Liberazione

26 marzo 2017

Cari fratelli e care sorelle,

Oggi voglio iniziare da un avvenimento storico…

Ci troviamo nel 1943, nello specifico: il 10 Luglio del ’43: in piena seconda guerra mondiale.

In questa data, gli alleati – Stati Uniti ed Inghilterra – dopo una dura e vittoriosa battaglia contro le forze nemiche Nazi-Fasciste nel continente Africano, riuscirono ad aprire un varco fondamentale nel territorio europeo, sbarcando in Sicilia.

L’intento era quello di usufruire di questo nuovo fronte per attaccare direttamente e sconfiggere definitivamente, uno dopo l’altro, le forze fasciste (Italia) e in fine quelle naziste (Germania).

Quello che però accadde in seguito a tale data, purtroppo non fu delle più piacevoli. Mussolini fu imprigionato, il Re strinse un’alleanza con gli alleati, e i tedeschi, sentendosi traditi, invasero il nostro territorio. Ci vollero circa 2 anni, grazie alla continua lotta delle forze alleate e dei partigiani, per liberare passo dopo passo la nostra nazione.

Per questo motivo, in memoria di quell’evento, il 25 Aprile è stata stabilita una festa. Ogni anno infatti, in questo giorno, le principali piazze italiane si riempiono di cittadini che ricordano e testimoniano degli avvenimenti accaduti in quell’epoca.

Dopo questa breve introduzione, cari fratelli e care sorelle, immagino vi stiate chiedendo il motivo di tale scelta…

Ebbene, il motivo per cui ho deciso di iniziare facendo un piccolo ripasso storico, è perché i versetti della predicazione di oggi, e la festa del 25 Aprile, hanno qualcosa in comune.

Dalla lettera ai Romani 8,12-15 leggiamo:

[12 Così dunque, fratelli, non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne, 13 perché se vivete secondo la carne voi morrete; ma se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, voi vivrete. 14 Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. 15 E voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: «Abbà! Padre!»]

A primo impatto, immagino non sia facile intuire un collegamento tra l’introduzione e i versetti appena letti.  Ma a parer mio, ovviamente in forme non proprio identiche, ciò che li accomuna è il tema della LIBERAZIONE.

La differenza risiete nel fatto che, diversamente dalla nostra ricorrenza nazionale, la liberazione di cui l’Apostolo Paolo ci parla in questi versi non è DA UN NEMICO ESTERNO che con violenza e arroganza viene e prende il dominio di noi e delle nostre proprietà. Il nemico di cui l’Apostolo ci parla, convive con noi, ci conosce fin da quando esistiamo…perché egli/esso/essa, siamo noi stessi: la nostra CARNE!

Certo…quando sentiamo parlare di CARNE nel contesto biblico, viene naturale pensare a peccati come LUSSURIA, GOLA, SUPERBIA, il che non è tutto sbagliato…

Ma la causa in principio di tutto ciò, secondo Paolo, è uno stile di vita che mira a soddisfare solo i propri bisogni – IO al CENTRO di OGNI VALORE.

E la carne, o meglio il nostro pensare principalmente a noi stessi, cari fratelli e care sorelle, in questa lettera VIENE descritta dall’Apostolo come una grande potenza: ancora più potente della LEGGE, in quanto essa non sia stata capace di reprimerla.

Per questo il Signore, mediante il sacrificio vivente nella persona di Gesù Cristo, suo Figlio, ad un certo punto della storia, ha deciso di SALVARE le sue creature, dandogli la possibilità di sconfiggere questa POTENZA della carne, mediante un’altra POTENZA – che oserei definire, la potenza di vita: il suo SPIRITO.

Per questo motivo e con questa certezza, Paolo invita i destinatari della sua lettera a non essere più schiavi della carne, siccome il suo frutto porta solo alla morte, ossia all’allontanarsi da Dio e dalla sua volontà, ma a ricevere e seguire questo SPIRITO, che dà VITA.

Ma come seguire questo Spirito viene da chiedersi…

A mio avviso, un suggerimento ci è dato dall’ evangelo secondo Giovanni. Gesù, nel suo lungo discorso di commiato, disse ai suoi discepoli:

15 «Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16 e io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro Consolatore perché sia con voi per sempre: 17 Lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi.»

Dunque caro fratello e cara sorella, osserviamo i comandamenti di Cristo affinché il Suo Spirito dimori in noi.

È solo seguendo il suo invito, che si riassume con l’amore verso Dio e verso il prossimo, che riusciremo a liberarci da noi stessi.

Con Cristo come nostro CAPO, non ci sarà più un IO al CENTRO di OGNI VALORE…e finalmente, riusciremo ad accorgerci di come utili e necessari possiamo essere nei confronti di chi è meno fortunata di noi.

