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Un occasione di culto ricordando la conversione di John Wesley.

 

Domenica 3 giugno la chiesa metodista di Roma ha celebrato il culto, nella giornata della memoria di John Wesley, insieme alla chiesa valdese di via IV novembre.
Insieme perché? Prima di tutto perché le comunità di Roma si trovano ormai a collaborare insieme su alcuni progetti concreti, ultimo in ordine di tempo la cura pastorale di un gruppo di sorelle e fratelli cinesi, e diventa, quindi, essenziale e prioritario pregare insieme e stare insieme, perché come dice il salmista, questo è bello e soave. Perché insieme ci riconosciamo fratelli e sorelle, e ci sentiamo comunità di credenti, insieme in cammino.
L’occasione è nata dalla recente traduzione, fatta dal pastore Emanuele Fiume, di alcune liturgie di John Wesley, e quale migliore occasione di un culto nei giorni precedenti la memoria della conversione del fondatore del Metodismo, in quel 24 maggio 1738 ad Aldersgate, dove ascoltando l’introduzione di Lutero all’epistola ai Romani fece profonda e gioiosa esperienza della giustificazione in Cristo.
Profonda, ma impegnativa, la liturgia proposta, tenuta dal pastore Fiume insieme alla pastora Galapon. Una liturgia della seconda metà del 700, con usi, valori e segni che possono oggi sembrarci lontani e senza apparenti significati profondi per la nostra fede di donne e uomini del XXI secolo.
Sicuramente non è stato semplice entrare nello spirito di un culto così differente e difficile, e lasciar parlare dentro di noi, e far diventare preghiera, le parole pronunciate nello svolgere della liturgia. È stato un po’ tornare alle origini: un segno sicuramente, un legame forte con chi con quelle stesse parole ha fondato e testimoniato lo spirito del metodismo. Un richiamo continuo e insistente a quei mezzi di grazia (means of grace) quali preghiera, meditazione e Santa Cena con i quali Dio entra e trasforma profondamente le nostre vite.
Vorrei sottolineare due aspetti che hanno sortito una curiosità spirituale profonda, e una riflessione che continua fin oltre la benedizione finale. La prima: la doppia recita del Padre Nostro, all’inizio e alla fine della liturgia, a segnare come il comune Padre ci convoca e ci riunisce, ci rende sorelle e fratelli, figli di un unico Padre comune. Ma nello stesso tempo, alla fine, un Padre che ci invita e ci invia a testimoniare nelle vie della nostra città la ricchezza e la gioia di una salvezza per tutti e donata a tutti.
Il secondo aspetto, la lettura dei dieci comandamenti a cui l’assemblea risponde con un responsorio cantato, come confessione di peccato e impegno a migliorarci nella nostra quotidianità di vita. Un legame forte che percorre l’intera storia della salvezza dal patto di Dio con Israele, al nuovo patto in Cristo.
Il sermone, tenuto dalla pastora Galapon, sul brano di Luca del ricco stolto, ci ha ricordato la stoltezza dell’uomo, l’insensatezza di un uomo che affida la vita solo ai suoi beni e da questi solo trae gioia e crede, stoltamente, di trovare la salvezza. E invece….. Beni materiali così importanti in un periodo di crisi, che si tratti di risparmi o di relazioni affettive, non sono la salvezza. Il punto fondamentale è: possediamo questi per noi o per condividerli? La ricchezza non condivisa, è il nocciolo. Un bene come una relazione non condivisa non aperta all’altro, non è evangelico, non porta alla salvezza.
La liturgia di Wesley e il testo di Luca ci hanno, in un unico itinerario, posto la domanda su quali sono le vere priorità dell’uomo e della donna, ieri come oggi e come viverle in una prospettiva evangelica nella condivisione profonda. L’occasione di confronto e dialogo non si è esaurita nel culto, ma è continuata in un momento di agape fraterna tra i membri delle due comunità nello scambio reciproco e nella condivisione del pranzo

La conferenza del III distretto su razzismo

Atto 11. La Conferenza del III Distretto delle chiese metodiste e valdesi, riunite a Casa Cares (Reggello) il 15-17 giugno 2018

– Dichiara la propria sofferenza e preoccupazione per il clima di chiusura, razzismo e discriminazione che cresce nel nostro paese e per la costruzione della paura nei confronti dell’”altro/a” (siano essi migranti, stranieri, detenuti, appartenenti alla comunità LGBT, Rom, Sinti e Camminanti e chiunque venga stigmatizzato sulla base del colore della pelle, dell’orientamento sessuale, del ceto sociale, della salute psicofisica);
– Esprime la propria solidarietà verso tutti e tutte coloro che ne sono vittime, in particolare nei confronti dei migranti e delle vittime di tratta, che vengano criminalizzati e rifiutati dal Governo Italiano;
– Denuncia la chiusura dei porti e i respingimenti in mare come contrari al diritto umanitarioe allo spirito di accoglienza che proviene dall’Evangelo;
– Sostiene il lavoro di quanti e quante operano in favore di un’accoglienza solidale, dignitosa e inclusiva anche all’interno delle nostre chiese e della nostra diaconia;
– Invita le chiese del Distretto ad aprire i propri spazi e le proprie strutture, in collaborazione con la Diaconia Valdese, costruendo progetti di accoglienza secondo la vocazione ad essere comunità profetiche;
– Invita le chiese a vigilare sulla difesa dei diritti umani, in particolare delle fasce più fragili della società

Deut. 16:19-20: Non farai violenza al diritto […] La giustizia e solo la giustizia seguirai […].

