La giustizia di Dio

30 ottobre 2016

Romani 3, 21-28

I protestanti di tutto il mondo celebrano la Festa della Riforma. Fu infatti in quel giorno del 31 ottobre 1517 che il monaco agostiniano Martin Lutero affisse le sue 95 tesi contro le indulgenze sul portone della chiesa del castello di Wittenberg in Germania, atto che convenzionalmente viene considerato l’inizio della Riforma protestante.

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

noi, oggi, festeggiamo perché è avvenuta la Riforma nella chiesa di Dio.

Noi protestanti crediamo che ha avuto luogo la Riforma, soprattutto perché c’è stata l’unanimità nel  riconoscere l’unica ed esclusiva autorità della Bibbia.

La giustizia di Dio è stata scoperta attraverso la Bibbia: il peccato dell’uomo peccatore è stato rimesso dall’opera redentrice di Gesù, il Cristo di Dio.

Ora, perciò, in questo luogo,  il Dio giusto e liberatore ci ha convocati e  accolti tutti per ri-leggere e ri-ascoltare il brano che l’apostolo Paolo ha scritto alla comunità di Roma in cui ribadisce il pensiero  alla base della riforma nella nostra epoca: il peccatore credente è stato giustificato per mezzo dell’opera di  Gesù, il suo sangue versato per tutti i peccati del mondo(credere in ciò che lui ha fatto è il modo di accedere  alla propria salvezza, credere in lui è la porta di accesso al regno di Dio).

Questa è stata la volontà di Dio rivelata per mezzo dell’apostolo Paolo.

L’apostolo Paolo parlando con i romani credenti, dice ‘Ora’,   Dio fonda la sua volontà, Ora, l’epoca della legge si distacca dall’epoca messianica iniziata con la venuta di Gesù. Dio ha manifestato la sua giustizia nella persona di Gesù.

Il tempo del passato è scaduto. Durante questo tempo, nell’epoca della  legge, nessun uomo ha portato ad adempimento la Legge di Dio.

L’ora di Dio, il suo tempo è giunto nel nome e per amore di Gesù…

John Wesley dice:<<l’amore è il compimento della legge non in quanto ce ne libera, ma in quanto ci costringe a obbedirle; è il fine del comandamento in quanto ogni comandamento conduce all’amore e nell’amore è centrato>>. Tutti i comandamenti di Dio sono stati recuperati in Gesù, nel senso che dal suo avvento in poi, siamo sostenuti, nell’eseguirli, dalla legge dell’amore.

In questi giorni sto meditando sul testo per oggi, per festeggiare il giorno del 31 ottobre 1517 che è una data memorabile nella storia della chiesa. Ho sentito di voler ri-scrutare il pensiero di  Lutero e le sue re-azioni contro il modo di voler ottenere il perdono di Dio attraverso il denaro.

La predicazione dell’apostolo Paolo sulla salvezza mediante la fede in Gesù Cristo lo ha reso inquieto a tal punto da non poter più sottomettersi all’autorità clericale. Aveva compreso pienamente il messaggio di salvezza che Dio gli rivolgeva per mezzo dell’apostolo Paolo.

Nella vita dei protestanti,  la volontà di Lutero era di voler purificare la chiesa da tutto ciò che poteva rappresentare erroneamente il volto di Dio e si scontrava con l’immagine di un Dio che invece pratica una giustizia immeritata, gratuita e incondizionata. Questo è la giustizia di Dio per  l’uomo.

La volontà di Dio di salvare tutti solo per mezzo della fede di  Gesù  non è stata adempiuta nel senso che l’uomo peccatore  non accetta pienamente in se stesso che la sua salvezza sia indipendente dalla sua opera.

Noi certo non vogliamo confondere con questo pensiero, chi  dentro di sé cerca di adoperarsi per la propria salvezza e si  sforza di essere gradito a Dio, perché molte delle nostre opere  sono un segno anzi è il frutto dell’ amore. Ognuno di noi  oscilla tra la propria fede e le opere che compie.

L’apostolo Paolo in questo brano fa una premessa introduttiva con “ ‘Ora però’”

La parola ora(indica il tempo presente, oggi). In questo brano è molto importante perché il messaggio della giustizia di Dio venga recepito ora, ricevuto ora, afferrato ora,  e  fatto proprio ora dal lettore.

Allora Gesù dice a Zaccheo: <Oggi  la salvezza è entrata in questa casa>.

L’apostolo Paolo dice ai corinti: <Ecco ora il tempo favorevole, eccolo ora il giorno della salvezza>2 Corinzi 6,2.

Dal libro di Apocalisse leggiamo anche: <Temete Dio, perché è giunta l’ora del giudizio> Apo. 14,7

 

La prima cosa di cui dobbiamo tener conto adesso è l’ora di Dio. E’ vero che tutto cambia quando cogliamo ciò che ci dà in un momento come questo.

Il presente diventa il momento decisivo. È ora, è  indipendentemente dal passato e anche dal futuro. In questo senso oggi, questo momento è decisivo.

Oggi, è necessario, è fondamentale che festeggiamo la riforma della chiesa secondo il pensiero di Lutero, perché il messaggio di giustizia di Dio oggi è per noi  presenti. La predicazione sulla giustizia di Dio che si ascolta, ora  può  cambiare la nostra vita. È così per me ed è altrettanto per te.

Lutero dice che siamo mendicanti di grazia. Ciò avviene quando ci rendiamo conto che è necessario  rinnovare la nostra consapevolezza del dono ricevuto dal Dio donatore. Ma c’è di più oggi che ci viene dato da Dio.

La sua giustizia mediante la nostra fede nell’opera di Gesù Cristo, oggi, ci mette in condizione di gioire. Chi ascolta bene questa parola oggi, è felice.

