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Incontro Progetto Rosarno

Il prossimo 4 dicembre alle ore 18.00 presso il salone della Chiesa Metodista di Roma in via Firenze 38 sarà presentato il progetto Rosarno ideato e promosso dalla Federazioni delle Chiese Evangeliche in Italia. Parteciperanno:

Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope

Francesco Piobbichi, responsabile del progetto 

Operatori del progetto

 

Al termine si potranno assaggiare i prodotti coltivati e fare delle prenotazioni degli stessi.

Vi Aspettiamo!!

 

Qui sotto trovate un articolo di prestazione del progetto e la lettera di presentazione da parte della FCEI:

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Arance color giustizia. A Rosarno parte un nuovo progetto delle Chiese evangeliche per i migranti

ROMA-ADISTA. Arriva anche a Rosarno (Rc) Mediterranean Hope, il programma per rifugiati e migranti della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), che così si arricchisce di una nuova presenza nel sud Italia: dopo Lampedusa e Scicli, in Sicilia, ora la piana di Gioia Tauro, con un intervento a Rosarno, “patria” delle arance calabresi, anni fa salito alla ribalta delle cronache per le aggressioni razziste-mafiose contro i migranti e la “rivolta” di questi ultimi, costretti a lavorare nei campi in condizioni disumane.

«L’iniziativa si sviluppa attraverso tre azioni principali – spiega Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope –: uno sportello sociale mobile che ha il compito di raccogliere e per quanto possibile soddisfare richieste di interventi sociali, sanitari e legali da parte di immigrati; il sostegno ad una scuola di italiano che opera nelle vicinanze della tendopoli di San Ferdinando; lo sviluppo, attraverso la promozione di un marchio “etico”, di una filiera “virtuosa” composta da aziende che, lottando contro la criminalità organizzata della ‘ndrangheta da una parte e la grande distribuzione dall’altra, cercano di realizzare un’economia sostenibile, ecologica e rispettosa dei diritti dei lavoratori, sia italiani che immigrati».

Il nuovo progetto, che verrà presentato il 4 dicembre alle 18.30 nel salone della Chiesa metodista di Roma (via Firenze, 38) da Naso e dal coordinatore Francesco Piobbichi, verrà portato avanti dalla Fcei in collaborazione con alcune realtà associative già impegnate da anni nella filiera “slavery free”, come la cooperativa SOS Rosarno (che, oltre ad un coraggioso impegno antimafia, ha promosso una rete di produzione e distribuzione di una produzione di eccellenza ottenuta nel pieno rispetto del lavoro degli immigrati) e la rete Calabria Solidale-Chico Mendes.

«Ci auguriamo – aggiunge Luca Maria Negro, presidente della Fcei – che le nostre chiese rispondano con entusiasmo alla campagna di promozione di agrumi e altri prodotti “etici” che abbiamo lanciato in questi giorni. È un modo concreto per esprimere il nostro impegno per la dignità del lavoro dei braccianti e per un’economia non solo equa e solidale ma anche ecologicamente sostenibile: gli agrumi che saranno distribuiti, infatti, sono di produzione rigorosamente biologica. Una campagna, dunque, che coniuga l’impegno per la giustizia con quello per la salvaguardia del Creato».

(la Fcei cerca anche volontari, in particolare per l’attività di sostegno alla scuola di italiano nei pressi della tendopoli di San Ferdinando. Per informazioni: mh.rosarno@fcei.it)

 

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Care sorelle e cari fratelli,

con molto piacere ci facciamo tramite di una bella iniziativa promossa dalla nostra Federazione delle chiese evangeliche in Italia, frutto del convegno organizzato dalla FCEI lo scorso ottobre a Rosarno (RC). Il progetto Rosarno nasce dalla necessità di tutelare i lavoratori immigrati a livello locale e di assicurare un’economia giusta e sostenibile, e si svilupperà attraverso tre piani di azione: uno sportello sociale mobile, il sostegno ad una scuola di italiano e la promozione di un marchio “etico”.

Di seguito la lettera ufficiale stilata dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI):

“Cari fratelli e sorelle,
come avrete letto su NEV e altri organi di stampa, il 22 e il 23 ottobre tra Reggio Calabria e Rosarno si è svolto un convegno in cui la FCEI, nell’ambito di Mediterranean Hope – Programma Rifugiati e migranti, ha presentato un nuovo intervento nella piana di Gioia Tauro (RC).
Questo intervento si sviluppa attraverso tre azioni principali:

uno sportello sociale mobile che ha il compito di raccogliere e per quanto possibile soddisfare richieste di interventi sociali, sanitari e     legali da parte di immigrati; il sostegno ad una scuola di italiano che opera nelle vicinanze della tendopoli di San Ferdinando; lo sviluppo, attraverso la promozione di un marchio “etico”, di una filiera “virtuosa” composta da aziende che, lottando contro la criminalità organizzata della ‘ndrangheta da una parte e la grande distribuzione dall’altra, cercano di realizzare un’economia sostenibile, ecologica e rispettosa dei diritti dei lavoratori, sia italiani che immigrati.

La richiesta che avanziamo è di un sostegno a questo marchio in via di registrazione invitando membri di chiesa, comunità, istituti ed opere sociali ad acquistare i prodotti commercializzati con questo marchio registrato di proprietà della FCEI.
Previa verifica dei luoghi e delle modalità di produzione, il marchio viene concesso, dagli operatori e da tecnici di MH a aziende che dimostrino di produrre, oltre che biologicamente, nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori italiani e immigrati.

Nel momento in cui partiamo con questo progetto, il referente primario è la Cooperativa SOS Rosarno (www.sosrosarno.org) che da anni si distingue, oltre che per un coraggioso impegno antimafia, per aver promosso una rete di produzione e distribuzione di una produzione di eccellenza ottenuta nel pieno rispetto del lavoro degli immigrati, vale a dire paghe negli standard sindacali, orari e condizioni di lavoro secondo le norme. Una quota del ricavato delle vendite va a progetti sociali e solidali da realizzarsi nel territorio calabrese.

Tra le aziende associate segnaliamo anche Sfruttazero, una cooperativa pugliese composta da giovani che hanno investito nel settore della produzione della passata di pomodoro.
Altra rete con la quale collaboriamo è quella delle associazioni raccolte sotto l’ombrello di Calabria Solidale-Chico Mendes, presso la quale è possibile comprare vari prodotti tipici regionali.Attraverso il marchio, Mediterranean Hope svolgerà un’attività di sostegno ad aziende virtuose, aiutandole ad aprirsi nuovi mercati in Italia e all’estero. Le chiese e le opere che intendono acquistare prodotti con il marchio etico possono comunicare i loro ordini direttamente a SOS Rosarno.

È evidente che un progetto come questo avrà successo se si accompagnerà a un’azione educativa e informativa sul tema della sostenibilità in agricoltura, delle distorsioni di un mercato che, mentre espande i costi della distribuzione, riduce quelli della produzione al punto da imporre salari che autorizzano la definizione di economia paraschiavistica.

L’ultimo appello che vogliamo rivolgere riguarda la possibilità di svolgere un periodo di volontariato presso questo nuovo progetto. In allegato troverete una scheda che spiega la natura del lavoro che viene richiesto e le competenze necessarie a svolgerlo. Crediamo che per molti, giovani ma non solo, possa essere una bella occasione di formazione, impegno e testimonianza.

Come FCEI intendiamo sostenere le chiese e le opere che vorranno misurarsi con questa sfida nel nome dei principi della giustizia e dei diritti umani. Siamo quindi pronti ad accogliere inviti per spiegare e promuovere il progetto, ed a inviare materiali di studio e approfondimento.
A tutti voi, sorelle e fratelli, chiediamo di accompagnare questo nuovo impegno degli evangelici italiani con la predicazione e la preghiera, perché il Signore benedica chi opera per la giustizia.”