Protetto: Prossimi gruppi del BreakfastTime

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Modellandoci nell’immagine di Cristo

Ogni vita è soggetta ad essere modellata dalle forze dentro e fuori. I bambini sono plasmati dai loro genitori in tanti modi: come parlano, quanto sono leali nel gioco, che modi hanno. I genitori riversano affetto ai loro figli – ma quando sarà necessario, castigano i loro piccoli per correggerli.
Il salmo che abbiamo letto all’inizio descrive un Dio che ci ha plasmati nel grembo di nostra madre. Un Dio che ci conosce, che sa quando ci sdraiamo e quando ci alziamo. Un Dio che ci ama come un genitore ama un bambino. Un Dio che continua a lavorare con l’argilla dell’umanità tutte le nostre fratture per continuare a cercare di plasmarci e formarci nella sua visione, quando all’inizio del tempo l’uomo e la donna vivevano liberamente e in armonia con il resto del mondo creato e in perfetta comunione con Dio.
Dio è presente come il vasellaio al tornio da vasaio, ma non è in completo controllo degli ingredienti tanto quanto un vasellaio umano ha il completo controllo di ogni aspetto dell’argilla. Noi umani tendiamo ad allontanarci – come individui, come nazione, come chiesa – diventiamo duri e difficili da lavorare. Facciamo ciò che vogliamo perché possiamo – neghiamo la nostra interdipendenza e la nostra reciproca responsabilità di plasmare un mondo nell’amore piuttosto che nella paura, come è successo questa settimana nelle diverse posizioni riguardanti la difficile situazione degli immigranti, a bordo di una nave, che cercano rifugio.
Non è facile cercare le vie di Dio nella nostra vita. Non è facile essere consapevoli o persino capire cosa significhi lasciare che le mani di Dio modellano la vita dei nostri giorni, tuttavia la nostra stessa sopravvivenza come specie dipende dalla nostra volontà di provare. Dio ci ha messi liberi di cercare le vie di Dio o no. Dio ci ha liberati per perfezionare il nostro cammino verso la luce o l’oscurità, verso la pace o per perfezionare la costruzione di armi.
Un tema chiave nelle letture di oggi non è che Dio plasma le creature passive. Piuttosto, è la risposta dell’umanità all’attività di Dio e alla chiamata divina attraverso l’uso della libertà. Suggerire l’uno o l’altro – che solo Dio ci modella o modelliamo noi stessi lontani da Dio – non riesce a captare la relazione tra la grazia di Dio e la libertà umana. Di fatto, Dio ci modella attraverso il dono della libertà che ci ha affidato. Tuttavia tutte le nostre scelte riflettono necessariamente il disegno del vasaio divino per noi? No, non lo sono. Questo è il motivo per cui il vasaio rompe l’argilla che è stata deformata. Ci deformiamo attraverso scelte peccaminose o scelte per cose che compromettono la nostra relazione con Dio in Gesù Cristo.
Le letture di oggi indirizzano la libertà umana cristiana verso il proprio fine, cioè verso l’unione con Dio attraverso il discepolato in Cristo. È utile, tuttavia, riconoscere che facciamo delle scelte che ostacolano il nostro esser veri seguaci di Gesù. Nella parabola del figlio prodigo, il giovane figlio abusò della sua libertà scegliendo di scappare da suo padre, portando con sé tutta la sua eredità nonostante suo padre sia ancora vivo. Nella lettera di Paolo a Timoteo, ha confessato il suo passato poco lusinghiero in questo modo: “… Ero un tempo un bestemmiatore e un persecutore e un uomo violento …” (1 Ti 1:13). La prima volta che la Bibbia menziona Paolo, che fu chiamato Saul e viene descritto come un giovane che fa la guardia ai vestiti di coloro che lapidavano Stefano a morte. (At 7:58) Paolo passò rapidamente dal sostenere la persecuzione dei cristiani a guidarla mentre andava di casa in casa per trascinare i cristiani in prigione. In tutta sincerità, Paolo non era diverso dai militanti di oggi che hanno scelto di usare la loro libertà per seminare il terrore nel senso che, come loro, anche lui pensava che stesse combattendo una guerra santa e stava facendo la volontà di Dio.
Nel nostro testo epistolare, l’apostolo Giovanni assume il ruolo del vasellaio nel plasmare i cristiani del suo tempo in comunione con Dio e con altri credenti. Per essere sicuri, c’erano persone che diffondevano idee false sul Vangelo, usando frasi familiari come “conoscere Dio”, “camminare nella luce” e “nato da Dio”, ma con significati distorti. Quindi, questa tendenza ad alterare i significati delle parole era già in circolazione da molto tempo, non solo nel nostro mondo postmoderno. Giovanni ha dovuto emettere un severo avvertimento, sapendo che una confusa e sottile distorsione della verità è più difficile da resistere da una vera e propria negazione. Nell’evidenziare le verità dietro la parola, inizia ripetutamente con la frase “Se diciamo …,” (I Gv 1, 6; 8; 10) dunque ci chiama ad essere onesti con le nostre mancanze e poi procedere a mostrarci quali azioni devono essere fatte se pretendiamo di vivere nella vera luce e conoscere Dio. Ora possiamo chiederci: cosa o chi permettiamo di modellare il nostro spirito e formare i nostri cuori? Quali forze influenzano o addirittura dirigono il nostro pensiero, i nostri valori o le nostre scelte?
Nel suo libro “Hamlet’s Blackberry” (2010), l’autore William Powers considera l’effetto che la tecnologia digitale sta esercitando su di noi. Il mondo digitale di oggi ci trasforma in persone “connesse”. E chi potrebbe essere contro la connessione? Quando venni in Italia, da solo, 25 anni fa, avrei desiderato connettermi a Sofia e ai nostri 3 figlie, quindi le scrivevo – inviando nastri vocali – e lei mi scriveva – mandandomi anche i nastri vocali – ma a volte, ci è voluto più di un mese perché arrivasse la sua lettera. Ora, questa tecnologia ci offre una connessione istantanea faccia a faccia. Eppure, mentre ci permette di connetterci con il tocco delle nostre dita agli eventi in tutto il mondo, di collegarci con l’analisi più attuale di argomenti di interesse, e di contattare persone in tutto il mondo, c’è anche uno svantaggio di tutte queste connessioni. L’autore sottolinea una perdita di concentrazione nelle nostre vite poiché controlliamo continuamente i nostri schermi, le nostre e-mail, i nostri messaggi vocali, i nostri vari collegamenti, i video aggiornati e tutte le altre forme di richieste costanti che richiamano la nostra attenzione. Egli scrive: “Stiamo perdendo qualcosa di grande valore, un modo di pensare e di muoversi nel tempo che può essere riassunto in una sola parola: profondità. Profondità di pensiero e sentimento, profondità nelle nostre relazioni, nel nostro lavoro e in tutto ciò che facciamo “. Mentre c’è una lotta per mantenere l’equilibrio tra il sé sociale esterno e il sé interiore privato, siamo sempre più guidati dalle voci che ci circondano, ignorando la voce interiore. Alla fine, potremmo chiedere: aumentano la nostra libertà o la diminuiscono, con il loro beep incessante che segnala il più recente flusso di messaggi in qualsiasi momento, anche mentre mangiamo, o prendiamo un sonno tanto necessario?
La domanda per i credenti è se lasciamo che la voce di Dio incida in qualsiasi modo profondo. La chiamata di Gesù al discepolato ci invita a impegnarci in una relazione con lui che plasmerà le nostre vite non solo la domenica, ma attraverso tutti i giorni che ci attendono. Egli ci invita a una connessione permanente attraverso il lavoro dello Spirito Santo che effettuerà una trasformazione al livello più profondo del nostro essere. Ma la nostra brama di connessione con tutto il mondo può cedere al piano intenzionale di Dio per penetrare e plasmarci nell’esempio dell’amore e del sacrificio di Gesù?