Perciò è fondamentale  considerare il rapporto dei lettori con  questo brano, ora.

Ci sono diversi lettori di cui tenere conto come la folla che seguiva Gesù quando raccontava le  parabole. Egli approfittava di queste occasioni per la loro conversione  al Signore Dio e per insegnare soprattutto  ai suoi discepoli  come Dio pratica la sua giustizia nel suo  regno. Ad es. la parabola che abbiamo letto e ascoltato cioè  <<la parabola delle diverse ore, la paga pattuita>> .

La morale della parabola, è molto significativa. Ciò che è stato stabilito dal padrone rimane, non cambia. Gli operai assunti per molte ore giustamente sono stanchi e quindi il loro lamento è   umano e lo si può comprendere. Certo, ai loro occhi così  come ai nostri,  l’agire  del padrone sembra ingiusto. Secondo la logica umana chi è arrivato prima deve guadagnare  di più. Chi è arrivato  dopo e ha faticato poco deve ricevere di meno.

Qui, ora però noi  sappiamo  che stiamo parlando del Padrone di tutti,  del padrone donatore, del padrone  sovrano che è la fonte di tutto, e ha la possibilità di dare quello che vuole. Come dice il padrone: “Amico, non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare a quest’ultimo quanto a te. 15 Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?”

La massima manifestazione della giustizia di Dio è indipendente da ciò che  l’uomo fa. Dio ha voluto superare la legge dell’uomo.

È ingiusto? Questo è il pensiero insondabile di Dio nel fare giustizia a tutti, a chiunque di noi.

Noi siamo come una volta la folla, riascoltiamo questo brano (ogni anno) perché vogliamo festeggiare questo cambiamento nella nostra vita di credenti. Vogliamo festeggiare quest’occasione per ri-scoprire la parola di Dio che determina tutta l’esistenza dell’uomo peccatore: il dono del perdono, il dono della salvezza,  il dono della vita eterna, la nuova concezione di vita.

Dio ha donato tutto e noi lo riceviamo.

Il credente è un lettore, è come un discepolo di allora. Ma oggi  penso che quello che  l’apostolo Paolo voleva annunciarci riguarda  proprio come riceviamo questa parola di Dio, ora.

Come recepiamo questo messaggio di Dio in quest’istante? Che effetto fa  per te fratello o per te sorella mia questo messaggio?.

Tu puoi sentire di non essere degno di ricevere questa grazia ma allo stesso tempo ne sei degno  perché  ce lo dice ora l’apostolo Paolo. Quanti di noi, ogni volta che celebriamo la santa cena si sentono degni  di accogliere l’invito di Gesù di avere comunione con lui? Noi possiamo essere felici  di accostarci alla mensa perché  è la sua promessa di perdono che ha segnato un cambiamento della nostra vita.

Oppure, non ci accostiamo alla mensa perché non abbiamo fatto pace con il nostro fratello o con la nostra sorella di chiesa.  È vero che non è facile per noi credenti  ricevere questo messaggio di Paolo perché prevale nella nostra coscienza la consapevolezza di aver commesso molti peccati.  Però, Gesù è la nostra pace, lui che ci ha riconciliato con Dio e con il nostro prossimo.

Le parole scritte nelle Sacre Scritture sono tutte parole degli uomini come noi, per  raccontare il loro rapporto con Dio nel passato.

Eppure l’ora di Dio ci deve raggiungere oggi, per tutti noi che ascoltiamo questa parola sulla sua giustizia. Riceviamola!

La giustizia di Dio manifestata in Gesù, viene rinnovata qui ora, nella nostra coscienza, conoscenza e consapevolezza perché possiamo sentirci completamente rivestiti  e avvolti dal suo mantello di amore misericordioso.

Ora, il Signore è lo Spirito; e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione del Signore, che è lo Spirito.

Il Signore Spirito venga su di noi perché vinca la nostra incredulità.

Noi veniamo da tutte le parti del mondo e questa parola di Paolo ci ha raggiunto perché è stata tradotta in tutte le lingue affinché la capissimo. Il Prof. Ricca quando ero in Facoltà mi chiese nel nostro colloquio in vista dell’esame di Storia della Chiesa sul pensiero della Riforma protestante <<Chi era Lutero? Perché la sua protesta era fondamentale nella vita della chiesa? >>

Lutero era uno studioso dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento e divenne prof. della Bibbia. Io capii dopo che le sue domande sulla persona di Lutero erano importanti perché riguardano le basi e le fondamenta della vita di chi si professa un credente in Dio cioè un cristiano.

È per questo  motivo che Lutero dopo aver studiato tutta la Bibbia nella sua lingua originale ha voluto che la si traducesse perché fosse capita. È molto chiaro il suo intento che nessuno fosse privato di questa grazia e della bontà di Dio. La Bibbia è una, e Dio è per tutto il mondo.

La parola globalizzazione ha un impatto enorme in noi. La globalizzazione è un concetto che si  può riferire anche all’universalità del peccato perché non è facile per noi non essere contaminati dagli altri proprio  perché la nostra condizione umana è una, siamo tutti uguali. Noi siamo un tutt’uno,   come una conchiglia che contiene la perla. Questo significa che viviamo portando questo tesoro. Che Dio trovi sempre in noi il suo spazio, quella nostra disponibilità a farlo  dimorare  in noi. Che Dio compia sempre la sua volontà in noi.

