza di 1800 persone, divenendo, come John Wesley successivamente commentò nel suo diario: «un’occasione per varie esperienze spirituali … Non credo che abbiamo mai avuto benedizione maggiore». Da allora, nelle chiese metodiste di tutto il mondo, all’inizio dell’anno o nelle occasioni significative viene celebrato questo culto che sancisce l’impegno e il completo affidamento a Dio della comunità dei credenti, nella consapevolezza che Egli stesso, per primo, offre la possibilità di rinnovare un tale patto con Lui. «Signore, io non appartengo più a me stesso, ma a te. Impegnami in ciò che vuoi, mettimi a fianco di chi vuoi»: così ha inizio la preghiera centrale nel culto di Rinnovamento del Patto.

Ma di che cosa tratta questa tradizione? Essa ha una radice biblica e nel libro del profeta Geremia il contenuto del patto viene da Dio stesso riassunto nell’affermazione: «Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (31, 33b). La Bibbia menziona in varie occasioni un Patto tra Dio e l’essere umano: da Noè ad Abramo, da Mosè fino a quello eterno (berit olam) stabilito con re Davide, e infine per mezzo di Gesù Cristo il Patto viene esteso all’umanità intera.

In ogni caso, è sempre Dio che sceglie la controparte del Patto e che vi si impegna in prima battuta. L’essere umano è chiamato a rispondervi sebbene non sia una controparte uguale a Dio sia nel peso della responsabilità, sia nella fedeltà.

Nella seconda metà del ‘700, in una società gerarchicamente bloccata, celebrare un culto che avesse al centro una tale idea di Patto non era questione di poco conto: illustrava chiaramente l’assunto teologico per cui se la salvezza è per grazia di Dio, nel piano divino l’essere umano, qualunque essere umano, è chiamato a fare la sua parte nel farsi strumento fedele e fiducioso. L’essere umano ha responsabilità nei confronti di Dio e del prossimo per cui non vive la propria fede passivamente. In tal senso, nemmeno la struttura della società può essere accolta acriticamente ma va compresa alla luce del Patto e nell’orizzonte del Regno di Dio.

Come spiega Giosuè al popolo d’Israele (Giosuè 24, 23), accettare di entrare in tale relazione con Dio significa fare una scelta di campo globale, non unicamente relativa al tempo cultuale. La comunità fondata sul patto è plasmata, messa alla prova, vagliata da Dio la cui volontà è che le categorie fragili della società (all’epoca: bambini, orfani, vedove, stranieri) siano rispettate e tutelate, che il cibo sia condiviso, che la terra sia rispettata.

Nel patto, Dio offre promesse di prosperità all’umanità e al popolo d’Israele (discendenza, terra), ma le benedizioni sono frutto della fiducia incondizionata in Dio (cfr. Genesi 22, 16-18) e dell’obbedienza ai suoi comandamenti (Deuteronomio 9, 9ss) tanto che le tavole di pietra su cui vennero scritti vengono denominate «tavole dell’Alleanza».

Secondo alcuni studiosi, il fatto che le «società» metodiste si riconsacrassero ogni anno in un patto con Dio, fu tra le ragioni che determinarono il successo del metodismo e l’influsso positivo che esso esercitò all’interno della compagine sociale. Oggi la visione teologica sottesa al culto di Rinnovamento del Patto probabilmente risulta assodata, ma davvero possiamo dire di essere pronti a vivere il nostro impegno come scelta radicale? E se pure, nella contraddittorietà e durezza del nostro contesto sociale, asseriamo di volerlo fare, come possiamo riuscire a vivere il nostro impegno in modo adeguato, da esseri umani fragili quali siamo?

Dinanzi alla tragica consapevolezza che in questa relazione noi siamo inadeguati e infedeli, ecco che il rimetterci con fiducia a Lui nella preghiera sapendo che siamo stati scelti quali suoi strumenti può darci la forza di continuare nel nostro impegno – come detto nella liturgia del culto relativo – «a ricercare e a compiere la tua perfetta volontà».

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Il mondo la mia parrocchia

Breve messaggio per il capodanno 2019

Care sorelle e cari fratelli nel Signore, vi esorto, rallegriamoci.

Ci rallegriamo perché fin qui siamo arrivati.

Dio, il Signore della nostra vita, ci ha donato un nuovo giorno,  un nuovo anno,  è il primo giorno dell’anno 2019.

Siamo qui oggi perché la nostra volontà di servire il Signore e il prossimo ci induce a dichiarare pubblicamente in maniera collettiva e quindi comunitaria le parole d’impegno formulate dal padre fondatore del metodismo John Wesley.

L’apostolo Paolo scrisse nella sua prima lettera alla comunità di Corinto al capitolo 3 verso 1: <<ho dovuto parlarvi come a bambino in Cristo>> (1 Cor. 3,1)  poi al capitolo 13 verso 11: << quando ero bambino parlavo da bambino>> , poi nello stesso versetto termina con queste parole: << ho smesso le cose da bambino>>.

Queste parole dell’apostolo, che sono già per me parole d’esortazione per il lavoro che svolgo di cura pastorale in questa comunità variegata della chiesa metodista di via XX settembre, possono essere paragonate alle parole che erano state usate nei diversi momenti in cui Paolo svolse il suo servizio di apostolo alle comunità primitive. Egli scrisse: <<11 Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. 12 Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto>>.1 Cor.13,11-12
All’inizio l’apostolo parlava alla comunità di Corinto come se fosse un interlocutore infantile, paragonandola ad una bambina nell’aspetto di vivere la fede nel Signore.

Successivamente descrisse se stesso,  come egli agiva da bambino e smise di agire come tale dal momento che aveva raggiunto l’età matura.