Come cristiani troviamo guida e ispirazione in Gesù, nostro Salvatore e Signore. È la nostra luce perchè le sue parole continuano a bussare alla porta dei nostri cuori, in attesa di una risposta: “Felici quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,28). “… chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente completo. Da questo conosciamo che siamo in lui: chi dice di rimanere in lui, deve camminare com’egli camminò.” (I Gv 2,5-6) Che siamo plasmati dalle parole di Gesù e che l’azione dello Spirito per essere un popolo di misericordia, giustizia e riconciliazione è davvero nella nostra scelta.

Quindi stamattina, cara sorella e caro fratello, lascia che ti inviti ad immaginare te stesso come un vasaio, tenendo l’argilla nelle tue mani. Chiedi allo Spirito di ungere le tue mani; lascia che il tuo cuore consideri la scelta di permettere le vie di Dio modellare le nostre vite personali, la nostra vita come chiesa, la vita della nostra nazione; e vedi quale forma potrebbe emergere mentre condivido con te la preghiera di San Francesco: Preghiamo…
Signore, fammi uno strumento della Tua pace. Dove c’è odio, lasciami seminare amore; dove c’è ferita, perdono; dove c’è dubbio, fede; dove c’è disperazione, speranza; dove c’è oscurità, luce; dove c’è tristezza, gioia.
O, Maestro divino, concedi che io non possa tanto cercare di essere consolato quanto consolare; essere capito come capire; essere amato come amare; perché è nel dare ciò noi riceviamo; è perdonando che siamo perdonati;
è nel morire che siamo nati di nuovo alla vita eterna. Amen.

pred. Samuel Gabuyo

Riconoscere che la nostra vita è nelle sue mani

Salmo 138

Care sorelle cari fratelli,

sovente i testi biblici che leggiamo al culto della domenica ci interpellano su gravi questioni di attualità, richiamandoci alle nostre responsabilità di credenti, di cittadini, di uomini e donne. Oggi, invece, siamo chiamati dal Salmo 138 a rivolgere la nostra attenzione a Dio e a lodarlo, per le sue opere nei nostri confronti. A dire il vero, anche su questo amiamo fare riflessioni che problematizzano il tema: la preghiera che rimane senza risposta; la teodicea, cioè le ragioni per cui Dio permette l’esistenza del Male, e così via. C’è un tempo, però, per ogni cosa: oggi abbiamo battezzato il piccolo Samuel e vogliamo “solo” accogliere in tutta semplicità l’invito del salmista a unirci a lui in un canto di lode che viene dal cuore.

Andiamo allora al Salmo. L’impressione è che chi scrive l’abbia vista brutta. Non sappiamo bene da qual genere di liberazione nasca il canto attribuito al re Davide: forse una guerra, vinta per un soffio? Forse una congiura di palazzo, sventata? Forse soltanto un conflitto più ordinario, come tanti ne incontriamo nella nostra vita? Le ragioni potrebbero essere mille. Il punto è che il salmista ci dice che Dio è venuto incontro alla sua fragilità di essere umano e lo ha salvato. E qui lui si rivolge al Signore. Non si vanta pensando di essere stato bravo a cavarsi dai guai, neppure attribuisce al caso la sua salvezza, ma ringrazia Dio. Pensando alla nostra vita, quante volte ci sale dal cuore un senso di gratitudine? Anche solo perché la vita è bella! Oggi abbiamo accolto un bimbo, lo abbiamo battezzato per annunciare la grazia di Dio, e noi  vogliamo dire grazie a Dio, al nostro creatore, vogliamo cantare il suo nome, perché ci ha salvati per puro amore. È quel calore di cui parlava Wesley, quello che nasce dentro il tuo cuore quando cogli la portata dell’amore di Dio nell’evangelo. Un calore che anima la preghiera e l’azione del credente, un calore che ci porta prima di tutto alla gratitudine.