<<Siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente  preparate affinché le pratichiamo>>. Efesini 2,10

past. Joylin Galapon

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima impressione non è decisiva

23 ottobre 2016

Luca 18: 9 – 14

Non so se conoscete l’espressione: non hai mai una seconda possibilità per avere una prima impressione. E sappiamo quanto possa essere importante una prima impressione, spesso da questo dipende come una certa persona ti viene incontro, ti giudica, un giudizio che ti può perseguitare tutta la vita. In più, alcuni non hanno nemmeno la possibilità di fare questa prima impressione. Mi spiego, ci sono delle persone di cui è già predefinita la loro immagine. Perché è ampiamente diffuso l’abitudine di etichettare delle persone prima di conoscerle, o perché porta i capelli in un certo modo, o perché cammina in un certo modo, ecc. Spesso, troppo spesso si giudica a partire dagli stereotipi. Vedi qualcuno ed è subito classificato, gli è stato appiccicato un’etichetta. Gesù sfrutta abilmente questa abitudine nella parabola che abbiamo sentito.

Luca ci fa capire subito di che si tratta, infatti abbiamo sentito: Gesù disse ancora questa parabola per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri. E già c’è qualcosa che non va, perché essere giusti significa apprezzare, stimare gli altri. Essere giusto e disprezzare non sono due cose che vanno insieme. E quindi come lettore, come ascoltatore uno, una è subito incline a pensare, questa cosa non mi riguarda. E questo rende interessante questo racconto, questa parabola. Perché significa che ci siamo dati già una etichetta. Ci siamo già dati un’etichetta e per questo ci è difficile immedesimarci in uno di questi personaggi, ci sentiamo parte di quei certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri? In un primo momento assolutamente no, ma non ci vediamo nemmeno come un pubblicano, una specie di mafioso. Ma coincide questa nostra immagine di noi stessi con come ci vede Dio, di come siamo visti da Dio? Noi ci vediamo nel modo nostro, Dio nel modo suo.

Comunque questa parabola non racconta solo del fariseo e del pubblicano, ma anche di me, di noi, di come ci vediamo, di come ci giudichiamo, chi pensiamo di essere, ma anche di come pensiamo che Dio ci vede. Luca mette davanti a noi un duo in modo caricaturale, due stereotipi: un uomo pio, molto pio e a posto, ordinato e un tizio subdolo che è bravo a sottrare dei soldi, uno che approfitta della situazione e degli altri. Possiamo sapere che sono due caricature, perché un fariseo non era per forza un ipocrita, e un pubblicano poteva anche fare il suo lavoro senza approfittare degli altri.

Luca come un abile scrittore usa queste due immagini di uno che apparentemente sta dalla parte giusto e di uno che apparentemente sta dalla parte ingiusto. Il fariseo giusto sta in piedi, dritto, un uomo del diritto sta dritto, il pubblicano, l’ingiusto non sta dritto, non osa rivolgere gli occhi al cielo. Il giusto sta dritto, chi sente il giogo della colpa sta curvo. E proprio questo, alla fine, non risulta in questi termini (il buono diventa il cattivo e il cattivo il buono, diciamolo in questo modo un po’ tirato). Però siamo abituati a questi cambiamenti di scena nelle parabole di Gesù, proprio per questo colpiscono. Nei versetti immediatamente prima di questo brano si può leggere di un giudice ingiusto che fa alla fine giustizia a una donna che insiste nel chiedere giustizia, e nel capitolo prima è proprio un Samaritano che ritorna per ringraziare per la sua guarigione. L’immagine, l’impressione che si ha di questi personaggi all’inizio si rivela essere sbagliata. Bisogna quindi aggiustare la prima impressione.

Il tempio dovrebbe essere un luogo di una preghiera sincera, ma anche questo risulta essere diverso nel racconto. L’istituto non è una garanzia per purità e integrità per quanto riguarda la religione, la fede. Anche oggi, se uno entra in una chiesa, non per forza è una persona sincera ed integra, anche se si presume che sia così. Il fariseo non risulta essere un modello per un credente, mentre il pubblicano non risulta essere un modello esemplare di un peccatore incallito.

Il fariseo pregava per sé stesso, un esempio di un individualista quindi e comincia a ringraziare Dio. Ma il suo ringraziamento ha come misura sé stesso, non ha bisogno della misericordia del Signore, è felice che non è come gli altri, come tutti gli altri che non sono farisei. Il pubblicano, che si trova in fondo del tempio, per lui è come un ladro, un ingiusto, un adultero, oggi magari direbbe come uno corrotto, come un mafioso. Fra tutti questi il fariseo non fa delle differenze, sono tutti uguali per lui, è lui contro tutti gli altri, è un noi contro un loro. Un ragionamento pericoloso, lo sappiamo. Un ‘buoni’ contro i ‘cattivi’, bianco e nero. Spesso sono immagini fatte di stereotipi. Il fariseo si vanta, il digiuno è per lui un’abitudine. Digiuna molto di più di quanto è prescritto dalla Torà. Come si dice, più papista del papa, o in casa nostra più calvinista di Calvino. E a proposito di calvinisti mi permetto di raccontarvi una barzelletta, che riguarda anche uno che pensava di essere più buono, più giusto degli altri, ma riguarda anche l’immagine che abbiamo di noi e di Dio.

Nei Paesi Bassi ci sono molte chiese riformate che hanno una visione abbastanza letterale delle scritture, e quindi c’è tutta una fascia che attraversa i Paesi Bassi dove la domenica non si può fare assolutamente niente. Uno di loro si presenta davanti al Signore, ecco nelle barzellette cattoliche si arriva davanti a Pietro, noi andiamo direttamente dal Signore. E come il fariseo comincia a raccontare tutto ciò che ha fatto di buono e poi dice: la domenica non sono mai andato in bicicletta. Ah, che bello dice il Signore, chi te l’ha detto? Ecco un po’ di autocritica non fa mai male.

Come il nostro calvinista, anche il fariseo fa più di quanto previsto, forse per mostrare quanto è bravo, per distinguersi dagli altri.

Digiuna due volte a settimana, più di quanto prescrive la Torà , un rito forte che è diventato un’abitudine, il gesto come abitudine esprime più un ‘mettersi le mani davanti’, non un atto consapevole.

