La vigna

Isaia 5,1-7

Immaginiamo la scena. Un giorno di mercato, la piazza affollata. Uno comincia a parlare. Annuncia che canterà … La gente si ferma intorno a lui … anticipa il tema della canzone: il canto di un suo amico per la sua vigna. Ma, come canta la ragazza del Cantico dei cantici, la vigna può rappresentare il corpo di una donna. O come dice il salmo 128,3: “Tua moglie sarà come vigna fruttifera, nell’ intimità della tua casa; i tuoi figli come piante d’ olivo intorno alla tua tavola” dice il Salmo 128 (3).

La gente si avvicina, le canzoni sugli amori – tanto più se infelici o pruriginosi –  attirano sempre …

La prima frase del canto sembra assecondare le attese dell’uditorio: “Il mio amico aveva una vigna …” La parola ebraica per l’amico richiamo anche l’amore, le carezze … La ragazza del Cantico (8) risponde impertinente ai fratelli che la volevano controllare:

Salomone aveva una vigna  … egli affidò la vigna a dei guardiani …  La mia vigna, che è mia, la guardo da me …!

Forse anche oggi sentiremo una storia succosa … Che cosa sarà successo tra l’amico del cantore e la sua vigna? …

Molto bella, e curata, la vigna dell’amico. Ben esposta al sole, terra ubertosa e accuratamente privata di pietre. Recintata, come si usava, per tener lontani animali e malintenzionati. Con il suo pigiatoio, per una festosa e ricca vendemmia. Una torre al centro … vitigni di qualità, il meglio in ogni cosa …

Tanta cura, tante attese … mal risposte, però. Alla fine, l’amico non ne ha ricavato succosi grappoli, ma un marciume. Non un’altra uva, come suggerisce la nostra traduzione, ma quella, solo inutilizzabile e maleodorante.

Gli uditori, che forse si aspettavano una storia pruriginosa, hanno capito: si tratta di un’impresa agricola finita male.

Ora gli uditori vengono apostrofati, quasi fossero la corte di un tribunale: “Giudicate tra me e la mia vigna …” Tutto molto strano: allora la vigna non è dell’amico del cantore, è la sua … La richiesta non è quella di un consiglio: “che cosa posso aver sbagliato? Che cosa può essere successo?” Non si rivolge ad altri viticoltori, ma agli abitanti di Giuda e Gerusalemme. Vuole un  giudizio che richiede una sentenza: io ho fatto di tutto e di più, eppure così è andata … così sono stato trattato, quasi la vigna fosse un soggetto responsabile. Ha già deciso: distruzione della vigna! Via il muro di cinta, il terreno sia pure calpestato e desertificato. Nessuna cura,  né per il terreno (zappare) né per le piante (potare). Come non essere d’accordo?

Le stranezze non sono ancora finite … l’ultima frase dell’arringa lascia sgomenti: “darò ordine alle nuvole che non vi lascino cadere pioggia.” Né l’amico né il cantore possono parlare così, a meno che siano usciti di senno … un’iperbole … il divagare immaginifico di una canzone, che può ignorare ogni limite in cerca di immagini struggenti? Il delirio di qualcuno a cui la delusione ha fatto troppo male? Oppure è Dio che parla? In effetti, a pensarci bene, la vigna non è solo il bene prezioso dell’agricoltore, non è solo un’immagine della donna … nella Bibbia, anche in Isaia, è una metafora per il popolo di Dio.

Così, ad esempio, al capitolo 27 di Isaia, Dio parla così del suo popolo: “La vigna dal vino vermiglio …  Io, il Signore, la custodisco, l’ annaffio ad ogni istante, la custodisco notte e giorno, perché nessuno la danneggi … Il Salmo 80 parla di Israele come di un vite che Dio ha portato dall’Egitto per trapiantarla; ma questa vigna è ora devastata dal cinghiale del bosco e solo Dio può liberarla …

Gli  uditori  cominciano a sospettare che quella che sembrava una canzone potrebbe essere un sermone, e un duro sermone … all’inizio avranno pensato di ascoltare qualcosa di divertente … poi si sono sentiti apostrofati come giudici in tribunale o come “opinionisti” … ora tira un’altra aria … il cantore toglie ogni dubbio: la vigna sono loro, il popolo che Dio ha curato con tanta dedizione e affetto, come sanno Isaia 27 e il Salmo 80 … tanta cura, tante attese … e marciume per risultato.