Una gratitudine che nasce spontanea di fronte a questo battesimo, perché esso è un dono di Dio, un segno prima di tutto della fiducia di Dio nei nostri confronti: Lui, con la sua grazia, pone la sua fiducia in noi, quando ancora non siamo in grado di fare nulla, se non mangiare e far passare le notti in bianco ai nostri genitori. Battezzare un bambino invece che un adulto significa sottolineare attraverso il segno dell’acqua che la nostra vita nasce in Lui e in Lui trova il suo senso. Per questo il battesimo è una testimonianza di fiducia in Dio. E questa fiducia voi genitori siete chiamati a testimoniargli nel corso della sua infanzia, fino al giorno in cui, speriamo, anche Samuel confessi la sua fede e la sua gratitudine.

È dunque importante benedire il Signore. Oltre al battesimo di oggi, quante altre ragioni abbiamo di ringraziarlo? Il dono, magari insperato, ma tanto desiderato, di un bambino. Il dono della vita che si rinnova, il dono dell’amore di una madre, di un padre, di una bella famiglia che ci circonda fin dalla nascita. Il dono di un compagno o una compagna di vita. Il dono dell’amicizia… Di quanti doni è colma la nostra vita: abbiamo mai ringraziato per questi? Forse li diamo per scontati, ma il ringraziamento ci porta a nominare tutte queste cose e quindi a riconoscerle e ad apprezzarle. E noi, che crediamo in Dio, vogliamo ringraziarlo per questo. E lo preghiamo anche quando questi doni sembrano venire meno nei momenti difficili. Anche il Salmo ammette che la vita ci può portare per strade tortuose: Se procedo in mezzo all’afflizione mi mantieni in vita, contro l’ira dei miei nemici stendi la tua mano, mi salva la tua destra. E poi lo possiamo pure pregare per le persone che non godono di tutti questi doni… Ma sempre a lui facciamo riferimento, perché in lui, al di là di tutte le nostre legittime domande, paure, dubbi, troviamo una risposta di vita. Per tutte queste ragioni, la vita del credente dovrebbe essere un inno di lode a Dio, un riconoscimento per tutto quel che ci ha dato.

Se tutto quel che ho appena detto indica un movimento da noi verso Dio, in risposta al movimento che Dio ha fatto verso di noi, questo non può rimanere un dialogo  chiuso tra me e il Creatore. È interessante, infatti, un’annotazione del salmista: davanti a chi celebra il nome di Dio? Davanti agli dei, un termine che possiamo tradurre in due modi. Prima di tutto con “angeli”, quelli che compongono la corte di Dio. È quindi davanti a questa corte divina che faccio il mio ringraziamento. C’è, però, anche un’altra possibile traduzione, cioè davanti agli dei, intesi come le divinità, le false immagini di Dio che gli esseri umani si creano ogni giorno e in ogni tempo: davanti alle illusioni che essi si fanno, il salmista dice che solo in Dio ha trovato la sua forza e la sua salvezza. Celebrare Dio significa rinunciare ai nostri idoli e proclamare al mondo la nostra fede nell’unico Signore.

Questo non può che sfociare in una testimonianza pubblica in favore di Dio: quando la mia lode diviene manifesta, gli altri vedono che un’altra persona ancora ha riconosciuto che la sua vita è nelle Sue mani. Questa è la migliore evangelizzazione! Noi metodisti e valdesi abbiamo una bella storia da presentare ai nostri interlocutori, abbiamo pure un’eccellente teologia, certo. Ma la gente vuol sapere da noi prima di tutto su che cosa si fonda la nostra vita: su Dio? Sul denaro? Sul successo ad ogni costo? Su qualche altro idolo? Vedere qualcuno che loda Dio pubblicamente è il più forte invito ad accogliere quella parola d’amore che la Scrittura ci rivela. E poi questi esempi edificano la chiesa stessa, la rafforzano in vista della sua missione in questo mondo.

Care sorelle e cari fratelli, il Signore ci ha fatto delle importanti promesse di vita. Il salmista ci chiama ad affidarci ad essere perché sono veritiere. Le Scritture sono nel loro insieme una testimonianza di questa Sua fedeltà, anche di fronte alla tragica infedeltà del suo popolo. Dio rende grande il suo nome tenendo fede alle sue promesse. Le parole di Dio non cadono nel vuoto: a noi di fidarci e ricondurre a lui le nostre vie. Lodiamo il Signore di cuore, fratelli, e la vita sarà più leggera, intensa, piena di significato.

Amen

past. Eric Noffke

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Giornata della memoria di John Wesley

Domenica 3 giugno la nostra comunità ha tenuto un culto insieme alla comunità valdese di via IV novembre di Roma per la giornata della memoria di John Wesley. La liturgia è stata curata da pastore Emanuele fiume, che ha tradotto un culto del 1700 composto proprio da J. Wesley, mentre il sermone è stato preparato dalla pastora J. Galapon.

Qui di seguito trovate la liturgia e il sermone.

Liturgia per l’amministrazione della Cena del Signore
Rev. John Wesley
Bristol, 10 settembre 1784

Traduzione di Emanuele Fiume

Saluto e introduzione

Inno: “Rejoice, the Lord is King/Gioite nel Signor” (Charles Wesley – G. F. Händel)

La tavola al tempo della Comunione, coperta di un panno fine di lino, sarà preparata dove sono convocati i culti del mattino e della sera. E l’Anziano, presenziando alla Tavola, dirà la Preghiera del Signore, con la seguente preghiera di colletta, mentre il popolo sta in ginocchio.

Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà in terra come in cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e perdona le nostre trasgressioni come noi perdoniamo coloro che ne hanno commesse nei nostri confronti, e non condurci nella tentazione, ma liberaci dal male. Amen.