Nel racconto il pubblicano è consapevole del suo stato, sa di non essere perfetto. Una nozione che gli arriva attraverso la preghiera, almeno questo il testo ci fa supporre. In effetti la preghiera ci mette davanti noi stessi. Nella preghiera ci avviciniamo a colui, colei davanti a chi non ci possiamo nascondere, perché ci conosce e ci vede così come siamo, con i nostri lati luminosi e oscuri, e così ci vediamo come siamo e ci fa riflettere sulla nostra vita. Nella preghiera stiamo per così dire davanti uno specchio in cui ci vediamo come realmente siamo, senza doverci nascondere e farci più belli di quanto siamo, e così ci è rimessa un’immagine di noi stessi e ci rendiamo conto che non siamo perfetti.

Uno stato che ci mostra talvolta che siamo ingiusti e davanti a cui ci vogliamo nascondere, come si nasconde il pubblicano, come si nasconde anche quel altro pubblicano Zaccheo, il pubblicano questa volta non si nasconde in mezzo alle foglie di un albero, ma facendosi piccolo stringendosi fra le sue spalle, e comincia la sua preghiera con il pentimento, non prende se stesso come misura, ma una condizione fuori di lui, il paragone non è con se stesso, ma con una realtà di cui sa che richiede qualcosa da lui a cui non ha corrisposto, e fa un appello alla grazia di Dio, sa di avere bisogno della misericordia del Signore, è qui la differenza con il fariseo. E riceverà questa misericordia, grazia, in vs 14 il giusto è riferito al pubblicano, mentre all’inizio era riferito al fariseo. Chi pensava di essere giusto non lo è, chi pensava di non esserlo lo diventa, come altrove anche qui Gesù capovolge la situazione e facendo questo ci interroga, mette in discussione le immagini che abbiamo noi di noi stessi e di Dio. Certo ci fa piacere che Dio non si ferma alla prima impressione e può cambiare giudizio. Ma non so a quanti di noi piace un Dio che cambia idea, di solito l’immagine che abbiamo di Dio è un’immagine di uno che non cambia idea, che pensa sempre la stessa cosa, che per molti è un’espressione di integrità.

Ma come già detto l’evangelo, soprattutto nelle parabole, rovescia di continuo le situazioni, e le immagini ad esse connesse. Dopo questa parabola la prospettiva si allarga e ci mostra i bambini che non sono affette da certe immagini e pregiudizi, del pensiero noi-loro, di cui gli adulti soffrono di continuo. Chi a una prima impressione ha meno possibilità, come i bambini, come il Samaritano, come la vedova e il pubblicano delle parabole di Gesù, ci precedono nel Regno di Dio. Che il Regno di Dio è anche per loro, non ci fa problema, che ci precedono forse sì, siamo anche noi affetti, più di quanto vogliamo ammettere del pensiero di noi-loro.

Per fortuna, la prima impressione che Dio ha di noi non è decisiva. Non ci appiccica subito un’etichetta che ci condanna, ma dà al minore la possibilità di diventare il maggiore, dà la possibilità ai minimi di prendere interamente parte al suo Regno, e questo è una grande consolazione per noi, che abbiamo in noi più di quanto vogliamo ammettere del fariseo e del pubblicano, ma soprattutto più dell’individualismo del fariseo. I racconti biblici gettano sempre un’altra luce sulla nostra storia di vita. E così siamo liberati della nostra stile di vita individuale, siamo liberati per vivere in relazione con le altre persone. Da persone individuali diventiamo persone nuove, persone del patto, persone che si confrontano con Dio e che si lasciano interrogare da Dio. Davvero liberante che presso Dio la prima impressione non è decisiva. Una vita nuova, per tutte e tutti noi. Amen.

pred. Greetje van der Veer

 

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I lati oscuri di Dio

RÖMER Thomas,
Claudiana, Torino, 2008,
pp. 112, Euro 10,00

 