Qui c’è un’altra sorpresa. Seguendo il filo della metafora ci si aspetterebbe che il criterio del ripudio della vigna sia che non c’è stato buon vino per il padrone. Voleva del barolo, non dell’etanolo … Fuor di metafora, a causare il giudizio di Dio non è ciò che il suo popolo non ha fatto per lui, ma ciò che ha fatto al prossimo. Non carenze nel culto e nella ritualità, ma assenza di diritto e giustizia all’interno del popolo. Non il  gusto del buon vino viene dalla vigna, ma le grida di aiuto delle vittime di soprusi e ingiustizia. Lo aveva già detto il cap. 3,14: “Il Signore entra in giudizio con gli anziani, del suo popolo e con i suoi principi: «Siete voi che avete divorato la vigna; le spoglie del povero si trovano nelle vostre case».” Dio giudica la sua vigna non perché non gli abbia fornito le attese prestazioni nei suoi confronti, ma perché ha disatteso la giustizia nei confronti degli altri. Come se la cosa più importante per Dio fosse non ciò che facciamo per lui, ma ciò che facciamo tra di noi.

Per questo il nostro testo è stato scelto per la domenica di oggi, tempo della passione, intitolata da tempi antichi con la parola latina “reminiscere”, cioè “ricordati o Dio della tua misericordia” e dedicata al rapporto tra uomini e Dio. La vite portata dall’Egitto e piantata in un buon terreno e curata amorevolmente è chiamata a produrre buona uva per fare del buon vino, non per la mensa di Dio, ma per la giustizia e l’equità nel suo popolo. Chi è stato liberato non può vivere la sua libertà in modo tale che altri debbano gridare aiuto a causa delle sue azioni.

Tu che ascolti oggi il duro canto della vigna finita male, ma anche la promessa della cura e della misericordia che Dio ha della sua vigna,  guarda al prossimo intorno a te e ricordati che è per il debito di amore che hai nei suoi confronti che Dio ti chiama in causa. Amen

Prof. Daniele Garrone

,

Tre anni di Breakfast Time

Giovanni 13, 1-17

Care sorelle, cari fratelli, care Francesca, Gladys ,Maria e Tatiana
Gesù prende un asciugamano se lo avvolge intorno alla vita, poi versa l’acqua in un catino ed inizia a lavare i piedi. E’ una immagine molto bella, molto forte.

Mi viene in mente l’immagine che ha girato sui social della giovane infermiera che aveva i segni sul volto per aver tenuto la mascherina tante ore di seguito. Per aver assistito tante persone ammalate di Covid, per aver assistito fino all’ultimo i pazienti magari con una videochiamata ai parenti affinché vedessero per l’ultima volta i loro cari. Mi fa ritornare in mente l’immagine di Salvo il ragazzo della guardia costiera che sorrideva con il bimbo africano in braccio appena tratto in salvo dalle acque del mar Mediterraneo. Due esempi di grande servizio e solidarietà per noi tutti.

La Pasqua è vicina, l’ultima cena si è conclusa ed il suo racconto è noto dalla descrizione che Matteo, Marco e Luca ne fanno, così come anche noi lo conosciamo e lo ricordiamo nelle nostre liturgie. Giovanni ci racconta qualcosa di più. Gesù si alza dalla tavola per lavare i piedi ai suoi discepoli. Il loro maestro vuole lavare i piedi a loro stessi. Il maestro, il re dei re, diventa l’umile (l’ultimo) servitore. Non è un gesto che ci è familiare, nella consuetudine dell’epoca erano le donne o gli schiavi che facevano la lavanda dei piedi nei confronti di chi entrava in casa, come segno di accoglienza e di riverenza. Immaginiamo l’invisibile servitore a cui difficilmente si presta attenzione mentre accoglie l’ospite all’ingresso e lo solleva dal peso del viaggio.

Quando viene il momento di Pietro di ricevere la lavanda, lui rimane interdetto, si rifiuta, potremmo dire con indignazione. Si starà chiedendo, perché il mio Signore si inchina a me?

Non capisce il motivo di questo gesto, di questo umile servizio reso proprio a lui dal suo stesso maestro. Ma Gesù gli dice:

“Se io non ti lavassi, non avresti nulla in comune con me”

Ossia non hai capito il mio messaggio, ovvero non hai parte nella salvezza che da   Dio viene per mezzo di me.

Gesù ancora dice ai suoi discepoli, parla a loro, ma parla pure a noi, che a lui rivolgiamo la nostra fede,

“Chi si è lavato, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto pulito”

Cioè anche se siamo stati lavati completamente, con l’acqua, con la stessa acqua del nostro battesimo, avremo sempre e comunque la necessità che i nostri piedi siano lavati da Gesù. 

Ci manca qualcosa, c’è una parte del nostro essere discepoli che abbiamo bisogno che sia completata, la realtà è che abbiamo bisogno di ricevere il gesto di Gesù, abbiamo bisogno del suo servizio.

Se abbiamo accettato di ricevere il battesimo, di essere rinnovati in Cristo, dobbiamo ugualmente accettare che il Signore si faccia servo. Battesimo e servizio si intrecciano.