Ora che cosa mi dicono queste  parole dell’apostolo Paolo in riferimento al  nostro tempo e alle parole di J. Wesley:  <<Il mondo è la mia parrocchia>>?  Quali sono il rapporto di essi?

A mio avviso mi esortano a rivedere il servizio di cura pastorale che rendo a tutti quelli che entrano e escono in questa chiesa metodista di via XX settembre.

E’ una comunità italiana ma in realtà essa è composta da credenti che appartengono a culture e tradizioni diverse dovuto alle loro origini come me dalla chiesa metodista unita nelle filippine.

Quando abitavo nelle Filippine, ai credenti che appartenevano alla denominazione metodista unita, la frase di J. Wesley: << il mondo è la mia parrocchia>> ha un significato parziale di vivere e praticare la  fede.

Ho notato vivendo in Italia che queste parole di J. Wesley hanno un significato più profondo, assumendo un significato olistico, tanto grande come è il mondo nella vita di chi crede nel Signore.

Il mondo ha bisogno dei credenti perché svolgano l’impegno di cura e d’amore, la chiesa ha un impegno di curare non solo il suo interno ma anche il suo esterno, e tutta la terra, saper dire quanto Dio ha dato della sua vita nel figlio Gesù Cristo per salvarci.

Così, nel mio e nel tuo rapporto con gli altri popoli, italiani, coreani, cinesi, inglesi, africani e tutti coloro in quell’unica sola fede e solo spirito di Dio, si manifesti la volontà e l’amore Suo.

Io ringrazio Luca e Grace della comunità battista di Centocelle perché sono qui, per la loro volontà di  partecipare a questo culto di rinnovamento del patto con Dio coinvolgendo il coro Coram Deo purché anche loro riconsacrassero il loro impegno e la loro dedizione di cantare inni di lode al Signore con il dono della loro voce e di servire la chiesa di Dio il nostro unico Signore.

Così, cominciando il mese di gennaio facciamo chiarezza al significato del nostro coinvolgimento al dialogo fra noi cristiani di confessione cattolici, protestanti, ortodossi nel testimoniare l’evangelo in Cristo Gesù in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Rinnoviamo la nostra volontà di servire le persone senza fissa dimora come il breakfast time e ecc.

Dio vuole che gli preghiamo, che gli chiediamo per darci un futuro migliore di prima.

L’anno scorso, per quelli che erano presenti in quel primo giorno dell’ anno 2018 avevate ricevuto un segnalibro e ho ritenuto opportuno darvi anche questo anno come ricordo in cui è scritto il nostro impegno comune.

Vedete, da un lato l’immagine della vite, i suoi  tralci e suoi frutti parlano  tutto di noi, di come siamo uniti e uno in Cristo Gesù, il logo segno distintivo della chiesa metodista in cui Wesley vuole dire a ciascuno/a di noi credenti dell’impegno globale in cui deve essere vissuta la fede nel Signore Cristo Gesù.

Le parole che dichiariamo sono le nostre promesse in risposta a Dio che ha voluto pianificare tutto per la salvezza dell’intera umanità, del mondo che ha creato.

Allora, chiediamo al Signore di rigenerare la nostra forza, volontà, fede, speranza  e amore  e ci accompagni perché è lui la fonte di essi per poter compiere i  nostri buoni propositi.

Ognuno e ognuna nel proprio cuore ha assunto davanti a Dio diverse responsabilità. Che il Signore conceda il suo sì a ogni obiettivo che vogliamo raggiungere in questo nuovo anno.

Ora vi invito ad alzarvi in piedi per dichiarare le parole che trovate sull’ordine del culto oppure sul segna libro. ognuna/o nella propria lingua, prima in tagalog, poi in coreano, e finiamo in italiano perché è la nostra lingua comune.

Tungkuling Pangako(Filippini)

 

Hindi ko na pag-aari ang aking sarili, kundi sa iyo. ilagay mo ako sa iyong kagustuhan, ilapit mo sa akin ang sinuman mong gusto.  Naway lagi akong iyong tagapagpatotoo, maging sa panahon na ako’y masigla, nasa kahinaan, kagalakan, at sa pagdurusa.Ama, Anak at Banal na Espiritu, ikaw ay akin at ako ay iyo. Malaya at buong puso na ako’y susunod sa iyong kagustuhan at iniaalay ko ang lahat sa paglilingkod sa iyo. At ang kasunduan na ginawa ngayon sa lupa, ay mapahitulutan din  sa langit. Ikaw ang aming Diyos at kami ay iyong sambayanan. Amen.

 

Coreani

저는더이상저자신의것이아니요. 주님의것임을고백합니다.

저를주님이원하시는것을행하는도구로삼아주시옵소서.

주님이원하시는사람들과함께나를들어써주시옵소서.

저로하여금주님의사역과고난에동참하게하옵소서.

저로하여금주님을위하여일하게하옵소서.

주님을위하여영광스러운일이나모든일에사용하여주옵소서.

저는마음을다하여자원하는심정으로주님의기쁨과뜻에모든것을헌신하겠습니다.

주님은우리의하나님이시요우리는주님의백성입니다.                                                                                    아멘

 

Impegno(Tutti)

Signore, io non appartengo più a me stesso, ma a te. Impegnami in ciò che vuoi, mettimi a fianco di chi vuoi; che io sia sempre tuo testimone, sia nella pienezza delle forze, sia quando le forze vengono meno, sia che io mi trovi nella gioia, sia che io mi trovi nel dolore. Liberamente e di pieno cuore mi sottopongo alla tua volontà e metto ogni cosa al tuo servizio. Tu sei il nostro Dio e noi siamo il tuo popolo. Amen