Quante volte, leggendo la Bibbia, restiamo sconcertati di fronte a certe azioni di Dio che ci sembrano troppo “umane”? Dio dimostra ira, gelosia, desiderio di vendetta,  crudeltà. Già gli antichi provavano imbarazzo di fronte a queste situazioni, al punto che Marcione, un eretico del II secolo, rifiutava il Dio veterotestamentario, primitivo e negativo, contrapponendogli il Dio neotestamentario, quintessenza dell’amore e del perdono. Questo bel libretto di Römer si interroga sugli aspetti sconcertanti di Dio, che spiega come sopravvivenza di antiche tradizioni confluite nella Bibbia ebraica. Tra i “lati oscuri” da lui analizzati figurano quelli legati al Dio patriarcale: Jhwh è descritto come un essere maschile per l’influenza di due concetti: il re, che doveva garantire benessere e protezione al suo popolo, e lo sposo, metafora del rapporto tra Jhwh e Israele. Alcuni testi biblici, però, mostrano che accanto a Jhwh erano venerate delle divinità femminili. L’attributo di Padre rappresenta un riconoscimento di autorità e di dipendenza in un periodo in cui, scomparsa la monarchia, l’unica struttura funzionante era la famiglia. Ma diversi testi biblici insistono sugli aspetti femminili di Dio, quali la tenerezza e la misericordia, e utilizzano spesso una terminologia femminile, come le espressioni relative al parto e all’allattamento, per sottolineare che Dio soffre per il suo popolo come una donna in travaglio. Altri “lati oscuri” riguardano la crudeltà di Dio, con riferimento ai sacrifici umani, che Dio chiede o tollera, e al tentativo di uccidere i suoi protetti. Nel primo caso Römer analizza il sacrificio di Isacco e le sue varie interpretazioni, per concludere che esso ha un intento didattico e polemico, in quanto prefigura un Dio divenuto incomprensibile e contesta un Dio costruito ad immagine dell’essere umano ideale. Nell’episodio della figlia di Jefte, invece, è descritto un Dio che mette gli uomini davanti alla loro propria crudeltà. Quanto ai tentati omicidi, Römer analizza la lotta di Giacobbe con l’angelo, che interpreta come mito eziologico per spiegare il nuovo nome del popolo di Israele alla ricerca di una nuova identità, e il tentativo di uccidere Mosè, che ha lo scopo di contestare il rigorismo esclusivista imposto da Neemia ed Esdra nel postesilio, con la proibizione dei matrimoni misti, sottolineando l’azione della moglie straniera di Mosè. Römer si dilunga anche sull’immagine del Dio tiranno, ispirata al modello del re assiro, cui si dovevano amore, timore e obbedienza esclusivi, e su quella del Dio guerriero, influenzata anch’essa dall’ideologia assira, in cui Dio appare come un comandante militare a capo di un popolo bellicoso, che conquista il paese con le armi, ideologia utile al momento della conquista della Terra Promessa. Le diverse immagini di Dio sono sempre legate al contesto storico: ad esempio il linguaggio aggressivo con cui Dio stesso esorta alla purificazione etnica, votando allo sterminio i popoli conquistati, è comprensibile in un’epoca di crisi, in cui era in gioco per Israele la perdita dell’identità come popolo, come quella successiva al ritorno in patria dopo l’esilio babilonese. Tuttavia, la Bibbia ha trasmesso anche molti racconti che si oppongono a questa tendenza, come quelli dei Patriarchi, che riflettono un mondo pacifico e un rapporto positivo con gli altri popoli. Ancora, Römer affronta l’immagine del Dio violento, con la storia di Caino ed Abele, che insegna ad accettare le disuguaglianze e a non reagire con la violenza. L’immagine del Dio vendicativo si trova invece soprattutto nei Salmi collettivi, che, in un contesto di oppressione, commemorano la disperazione di un intero popolo, che rimpiange la patria ed auspica la vendetta: qui la violenza del linguaggio è solo un grido di disperazione, non un programma politico di annientamento dei nemici. Dopo aver affrontato anche il tema della presenza della sofferenza e del male nel mondo secondo l’Antico Testamento, Römer cita due esempi dell’incomprensibilità di Dio, quando egli agisce diversamente da quello che l’uomo si aspetta: l’apparizione ad Elia, in cui, invece che in una manifestazione di potenza, Dio appare in un sussurro, e il libro di Giona, in cui, contestando la logica della retribuzione, si pone l’accento sulla misericordia divina. La conclusione del testo di Römer è che i “lati oscuri di Dio” non si ritrovano solo nell’Antico Testamento, ma anche nel Nuovo: essi vanno contestualizzati per essere compresi e, comunque, non esauriscono la complessità della figura di Dio, ma mettono in guardia contro concezioni troppo umane di Dio, perché il Dio biblico non può essere ridotto al rango di un “buon Dio”.

L’armatura di Dio, l’Amore

16 ottobre 2016

2Timoteo 3,14-17 – 4,1-5;

Tu, invece, persevera nelle cose che hai imparate e di cui hai acquistato la certezza, sapendo da chi le hai imparate, e che fin da bambino hai avuto conoscenza delle sacre Scritture, le quali possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù.  Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, 17 perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.
1 Ti scongiuro, davanti a Dio e a Cristo Gesù che deve giudicare i vivi e i morti, per la sua apparizione e il suo regno: 2 predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza. 3 Infatti verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie, 4 e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole. 5 Ma tu sii vigilante in ogni cosa, sopporta le sofferenze, svolgi il compito di evangelista, adempi fedelmente il tuo servizio.

Efesini 6,10-17

L’armatura del cristiano
1P 5:8-9; (Ro 13:12; 1Te 5:8) Cl 4:2-4
10 Del resto, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza.

11 Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie(INGANNI) del diavolo(tentazioni, prove);

12 il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti.

13 Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio, e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere (responsabilità, l’essere del cristiano)  .

14 State dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; 15 mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; 16 prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infocati del maligno. 17 Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio;

 

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

oggi è una domenica molto importante per noi.

Oggi dopo pranzo abbiamo un momento in cui dobbiamo riflettere su come migliorare il servizio che rendiamo alla chiesa di Dio.

Il 25 di settembre i membri del consiglio di chiesa  si sono incontrati per discutere un lungo ordine del giorno appunto in vista dell’assemblea di chiesa.

Gli argomenti discussi erano molti e noi ve li presenteremo oggi.

Come assemblea di credenti siamo chiamati a discuterne e decidere il percorso che vogliamo intraprendere con un nuovo slancio.

I capi gruppi ci proporranno  piccoli cambiamenti e noi insieme ci impegneremo a portare avanti tutte le nostre attività di chiesa con l’atteggiamento del  soldato che il testo di predicazione di oggi ci propone.

Ci viene quindi in mente subito la figura di un soldato romano del  primo secolo che si rivestiva in  modo da essere protetto dal nemico che lo vuole colpire.

Cara comunità, i brani che abbiamo letto e ascoltato tratti dalle lettere dell’apostolo Paolo sono fondamentali per  essere cristiani.

L’apostolo  ricorda a noi così come alla comunità degli Efesini , di rivestirci sempre della completa armatura di Dio per non trovarsi impreparati nella vita in questo mondo.

L’armatura di Dio è un insieme di cose necessarie per proteggere un credente da ogni assalto del maligno.

In questi passi  l’apostolo ci ricorda che un cristiano è come un soldato, un guerriero  che dopo un lungo tempo preparatorio deve essere pronto a combattere.

Prima di affrontare la lotta nel  mondo esterno era necessario che avesse la preparazione corretta,  per vincere le sue battaglie in tutti i momenti della sua vita.