La preghiera

Dio Onnipotente,
al quale ogni cuore è aperto, ogni volontà è conosciuta, al quale nessun segreto è nascosto, purifica i pensieri dei nostri cuori mediante l’ispirazione del tuo santo Spirito, affinché possiamo amarti perfettamente e magnificare degnamente il tuo santo nome, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

L’Anziano, rivolto verso il popolo, dovrà ripetere distintamente tutti i DIECI COMANDAMENTI: e il popolo, ancora in ginocchio, dopo ogni Comandamento, chiederà a Dio pietà per le sue trasgressioni commesse nel passato e grazia per l’avvenire, come segue:

Il Ministro legge un comandamento per volta. Ad ogni comandamento, il popolo risponde:

Segue questa preghiera

Preghiamo!

Dio onnipotente ed eterno,
noi siamo stati istruiti dalla tua santa parola sul fatto che i cuori dei principi della terra sono al tuo comando e sotto il tuo governo, e che tu ne disponi e li trasformi come pare meglio alla tua divina sapienza; noi ti imploriamo umilmente di disporre dei cuori dei governanti di questo paese e di governare su essi, che ci governano, affinché in tutti i loro pensieri, parole e opere possano cercare il tuo onore e la tua gloria, e si impegnino a preservare il tuo popolo sottoposto alla loro autorità in salute, pace e bontà. Fa’ questo, Padre di ogni grazia, per amore del tuo caro Figlio Gesù Cristo, Signore nostro. Amen.

Poi segue la preghiera del giorno:

 O Dio,
baluardo di tutti quelli che confidano in te, accogli con misericordia le nostre preghiere e poiché, a causa della debolezza della nostra natura mortale noi non possiamo fare nulla di buono da soli, dacci il soccorso della tua grazia, così che osservando i tuoi comandamenti possiamo piacerti, con la volontà e con le opere, per Gesù Cristo, Signore nostro.

Subito dopo la preghiera, l’Anziano leggerà l’Epistola, dicendo: L’Epistola (o la parte della Scrittura indicata come Epistola) è scritta nella I Lettera a Timoteo, capitolo 6 a cominciare dal versetto 17  al 19 Quando finisce la lettura, dirà, Qui finisce l’Epistola. Poi leggerà il Vangelo (il popolo sta in piedi), dicendo, Il santo Vangelo è scritto nel Vangelo di Luca, capitolo 12 a cominciare dal versetto 13 al 21

Poi segue il sermone

Luca 12,13-21

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,
questa parabola che abbiamo ascoltato ci ricorda ciò che Dio ha consegnato a noi credenti come responsabilità da custodire nei cuori e nella nostra mente. Il nostro vivere nella fede in lui determina fiducia, obbedienza e servizio.

Fiducia perché? obbedienza perché? servizio perché?

Fiduciaperché il nostro vivere oggi come dei credenti in Dio è un affidarsi. Affidare a Dio tutto quello che abbiamo, tutto quello che possediamo e tutto quello che siamo. Essere noi riconoscenti  che dalla sua mano abbiamo avuto e apriamo anche noi le nostre mani rimettendo quello che ci è stato dato, consegnandolo  nelle sue mani per aiutarci  nella suddivisione e moltiplicazione dei beni per tutti.

Obbedienzaperché il nostro vivere è un cammino  per seguire le sue  leggi, per mezzo di cui, si compiono la sua volontà di  guidarci verso  la meta, il traguardo in cui la nostra anima raggiungerà la pace e la giustizia in relazione con gli altri.

Servizio perché siamo tutti chiamati e tutte chiamate a investire di ciò che abbiamo depositato nei nostri granai vivendo in questa terra. Vediamo che il frutto della terrà è generoso perché il Padre è un grande donatore che ci fa raccogliere  tutti e tutte i beni materiali che nella condivisione con gli altri diventano i beni spiritualiche rendono gioia a chiunque li dà e li riceve. Dalla terra riceviamo, guadagniamo, e doniamo, così i beni materiali che  abbiamo noi credenti in Dio non sono doni da depositare ma da investire.

I primi cristiani hanno fatto, ad esempio, la colletta che segna solidarietà e condivisione, è  per un motivo preciso di coprire i bisogni. Essi hanno messo insieme in un granaio comune il loro denaro per poi dividere, spartire  e per sostenere le loro opere di bene. Come sta il granaio della nostra chiesa? La nostra chiesa  ha vissuto un altro anno  di vita e quindi  è  un altro anno  aggiunto come abbiamo visto nella relazione morale durante la fine dell’anno con l’assemblea di chiesa. Sia  ringraziato il Signore Dio, padrone , proprietario di questo granaio, perché forse ha trovato le ragioni per farlo esistere ancora.

A questo proposito il nostro incontro oggi è una delle motivazioni per cui esiste.

Il Dio proprietario (di questo granaio)si è resoconto del lavoro dei suoi operai a partire da noi, pastori. Un anno di lavoro di collaborazione in cui ha potuto raccogliere le sue pecore disperse dalla Cina. Essi sono stati dispersi, perseguitati dai loro capi. Essi sono qui, perché  non sono stati riconosciuti per quello in cui credono, che è il Dio di ogni popolo e di tutte le nazioni.  Ma Dio è grande ed è intervenuto, non ha permesso loro di smettere di credere perché hanno trovato un’altra nazione che li ha accolti, l’Italia. Dio del cielo e della terra, Dio di tutte le nazioni esiste per loro per mezzo di noi.

Osservo un’altra ragione per cui esiste e vive ancora il granaio della nostra chiesa metodista e valdese in Italia. Perché  da parecchi anni  lavora per gli immigrati (filippini e africani) per dare una testimonianza di un Dio che dona e libera per far vivere la propria fede vivendo in questo paese. Questo fatto direi che è veramente il lavoro più arduo che potesse mai capitare nella storia della chiesa in questo paese. Una chiesa vocata per farsi carico di liberare un popolo  dallo stato di sottomissione alla supremazia di un insegnamento missionario di molti uomini potenti, forti, e bianchi. Abbiamo visto nella nostra epoca  che  ci sono sorti dei leaders che appartengono a questi popoli che ci aiutano ora a indicare  la strada per portare avanti un insegnamento di vita verso la ricerca del senso del loro vivere  e non essere dei dittatori.