Care Francesca, Gladys, Maria e Tatiana, nel battesimo che avete ricevuto confessate la vostra fede in Cristo. Siete arrivate in questa chiesa da percorsi differenti, da quattro differenti storie di fede, ma tutte quante siete accumunate dal battesimo che oggi riconfermate ed in virtù del quale questa Chiesa vi accoglie. Il servizio nasce dalla fede che confessiamo, dal dono di Dio che abbiamo ricevuto, dal dono della grazia.

Infatti Gesù ci esorta a seguire l’esempio che da lui ci viene, a farci a nostra volta servitori.

“Se dunque io, il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato infatti un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”

Non c’è una fede senza servizio. Se tu credi veramente, se hai capito e ami Dio, il servizio è il modo in cui declini la tua fede. E nel servizio non ci sono più gerarchie,

“Uno schiavo non è più grande del suo signore, né un inviato più grande di chi lo ha mandato”.

Pur dovendo esistere gerarchie nei ruoli e nelle funzioni, non c’è una gerarchia di potere, non c’è un maggiore ed un minore nella fede. Gesù chiede di accettare di spezzare la gerarchia, chiede di sottometterci reciprocamente luno allaltro. Ci vuole umiltà nel lavare i piedi e nel farseli lavare.

Spezzare la gerarchia non vuol dire che non debbano esistere più organizzazione, compiti e responsabilità, ad esempio, nella nostra chiesa non significa che non ci siano più ministeri o ruoli definiti, ma semplicemente che questi siano vissuti come servizio verso gli altri e non come posizioni di privilegio.

Tutti siamo chiamati al servizio reciproco.

Il buon cristiano non fa questo solo perché è un dovere, al contrario il servizio reciproco, la solidarietà fraterna non può che essere una nostra intima necessità.

Gesù ci ha dato l’esempio, ci ha lavato con l’acqua del battesimo, ci ha legato a lui, si è reso nostro servitore, in lui abbiamo la salvezza. Quale gioia più grande possiamo avere? Ricevendo un servizio, non possiamo che renderlo, restituirlo con allegrezza e gratitudine. E’ una necessità, è la nostra urgenza. Come quando una bella notizia ci coinvolge e non possiamo trattenerci dal raccontarla a tutti, come possiamo restare inerti di fronte alla salvezza che da Cristo ci viene?

Seguiamo l’esempio di Gesù, facciamoci servitori gli uni degli altri.

Questo tempo ci offre molti modi per esprimere il nostro servizio.

Pensiamo ovviamente alla pandemia, che è entrata nel nostro quotidiano, ed alle difficoltà che ci sta mettendo davanti, alla crisi economica e sociale che ne stanno derivando. Alla povertà che sta aumentando, a tutte le situazioni di bisogno, sia fisico che psicologico. Ai medici e infermieri che si mettono al servizio dei loro pazienti, ma in realtà di noi tutti, più di quanto un contratto di lavoro possa esprimere.

Pensiamo all’aumento in Italia e nella vicina Europa dell’intolleranza verso i migranti e le minoranze, pensiamo a quello che possiamo fare per accogliere fratelli e sorelle in cerca di rifugio, che in fuga abbandonano le loro stesse case e lasciano indietro tutto quello che possiedono.

Pensiamo anche alle nostre comunità, al servizio che possiamo ricevere e dare gli uni agli altri.

Oggi ricorrono i 3 anni di attività del Breakfast Time, l’esperienza che porta la nostra comunità sulle strade della nostra città per offrire un aiuto, piccolo per le dimensioni delle nostre possibilità, grande per chi lo riceve.

Il breakfast time ci dà la possibilità di vivere concretamente la nostra fede. Ogni persona che offre il proprio servizio al Breakfast Time lo fa con il suo dono personale: chi ha tanta cura nel preparare la colazione con i panini assortiti per soddisfare le varie esigenze delle persone che andiamo ad incontrare, chi si cura di preparare il latte ed il caffè e di lavare accuratamente tutte le pentole, di preparare il vestiario da distribuire, chi si occupa dell’organizzazione dei turni, chi ci incoraggia con parole di entusiasmo e chi dà un contributo economico.

Nella comunità, nella Chiesa ognuno trova un luogo per esprimere il proprio servizio.

Care Francesca, Gladys, Maria, Tatiana, oggi entrate a far parte di questa stessa comunità, essa si fonda sulla testimonianza di tutti i suoi membri ed anche della vostra. E reciprocamente questa comunità ha la responsabilità di accogliervi, perché è la Chiesa che avete scelto per esprimere il vostro servizio, in cui avete scelto di vivere e testimoniare la vostra fede. Noi tutti siamo qui oggi per il servizio che ci è stato reso, nel battesimo, nella lavanda dei piedi, nei fratelli e sorelle che ci hanno accolto.

Matteo 20, v26-28.