“E voi – prosegue l’Apostolo nella sua lettera – non avete ricevuto uno spirito di servitù – ovvero che ci chiama al servizio – per ricadere nella paura – ossia alle dipendenze della carne – ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: «Abbà! Padre!»

Devo confessarmi, cari fratelli e care sorelle, che questo passaggio mi piace assai. Perché per l’ennesima volta, mediante il dono della salvezza, Dio non solo ci chiama alla libertà e alla riconciliazione…ma va oltre ad esso… ci permette ADIRITTURA di essere suoi figli e sue figlie: per ADOZIONE.

Come sappiamo, uno solo è Figlio – Generato e non creato. Ma grazie al sacrificio di questo Suo Figlio, anche noi oggi, CREATURE del Signore, possiamo entrare a far parte della famiglia di Dio, avendo la possibilità di rivolgerci a Lui come Gesù faceva, chiamandolo ABBA/PAPÀ/FATHER/TATAY.

Perciò cari fratelli e care sorelle, ricollegandoci alle righe iniziali del sermone, come la nazione italiana e molte altre nazioni, anche noi POPOLO di DIO, abbiamo un giorno dedicato alla memoria della nostra liberazione: la Domenica. Esso è sì il giorno di RIPOSO, ma non per rimanere a casa e dedicare tempo solo a NOI STESSI…ma per festeggiare insieme ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, cantando inni e ascoltando LA PAROLA, il gran dono di LIBERAZIONE che abbiamo ottenuto GRATUITAMENTE dal nostro PAPÀ. _ AMEN

 

Kassim Conteh

,

Tu sei il re dei Giudei?

GIORGIO JOSSA,
Carocci, Roma, 2014,
pp. 250, Euro 21,00

Il recente libro di Jossa si inserisce nella ricerca sul Gesù storico con diversi intenti: a) riaffermare il valore storico del Vangelo di Marco, preferibile a quello di Giovanni; b) ricostruire una vita di Gesù non focalizzata su aspetti della sua predicazione (il regno, i miracoli, la legge) o della sua personalità (profeta, guaritore, maestro), ma su uno sviluppo del suo pensiero ed una graduale presa di coscienza della sua missione; c) prendere posizione nei confronti delle precedenti ricerche sul Gesù storico, ridimensionando i criteri della dissomiglianza e della plausibilità, che considerano autentici solo i detti di Gesù che, rispettivamente, non trovano o trovano un parallelo nel giudaismo del suo tempo. L’autore sottolinea affinità e diversità di Gesù con le principali correnti giudaiche e conclude che egli non può essere appartenuto né ai Farisei, né ai Sadducei né agli Esseni né ai seguaci di Giuda il Galileo, mentre mostrerebbe più affinità con i movimenti apocalittici, messianici e penitenziali, come quello di Giovanni Battista, di cui avrebbe sicuramente fatto parte nella prima fase della sua vita, staccandosene poi per la graduale acquisizione di un’autocoscienza messianica e per una svolta alla sua predicazione, che si sposta dall’annuncio del giudizio a quello del regno di Dio. La fase galilaica di Gesù è infatti caratterizzata dall’annuncio dell’imminenza del regno, che non sarebbe né la liberazione dall’oppressione romana, né la restaurazione escatologica del popolo di Israele, né la realizzazione utopica di uno stato sociale egualitario: anche qui Jossa sottolinea un’evoluzione del pensiero di Gesù, il quale avrebbe dapprima auspicato un regno terreno e solo in un secondo momento avrebbe maturato la concezione di un regno trascendente. Solo così si spiegano alcune contraddizioni dei Vangeli: da un lato l’elezione simbolica dei Dodici e l’entrata trionfale a Gerusalemme, segni di una concezione regale; dall’altro il riconoscimento di legittimità al potere romano espresso nell’episodio del tributo a Cesare. Segno concreto del regno di Dio sono i miracoli: il successo della sua attività di taumaturgo avrebbe convinto Gesù che il regno di Dio non era solo vicino, ma era già in qualche modo presente, segnando un’ulteriore svolta nel suo pensiero ed alimentando la sua coscienza messianica: pur senza condividere l’idea nazionalistica del Messia davidico, Gesù avrebbe gradualmente compreso di essere l’iniziatore di una nuova era, quella dell’avvento del regno di Dio. Strettamente legata al regno è anche l’etica di Gesù, come si manifesta nelle antitesi del discorso della montagna, che evidenziano non un contrasto con l’etica giudaica della legge, bensì una sua radicalizzazione. Particolarmente importante è il capitolo dedicato all’autocoscienza messianica di Gesù, in cui Jossa analizza gli episodi dell’ingresso a Gerusalemme, del tributo a Cesare e della purificazione del Tempio per ridimensionarli, negandone il collegamento diretto con la condanna a morte di Gesù, il quale ha comunque una concezione diversa della messianicità, che non rinvia ad un sovrano guerriero che rifiuta il dominio romano. Circa poi la comprensione dell’inevitabilità della propria morte, Gesù vi sarebbe arrivato solo dopo la salita a Gerusalemme, quando, dovendosi scontrare con le autorità, avrebbe capito di dover mettere in conto la possibilità di venire ucciso. Di questa consapevolezza sarebbero prova sia l’Ultima Cena, svoltasi prima della Pasqua, perché Gesù sapeva che non sarebbe arrivato vivo al giorno festivo, sia le parole da lui pronunciate, che fanno riferimento alla propria prossima morte. Non solo, ma Gesù, vedendo allontanarsi la venuta del regno, avrebbe deciso solo allora di inserire la propria morte nel piano salvifico divino. Un ricostruzione della vita di Gesù basata quindi su uno sviluppo graduale del suo pensiero, che ci rende questa figura più viva ed umana.