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

il testo della predicazione è stato scelto da me e dal pastore Fiume e  durante il nostro incontro per preparare questo culto ci siamo  confrontati  sulle nostre esperienze di   ministri della Parola di Dio, cioè  su come esercitiamo la nostra vocazione al servizio della Parola e della chiesa di Dio. Ci siamo  ricordati dei nostri padri che hanno predicato l’evangelo, particolarmente su questo brano  durante i funerali in cui  è più efficace l’ascolto e l’annuncio del vangelo. Perciò, con questo testo che abbiamo voluto condividere con voi,  abbiamo pensato che fosse adatto per rinnovare fondamentalmente insieme  la nostra consapevolezza sullaricchezza, ciò che ci rende veramente ricchi nel Signore in questo mondo. John Wesley uscì dalla chiesa per portare  l’evangelo agli uomini e alle donne che erano in condizione di sfruttamento e di povertà.  Chissà che cosa avrebbero detto se avesse predicato su questo testo per la prima volta.

Questa  parabola che Gesù ha raccontato alla folla allora,  in molti di coloro che l’hanno ascoltata avrà  suscitato  forse una riflessione  sulla vita di un uomo ricco  per cogliere l’insegnamento  di come deve o dovrebbe essere. L’uomo qui in questo racconto è definito ricco, perché  possiede tutto, la terra e anche dei gran  lavoratori , è penso che sia lui soprattutto  il primo grande lavoratore,  perché con la sua fatica ha potuto accumulare molti beni. Con la sua arte di risparmiare e di investire negli anni ha avuto dei granai pieni, poi ne ha avuti ancora di più grandi  facendo dei sacrifici come un buon risparmiatore.  Così  una volta riempito  il suo granaio,  ha pensato giustamente di demolirlo per costruirne un altro. E’ un esperto che ha saputo e acquisito sempre di più l’arte del buon risparmiatore, è diventato un esperto ma questo non basta per essere felice. Qualcuno gli ha domandato la sua vita che è altrettanto un bene prezioso.

Che cosa è la vita perché è un bene prezioso quando è vissuta bene?Che cosa vuol dire veramente il vivere bene?  La nostra parabola ce lo rivela, anzi il maestro di vita ce lo insegna ancora,  un’altra volta.Dall’insegnamento del maestro di vita che crediamo il nostro Maestro, noi che siamo credenti in Dio, come osserviamo che anche se tra noi ci sono i ricchi e i poveri, e quindi  non siamo mai tutti uguali  in termini di avere e di denaro potremo essere felici entrambi.  Questo è il messaggio di felicità(che ci rende felici) e che traiamo da questa parabola.

Perciò Gesù non ha accontentato colui che gli chiedeva di assumere un  ruolo di giudice o arbitro tra due fratelli come ci racconta Luca in questo vangelo perché la ricchezza dell’uomo non dipende mai da quello che possiede ma da quello che lo rende soddisfatto, lo rende contento. E’ questo è il nostro tesoro, il messaggio che ci accompagna , ci insegna per stare bene con noi stessi e gli altri.

Perciò  la nostra parabola ha  aggiunto una parola per definire e distinguere un vero uomo ricco dal ricco stolto. Il maestro Gesù ha raccontato questa parabola perché  un uomo che lo seguiva gli aveva chiesto di intervenire nella sua vita per dividere con suo fratello i beni materiali secondo uguaglianza e giustizia. Qui ci sono due fratelli,  un fratello che vorrebbe avere una  metà forse  dei beni che ha l’altro ma non basta, c’è di più che potremo ricavare nella profondità di questa parabola. L’uguaglianza non è solo nei nostri averi, ma anche nel sentirci veramente contenti di quello che abbiamo.  Gesù gli ha risposto, è sottinteso, che non può farlo perché nessuno gli ha dato l’autorità di essere  un giudice o un arbitro ma anche perché non è solo in questo modo che possiamo avere il sentimento di uguaglianza. Così con il racconto della parabola lo ha ammonito riguardo all’atteggiamento che deve mantenere, nel suo vivere in confrontocon la realtà della vita,  in rapportocon se stesso con il denaro, il possesso, e tutto quello che può essere riferito alla ricchezza che uno può  acquisire in questo mondo.

Gesù in questa parabola, oggi, ci invita  a proseguire nella nostra immaginazione e guardare in noi stessi  e poi  fare un ritratto di noi stessi. Ognuno e ognuna di noi potrà dipingere una fotografia di se stesso e di se stessa perché negli anni di vissuto sulla terra possiamo quantificare quanto siamo ricchi di beni materiali e di beni spirituali. Ognuno e ognuna di noi possiede un granaio in cui ha potuto immagazzinare tutto quello che ha guadagnato ed essere felice nel presente che determinerebbe anche il nostro futuro.

Questa parabola che il Maestro  Gesù ci ha insegnato come credenti in Dio donatore, padrone di tutti i beni che possiamo avere in questo mondo, ci  istruisce su cosa dobbiamo fare veramente per vivere bene, in pace e in giustizia.  Gli insegnamenti di Gesù fatti di parabole sono stati e sono tuttora degli insegnamenti per farci capire che cosa vuol dire il vivere. Essi suscitano inquietudine anziché pace oggi perché il Signore deve ancora lavorare molto su di noi per farci capire bene l’insegnamento suo su come il giusto modo di vivere in questo mondo.

Dalle parabole l’uomo impara a capire il valore, il senso della sua vita giorno per giorno secondo le scelte richieste dalla circostanza. Da esse l’uomo impara a conoscere e riconoscere  se stesso.