“Non sarà così tra voi, ma chi tra voi vuole diventare grande sarà vostro servitore e chi tra voi vuole esser primo sarà vostro servo. Perché il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”

Gesù dice ai discepoli, a tutti noi, c’è un modo per fare la volontà di Dio, nella pienezza della nostra umanità, una modalità che tutti possono mettere in pratica, che apparentemente va contro le logiche umane, dove la vittoria non è nel successo, ma nel servizio vissuto con amore e assunto come stile di vita, sull’esempio di Gesù che si è fatto servitore. E’ un capovolgimento di prospettiva, in cui la grandezza dell’uomo si misura su parametri completamente diversi dalla logica corrente: sulla gratuità, il dono di sé, l’ascolto, il servizio, la generosità condivisa con i fratelli, con la premura per coloro che sono in condizioni di difficoltà. Questa è anche una via che porta alla serenità del cuore, il potere dell’amore verso il prossimo, la solidarietà verso i più deboli. Un cuore che ama e che vive il servizio verso gli altri è un cuore libero che sa gioire di ogni  più piccola cosa.

Per concludere mi piace pensare alla reazione di Pietro. Era riluttante ad accettare il servizio di Gesù,

“Non mi laverai mai i piedi!”

ma nel momento stesso in cui ha capito che farsi lavare i piedi da Gesù era l’unico modo per comprendere e seguire realmente il suo Maestro, a lui risponde con entusiasmo,

“Signore, non solo i piedi, ma anche le mani ed il capo”, dice, cioè tutto quanto, completamente.

Preghiamo il Signore affinché anche noi, insieme alle nostre sorelle Francesca, Gladys, Maria e Tatiana, possiamo esprimere nel nostro servizio lo stesso entusiasmo, rendendoci servitori gli uni agli altri.

,

Rifiuti e cambiamento climatico – Obiettivo 12: garantire modelli sostenibili di produzione e consumo

28 febbraio – rifiuti e cambiamento climatico – Obiettivo 12: garantire modelli sostenibili di produzione e consumo

Scheda

La stessa produzione di rifiuti è il sintomo di un modo di produzione non sostenibile, a maggior ragione se essi sono tossici per la vita sulla Terra. Nel 2019, la produzione nazionale dei rifiuti urbani (RU) e assimilati si attesta a quasi 30,1 milioni di tonnellate, con un lieve calo dello 0,3% rispetto al 2018.

La quantità di imballaggi e di rifiuti di imballaggio in Italia si attesta a 13,7 milioni di tonnellate nel 2019 (+0,7% rispetto al 2018). Di queste, il 36,2% deriva da carta e cartone, che si conferma la frazione maggiormente commercializzata, il 23,2% da legno, poi vetro (19,6%), plastica (17%), acciaio (3,5%) e alluminio (0,5%). I rifiuti speciali erano intorno ai 130 milioni di tonnellate nel 2018.

Per i rifiuti urbani il tasso di riciclaggio dichiarato in Italia è compreso tra il 45,2 e il 50,8%, a seconda della metodologia utilizzata; la media europea è del 47%.

Il comparto della gestione dei rifiuti ha un fatturato di oltre 13 miliardi di euro. Le aziende attive sono 637, di cui il 50% specializzato nelle fasi di raccolta e di trasporto; il 25% è invece operativo sia nella raccolta che nella gestione degli impianti di recupero e/o smaltimento; l’ultimo 25%, infine, è specializzato soltanto nella gestione degli impianti.page1image1016533664

Ogni anno in Europa si producono oltre duemila milioni di tonnellate di rifiuti di cui oltre quaranta milioni di tonnellate sono classificati come pericolosi.

Il settore è fortemente infiltrato dalle mafie e quindi i dati ufficiali hanno una attendibilità parziale.

Le nuove norme meno rigorose, l’aumento dei prezzi per smaltire legalmente i rifiuti e le restrizioni dovute al Coronavirus, portano le mafie a inserirsi più facilmente nel settore proponendo alle industrie condizioni e prezzi allettanti che creano poi un mercato illecito, parallelo e occulto. Le mafie per non destare sospetti pagano addirittura le tasse di riciclo o altri costi associati al corretto smaltimento dei rifiuti che in realtà poi sono stoccati in modo illegale.

Possiamo ancora battere queste nuove mafie solo se comprenderemo che occorrerà coinvolgere in questa lotta tutte le istituzioni, nazionali, europee, internazionali e sensibilizzare assiduamente l’opinione pubblica”, ha dichiarato in più occasioni Vincenzo Musacchio, giurista e professore di diritto penale.

Nel maggio 2019 l’UE ha adottato un divieto sui prodotti in plastica monouso, stabilendo in tal modo norme più severe per i tipi di prodotti e di imballaggi che rientrano tra i dieci prodotti inquinanti più spesso rinvenuti sulle spiagge europee.

Nel maggio 2018 l’UE ha deciso nuove norme per la gestione dei rifiuti e ha fissato obiettivi giuridicamente vincolanti per il riciclaggio. Questi obiettivi riguardano i rifiuti urbani, il riciclaggio dei materiali di imballaggio e le discariche.