 

Violenza maschile: lettera aperta alle chiese

Da Riforma

Il documento richiede un investimento nella formazione sulla violenza di genere dal punto di vista pastorale

Dal 24 al 27 ottobre si è tenuto a Rocca di Papa un seminario di formazione per candidate e candidati al ministero pastorale e diaconale della chiese valdesi e metodiste, pastore e pastori in prova delle chiese battiste, pastore e pastori nei primi anni del loro ministero. Due volte all’anno la Commissione permanente per la formazione pastorale (Cpfp) organizza dei seminari di formazione ad hoc, per accompagnare le ministre e i ministri delle chiese battiste, metodiste e valdesi, nel loro operato. La novità è stato il tema di questo seminario: La violenza maschile. Il documento vuole offrire delle riflessioni alle chiese, anche in vista delle prossime importanti scadenze. Qui di seguito il testo del documento:

Care sorelle e cari fratelli, care chiese,

dal 24 al 27 ottobre si è tenuto a Rocca di Papa un seminario di formazione per candidate e candidati al ministero pastorale e diaconale della chiese valdesi e metodiste, pastore e pastori in prova delle chiese battiste, pastore e pastori nei primi anni del loro ministero. Questa non è una novità: due volte all’anno la Commissione permanente per la formazione pastorale (Cpfp) organizza dei seminari di formazione ad hoc, per accompagnare le ministre e i ministri delle chiese battiste, metodiste e valdesi, nel loro operato. La novità è stato il tema di questo seminario: La violenza maschile. Non si era mai fatto un seminario su questo argomento e da diverse parti c’erano delle perplessità, dei timori, degli imbarazzi. A partire dalle parole.

Si è deciso di utilizzare il termine “violenza maschile” perché si tratta di una questione principalmente maschile, mentre il più comune “violenza contro le donne” sembra suggerire che il problema sia “ femminile” e dalle donne debba essere risolto, indossando magari vestiti più pudichi, non andando in giro la sera tardi, allontanandosi da un partner violento, ecc. Si tratta di “violenza maschile” perché si riconosce che il fenomeno non è circoscritto ai singoli episodi di violenza, da cui possiamo tirarci fuori quando non siamo noi direttamente ad agire violenza, ma che essa è inserita in un sistema patriarcale che rende “normale”, e quindi in qualche modo accettata, la disparità di genere e, in ultimo, la violenza; è proprio questo sistema che tutti e tutte noi, a partire dagli uomini, siamo chiamati e chiamate a decostruire. Le parole, insomma, ci aiutano a vedere le cose da un’altra prospettiva. Abbiamo lavorato a partire dalle storie e dalle esperienze, personali e legate alle persone delle quali siamo chiamate e chiamati a prenderci cura, delle nostre chiese, delle nostre famiglie, ma anche dei contesti in cui viviamo.

Durante il seminario, siamo state accompagnate e condotti dalla pastora Gabriela Lio, direttora del centro battista di Rocca di Papa e ora presidente della Federazione delle donne evangeliche in Italia (Fdei), attraverso alcuni “testi dell’orrore” delle Scritture: leggendo Giudici 19, a esempio, siamo stati invitati a soffermarci sugli ambienti domestici, sulle relazioni tra uomini e sul posto lasciato alle donne. In un certo senso si potrebbe dire che non ne siamo rimasti sorpresi: sappiamo che le Scritture sono state scritte in un contesto patriarcale e distante, ma forse non avevamo mai messo in relazione questi testi con la quotidianità, con la vita, con l’essere ministre e ministri. Alcune e alcuni di noi non conoscevano i centri antiviolenza, né il numero di emergenza da chiamare in caso di violenze (1522, non dimenticatelo neanche voi!) né sapevano che cosa significasse violenza psicologica, violenza economica, spirale di violenza. O meglio, lo sapevamo, ma ci sembrava altro da noi. Poi abbiamo avuto una giornata di formazione con Olivier Malcor, formatore e attore del Teatro dell’oppresso, che con gradualità e simpatia ci ha fatto entrare nella dimensione della violenza di cui siamo imbevuti, di dinamiche di potere non simmetriche, di esempi di disprezzo, di sminuimento, ma anche di silenzio di fronte a episodi di violenza di cui siamo stati testimoni o soggetti.

Ed è per questo che vi scriviamo. In questi giorni in noi, tra noi, qualcosa si è smosso. Abbiamo voluto condividere gli uni con le altre alcune delle nostre storie, anche alcune delle ferite profonde che ci abitano e ci siamo detti che non vogliamo più colludere con la violenza. Desideriamo guardare, riconoscere, agire. Desideriamo impegnarci in prima persona: guardando le nostre ferite, riconoscendo i nostri limiti e agendo perché si possa cambiare lo sguardo anche nelle nostre chiese, a partire dall’uso che facciamo della lettura e dalla interpretazione delle Scritture. La violenza maschile è anche questione teologica, perché ha a che fare con la nostra quotidianità di persone credenti, con i tentativi di essere discepole e discepoli di Gesù Cristo. Ha a che fare con la trasformazione che Dio opera nelle nostre vite. Desideriamo agire perché ci siamo resi conto che nessuno di noi è immune alla violenza e che possiamo fare qualcosa. Avvertiamo la necessità di un percorso, che parte dalla gratitudine per le sorelle dei movimenti femminili e femministi. Pensiamo che sia importante camminare insieme, per entrare nel bosco fitto delle relazioni e sapere di non essere sole e soli. Vogliamo essere alleati, compagni e compagne di viaggio.

Certo, ci sono dei documenti sinodali, delle prese di posizione ecumeniche, delle giornate di preghiera e delle mobilitazioni contro la violenza contro le donne, le bambine e bambini, le persone più fragili, contro la violenza di genere, l’omotransfobia. Vorremmo, assieme a tutto questo, provare a invertire la marcia, provare ad andare più lentamente nel trovare le soluzioni e più approfonditamente, affinché il cambiamento possa essere duraturo. Con questa lettera aperta alle chiese desideriamo condividere il nostro impegno personale per la costruzione di relazioni il più possibili consapevoli del potere della violenza maschile su ciascuna e ciascuno di noi. Nella cura pastorale, nella formazione all’interno delle comunità locali, nella predicazione. Desideriamo così riconoscere che la potenza di Dio nelle nostre vite è la croce e che essa dà forma alle nostre relazioni. In quanto uomini, ci interessa la maschilità di Gesù come decostruzione degli stereotipi del “vero uomo”; in quanto donne riconosciamo che l’Evangelo di Gesù Cristo ci rende “autrici”, soggetti della propria storia e delle relazioni che intessiamo. Vogliamo impegnarci anche «in memoria di lei» (Marco 14, 3-9), in memoria di una donna che è stata riconosciuta autrice da Gesù, il quale ha fermato il disprezzo degli uomini nei suoi confronti, smascherando la loro ipocrisia.

Desideriamo rivolgerci anche agli Esecutivi delle nostre chiese, ai nostri Istituti di formazione, affinché si investa nella formazione sul tema della violenza maschile, dal punto di vista della pastorale nei confronti delle persone che subiscono e che agiscono violenza; affinché si promuova un percorso che porti al riconoscimento delle dinamiche di violenza che caratterizzano molte realtà anche nelle nostre chiese e nelle nostre istituzioni e, soprattutto, se ne possa parlare. Questo percorso esige la formazione non solo da parte delle ministre e dei ministri ma delle sorelle e dei fratelli di chiesa, affinché la paura di raccontarsi e raccontare, la paura di agire, la paura del giudizio non siano i sentimenti prevalenti che bloccano e che rendono le persone colluse con la violenza stessa.

Diversi possono essere i suggerimenti pratici: qui desideriamo proporre che alla prossima Assemblea-Sinodo, in via di organizzazione, venga inserita una serata sul tema della violenza maschile, per parlarne insieme e insieme trovare delle proposte operative concrete. Siamo guidate e guidati, in questi propositi, dalla certezza che «la pietra è già stata rotolata» (Marco 16, 4), che Cristo risorto illumina già le vite di ciascuna e di ciascuno.

Il Signore della vita benedica il cammino di ciascuna e ciascuno e della sua chiesa, ci rialzi dai nostri inciampi, ci accompagni lungo le strade ancora da percorrere, trasformate e trasformati dal suo amore.