Questa parabola dell’uomo ricco che ha guadagnato il frutto della sua fatica è particolare. Secondo me egli  ha avuto un giusto comportamento , «anima divertiti..» perché dopo aver investito nella sua terra tutto il dovuto, denaro e fatica ecco ha ricevuto un guadagno che lo ha ricompensato. E’ un investimento  azzeccato,  come frutto ha avuto un raccolto generoso. Così dovremo stare attenti a distinguere e a non confondere i significati delle parole vita, anima, guadagno, opera personale, dono,  benedizione della vita, perché l’uomo avveduto e l’uomo stolto si distinguono per come considerano queste cose.

Nelle chiese di Dio si trovano uomini e donne di entrambi i tipi ed è per  questo motivo che abbiamo ancora il dovere di  ricordare e scrutare questo racconto.

Poiché abbiamo constatato che  la nostra vita è veramente un dono, e non è di nostra proprietà  non dimentichiamolo. La nostra riconoscenza, impregna la nostra esistenza e persona, questo dimostra che siamo vivi e la nostra vita di chiesa ha ancora valore. L’apostolo  Paolo scrisse a Timoteo una bella lettera di raccomandazione  che ha accompagnato la buona novella di Gesù tramite l’evangelista Luca. «Ai ricchi nel tempo presente raccomanda di non essere superbi e di non riporre speranza nell’incerta ricchezza, ma in dio che ci procura ogni cosa riccamente perché ne godiamo, raccomanda  di fare il bene, di arricchirsi in azioni belle,, di essere generosi, solidali, così metteranno in serbo per se stessi un bel capitale per il futuro, per afferrare la vita vera». (1 Tim. 6,17-19 )   Amen. (past. J. Galapon)

Inno: “I know that my Redeemer liveth/Io so che il mio buon Redentor”
(Charles Wesley – G. F. Händel)

Poi l’Anziano dirà questo passo:
Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. (Matteo 6,19-20)

Mentre si legge questo versetto, alcune persone a ciò deputate, riceveranno le offerte per i poveri e le altre devozioni del popolo e le metteranno nella cassa a ciò destinata; e le porteranno all’Anziano, che le poserà sulla tavola.

Intanto vengono fatti gli annunci.

Fatto questo, l’Anziano dirà,

Preghiamo per l’intera condizione della Chiesa di Cristo militante su questa terra.

Dio Onnipotente ed eterno,
che ci hai insegnato per mezzo del tuo apostolo ad elevare preghiere, suppliche e ringraziamenti per tutti gli esseri umani, noi ti imploriamo umilmente di ricevere con misericordia le nostre preghiere, che offriamo alla tua divina maestà, scongiurandoti di ispirare continuamente la tua chiesa universale con lo spirito di verità, di unità e di concordia. Concedi a tutti coloro che confessano il tuo santo nome di essere concordi nella verità della tua santa parola e di vivere nell’unità e nel tuo amore. Ti preghiamo di salvare e guidare tutte le autorità, in particolare il Capo dello Stato, affinché siamo governati in modo santo e pacifico, nell’amministrazione fedele e imparziale della giustizia.

Concedi a tutti i pastori la tua grazia, affinché con la loro vita e la loro dottrina manifestino la tua vera e viva parola ed amministrino correttamente i tuoi santi sacramenti com’è giusto e doveroso che facciano.

Concedi la tua grazia celeste a tutto il popolo e in particolare alla chiesa qui presente, affinché, con cuore docile e con il timore a te dovuto, ascoltino e ricevano la tua santa parola, servendoti fedelmente in santità e giustizia tutti i giorni della loro vita.

Ti preghiamo molto umilmente di volere, per la tua bontà, consolare e soccorrere tutti coloro che in questa vita mortale si trovano in difficoltà, angoscia, bisogno, malattia o in altre avversità. (…)

Concedici questo, o Padre, per amore di Gesù Cristo, nostro unico mediatore ed avvocato. Amen

 

Poi l’Anziano dirà a coloro che vengono a ricevere la Santa Comunione:

Voi vi pentite veramente e profondamente dei vostri peccati, e siete amorevoli e caritatevoli con i vostri prossimi, e intendete condurre una vita nuova, seguendo i comandamenti di Dio e camminando da ora in poi nelle sue sante vie; avvicinatevi con fede e prendete questo santo Sacramento per la vostra consolazione, e fate la vostra umile confessione a Dio Onnipotente, mettendovi in ginocchio.

Questa confessione generale sia fatta dal Ministro nel nome di tutti quelli che pensano di ricevere la Santa Comunione. Egli e tutto il popolo stiano umilmente in ginocchio, e lui dica:

Dio Onnipotente,
Padre del nostro Signore Gesù Cristo, Creatore del mondo e giudice di tutta l’umanità,noi riconosciamo e condanniamo i nostri molteplici peccati e malvagità che noi abbiamo commesso, gravi e numerosi, contro la tua divina maestà con pensieri, parole e opere, provocando così la tua giustissima ira e il tuo giustissimo sdegno nei nostri confronti. Noi intendiamo seriamente pentirci e siamo rammaricati di tutto cuore per le nostre cattive azioni il cui ricordo è penoso per noi, e il cui peso è troppo grande. Abbi pietà di noi, abbi pietà di noi Padre clementissimo; per amore di Gesù Cristo, tuo Figlio, perdonaci tutto il nostro passato e concedici di poterti servire e di esserti graditi in novità di vita, a onore e gloria del tuo nome, per Gesù Cristo, Signore nostro. Amen.

 

Poi l’Anziano dirà:

Dio Onnipotente, nostro Padre nei cieli, che per la tua grande misericordia hai promesso il perdono dei peccati a tutti quelli che tornano a te con il cuore pentito e con vera fede, abbi misericordia di voi, perdonaci e liberaci da tutti i nostri peccati, confermaci e fortificaci in ogni bontà e conducici alla vita eterna; per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

 

Ci si alza in piedi, l’Anziano dirà:

Ascoltate quali consolanti parole dice il nostro salvatore Gesù Cristo a tutti quelli che veramente si convertono a lui:
Certa è quest’affermazione e degna di essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. (I Timoteo 1,15)

Dopo questo l’Anziano andrà avanti, dicendo:

In alto i vostri cuori!