Infine a inizio gennaio 2021 la società di Stato incaricata della dismissione degli impianti nucleari e della gestione dei rifiuti radioattivi (Sogin) ha pubblicato l’elenco delle aree italiane individuate come quelle che potrebbero ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi italiani. Si tratta, per la precisione, di 67 zone sparse su tutto il territorio nazionale, in sette regioni, che soddisfano i 25 criteri riportati nella Carta delle aree potenzialmente idonee (Cnapi). Il piano, però, non si è ancora attivato per le molte perplessità e rimostranze sollevate dalle regioni. A livello globale, i più grandi “produttori” di rifiuti radioattivi sono le centrali nucleari (la cui costruzione però nel nostro Paese è proibita dal 1987, ma che sono ancora presenti in altri paesi europei). Altre fonti sono poi i macchinari per analisi e terapie mediche e alcune macchine industriali utilizzate principalmente per le analisi produttive di parti metalliche e per altre applicazioni di analisi e ricerca.

Riferimenti biblici
Meditazione: Matteo 6, 25-34

Le parole di Gesù colpiscono il centro di ciò che definiamo la ‘cultura dello scarto’.

Le parole di Gesù dal Vangelo – “Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso.” – non implicano una mancanza di attenzione per il futuro. Dicono, non preoccupatevi per il vostro futuro, ma preoccupatevi per il futuro di coloro che verranno dopo di voi.page2image1017017856

Analogamente la parabola del ricco stolto nel Vangelo di Luca (12,13-21) è un promemoria della follia umana e dell’errore di pensare di non aver bisogno di Dio.page2image1017153968 page2image1017154304

Si parlò per la prima volta di cultura dello scarto durante la pandemia influenzale del 1918 nota come l’Influenza Spagnola, quando gli oggetti usa e getta furono venduti come le opzioni sicure per la protezione dalle malattie. Oggi, di fronte ad un’altra pandemia globale e all’inquinamento dilagante della plastica, l’industria della plastica sta approfittando della crisi, mettendo i profitti al di sopra delle persone e del pianeta. Si stima che ogni anno finiscono nell’oceano tra gli 8 e i 12 milioni di tonnellate di nuovi rifiuti di plastica.

L’enfasi sull’acquisto come forma di status sociale ha portato alla definizione della qualità della vita basata sulle proprietà possedute, sul reddito disponibile, sul tipo di cellulare e di auto, sullo stile di abbigliamento – tutte cose che hanno una data di scadenza o una durata che le renderà obsolete in tempi più o meno lunghi. Il risultato è uno sfruttamento insostenibile delle risorse naturali con poca attenzione all’integrità della creazione e alla dignità delle persone.

La nostra società, guidata da una cultura dello scarto, getta via non solo le cose ma anche le persone come degli ‘avanzi’, indipendentemente se sono i poveri e i vulnerabili a soffrire maggiormente per il cambiamento climatico o le popolazioni indigene che sono state cacciate dalle loro terre o che hanno visto la loro acqua contaminata a causa di un sistema economico che privilegia il profitto sulle persone e sul bene comune.page2image1017277664

Un valore primario nella cultura dello scarto è il mantenimento di uno stile di vita consumistico, ma questo porta a smettere di preoccuparsi di chi viene scartato, e a far sì che la maggior parte di noi non riconosca più la loro intrinseca dignità.

Una persona che “non è ricca nel senso inteso dall’Evangelo” vive per accumulare e godere della ricchezza solo per morire con niente di immutabile o di eterno come prova ai suoi sforzi. La vita secondo Dio – e tutto ciò che Dio afferma essere la vera ricchezza – è eterna. Pensare alla vita solo nei termini di cose fisiche è sia sciocco che fatale poiché la vita non è fatta ed arricchita da abbondanti beni materiali, ma da quanto è spirituale ed eterno. Se mettiamo Dio al primo posto invece che il desiderio di accumulare ricchezze, useremo qualsiasi cosa Egli ci permetta di avere, non importa se sia poco o tanto, per glorificarlo.