Le e i partecipanti al seminario

Andrea Aprile, pastore battista della chiesa valdese di Riesi-Agrigento; Gabriele Bertin, candidato al ministero pastorale presso la chiesa valdese di Palermo via Spezio; Simone Caccamo, pastore locale della chiesa battista di Roma, via del Teatro Valle; Stanislao Calati, pastore della chiesa metodista di Vercelli e diaspora di Vintebbio;Marco Casci, pastore delle chiese metodiste di Udine e Gorizia e della diaspora valdese di Tramonti di Sopra; Maria Betania De Mato, pastora delle chiese battiste di Policoro e Cersosimo; Noemi Falla, pastora della chiesa metodista plurisede di Parma-Mezzani e chiesa metodista di Casalmaggiore; Alessandro Gatti, pastore locale della chiesa battista di Casorate Primo; Ioana Niculina Ghilvaciu, pastora delle chiese battiste di Siracusa e Floridia; Ilenya Goss, pastora della chiese valdesi di Mantova e Felonica Po; Sophie Langeneck, pastora della chiesa valdese di Torino; Nicola Laricchio, studente battista presso la Facoltà valdese di Teologia (Fvt); Francesca Litigio, studentessa battista presso la Fvt; Francesco Marfè, pastore della chiesa valdese di Foggia e dalla chiesa metodista di Venosa e Rapolla; Monica Natali, candidata al ministero diaconale, con cura della chiesa valdese di Corato-Bari;Daniele Podestà, pastore in prova presso la chiesa battista di Pordenone; Luca Reina, pastore delle chiese battiste di Matera e Miglionico; Nicola Tedoldi, pastore della chiesa metodista plurisede di Piacenza-Cremona, sovrintendente dell’VIII Circuito – chiese metodiste e valdesi.

La commissione Cpfp

Cristina Arcidiacono, pastora della chiesa battista di Milano via Jacopino, segretaria Dipartimento di teologia Ucebi;Daniele Bouchard, pastore chiese valdesi di Pisa, Livorno, Rio Marina, coordinatore Commissione Ministeri e Cpfp;Teresa Buzzetti, chiesa metodista di Bologna; Stefano D’Amore, pastore della chiesa valdese di Villar Pellice; Dario Monaco, pastore della chiesa battista di Mottola e Martina Franca; Monica Sappè, chiesa valdese di Luserna san Giovanni; Erica Sfredda, chiesa valdese di Torino; Karola Stobäus, diacona presso la chiesa valdese di Torre Pellice;Massimo Torracca, pastore locale della chiesa battista di Sarzana; Stefano Vinti, chiesa valdese di Pinerolo.

Per non dimenticare

L’arrivo dello sposo

Matteo 25, 1-13(la parabola delle dieci ragazze)

Allora, il regno dei cieli sarà paragonata a dieci ragazze che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di queste erano stolte e cinque avvedute. infatti, quelle stolte, prese le loro lampade, non presero con sé l’olio. Invece, quelle avvedute, presero le loro lampade e l’olio in vasetti. Siccome lo sposo tardava, furono colte tutte dal sonno e si addormentarono. A mezzanotte ci fu un grido. ecco lo sposo: uscite (gli) incontro! Allora tutte quelle ragazze se svegliarono e prepararono le loro lampade. Quelle stolte dissero a quelle avvedute. Dateci dell’olio vostro, perché le nostre lampade si spengono. Ma quelle avveduto risposero: sicuramente non ve ne sarebbe a sufficienza per noi e per voi. Andate dai veditori piuttosto e compratevene. Mentre queste andavano a comprare venne lo sposo, e quelle che erano pronte entrarono con lui alle nozze e la porta fu chiusa. Infine arrivarono anche le altre ragazze dicendo: Signore, aprici! Egli in risposta disse: Vi assicuro non so chi siete. State in guardia, dunque non sapete il giorno, né l’ora.

Sermone:

Care sorelle e cari fratelli nel Signore, oggi è l’ultima domenica di Pentecoste. I pastori e i teologi che hanno redatto il nostro lezionario annuale ‘un giorno una parola’ hanno scelto La parabola delle dieci ragazze per concludere questo tempo liturgico prima dell’avvento.

Dio permettendo, se saremo ancora in vita, ognuno e ognuna è invitato a preparare e a creare in sé un’atmosfera festosa, gioiosa e accogliente nel fronteggiare il tempo di attesa del dono di Natale, che si manifesta con la nascita di un bambino, chiamato Gesù.

Noi che siamo presenti qui oggi siamo invitati a riflettere la conclusione di un tempo dato e donato, preceduto da una lunga e altrettanto breve attesa, per capire l’intento di Dio, che è sempre fedele alle sue promesse e ricorda all’uomo perduto di tornare da lui, di svoltare verso la via diritta e giusta prima del giudizio finale.

Ci chiediamo: Sarà solo per i credenti? Nel libro della vita dei credenti abbiamo questa testimonianza che coloro che hanno ricevuto la fede e il talento devono rendere conto a ciò(una specie di rendicontazione dei beni ricevuti nella parabola dei talenti). Quindi, conta soprattutto alla responsabilità personale.

È molto chiaro in questa parabola delle dieci vergini che erano loro le responsabili di mantenere più viva la luce della loro lampada mentre aspettavano l’arrivo dello sposo. Come ascoltiamo dal racconto nessuna delle vergini aveva vegliato. Però, che siano state pronte o meno, avere abbastanza olio riservato nel vasetto per tenere accese le lampade significa aver avuto cura di ciò che poteva accadere in qualsiasi momento. Pertanto, nel momento critico, non è possibile sfruttare l’avvedutezza e la prontezza del prossimo minuto: ciascuno deve assumersi la propria responsabilità di porre rimedio (data l’ora notturna, l’ultimo minuto è escluso). È sempre meglio essere preparati.

Chi di noi, è così saggio a capire il senso del vivere dell’uomo in questa parabola? Le testimonianze dalle Sacre Scritture sul giudizio sui diversi modi di vivere dell’uomo sono tante. Il progetto di vita che propone il Signore tramite le Sacre Scritture è credere in lui, operare nel mondo vivendo il suo dono di fede e talento dandone frutto. Così ci invita oggi a vegliare, a preparare operandosene, impegnandosene nel tempo fino a quando il suo giudizio finale verrà.

Nel vangelo di Luca al cap. 17 versetti dal 26 al 30 abbiamo letto e ascoltato: “26 Come avvenne ai giorni di Noè, così pure avverrà ai giorni del Figlio dell’uomo. 27 Si mangiava, si beveva, si prendeva moglie, si andava a marito, fino al giorno che Noè entrò nell’arca, e venne il diluvio che li fece perire tutti. 28 Similmente, come avvenne ai giorni di Lot: si mangiava, si beveva, si comprava, si vendeva, si piantava, si costruiva; 29 ma nel giorno che Lot uscì da Sodoma piovve dal cielo fuoco e zolfo, che li fece perire tutti. 30 Lo stesso avverrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo sarà manifestato.”

Di fronte a questi testi biblici che narrano gli episodi accaduti prima del tempo primordiale, mi trovo a dover riflettere sulle loro correlazioni alle esperienze che stiamo vivendo oggi. La tragedia accaduta nel tempo di Noè ha un grande insegnamento per noi. Egli con la sua famiglia e alcuni animali furono salvati perché fu una persona onesta e incorruttibile agli occhi di Dio. Pensando invece la vita di Giobbe. Nella tragedia che ha sofferto, ha dovuto affrontare come vivere la realtà in questo mondo, e quante esperienze di sofferenza e gioie ancora da sperimentare.
Che cosa pensiamo all’annuncio biblico della seconda venuta del Signore? Quanto è l’effetto per noi del messaggio? Com’è l’impatto dei testi biblici al riguardo? Giorno per giorno, ci impegniamo con la consapevolezza di vivere la nostra vita come Lot, Noè, e Giobbe?

Una cosa è certa: non possiamo dire che crediamo al 100% a questo messaggio del giudizio della seconda venuta del Signore, perché si dimostra quanta serietà applichiamo nel vivere la nostra vita quotidiana. La prova della piena fede nel Signore è credere vivendo ogni giorno nella speranza che in qualsiasi momento può essere l’ultimo momento. Il vero vivere dell’uomo è scandito di gioia e di dolore, ciò che è aspettata e inaspettata. L’arrivo del padrone di casa, nell’ora che nessuno se lo aspetta, è una sorpresa! Qui, dunque, possiamo troviamo un parallelismo con l’arrivo dello Sposo in questa parabola delle dieci vergini e il carattere improvviso della venuta del Figlio dell’uomo che ci invita entrambi di essere fedeli e vigilanti, di non trascurare le cose affidate, di non maltrattare i nostri vicini, i compagni collaboratori del padrone.

Che cosa vuol dire per noi questa parabola? Siamo pronti alla venuta dello Sposo? Siamo pronti ad accogliere il Figlio dell’uomo? Hai riservato l’olio per il tempo di attesa?