Quindi la sua immagine e  forza interiore devono coincidere con quella esteriore.

Allora per il cristiano per essere pronto alla lotta contro i principati, e i dominatori è fondamentale la  preparazione.

La lotta prima di essere combattuta fuori accade dentro  se stesso.

Egli deve affrontare due mondi. Perché?

Perché prima bisogna lottare nel mondo che è dentro di  se, in cui si mescolano inevitabilmente pensieri buoni e cattivi perché gli spiriti buoni e cattivi entrano nel cuore dell’uomo e diventano  parte del suo essere.

Dal cuore, lì cominciano  ad operare il potere del Dio buono e di quello malvagio.

Due mondi e due Dei che si mettono in concorrenza per vincere il cuore dell’uomo; e il frutto di  tale lotta  sarà un essere buono o uno cattivo.

Noi diciamo che l’uomo non nasce imparato,   Perciò dalla nascita impara ad essere uomo e mano mano che cresce, sono nelle mani dell’uomo la scelta di come deve vivere in questo terra.

Questo concetto è molto difficile  da capire ma si può imparare affrontando ogni giorno la realtà di questi  due mondi,  quello interno e quello esterno.

Infatti, l’apostolo Paolo ha scritto le sue lettere  alle comunità dei credenti perché essi imparassero come comportarsi in questi mondi che formano un insieme e non sono separati  e ogni momento in cui  l’ uomo deve decidere come agire deve confrontarsi con essi .

In questi due mondi il potere malvagio tende a dominare, soprattutto nei luoghi celesti cioè nei posti in cui si siedono, si incontrano i credenti per discutere i loro progetti, piani, obiettivi per fare il bene sia dentro che fuori della loro realtà quindi nella società.

Tutto ciò parte  dalla predicazione del pastore o della pastora.

Il dio potente malvagio entra nei pensieri dei credenti con  la sua potenza e non possiamo negare che ciò accada.

E’  sufficiente che si manifesti ad uno di loro per fare la sua volontà di distruggere o demolire ciò che piano piano , questo credente è riuscito a costruire per una buona causa.

Bisogna combattere i principati, i potenti, i dominatori,  soprattutto nei luoghi in cui si incontrano i credenti.

Ecco perché dobbiamo prepararci  oggi in particolare nella nostra assemblea di chiesa in cui siamo chiamati tutti a non far mancare la parola di Dio come  nostra armatura, che ci dà gli strumenti per difenderci dal male.

Chiediamo lo Spirito di saggezza e di discernimento a Dio che ci accompagni nel nostro lavoro di testimonianza di ciò che lui ha fatto per salvare questo mondo.

Purtroppo, il dio malvagio cammina e percorre la sua strada come il dio buono.

Dove si infila il dio malvagio?

Parte dal nostro pensiero dove cerca di inserirsi per ostacolare ogni programma  buono che vogliamo attuare per il bene della comunità.

Lui è capace di piantare la sua radice a partire dai nostri progetti, dai nostri obbiettivi più alti per fare un percorso che viaggia parallelamente con quello del Dio della verità e della giustizia.

Non è facile dunque  combattere perché lo spirito malvagio è pronto a fare quello che è perennemente il suo scopo ossia di sottomettere il cristiano.

Per questo motivo che  il credente deve  cercare la forza nella fede in Gesù Cristo che ha dato la sua vita perché il credente viva, perché resti saldo, perché  resista e perché non cada.

L’apostolo Paolo ha sperimentato nel suo vissuto di  credente e ministro della parola tutto quello che ha scritto alle comunità affinché siano ammonite ed esortate a non perdere la  speranza.

E egli dice: <<Noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché questa grande potenza sia attribuita a Dio e non a noi. Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all’estremo; perplessi ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; atterrati, ma non uccisi; portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo; infatti noi che viviamo siamo sempre esposti alla morte per amore di Gesù, affinché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale>> 2 Corinzi 4,7-12.

L’apostolo Paolo quindi ci ammonisce e ci esorta oggi a non dimenticare mai l’armatura di Dio che dobbiamo indossare sempre per essere pronti a combattere lo Spirito maligno.

L’apostolo dice:<<prendete la verità per cintura dei vostri fianchi>>

Ci cingiamo della verità di Dio. La verità che Dio è unico; Lui  ha creato tutto e tutti. Egli dona tutto a tutte le sue creature, dona a tutti senza favoritismi. Chiunque può essere interpellato per testimoniare la volontà di Dio.

Dunque,  la verità è l’aderenza assoluta all’evangelo; e  come cintura, permette piena libertà di movimenti nell’azione contro la menzogna.

L’apostolo dice: <<rivestitevi della corazza della giustizia>>

Ci rivestiamo della corazza della giustizia di Dio come  scudo, facciamo apparire davanti a noi il giusto giudizio di Dio che abbiamo imparato. Pratichiamo sempre di più l’uguaglianza, e siamo pronti a difendere la causa di molte persone che spesso subiscono discriminazioni. Difendiamo i diritti di molti e non solo  i nostri interessi.

Dunque, la giustizia indica, nei rapporti umani, un comportamento conforme alla volontà di Dio, che come corazza, rende inattaccabile il credente.

L’apostolo dice: << mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace>> Portiamo ovunque la buona notizia che è parola di riconciliazione e  non di divisione. Cerchiamo di comprendere meglio le nostre varie realtà essendo  figli dell’unico Dio e così superiamo le barriere che si manifestano giorno per giorno.

In Italia sono molte le razze, tradizioni, lingue e culture che si incrociano. Bisogna formare le persone affinché  ognuno/a di noi arrivi ad avere consapevolezza che Dio  ha voluto creare gli esseri umani di cultura diversa affinché nascano  nuove cose.