Nel Pacifico, nel rispondere alle minacce esistenziali del cambiamento climatico (innalzamento del livello del mare, acidificazione degli oceani, condizioni meteorologiche estreme) e dei suoi impatti, insieme all’estrazione insostenibile delle risorse naturali della terra e del mare per alimentare la “cultura dello scarto” riconosciamo dalla nostra spiritualità indigena, dalla cultura e dalla fede cristiana che la nostra identità, il nostro valore non è basato sul possesso, ma sulla relazione e sul benessere olistico. In una tale comunità:

«La vita è significativa, valorizzata e celebrata. C’è una celebrazione della vita sulla ricchezza materiale. Spiritualità, vita familiare, economia tradizionale, valori culturali, cura reciproca e rispetto … danno priorità alle relazioni, celebrano la qualità della vita e valorizzano gli esseri umani e la creazione rispetto alla produzione delle cose. Questa è una “alternativa al progetto di globalizzazione economica che comporta il dominio attraverso un sistema economico ingiusto.”»(Consiglio Mondiale delle Chiese – WCC, Island of Hope: The Pacific Churches’ Response to Alternatives on Globalisation, Ginevra 2001)

Preghiera

Dio creatore, ti rendiamo grazie per la grande abbondanza e nutrimento che ci fornisci attraverso la tua creazione e attraverso il tuo grande amore. Mentre ci riuniamo per adorarti, rivelaci i modi in cui possiamo onorare Te e il mondo che hai creato. Cura la nostra fame per le cose che non durano.

Insegnaci a prenderne solo il necessario, e a restituire alla terra, affinché tutti vivano della Tua generosità e nessuno viva nel bisogno.
Dio della Creazione, preghiamo per la forza e la saggezza per essere dei buoni amministratori. Perdonaci per i modi in cui contribuiamo alla deturpazione e alla distruzione della tua creazione.

Dio della provvidenza, trasformaci, affinché possiamo porre il benessere della terra e del tuo popolo davanti ai nostri desideri momentanei.
Donaci la divina saggezza ed incoraggiaci a sostituire i regimi di distruzione e di spreco con i sistemi di giustizia e sostenibilità.

Amen

Salmo 24,1: “Al Signore appartiene la terra e tutto quel che è in essa, il mondo e i suoi abitanti

Spunti per la discussione

Come possiamo cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo così da produrre sempre meno rifiuti, e allo stesso tempo trarre delle risorse da essi?
L’importanza nel fare la raccolta differenziata risiede nel preservare la salute collettiva. Differenziare non è solo un atto previsto dalla legge, ma anche un nostro dovere come cittadini ed esseri viventi verso l’ambiente in cui viviamo e verso i nostri figli ai quali abbiamo l’obbligo di lasciare un pianeta sostenibile e vivibile. Questo indirizzo è solo un palliativo perché l’obiettivo è azzerare la produzione dei rifiuti

Donare ciò che non utilizziamo più. Ciò che per noi può rappresenta un rifiuto, un ingombro, qualcosa di cui disfarsi, per qualcun altro potrebbe risultare non solo utile, ma addirittura indispensabile.

Proposte di azioni

Eliminare l’utilizzo di prodotti usa e getta: ad esempio tovaglioli, fazzoletti e salviettine in carta possono essere facilmente sostituiti da quelli tradizionali in stoffa.
Fuori e dentro casa eliminare bottigliette e bottiglie di plastica per i liquidi sostituendole con borracce e thermos, e portare sempre con sé una borsa di stoffa per evitare l’utilizzo di buste e sacchetti di plastica.

Donare a un parente, un amico o, ancora meglio, a un ente benefico vestiti oppure oggetti che non utilizziamo più.

,

Cibo e cambiamento climatico – Obiettivo 15: vita sulla terra

21 febbraio – cibo e cambiamento climatico – Obiettivo 15: vita sulla terra

Schede dal sito metodisti.it

La Scheda per la prima domenica di quaresima Progetto COP26

Il cibo è strettamente legato alle condizioni ambientali; la produzione, lo stoccaggio, la distribuzione, e i mercati sono di conseguenza sensibili alle condizioni meteorologiche estreme e alle fluttuazioni climatiche. La produzione alimentare e la sua qualita sono anch’esse condizionate dalla qualità dei suoli e delle acque, dalla presenza di parassiti e malattie e da altre condizioni biofisiche.

E stato calcolato che l’aumento di 1°C della temperatura media equivale a uno spostamento delle colture di 150 chilometri più a nord, come latitudine, e di 150 metri di altitudine.
Si prevede, inoltre, che l’innalzamento delle temperature e l’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera accelereranno la proliferazione di erbe infestanti e insetti distruttori, e per conseguenza potrebbero comparire nuove malattie.

L’agricoltura e l’attività umana che usa più terreno sul Pianeta.
Se escludiamo Groenlandia e Antartide, attualmente coltiviamo il 38% delle terre emerse, il resto e costituito principalmente da deserti, montagne, tundra, ghiaccio, aree urbane, parchi naturali, e altre aree non adatte alla coltivazione. L’area occupata dalle attività agricole è pari a 60 volte quella occupata globalmente da strade ed edifici.
A livello globale la produzione di cibo è responsabile di un quinto delle emissioni di gas serra (21%).