Cara sorella e caro fratello, in quale situazione vorresti essere trovato dal Signore quando arriva il tempo di giudicare il mondo intero? E il momento in cui esprimerà il suo giudizio a te? In questo momento l’evangelo ci chiede se siamo dalla parte di quelle cinque vergini avvedute o di quelle stolte che non avevano conservato l’olio sufficiente per le loro lampade e che a causa del ritardo dell’arrivo dello Sposo erano andate a cercare dov’è comprarlo?

La parabola delle dieci vergini tratta un’immagine che mette in evidenza che ciò che è stato fatto, viene considerato, e ciò che non è stato fatto per aver trascurato la preparazione, viene tralasciato. Le cinque vergini che non avevano l’olio sufficiente erano tagliate fuori, non potendo più recuperare ciò che è stato perso.
Gesù ci rammenta in Matteo 7, 26 “[…]Chi ascolta la mia parola e non la mette in pratica è come un uomo che aveva costruito la sua casa sulla sabbia […]”. Cerchiamo di evitare i nostri atteggiamenti di trascuratezza e prendere invece serio la parola dell’evangelo. Laddove il credente dimostra di aver capito, appreso e afferato gli insegnamenti si vedranno dei frutti che determinerà la sua propria salvezza.

L’attesa del giudizio è quello su cui dobbiamo concentrare nel investire il nostro tempo o richezze in servizio al Signore. Non come l’uomo della parabola “il ricco e Lazaro” in Luca 16,19-31 “ […] l’uomo ricco disse disse ad Abraamo: Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli, affinchè li avverta, e non vengano anche loro in questo luogo di tormento” – ove il pentimento è giunto al termine del giudizio di Dio, non potendo salvare la sua propria anima, cerca di avvisare i suoi altri fratelli nel non commettere i suoi stessi errori che pur avendo tutte le ricchezze materiali, ha dimenticato la più importante: una relazione personale con Dio.

Ritornando al nostro testo biblico, quando arrivarono in ritardo le altre cinque ragazze, le donne stolte, hanno perso l’unica opportunità di incontrare il Signore. Se noi non siamo preparati in ogni momento del suo ritorno o della nostra morte avremo perso l’unica opportunità che Dio ci da per avere la salvezza in Cristo e partecipare nel suo regno eterno.

Egli riconosce, chiama per nome coloro che lo riconoscono. In Gv.10,11, Egli disse: “io sono il buon pastore, il buon pastore dà la sua vita per le pecore” e altrettanto il suo rammento a coloro che non lo riconoscono “Chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini anch’io rinnegherò lui” – Mt.10,33; Lc.12,9

E’ essenziale che la predicazione del vangelo arrivi in tutte le nazioni per la salvezza dell’umanità, non dobbiamo rimanere soltanto con la parola, ma anche con le azioni. “Professano di conoscere Dio ma lo rinnegano con i fatti” – Tito 1,16

Nell’attesa del suo ritorno, chiediamo il Signore di donarci l’olio affinché non si spengano le nostre lampade e ponendo questa domanda: Come ti senti con la tua preparazione quotidiana o relazione con Dio per riceverlo nel suo ritorno o nel ritrovarti davanti a lui? Amen.

Past. Joylin Galapon

Il vaso di alabastro

Matteo 26: 6-13

Maria di Betania unge il capo a Gesù
6 Mentre Gesù era a Betania, in casa di Simone il lebbroso, 7 venne a lui una donna che aveva un vaso di alabastro pieno d’olio profumato di gran valore e lo versò sul capo di lui che stava a tavola. 8 Veduto ciò, i discepoli si indignarono e dissero: «Perché questo spreco? 9 Quest’olio si sarebbe potuto vendere caro e dare il denaro ai poveri». 10 Ma Gesù se ne accorse e disse loro: «Perché date noia a questa donna? Ha fatto una buona azione verso di me. 11 Perché i poveri li avete sempre con voi, ma me non mi avete sempre. 12 Versando quest’olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura. 13 In verità vi dico che in tutto il mondo, dovunque sarà predicato questo vangelo, anche ciò che ella ha fatto sarà raccontato in memoria di lei».

 

Fratelli e sorelle mi è sempre piaciuto poco questo brano del Vangelo,

proprio perché non mi ha mai colpito favorevolmente non l’avevo mai studiato a fondo prima della preparazione di questo sermone mi è sempre sembrato molto al di fuori della mia mentalità di credente evangelico e, senza paura di sbagliarmi, molto al di fuori del sentire di tanti altri credenti evangelici.

L’immagine dell’olio odoroso versato sul capo di Gesù (o sui piedi come in un passo analogo del vangelo di Luca) richiama inevitabilmente alla mente una analoga cerimonia della liturgia cattolica.

Lo stesso utilizzo di un unguento prezioso possiamo inevitabilmente associarlo alle tante manifestazioni di ricchezza esteriore che i nostri confratelli cristiani (non solo i cattolici ma anche gli ortodossi) utilizzano in cattedrali, chiese e liturgie, dove lo sfarzo e l’ostentazione è sempre grande e molto accentuato.

Nella nostra mente, ma soprattutto attorno a noi, nelle nostre chiese così essenziali se non addirittura spoglie di arredi e abbellimenti ci troviamo a disagio con questi orpelli.

Generazioni di evangelici, partendo da Valdo e dai primi seguaci di Lutero ad oggi, passando per Wesley ed i primi metodisti ma anche per gli Svizzeri calvinisti e i quaccheri americani, dagli anabattisti del XVI secolo ai battisti attuali tutti loro hanno insegnato al mondo ed hanno vissuto la propria fede nella semplicità e nell’interiorità molto più che nell’ostentazione di gioielli e paramenti.

Detto in parole povere questo vaso di alabastro pieno di olio profumato a me non è mai andato giù !!!

Qualche domenica fa ho sentito un sermone su questo stesso brano e devo dire onestamente che neanche quel predicatore era riuscito a convincermi del tutto e così ho deciso di prendere alcuni commentari ed iniziare a studiare, oggi voglio proporvi queste riflessioni.

Come accennato all’inizio questo episodio della vicenda terrena di Gesù è presente in diversi racconti evangelici, ovviamente con sfumature differenti. In Matteo, il brano che stiamo analizzando oggi, Gesù è a Betania e la donna che versa l’olio sul suo corpo non ha un nome; nel vangelo di Luca invece la donna (sempre anonima) è definita come una peccatrice ed oltre ad ungere i piedi e non il corpo glieli asciuga con i capelli piangendo. Nel vangelo di Luca il racconto è molto simile a quello da noi letto in Matteo.

L’episodio nella versione raccontata dal vangelo di Giovanni avviene invece in casa di Lazzaro poco prima della Pasqua e la donna che unge i piedi e li asciuga con i propri capelli è Maria la sorella di Marta famosa per un altro episodio biblico che tutti noi ricordiamo, che non può certo essere definita “peccatrice” secondo il significato che ne danno i vangeli sinottici. Non ci sono invece differenze nella reazione che i presenti (fra cui i discepoli) hanno al gesto della donna, in tutti e quattro i brani la condanna è unanime, in Giovanni si specifica anche il principale contrario al gesto.

 Possiamo infatti leggere:

 Ma Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse:  5 «Perché non si è venduto quest’olio per trecento denari e non si sono dati ai poveri?» 6 Diceva così, non perché si curasse dei poveri, ma perché era ladro, e, tenendo la borsa, ne portava via quello che vi si metteva dentro.

A prescindere da questa puntualizzazione su Giuda la risposta di Gesù è sempre la medesima: “Poiché i poveri li avete sempre con voi; ma me, non mi avete sempre”.

Le differenze fra i vangeli sono quindi poche anche se significative, l’unzione del corpo e non soltanto dei piedi può evidenziare un legame con l’unzione dei re di Israele che venivano appunto unti e da cui l’espressione “unto dal Signore” a significare appunto la consacrazione di una persona a Dio.

Ungere il corpo di una persona richiama anche i riti di sepoltura (che da lì a pochi giorni si sarebbero effettivamente svolti nei riguardi del corpo di Gesù crocifisso) che prevedevano appunto l’unzione con oli profumati dei corpi.

L’unzione dei soli piedi la immaginiamo invece come un atto di sottomissione e appunto di riconoscimento della superiorità della persona a cui viene fatto il lavaggio, questo è l’aspetto che ancora oggi troviamo in alcune liturgie religiose cristiane.