Dunque, l’annuncio della pace nell’Evangelo e della riconciliazione in Cristo, deve essere portato ai lontani e ai vicini.

Il credente è chiamato a farsi carico della difesa della pace e della riconciliazione là dov’è c’è lotta e ci sono  tensioni e divisioni.

Gesù disse: <<sono beati  quelli che  si adoperano per la pace>>. Mt.5,9

L’apostolo dice: << prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infocati del maligno>>

Portiamo come difesa la nostra fiducia in Dio  contro il dubbio e la paura che in questo mondo vengono annunciati ogni giorno perché è difficile vedere un futuro positivo. Dio, però,  continua a costruire con noi un futuro, così come è stato per i nostri antenati e sarà per le generazioni future. Ogni giorno diventa un pezzettino di futuro quando c’è un cambiamento che è frutto della fiducia che abbiamo in lui e nella sua bontà infinità.

Dunque, la fede è confessione di Cristo come Signore, ma è anche atto di fiducia e come tale è paragonato allo scudo, strumento di protezione che dà sicurezza, ma è allo  stesso tempo una forza per spegnere e, annullare l’offensiva del maligno.

La fede in Dio ti protegge quando tu sei tentato di dubitare.

L’apostolo dice: <<Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio>>

La salvezza è l’opera che Dio compie per noi per mezzo di Cristo. E’ il dono della sua grazia, l’integrazione nel suo corpo. Essa è offerta come elmo, segno di distinzione, nonché di protezione.

La parola di Dio è definita parola della verità, evangelo della salvezza.

Essa è l’unica arma offensiva.

Il credente riceve dallo Spirito la possibilità e la capacità di usare la parola di Dio.

Noi siamo stati  saldi fino adesso perché Dio ci ha fornito tutto l’equipaggiamento necessario  per combattere.

Non dimentichiamo queste cose che ci servono per la nostra vita oggi .

Vegliamo! Rivestiamoci e guardiamoci bene perché  se dimentichiamo di indossare tutto quello che ci occorre per essere un soldato di Dio, il diavolo  coglie subito la nostra impreparazione.

Siamo la sua preda e lui gioisce davanti a Dio  quando riesce a vincere in ogni situazione, o circostanza in cui siamo di fronte ad una scelta.

La nostra libertà donata da Dio è compromessa dal momento che si mette in gioco la sua opera ingannatrice.

Aiutiamoci a ridestare la nostra fede in Dio per  conquistare il vero senso del nostro vivere ovunque siamo.

Siamo fortificati in Cristo Gesù e nella forza della sua potenza.

La forza di Dio che si irradia in noi rivela che lui vince il male con il bene che ha sparso nei nostri cuori.

Dietrich Bonhoeffer dice: <<Io credo che in ogni situazione critica Dio vuole darci tanta capacità di resistenza quanto ci è necessaria.

Ma non ce la dà in anticipo, affinché non facciamo affidamento su noi stessi, ma su lui soltanto. In questa fede dovrebbe essere vinta ogni paura del futuro>>. Così sia.

 

past. Joylin Galapno

Nessuno è straniero

9 ottobre 2016

Luca 17,11-19

Nella notte tra il 2 e il 3 ottobre nel 2013 vicino le coste lampedusane affondò una cosiddetta ‘carretta del mare’ su cui erano stipati tantissimi uomini, donne e bambini. Ne morirono 366!

Questa strage colpì al cuore l’Italia e l’Europa tutta così fu istituita la giornata nazionale delle vittime dell’immigrazione mentre il presidente della Commissione Europea, Juncker, si recò a Lampedusa per dire “Mai più morti nel Mediterraneo”. Ma da allora a oggi sono morte altre undicimila persone, 3.500 solo nel 2016.

Nel ricordare queste tragiche morti nel Mediterraneo il 3 e 4 ottobre sono stati trasmessi film e documentari sul tema. Il grande scrittore Camilleri in un docu-film ha detto qualcosa che mi ha fatto riflettere: “oggi la parola straniero ha perso ogni valenza positiva, non indica più un portatore di novità ma di insicurezza e di terrore”.

Anche in questo brano si parla di uno straniero, uno straniero che vive ai margini della società israelita del tempo perché lebbroso, come lebbrosi sono gli altri nove che sono ebrei e che trovano in Gesù la guarigione. Ma quest’uomo poiché non solo è lebbroso, ma pure straniero, è emarginato tra gli emarginati.

Anche il luogo dove avviene questa guarigione è zona di passaggio, di transito per stranieri, tra la Samaria e la Gallilea.

È terra e momento di passaggio anche per Gesù perché il brano nel vangelo di Luca è collocato nella fase finale del suo ministero terreno: egli sta salendo verso Gerusalemme, così recita il testo in greco.

Egli sta lentamente avviandosi con i suoi discepoli verso il culmine del suo cammino fisico e simbolico: salire verso Gerusalemme significa per lui accingersi all’ultimo atto terribile della sua vita, salire verso la croce.

Eccoci fratelli e sorelle, è in questo contesto e dopo aver annunciato ai suoi già per due volte la sua Passione che Gesù incontra i dieci lebbrosi.

Essere lebbroso all’epoca di Gesù significava l’esclusione totale da ogni rapporto civile, sociale, umano a parte ovviamente chi si trovava nella stessa condizione tanto che si formavano delle vere e proprie comunità di derelitti in cui le differenze sociali ed etniche erano annullate, livellate dalla terribile malattia che li costringeva a vivere di elemosina!

Credo che un qualcosa di simile accada ancora oggi quando per vari motivi ci si trova a vivere per strada, senza una casa, senza una famiglia e una società che ti sostenga, senza dignità, sei un barbone, un senzatetto, sei solo questo italiano o straniero che tu sia!