Uno studio pubblicato su “Nature” (volume 586, pp. 248–256 – 2020) da Hanqin Tian dell’Università di Auburn, in Australia, e colleghi ha prodotto una mappa ampia e particolareggiata di tutte le sorgenti e i “pozzi” di protossido di azoto del mondo.
Tenendo conto delle sorgenti sia naturali sia antropiche, gli autori hanno stabilito che tra il 2007eil 2016 le emissioni sono state di circa 17 milioni di tonnellate di azoto all’anno. Le emissioni globali indotte dagli esseri umani, dominate dall’uso di fertilizzanti agricoli, sono aumentate del 30 per cento negli ultimi quattro decenni fino a raggiungere 7,3 milioni di tonnellate di azoto all’anno. La conclusione è che questo contributo è il principale responsabile della crescita del carico atmosferico.

Dopo il settore agricolo, l’allevamento e l’attività che richiede il maggiore utilizzo di terreni. L’allevamento (pascoli, aree destinate alla produzione di mais, soia o foraggio) incide sul 70% della terra coltivata è sul 30% della superficie terrestre del pianeta.
Quasi la meta delle emissioni dovute al settore agricolo sono causate dalla fermentazione enterica degli animali, prevalentemente dei bovini, a cui va imputato l’83% delle emissioni in zootecnia: 63% per la produzione di carnee19% per la produzione di latte e derivati (a fronte di un contributo dello 0,6 del settore avicolo, 5,1 del settore suinoe11,7 ovino). Emettono metano, che è 23 volte più deleterio per il riscaldamento globale della CO2.

In totale, l’allevamento è considerato responsabile del 14,5% delle emissioni globali di gas serra.

Riferimenti biblici

Es. 16,18: “ognuno ne raccolse quanto gliene occorreva per il suo nutrimento” Meditazione: Esodo 16,11-18

Ecco un passo della Bibbia molto conosciuto e che spesso viene letto e drammatizzato nelle Scuole Domenicali.

Ma questo è anche un brano con una tematica davvero attuale che parla di noi, di come sono strutturate le nostre società e di come Dio frantuma le strutture sociali ingiuste aprendo nuove prospettive!

Il popolo d’Israele, schiavo e sofferente in Egitto, è stato liberato dalla schiavitù ad opera di Dio per mezzo del suo servo Mose. Ora è nel deserto e sperimenta la liberta, ma pure le difficolta che ad essa si accompagnano. L’attraversamento del deserto diventa il tempo della prova, delle difficolta e della fame!

Gli israeliti cominciano a mormorare contro Dio asserendo che almeno in Egitto, anche se schiavi, non soffrivano la fame, ricordano con nostalgia il pane sotto faraone: il cibo della schiavitù, pero garantito; il cibo di Mammona, il dio di chi accumula a scapito di altri…

La sazietà nell’oppressione è quindi preferibile alla fame nella liberta?

Un dilemma che ancora oggi attraversa le nostre società. Ad esempio, quando si tratta di questioni ambientali che pero mettono in crisi il nostro sistema produttivo il quale dovrebbe portare lavoro, ma con esso anche distruzione, inquinamento del territorio, malattie. Pensiamo ad un eclatante caso italiano come l’ILVA di Taranto!

Nonostante i tanti mormorii che si trasformano in accusa, questo popolo affamato e pronto a votarsi agli idoli, riceve da Dio la promessa del pane della salvezza: “Farò piovere pane dal cielo per voi”. E così giunge la manna!

E la nuova creazione divina nel deserto che sazia gli affamati e dona vita ai morenti.

In questo brano biblico, come in quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci, il valore vero di questo cibo non è l’evento miracoloso della venuta dal cielo, ma sta nel fatto che esso è donato, che va condiviso e non può essere accumulato. La presenza di Dio non sta nell’evento soprannaturale, ma nei rapporti mutati rispetto le necessita quotidiane.

La frase “Venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà ”nel Padre Nostro precede il “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, ossia la giusta quantità giornaliera ogni giorno. Ma questa, dobbiamo ammetterlo, più che la nostra richiesta è in realtà la volontà di Dio.

Invece noi dove ci troviamo?

Il principale problema della nostra vita è che siamo combattuti interiormente tra la Buona Notizia dell’abbondanza di Dio e un realismo umano che ci fa vedere solo la scarsità.

L’Evangelo ci ricorda che siamo stati chiamati alla salvezza e alla vita dalla generosità di Dio, eppure finiamo con l’abbracciare la fede nella scarsità che porta alla sete di accumulo e che è pure la causa delle tensioni sociali e razziali (tu vuoi rubarmi il lavoro, il posto nella società, la mia identità nazionale), della distruzione dell’ambiente per acquisire risorse da rivendere, della corsa agli armamenti per essere più forti e potenti di altre nazioni.

Invece, la Bibbia torna a ricordarci che quanto noi abbiamo è dovuto alla bontà di Dio non alla nostra abilita di accumulare risorse.

La nuova creazione di Dio nel deserto prevede la distribuzione equa delle risorse alimentari, prevede la condivisione. Ecco i veri prodigi del regno di Dio che viene. E noi ne restiamo stupiti, ma al contempo innervositi e disturbati.