La risposta di Gesù nella sua semplicità è come sempre avviene con le sue parole precisa e provocatoria allo stesso tempo ma a mio avviso non risolve i dilemmi “protestanti” che questo racconto si porta dietro. Perché a fronte della presenza dei bisognosi dobbiamo utilizzare del denaro per una forma di adorazione che rimane fine a se stessa?  Gesù stesso ci ha più volte ammaestrato sul fatto che un aiuto dato ad un povero vale come se lo si fosse fatto a lui. Un celebre racconto sul giudizio è centrato appunto su questo presupposto.

Sempre in Matteo al cap.25: Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiam veduto aver fame, e ti abbiam dato da mangiare? o aver sete, e ti abbiam dato da bere? Quando mai t’abbiam veduto forestiere, e ti abbiam accolto? o ignudo, e ti abbiam rivestito? Quando mai ti abbiam veduto infermo, o in prigione, e siamo venuti a trovarti? E il Re, rispondendo, dirà loro: in verità, vi dico che, in quanto l’avete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me.

Ecco il mio animo protestante è sicuramente più vicino a questo insegnamento che al vaso di alabastro e all’olio profumato. Le critiche dei discepoli sono sicuramente anche le mie, e proprio da queste mie critiche che ho iniziato a leggere e studiare alcuni commentari per cercare di capirci di più.  Credo di aver compreso che il versetto chiave del brano sia il seguente: “ma me non mi avete sempre”

La presenza di Gesù fra gli uomini in forma umana è ed è stata una eccezione, una bellissima eccezione ovviamente, una eccezione da cui tutti noi cristiani deriviamo. La presenza di Gesù fra le genti di Israele 2000 anni fa ha fatto avvicinare a Dio milioni di persone, ha cambiato il mondo come era è l’ha condotto, nel bene e nel male, a quello che è oggi. La presenza di Gesù fra gli uomini ha portato noi in questa comunità oggi passando attraverso i nostri padri, le nostre madri e tutti i nostri avi fino a quei giorni passati in un filo che ci lega direttamente alla sua persona in carne ed ossa. Quelli erano giorni speciali. Senza nulla togliere a noi credenti del XXI secolo che abbiamo creduto senza aver visto, abbiamo fede senza aver toccato,leggiamo di guarigioni senza averne viste dal vivo, studiamo miracoli a cui non siamo stati presenti, senza nulla togliere a noi appunto non possiamo negare che quelli siano stati appunto giorni speciali.

Giorni irripetibili in cui la presenza fisica, reale, pulsante del Salvatore fra gli uomini era la promessa del Signore Presenza incarnata e visibile. In quest’ottica e solo in questa ottica posso capire il vaso di alabastro e il profumo.  Erano giorni fuori dall’ordinario e irripetibili, erano i giorni in cui tutto prendeva vita, era il tempo in cui un progetto, il progetto di Dio per gli uomini e le donne, ripartiva e ripartiva con un testimone d’eccezione: Gesù il figlio di Dio fatto uomo.

Giorni di venuta che proprio la festa di Natale nel cui periodo di avvento stiamo per entrare ricordano.

Quei giorni però sono passati e finché non torneranno rimarrà con noi il ricordo di un insegnamento e di queste parole: “Poiché i poveri li avete sempre con voi”. Parole che sono la nostra guida per seguire la via che Gesù ci ha insegnato, parole che ci chiedono, e qui torna il protestante che è in me e sono sicuro anche in voi, di adorare il Signore ed il Suo figlio unigenito in fatti concreti e tangibili e non in parole ed azioni liturgiche tanto belle quanto vuote.

////Parole che proprio in questi giorni di festa ///

//Parole che proprio in questi giorni che ci portano verso le vacanze

////ma festa non per tutti///

//ma vacanze non per tutti

//si fanno più forti e colpiscono maggiormente i nostri cuori, parole che ci ricordano //che il 15 Agosto o il 25 Dicembre i poveri sono sempre lì:

Parole che in questi giorni la televisione, i giornali ed internet ci sbattono in faccia continuamente,ci mosrano chi vive e soprattutto muore in mare, //chi muore di freddo nelle strade di Roma e delle altre città d’Italia, le immagini di //chi è bloccato alle frontiere del nord Italia e di chi non sopravvive alla traversata //delle alpi per passare in Francia.

Immagini di anziani lasciati soli e di famiglie con le mense assistenziali come unica risorsa. “Poiché i poveri li avete sempre con voi”.

Parole che ricordano a tutti noi quello che ci siamo impegnati a testimoniare ed a fare per cercare di essere fedeli al messaggio di Gesù Cristo, l’uomo, il Signore, il Salvatore che tanti anni fa una donna ha omaggiato ed adorato con dell’olio prezioso e che noi possiamo omaggiare ed adorare oggi con una colazione ad un bisognoso, un pacco di viveri a chi ne ha bisogno un regalo ad un bambino, una carezza ad un anziano solo.

Perché questo è oggi il nostro vaso di alabastro, noi uomini e donne del XXI secolo che si riuniscono in queste nostre piccole comunità. Questo è il modo che abbiamo di onorare il nostro Signore e Salvatore, non con l’olio sui capelli, il corpo, i piedi Ma con un impegno forte e costante verso coloro che noi tutti abbiamo intorno a noi e che questa società è ben lungi da aiutare in modo efficace. Signore ti ringraziamo per la tua parola, ti preghiamo che il commento ad essa sia stato fedele al tuo pensiero e non sia stato usato e distorto da chi ha avuto il compito di portarlo alla tua comunità. Fa che essa ne tragga giovamento e sprone per l’impegno che essa si e’ assunta in questa nostra società.

Perdonaci se così non è stato e dacci la forza per continuare l’opera della tua volontà

Amen

Enrico Bertollini

 

Matthew 26: 6-13

The Anointing at Bethany

6 Now while Jesus was at Bethany in the house of Simon the leper, 7 a woman came to him with an alabaster jar of very costly ointment, and she poured it on his head as he sat at the table. 8 But when the disciples saw it, they were angry and said, “Why this waste? 9 For this ointment could have been sold for a large sum, and the money given to the poor.” 10 But Jesus, aware of this, said to them, “Why do you trouble the woman? She has performed a good service for me. 11 For you always have the poor with you, but you will not always have me. 12 By pouring this ointment on my body she has prepared me for burial. 13 Truly I tell you, wherever this good news is proclaimed in the whole world, what she has done will be told in remembrance of her.”

 

Brothers and sisters, I have never liked this passage of the Gospel very much,

And since it has never struck me favourably, I have never studied it thoroughly before the preparation of this sermon.

 

It has always appeared very distant from my mentality as an evangelical believer and, without fear of contradiction, very far from the feelings of many other evangelical believers.

 

The image of the odorous oil poured on the head of Jesus (or on the feet as in an analogous passage of the Gospel of Luke) inevitably brings to mind an similar ceremony of the Catholic liturgy.

 

We inevitably associate the use of a precious ointment with the many forms of external display of wealth that our Christian brothers (not only Catholics but also Orthodox) use in cathedrals, churches and liturgies, where pomp and ostentation is always great and very accentuated.

In our mind, and around us, in our churches so essential, if not even bare of furniture and embellishments, we find ourselves uncomfortable with these frills.

 

 

Generations of evangelicals, starting with Valdo and the early followers of Luther to date, passing through Wesley and the first Methodists but also the Swiss Calvinists and American Quakers, and through the 16th century Anabaptists to the current Baptists,

 

all of them taught the world and lived their faith in simplicity and interiority much more than in the display of jewels and vestments.

In short: I really don’t like this alabaster jar full of perfumed oil !!!

 

 

A few Sundays ago, I listened a sermon on this same passage and I must honestly say that not even that preacher managed to convince me completely, so I decided to take some commentaries and start studying: today I wish to share with you these reflections.

As mentioned in the beginning, this episode of the earthly story of Jesus is present in various passages of the Gospel, with different nuances.

 

In Matthew, the passage we are analyzing today, Jesus is in Bethany and the woman who pours oil on her body does not have a name;

in the Gospel of Luke, however, the woman (still anonymous) is defined as a sinner, anoints the feet and not the body, and also wipes them with her hair while she is crying.

In Luke’s Gospel the story is very similar to the one we just read in Matthew.