Tornando al testo quanto detto spiega come sia possibile che nove lebbrosi ebrei vivano con un samaritano che per loro era molto più di un semplice straniero.

I samaritani erano per gli ebrei una razza deprecabile perché considerati eretici, mentre dal canto loro i samaritani si consideravano i veri possessori della Torah.

Tra i due popoli vi erano stati anche atti di guerriglia, incursioni nei territori e saccheggi di luoghi sacri…

Come somiglia questa situazione a quanto avveniva tra cattolici e protestanti durante la guerra dei Trent’anni nel seicento oppure in Irlanda durante il 19simo secolo!

Come somiglia a quanto accade tra ebrei e palestinesi ancora oggi!

Eppure dinanzi la malattia come dinanzi Gesù questi odi, queste differenze e separazioni perdono di significato, rimane solo il bisogno comune di guarigione, di salvezza da una vita segnata dall’esclusione e dalla perdita di dignità.

Ed ecco che questi 10 uomini, nel rispetto dei dettami della Torah (Lev. 13,4ss), chiedono da lontano a Gesù: “Maestro, abbi pietà di noi!”

Sorelle e fratelli è lo stesso grido di dolore, la stessa preghiera che si eleva dalle nostre bocche quando chiediamo a Dio di essere perdonati per il nostro peccato.

E non è un caso!

Infatti, nel mondo antico la malattia era vista come espressione fisica del peccato, quindi guarigione dalla malattia era pure espressione di salvezza, dell’essere nuovamente benedetti da Dio.

Ebbene Gesù in questa sua azione di guarigione agisce diversamente dal solito: normalmente all’attestazione di fede segue la guarigione, qui invece l’avviarsi con fiducia verso un sacerdote per farsi attestare la guarigione avvenuta è essa stessa espressione di fede!

Se le cose stanno così perché allora Gesù è rammaricato dal fatto che i nove ebrei non tornano indietro a ringraziarlo? Perché al solo samaritano che torna indietro glorificando Dio e gettandosi ai piedi di Gesù è detto “Alzati e va; la tua fede ti ha salvato”?

Si potrebbe forse dire che è più facile per Gesù guarire gli esseri umani dalla malattia che guarirli dall’ingratitudine!

Ma ciò che davvero lo rammarica è che questi nove siano ebrei, coloro ai quali lui aveva pensato di dover volgere il suo messaggio di salvezza.

Certamente nel racconto, com’è strutturato dal vangelo di Luca, vi è la volontà di rendere conto dell’inserimento dei non ebrei, dei pagani nel piano di salvezza di Dio.

Sicuramente vi è una polemica con il popolo ebraico che non ha accolto Gesù come il Messia atteso, ma credo che nel racconto di guarigione vi sia anche qualcos’altro che parla direttamente a noi, alla nostra attualità di vita e di fede.

I dieci lebbrosi hanno mostrato di attenersi alla Torah nel tenersi a debita distanza dai sani e quindi anche da Gesù. Ma Egli a sua volta risponde loro attenendosi alla Legge e mandandoli dal sacerdote per farsi attestare la purificazione avvenuta, solo strumento possibile per essere reintegrati nella società, per poter tornare alle loro famiglie.

Allora è facile capire la fretta che costoro hanno nell’andare dal sacerdote per essere puri non solo dinanzi a Dio, ma soprattutto dinanzi agli esseri umani.

Ed ecco il punto dirimente: tra i dieci uomini che si trovano nella stessa condizione, ve n’è uno che sceglie una priorità differente da quella degli altri nove.

Lui andrà dal sacerdote, ma successivamente: prima di recarsi dai sacerdoti, prima del reintegro religioso e sociale vi è qualcuno da ringraziare pubblicamente per la salvezza avvenuta.

Quest’uomo ha scelto e compreso che è necessario prima di ogni istituzione umana, seppur religiosa, glorificare Dio per la guarigione, glorificare Dio per avergli ridato vita, una vita dignitosa!

E Gesù è strumento di questa salvezza, ancora di più Egli è l’incarnazione del Regno di Dio e va accolto e glorificato qui ed ora.

Ma cosa vuol dire questo per noi sorelle e fratelli?

Nel Sinodo metodista e valdese di quest’anno uno dei temi che ci ha maggiormente coinvolti è se le nostre comunità sono ancora in grado di dire qualcosa ai suoi stessi membri e alla società. Come si è espresso il pastore Paolo Ribet nel sermone del culto di apertura, è la preoccupazione che la nostra chiesa sia vittima dell’astenia, in torpore, e che i suoi membri siano tiepidi.

Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh fossi tu pur freddo o fervente! Così perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca!

Così si rivolgeva l’Amen, il principio della creazione di Dio all’angelo della chiesa di Laodicea in Apocalisse…chissà se si rivolgerebbe allo stesso modo alla nostra chiesa?

Questa è per noi questione fondamentale: stiamo facendo noi la scelta fatta dal lebbroso samaritano? Noi glorifichiamo Dio per quanto fa nella nostra vita?

Abbiamo fatto noi quel mezzo giro fisico e simbolico che segna la conversione a Dio e che ha portato l’uomo a volgersi a Dio per mettere lui, il Dio della vita e della salvezza, al primo posto nelle sue priorità?

Abbiamo fatto e facciamo noi dell’annuncio pubblico della salvezza in lui trovata l’elemento imprescindibile della nostra fede che orienta e sostanzia ogni nostra azione concreta nel quotidiano?

Care sorelle e cari fratelli siamo all’inizio di un nuovo anno ecclesiastico, stiamo riprendendo le nostre attività, allora cerchiamo di farci ispirare dalla scelta del lebbroso samaritano nel nostro cammino nella certezza che il nostro Dio misericordioso ci riprende e corregge per riportarci alla vera vita.

“Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me.” (Ap. 3,19-20)

Amen

Past. Mirella Manocchio