 

Antonella Varcasia

,

Dal battesimo allo “sbattezzo”

di PAOLA RICCA
Claudiana, Torino, 2015,
pp. 343, Euro 19,50

Questo complesso testo di Paolo Ricca affronta il sacramento cristiano per eccellenza, mettendone in luce origini, significato e prassi liturgica nelle diverse confessioni religiose. E’ quindi un libro storico, perché cerca di ricostruire l’istituzione e l’evoluzione del battesimo attraverso le Scritture e i documenti della prima cristianità e dei Padri della chiesa, fino alla svolta anabattista, alla Riforma e al Concilio di Trento, che hanno variamente influenzato le interpretazioni successive, per concludere con le proposte più moderne che tendono a superare l’attuale apartheid battesimale, segno di una divisione non tanto tra cattolici e protestanti, ma all’interno stesso del mondo evangelico.

Ma è anche un libro teologico, dogmatico e pratico, perché spiega ed argomenta le diverse posizioni e illustra approfonditamente le liturgie delle chiese cattoliche, ortodosse, battiste, evangeliche e pentecostali, mettendone in luce analogie e differenze.

Ma è soprattutto un libro ecumenico, il cui scopo non è quello di portare argomentazioni a sostegno dell’una o dell’altra interpretazione, o dimostrare la superiorità di una prassi o di una teologia, ma è quello di individuare gli elementi fondamentali comuni alle varie confessioni religiose, per pervenire al riconoscimento reciproco, nel rispetto delle specificità di ciascuno.

Al di là delle modalità liturgiche (aspersione o immersione, formula trinitaria o nome di Gesù, gesti rituali e simbolici, esorcismi, ecc.), o delle interpretazioni teologiche (valore salvifico attribuito all’acqua o idea della cancellazione del peccato originale), i due motivi fondamentali di divisione riguardano il battesimo dei bambini e il legame tra il battesimo d’acqua e quello di spirito. Sul primo punto Ricca, dopo aver esposto le prassi e le motivazioni scritturistiche e teologiche dei diversi schieramenti, e dopo aver ammesso che le Scritture e i testi antichi confermano una prassi maggioritaria del battesimo dei credenti, ma non escludono il pedobattismo, propone la soluzione del pastore battista Paul Fiddes, che concepisce il battesimo come un processo strettamente connesso ad un itinerario di formazione, che può precedere il battesimo o seguirlo, sfociando nella confermazione. L’unità può essere allora raggiunta attraverso il riconoscimento reciproco non delle prassi battesimali, ma del percorso di iniziazione, comune a tutti.

Quanto al secondo punto, il problema è se il dono dello spirito, che avviene nel battesimo, sia connesso con l’acqua o con l’unzione o con l’imposizione delle mani. Un elemento tipico del rito ortodosso, ad esempio, è l’unzione col myron, che costituisce un sacramento a sé stante, corrispondente alla cresima cattolica; anche i pentecostali considerano il battesimo dello spirito come un’azione separata da quella che porta, attraverso la conversione, alla confessione di fede del battesimo d’acqua: è un’esperienza distinta dal battesimo, generalmente accompagnata dal fenomeno della glossolalia. Anche qui Ricca suggerisce l’idea di Karl Barth, secondo il quale il battesimo di spirito precede quello d’acqua in quanto consiste nella conversione dell’uomo a Dio ed è quindi opera di Dio: come tale, è il fondamento della vita cristiana, il vero sacramento, mentre il battesimo d’acqua è la risposta del credente alla grazia concessagli di Dio, in ubbidienza al comandamento di Gesù.

Nell’epilogo viene spiegato il senso dell’unicità del battesimo cristiano, che si riallaccia al battesimo unico e irripetibile che abbiamo ricevuto sul Golgota. Non manca un brevissimo accenno alla curiosa pratica dello “sbattezzo”, che rende il testo completo ed esaustivo, forse un po’ appesantito dalla prolissa descrizione delle varie liturgie battesimali, ma di indubbio valore storico, teologico ed ecumenico.

Antonella Varcasia