 

In the Gospel of John, this episode takes place instead in the house of Lazarus shortly before Easter and the woman who anoints the feet and dries them with her own hair is Mary, the sister of Martha, famous for another biblical episode that we all remember, and who certainly cannot be called a “sinner” according to the meaning given by the synoptic gospels.

 

There are instead no differences in the reaction of people present (including the disciples) have to the gesture of the woman: in all four passages the condemnation is unanimous, in John the person most contrary to the gesture is also indicated.

 

We can indeed read (John 12:4-6):

 

4 But Judas Iscariot, one of his disciples (the one who was about to betray him), said, 5 “Why was this perfume not sold for three hundred denarii and the money given to the poor?” 6 (He said this not because he cared about the poor, but because he was a thief; he kept the common purse and used to steal what was put into it.)

Regardless of this clarification on Judas, Jesus’ answer is always the same:

 

 

“You always have the poor with you, but you do not always have me”.

 

The differences between the gospels are therefore few, though significant.

 

The anointing of the body and not just the feet maybe intends to highlight a link with the anointing of the kings of Israel, from which derives the expression “the Lord’s anointed”, which means the consecration of a person to God.

 

Anointing the body of a person also recalls burial rites, which contemplated the anointing with perfumed oils of the bodies (which indeed will take place  a few days later in relation to the body of Jesus crucified).

 

Instead, we imagine the anointing of the feet alone as an act of submission and of recognition of the superiority of the person being washed: this is the aspect that we still find today in some Christian religious liturgies.

 

 

The answer of Jesus in its simplicity is, as always happens with His words, precise and provocative at the same time – but in my opinion does not solve the “protestant” dilemmas of this episode.

 

 

Why, if the poor exist, must we use money for a form of worship that is an end in itself?

 

 

Jesus himself has repeatedly taught us that help given to a poor person is as if it had been done to Him.

 

A famous story about judgment is centred precisely on this assumption.

 

Still in Matthew, chapter 25:

 

37 Then the righteous will answer him, ‘Lord, when was it that we saw you hungry and gave you food, or thirsty and gave you something to drink? 38 And when was it that we saw you a stranger and welcomed you, or naked and gave you clothing? 39 And when was it that we saw you sick or in prison and visited you?’ 40 And the king will answer them, ‘Truly I tell you, just as you did it to one of the least of these who are members of my family,[g] you did it to me.’

 

 

Here my Protestant soul is certainly closer to this teaching than to the alabaster jar and the perfumed oil.

 

 

The criticisms of the disciples are surely also mine, and so I decided to start from these criticisms to  read and study some commentaries to try to understand more about them.

 

I think I understood that the key verse of the piece is the following:

 

“but you do not always have me”

 

The presence of Jesus among men in human form is and has been an exception, a beautiful exception of course, an exception from which all of us Christians derive.

 

The presence of Jesus among the peoples of Israel 2.000 years ago brought millions of people closer to God, changed the world as it was and led it, for better or for worse, to what it is today.

The presence of Jesus among men has brought us into this community today, through our fathers, our mothers and all our ancestors up to those past days in a thread that binds us directly to His person in flesh and blood.

 

 

Those were special days.

 

Without detriment from us believers of the 21st century, who have believed without having seen, who have faith without having touched, who read about healings without having seen them live, who study miracles to which we have not been present,

 

without taking anything away from us, we cannot deny that those were special days.

 

Unrepeatable days in which the physical, real, pulsating presence of the Saviour among men was the promise of the Lord,

incarnated and visible presence.

 

From this point of view and only in this light can I understand the alabaster jar and the perfume.

 

Those were days out of the ordinary and unrepeatable, those were the days when everything came to life, it was the time when a project – God’s plan for men and women – started anew, and started anew with an exceptional witness: Jesus the Son of God made man.

 

Days of coming remembered by Christmas Holiday, in which we are about to enter with the period of Advent.

 

But those days have passed.

 

and until they return will remain with us the memory of a teaching and of these words:

 

“For you always have the poor with you”.

 

These words are our guide to follow the ways that Jesus taught us, these words that request us – and here comes back the Protestant in me and I am sure in you too – to worship the Lord and His Only-begotten Son in concrete and tangible deeds and not just in words and liturgical actions, as beautiful as they are empty.

 

 

//// Words that in these days of celebration ///

 

// Words that in these days that lead us to holidays

 

//// but not party for everyone ///

// but not holidays for everyone

 

// become stronger and more deeply affect our hearts, words that remind us // that on August 15 or December 25 the poor are always there:

 

Words that these days the television, the newspapers and the internet are constantly shoving in our face,

showing us who lives and especially dies at sea,

 

// those who die of cold in the streets of Rome and other Italian cities, those who are stuck at the borders of northern Italy and those who do not survive the crossing // of the Alps to enter France.

 

 

Old people left alone and families with charity food pantry and canteens as their only resource.

 

“For you always have the poor with you”.

 

Words that remind us all of what we are committed to witnessing and doing to try to be faithful to the message of Jesus Christ,

 

the man, the Lord, the Saviour who many years ago a woman has honoured and worshipped with precious oil and who we can honour and adore today with a breakfast for the poor, a package of food parcel for those who need, a gift to a child, a caress to an elderly person alone.

 

 

Because this is our alabaster jar today, of us men and women of the 21st century who gather in these small communities of ours.

 

This is the way we have to honour our Lord and Saviour, not with oil on the hair, the body, the feet

But with a strong and constant commitment to all those we have around us and that this society is far from helping effectively.

 

Lord, we thank you for your Word, we pray that the comment to it was faithful to your thought and was not used and distorted by those who have the task of bringing it to your community.

 

Let your community benefit from it and be encouraged in the commitment it has assumed in our society.

 

Forgive us if it was not so and give us the strength to continue the work of your will.

Amen.

Metodisti: no alla meschina cultura primatista dell’odio e dell’esclusione

Anche l’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI) si esprime sui casi Segre, Pecora elettrica e Aurora Desio

Roma (NEV), 11 novembre 2019 – La presidente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI), pastora Mirella Manocchio, ha diramato questa mattina un comunicato in cui il Comitato permanente dell’OPCEMI, ente ecclesiastico cui afferiscono le chiese metodiste in Italia “guarda con preoccupazione a quanto sta accadendo in Italia in questi anni rispetto all’elevarsi dello scontro sociale e l’aumento di atti discriminatori, anche violenti, nei confronti di persone di colore o ebree, di chi si proclama antifascista e di chi fa propri i valori dell’accoglienza e del rispetto per tutti ‘senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali’ (art. 3 della Costituzione italiana)”.

I metodisti, impegnati in ambito ecumenico e internazionale, si sono sempre “battuti per la costruzione di una società laica e pluralista”, si legge nel comunicato, che sottolinea il dilagare di diffidenza, paura del diverso, pregiudizi e odio.

Le chiese metodiste e valdesi, attraverso la moderatora Alessandra Trotta, hanno rivolto la settimana scorsa un plauso alla senatrice Liliana Segre per aver fortemente voluto la Commissione contro il razzismo e l’antisemitismo, consapevoli che questa è “una battaglia di civiltà che va combattuta, oltre che a livello penale, con le pacifiche armi dell’istruzione, della memoria storica, della cultura solidaristica essenziali per alimentare la costruzione di un tessuto sociale aperto, accogliente, pluralista.

Si è, invece, dovuto assistere con sgomento all’indegno spettacolo di un astensionismo al voto parlamentare legato a speciose motivazioni di opportunità politica e poi al susseguirsi di atti intimidatori contro la senatrice a vita che hanno resa necessaria l’assegnazione di una scorta – denunciano i metodisti, esprimendo solidarietà alla senatrice Liliana Segre e offrendo collaborazione – a quanti (come la libreria ‘Pecora Elettrica’ o la squadra di calcio ‘Aurora Desio’) si adoperano per contrastare il consolidarsi di un fronte sociale, prima che partitico, farcito di una meschina cultura primatista dell’odio e dell’esclusione”.

La Pecora elettrica è una libreria e caffetteria di Roma, luogo dichiaratamente antifascista nella popolare zona di Centocelle, distrutta per la seconda volta quest’anno da un incendio, alla vigilia della riapertura.