Il popolo: Noi li eleviamo al Signore.

L’Anziano: Ringraziamo Dio, nostro Signore.

Il popolo: Questo è degno e giusto.

Poi l’Anziano dirà:

È veramente degno, giusto e doveroso che noi, in ogni tempo e in ogni luogo, ti ringraziamo, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.

Perciò con gli angeli e gli arcangeli e con tutta la moltitudine del cielo, lodiamo e magnifichiamo il tuo nome glorioso, adorandoti per sempre e dicendo…

Segue il Sanctus.

Innario Cristiano, n. 192

Poi l’Anziano, in nome di tutti coloro che riceveranno la Comunione, dirà questa preghiera; il popolo starà in ginocchio:

Noi non presumiamo di venire a questa tua tavola, Signore misericordioso, confidando nella nostra giustizia, ma nelle tue molteplici e grandi misericordie. Non siamo degni nemmeno di raccogliere le briciole sotto la tua tavola. Ma tu sei lo stesso Signore, la cui proprietà è l’aver pietà; perciò fa’ in modo, Signore, così come mangiamo la carne del tuo caro Figlio Gesù Cristo e beviamo il suo sangue, che i nostri corpi di peccato possano essere resi netti dal suo corpo e le nostre anime lavate mediante il suo preziosissimo sangue, e che noi possiamo per sempre abitare in lui e lui in noi. Amen.

 

Poi l’Anziano dirà la preghiera di consacrazione, come segue:

Dio Onnipotente, Padre nostro nei cieli,
che con la tua tenera misericordia hai dato il tuo unigenito figlio Gesù Cristo affinché soffrisse la morte sulla croce per la nostra redenzione, lui che (con la sola offerta di se stesso fatta un’unica volta) ha compiuto un pieno, perfetto e sufficiente sacrificio, offerta e soddisfazione per i peccati di tutto il mondo, e ha istituito e nel suo santo Vangelo ci ha ordinato di continuare una perpetua memoria di quella sua preziosa morte, fino alla sua seconda venuta;

ascoltaci, Padre misericordioso, ti preghiamo umilmente, fa’ che ricevendo noi questi elementi terreni del pane e del vino, secondo la santa istituzione del tuo Figlio e nostro salvatore Gesù Cristo, in memoria della sua passione e morte, siamo resi partecipi del benedettissimo corpo e sangue di Gesù che,

nella notte in cui fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Nello stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me».

Il ministro per primo riceverà la comunione sotto le due specie, poi comunicherà altri ministri (se presenti) e infine il popolo, ordinatamente, nelle mani di ciascuno. Distribuendo il pane a ciascuno, dirà:

Il corpo del nostro Signore Gesù Cristo, che è stato dato per te, ti preservi nel corpo e nell’anima fino alla vita eterna. Prendi e mangia in ricordo che Cristo morì per te. Nùtriti di lui nel tuo cuore con fede e con ringraziamento.

Il Ministro che dà il calice a ciascuno, dirà:

Il sangue del Signore Gesù Cristo, che è stato versato per te, ti preservi nel corpo e nell’anima fino alla vita eterna. Bevi questo in ricordo che il sangue di Cristo è stato versato per te, e sii grato.

Se il pane o il vino consacrati termineranno prima che tutti siano stati comunicati, l’Anziano può consacrarne ancora, ripetendo la Preghiera di Consacrazione.

Quando tutti sono stati comunicati, il Ministro ritornerà alla Tavola del Signore, rimettendo lì quello che rimane degli elementi consacrati, coprendoli con un fine panno di lino.

 

Poi l’Anziano dirà la preghiera del Signore. Il popolo ripeterà dopo di lui ogni richiesta.

Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà in terra come in cielo. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e perdona le nostre trasgressioni come noi perdoniamo coloro che ne hanno commesse nei nostri confronti, e non condurci nella tentazione, ma liberaci dal male. Perché a te appartengono il Regno, la potenza e la gloria, nei secoli dei secoli. Amen.

Dopo la quale sarà detta la seguente:

Signore e Padre nei cieli, noi, tuoi umili servi, desideriamo che la tua paterna e misericordiosa bontà accetti questo nostro sacrificio di lode e di ringraziamento; umilissimamente ti imploriamo di far sì che, per i meriti e la morte del tuo Figlio Gesù Cristo, e mediante la fede nel suo sangue, noi e tutta la tua chiesa possiamo ottenere la remissione dei nostri peccati e tutti gli altri benefici della sua passione. Qui offriamo e presentiamo a te, Signore, noi stessi, anime e corpi, per essere un sacrificio che abbia senso e che sia santo e vivente per te; implorandoti umilmente di far sì che tutti noi che abbiamo preso parte a questa santa Comunione possiamo essere colmi della tua grazia e della benedizione del cielo. E sebbene noi siamo indegni, a causa dei nostri molteplici peccati, di offrire a te un sacrificio, pure ti imploriamo di accettare questo nostro limitato e doveroso servizio, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore; dal quale e con il quale, nell’unità dello Spirito Santo, sia a te ogni onore e gloria, Padre Onnipotente, per l’eternità.Amen.

 

Dopo si dirà,

Il Gloria in excelsis Deo.
Innario Cristiano n. 219

Poi l’Anziano, se lo ritiene utile, può elevare una preghiera estemporanea, poi congeda il popolo con questa benedizione:

La pace di Dio, che supera ogni comprensione, custodisca i vostro cuori e le vostre menti nella conoscenza e nell’amore di Dio e di suo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore, e la benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, sia con voi e rimanga con voi per sempre. Amen.

Fonte: Bard Thompson, Liturgies of the Western Church, Fortress Press, Philadelphia 1961, pp. 422-433.