Il caso “Aurora Desio” riguarda il settore calcistico dei “pulcini” nati nel 2009. Durante la partita del 2 novembre scorso contro la Sovicese, una persona, probabilmente una mamma della squadra avversaria, ha rivolto a un giocatore di 10 anni insulti razzisti. A questo episodio è seguita una immediata reazione, iniziata con una lettera a firma dell’US Aurora Desio 1922 (indirizzata al Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, all’Assessore Regionale allo Sport Martina Cambiaghia, al Sindaco con delega allo Sport del Comune di Sovico Barbara Magni, alla Federazione italiana giuoco calcio e alla Società Sovicese calcio) e che continua con manifestazioni di solidarietà fra cui la scesa in campo, sabato scorso, di tutta la squadra con segni neri sul volto, magliette con la scritta “L’unica razza che conosco è quella umana” e uno striscione “Vietato ai razzisti” (VAR, come il sistema di assistenza arbitrale tramite video). L’Aurora Desio ha lanciato la campagna #VAR, che sta ricevendo numerose adesioni in ambito sportivo e sui social.

La scelta di Gesù

Luca 6:27-38

27 Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi odiano; 28 benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi oltraggiano.  29 A chi ti percuote su una guancia, porgigli anche l’altra; e a chi ti toglie il mantello non impedire di prenderti anche la tunica. 30 Da’ a chiunque ti chiede; e a chi ti toglie il tuo, non glielo ridomandare.  31 E come volete che gli uomini facciano a voi, fate voi pure a loro. 32 Se amate quelli che vi amano, quale grazia ve ne viene? Anche i peccatori amano quelli che li amano. 33 E se fate del bene a quelli che vi fanno del bene, quale grazia ve ne viene? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34 E se prestate a quelli dai quali sperate di ricevere, qual grazia ne avete? Anche i peccatori prestano ai peccatori per riceverne altrettanto.  35 Ma amate i vostri nemici, fate del bene, prestate senza sperarne nulla e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; poiché egli è buono verso gli ingrati e i malvagi. 36 Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro.
37 Non giudicate, e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati; perdonate, e vi sarà perdonato. 38 Date, e vi sarà dato; vi sarà versata in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante; perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurato a voi»

 

Sermone:

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

Oggi il nostro libretto, un giorno una parola, ci propone un brano tratto dal vangelo di Luca 6, 27-38 che ci invita a rinnovare la nostra attenzione su questo insegnamento di Gesù poiché da questi comportamenti della nonviolenza, la convivenza con gli altri possa essere più pacifica, e la nostra vita da credente venga confermata e preservata.

Nel momento in cui i suoi primi discepoli sono stati scelti, Gesù ha iniziato a insegnarli come affrontare la violenza verbale e fisica, i comportamenti di odio, di maledizione, e di molti altri che sono elencati in questi versetti del vangelo che abbiamo letto, per non trovarsi in trappola nel corrispondere tale atteggiamenti e ricercare, invece, una risposta alternativa.

E’ così importante imparare a controllare le nostre azioni, come allora, al tempo di Gesù dove l’attacco violento, personale e collettivo degli altri era incessante. La gente si sono scontrati e vendicati con il principio di giustizia dell’occhio per occhio (an eye for an eye): “Senti il dolore che mi hai provocato” e questo ha reso difficile il compito dei discepoli, nella fondazione delle nuove comunità, di creare degli spazi per la vita impegnata all’esistenza e alla convivenza non violenta, per riscattare l’essere dell’uomo come originariamente l’immagine di Dio.

Quindi, a Gesù stava a cuore creare un nuovo mondo sulla terra?

Una nuova comunità in cui regna l’amore, la giustizia, e la pace?

Qual era la realtà ambientale intorno a Gesù quando aveva pronunciato queste parole nel vangelo di Luca? La situazione era molto grave. La sua gente era incredibilmente arrabbiata con Roma, per l’utilizzo del Tempio e per le tasse richieste dal re Erode, che vedeva la guerra come l’unica soluzione contro l’invasore romano. Il suo mondo, la sua gente, la sua terra, stava andando incontro alla sua rovina e l’unica soluzione per il popolo era una salvezza che poteva solo venire dall’alto, da Dio. Pertanto, Gesù ha proposto una via alternativa – la nonviolenza attiva, che non è una fuga dalla realtà e un rifiuto di vedere il male, rifugiandosi in qualche caverna o proiettandosi a un paradiso lontano(spiritualità disincarnata), ma è la fiducia nell’uomo e fede in Dio, la forza dell’amore e della verità. “Il testo del vangelo è chiaro, chiarissimo, spiazzante!”

La non-violenza attiva, non è semplicemente una dimostrazione d’amore, ma è anche una dimostrazione di forza, che rende effettiva l ‘amore puro con il rispetto della verità e la fiducia nell’uomo, che rende significativa la vita quotidiana, al contrario della violenza che rende assurda il destino umano.

Care sorelle e cari fratelli, violenza non è fatale e predestinata, non è una strada inevitabile, se conserviamo la fiducia nell’uomo, la speranza si riapre. Dobbiamo “insistere sulla verità”, essere ostinati, ma non a discapito della sofferenza e della disumanizzare del nemico, l’oppositore, bensì, attraverso l’appello all’umanità e alla ragione dell’avversario, partendo sempre ai suoi lati migliori, con la convinzione che ciò che ci unisce è molto più di ciò che ci divide.

La nonviolenza è un’impresa difficile ed è un frutto di un rapporto cuore a cuore con Dio, della conversione attiva che inizia con una singola persona e che, ascoltando la sua parola, si converte a Dio, ritorna a Lui e cambia la sua mente e il cuore, resistendo, opponendosi e rinunciando a ciò che potrebbe significare uno scontro, causato da odio o inimicizia verso gli altri, resistendo di rispondere alla violenza subita con lo stesso atteggiamento. Essa rappresenta una pratica di fede speranzosa che viene trasmessa ad altro, poiché Dio ha passato la verità attraverso suo figlio Gesù, egli a sua volta ci ha trasmesso l’insegnamento della nonviolenza, confermando la nostra fede e speranza su Dio che interviene sempre per aiutarci a percorrere un cammino di pace insieme come comunità di credenti.

La chiesa, come comunità di credenti, ha la ragione di esistere per proclamare, annunciare e predicare agli uomini e alle donne, in modo che diventino degli esseri più umani, la parola di Dio che guarisce la ferita dell’anima e del corpo, e la radice di ciò che ha provocato i suoi atti di violenza nei confronti dell’altro.

Così la comunità di Gesù Cristo deve ricordarsi che anch’essa è soggetta e oggetto all’atto di violenza odierna e persisterà se non indossa l’equipaggiamento di un buon soldato che l’apostolo Paolo ha scritto nella sua lettera alla comunità di Efeso: 11 Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo; 12 il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti …”(Efesini 6, 11-20). Ciò che deve fare è esercitare quello che ha imparato sin dalla sua nascita, avendo ricevuto la parola scritta e letta nella Bibbia vivificata dallo Spirito Santo, a partire dall’insegnamento di Gesù che l’ha formata, modellata e continuato a riformarsi senza perdere di vista il suo prossimo, rendendosi conto della fiducia nel profondo della sua anima.

Che cosa è la nonviolenza attiva? E’ l’atteggiamento che non ceda al male, l’atteggiamento che sappia vincere il male col bene, l’atteggiamento che sappia posare l’armatura di guerra perché non versi il sangue.

– ama il tuo nemico

– Se uno ti percuote su una guancia,  offrigli anche l’altra guancia

-Se uno ti toglie il mantello, non rifiutare di darlo.

– fa quello che vuoi che l’altro vuoi che ti faccia.

– Prega per colui che ti tratta male

– Presta senza sperarne nulla

– Non giudicare … non condannare … perdona

Penso che abbiamo sperimentato e provato a compiere tutti questi insegnamenti di Gesù poiché ciascuno e ciascuna di noi ha avuto un incontro personale con Lui, dimostrando così singolarmente la nostra conversione e come chiesa siamo chiamati insieme ad ascoltare ed eseguire i suoi comandamenti.

Care e cari, il capitolo 6 del vangelo di Luca è il “discorso della pianura”, in parallelo al “discorso della montagna” di Mt 5. Luca colloca questo discorso in un luogo pianeggiante, perché tutti potessero capire che Gesù lo si incontra faccia a faccia, e seguirlo non è impossibile. Lo possiamo vedere, ascoltare, toccare. Gesù è tra noi e con noi con i suoi insegnamenti .

Egli ci rammenta,  “Ma a voi che ascoltate, dico”: per ascoltare è necessario, oltre alla volontà di farlo e la adeguata attenzione, anche il silenzio. È importante chiedermi se mi sta a cuore ascoltare le parole che oggi Dio mi rivolge: comincia allora questo tempo personale con uno spazio di silenzio, di raccoglimento, cercando lo sguardo di Gesù che in questo giorno vuole parlare con te e con me. Questo insegnamento di Gesù sulla pianura è il riassunto della legge e dei profeti.

Nel libro dei proverbi leggiamo:

Il timore del Signore è odiare il male. Proverbi 8,13

Il timore del Signore è scuola di saggezza. Proverbi 15,33

Il timore del Signore è fonte di vita. Proverbi 19,23

Preghiamo:

Dio nostro ti ringraziamo per questo tempo di ascolto in cui ci riveli la tua parola.

Ti dobbiamo il timore perché sei il Dio altissimo che in te ci sono  i pensieri giusti riservati per tutti noi.

Ci sono i progetti di vita che nel tempo ci fai raggiungere, per questo, ogni giorno ti dobbiamo chiedere di farceli capire. Donaci l’atteggiamento di stare al  silenzio per capirli. Non lasciarci dominare dalle nostre abitudini di dare dei giudizi immediati ed avere occhi soltanto a ciò che ci manca. Facci acquisire sempre di più una saggezza  che ci rende umili e sazi. Così con la tua parola possiamo riceverla continuamente perché siamo stati generati da essa. Grazie perché ci hai considerati i tuoi figli e figlie per mezzo del tuo figlio il nostro fratello Gesù Cristo. Da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen
 

past. Joylin Galapon

La salvaguardia del creato

Le letture di oggi ci parlano di NATURA.

Oggi pomeriggio avremmo dovuto parlare di ambiente e del nostro adeguamento come comunità ad un nuovo assetto ecosostenibile, anche in vista di una certificazione, ma avendo necessità “strutturali” più urgenti, rimandiamo la riunione ambientale più avanti. Intanto però ci sono capitate queste letture “ambientali” e iniziamo a prepararci con delle basi “Scritturali”.

Iniziamo dal Salmo 19, che dà un inquadramento cosmico, apre uno squarcio sull’Universo, su come era visto a quei tempi, anche da un punto di vista “scientifico-poetico”. Si parla di cieli, firmamento, giorno, notte, suono, sole, visto come uno sposo felice che gira da un’estremità all’altra dei cieli, e in chiusura di questa prima parte si dice che “NULLA SFUGGE AL SUO CALORE”. Sembra quasi una premonizione profetica al nostro RISCALDAMENTO GLOBALE attuale.

Passiamo ora a Genesi, un testo classico per quanto riguarda la Creazione e le prime fasi del mondo “primigenio”. Qui siamo appena dopo il Diluvio, la famiglia di Noè esce dall’Arca e si può dire veramente che è una famiglia allargata, comprendendo anche le famiglie degli animali. Il motore della vita e della natura riprende anche dopo il disastro e la devastazione. Per prima cosa Noè costruisce un altare, non sappiamo se di terra o di pietre, secondo i più antichi costumi, ma comunque ringrazia Dio per il pericolo scampato e la ritrovata salvezza. Dio in risposta promette che non distruggerà più la Terra e ci sarà una regolare alternanza di stagioni e coltivazioni. Questo è il primo PATTO che Dio fa con l’umanità. E’ un patto generale, universale, fatto non soltanto con Israele, ma con tutti gli esseri viventi.   E’ un patto stipulato secondo i canoni dell’epoca, con delle norme da rispettare, il cosiddetto Codice Noahico, che ha un certo corrispettivo con il Decalogo, anche se riguarda principalmente regole alimentari e di sopravvivenza.                                   Infine il segno del patto è l’arcobaleno, una ritrovata bellezza che dalla Terra va verso il Cielo e di nuovo ritorna in Terra. Quindi il senso di questi passi è di un uso “legale” dei beni che sono sulla terra. Dio ci dà il permesso di usarli, di sostenerci, ma con MODERAZIONE. Ci chiede anche il RISPETTO degli animali e del Creato in generale.

I popoli antichi avevano il concetto dell’indisponibilità totale del Creato,  del suo USO ma NON del suo ABUSO o DISTRUZIONE, perché causerebbe                      la NOSTRA DISTRUZIONE. Noi abbiamo perso questo concetto. Dal positivismo in poi, dalla rivoluzione industriale, pensiamo di avere il dominio assoluto sulla Natura, di poterla usare e abusare fino allo sfinimento, fino all’esaurimento delle sue risorse. Ma non è così. La Natura ci chiederà il conto, ci metterà alle strette, ci obbligherà a riflettere sul nostro comportamento e sulle nostre scelte.

Per concludere vorrei citare anche le altre letture.

Paolo ci esorta a stipulare un nuovo Patto, guidati dallo Spirito che dà nuova vita e Gesù benedicendo i bambini ci dice che “chiunque non avrà ricevuto il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto”. Cerchiamo quindi di ricevere il regno di Dio, il Creato, con l’esempio dei bambini, che in questo momento storico stanno guidando il Movimento Ambientalista.

Amen.

Francesca Marini

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Umanità in cerca di pace

da Riforma

di Fabio Perroni

Afghanistan, Sudan, Repubblica democratica del Congo… Il lungo elenco degli Stati impegnati nei conflitti oggi in  corso ha dato inizio alla veglia di preghiera per la pace organizzata da alcune sorelle e fratelli di due chiese evangeliche di Roma presso la chiesa valdese di piazza Cavour, che ha aperto loro le porte lo scorso 18 ottobre. Dopo il saluto iniziale del pastore Marco Fornerone, brevi letture, preghiere spontanee,  brani sulla pace, testimonianze, hanno ritma- to il tempo della preghiera. Una preghiera silenziosa, vissuta, profonda. «L’umanità in cerca di pace» è stato il titolo della serata, seguito  dal versetto tratto dalle beatitudini di Matteo, «Beati coloro che si adoperano per la pace». Filo conduttore dei cinque momenti è stato il salmo 82, che ha modulato i tempi che hanno  visto alternare brevi brani della Parola, silenzio, brani musicali di pace eseguiti alla viola  da Emma Amarilli Ascoli. Dopo la lettura dei versetti un ampio spazio agli interventi liberi  dei partecipanti, che non hanno lasciato troppo tempo all’assenza di parole. Si sono ricordati  avvenimenti, persone, impegnate o vittime del- le guerre, curdi, iracheni, siriani, yemeniti ecc.  Il rischio di conformarsi, di assuefarsi, ha con- giunto ancora una volta la Parola, con i versetti  dell’epistola di Paolo ai Romani, con le nostre parole: essere attenti, il peccato di abituarsi alle situazioni di violenza, il non prestare orecchio  ai troppi conflitti come se non ci interessassero. Porre attenzione ha significato denunciare  anche le nostre responsabilità come italiani e denunciare le implicazioni che abbiamo in moltissime situazioni di guerra e come credenti aprirsi al disarmo. Proprio la parola disarmo è  risuonata forte, dura, profonda, tramite le parole del patriarca Atenagora: «Bisogna riuscire a disarmarsi. Io questa guerra l’ho fatta… ma ora sono disarmato. Non ho più paura di niente  perché l’amore scaccia la paura… Ma se ci disarmiamo, se ci spogliamo, se ci apriamo al Dio  uomo che fa nuove tutte le cose… allora è lui a  restituirci un tempo nuovo dove tutto è possibile». Anche la pace è possibile. Una pace ancora lontana riecheggiata nelle parole della poesia  in ricordo di Asia Ramazan Antar, eroina curda morta per combattere l’Isis: «Io vado, madre. Se non torno la mia anima sarà parola… per tutti i poeti». A conclusione della veglia, che ha visto  la partecipazione di oltre cento persone, appartenenti a diverse confessioni cristiane, si è letta  la presa di posizione della Tavola valdese che «si associa alla preghiera di molti credenti di tutte le religioni – musulmani, cristiani, ebrei e altri – e ai loro appelli a unirsi anche nell’impegno concreto accanto a tutti coloro che rivendicano e ricercano una pace giusta con parole e azioni  coerenti», seguita dalla recita comune del Padre nostro e dall’uscita silenziosa dal tempio  per tornare nella quotidianità dove far risuona- re e vivere «il tutto è possibile».