Nel nostro profondo noi sappiamo che la storia della scarsità è una storia di morte, eppure troppo spesso vi rimaniamo attaccati.

A questo nostro vissuto, Dio oppone sempre e di nuovo il dono abbondante della manna e ci chiede di aver fiducia in lui proprio in tempi di crisi come questa in cui la scarsità diventa una realtà tangibile. Ci chiede di non accumulare ciò che riceviamo, ma di condividerlo, perché esiste un pane piu nutriente del materialismo: è il pane della vita. E non pensiamo che questo riguardi solo il nostro denaro, ma tutti i doni che provengono da Dio…

Bisogna scegliere dove riporre la fiducia: nell’abbondanza di Dio o nella scarsità che sembra circondare la nostra realtà sociale? E poi porsi la domanda: come vogliamo rispondere a Dio per i suoi doni nella disciplina del quotidiano?

Amen

Preghiera del popolo kanak

Signore, Dio nostro,
ti rendiamo grazie per la Terra, terra nutrice: è per noi come una madre.

Terra delle nostre origini,
ci offre il luogo dove piantare le nostre radici.
Ti preghiamo, Signore,
per quanti non hanno più una terra,
per quanti sono stati spodestati, cacciati, costretti all’esilio.

Signore, Dio nostro,
Ti rendiamo grazie per tutte le piante che danno nutrimento,
per la gioia nell’abbondanza, per la forza di resistere nella carestia. Ti preghiamo per quanti non hanno il pane quotidiano,
ma anche per quanti lo gettano nella pattumiera,
perche non sanno riconoscere il valore delle cose.

Signore, Dio nostro,
Ti rendiamo grazie per gli animali, gli uccelli, i pesci del mare.
Per gli animali che ci danno il loro latte, la loro lana, la loro carne. Ma anche per quelli la cui esistenza ci è cara, anche se non ci è utile. Ti preghiamo, Signore,
fa che noi tutti impariamo a rispettare le tue creature,
a comprendere quanto la nostra sopravvivenza ne dipende.
Amen

Spunti per la discussione

Il pane quotidiano è un diritto di tutti?

Una dieta sostenibile si costruisce nella responsabilità̀ verso tutta la filiera della produzione. Questo è lo spirito alla base della agricoltura biologica ed equa

A quali condizioni la Terra è in grado di sfamare una popolazione umana giunta quasi a 8 miliardi?

Proposte di azioni

Fare delle ricette utilizzando pane raffermo e altri scarti di cibo come proposto nel ricettario “Dacci oggi anche il pane di ieri”, curato da Clara Manfredi e prodotto dalla Glam – Commissione globalizzazione e ambiente della FCEI- per contrastare lo spreco alimentare (di seguito due suggerimenti)

Mangiare vegetariano per almeno tre giorni. “Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già̀ le verdi erbe. Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioe il suo sangue.” (Genesi 9,3-4)

Curare la convivialità̀. “Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità̀ di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo.” (Atti 2,46-47)

Crostini al dragoncello (pane raffermo, niente latte o burro)

Ingredienti
dragoncello 1 mazzetto; prezzemolo un mazzetto; acciuga sotto sale 1; capperi 20 g; mollica di pane; uovo 1; olio extravergine, sale, pepe nero; crostini

 

Procedimento

rassodare l’uovo e dissalare l’acciuga ricavando 4 filetti; tritarli con i capperi e le erbe aromatiche; unire la mollica di pane bagnata in acqua e aceto e ben strizzata, lavorare il composto a crema; allungare con olio e condire; servire su pane tostato 12

Zuppa all’aglio (antica zuppa toscana vegetariana, niente latte o burro)

Ingredienti
• Aglio 16 spicchi • Olio extravergine 4 cucchiai • Vino bianco secco 1 t • Brodo 6 t • Sale, noce moscata, pepe • Uova 3 • Pane raffermo

Procedimento
1) rosolare l’aglio nell’olio unire il vino e il brodo e portare a bollore, pestando in poltiglia l’aglio 2) abbassare la fiamma ed unire i tuorli leggermente battuti 3) cuocere 15 minuti scoperto e poi coperto altri 15 minuti aggiungendo i condimenti 4) montare gli albumi a neve e spalmarli sul pane leggermente tostato 5) porre il pane nelle scodelle e coprire col brodo

 

Progetto COP26 per la Quaresima

Riceviamo dall’Opcemi e condividiamo sul nostro sito.

Siamo molto lieti di informarvi della seguente iniziativa del Progetto COP26.

Ci avviciniamo alla Quaresima (17 febbraio 2021 – 3 aprile 2021) che è un tempo di pentimento, digiuno e preparazione per la venuta della Pasqua, ed un periodo di introspezione e di riflessione, nel quale abbiamo più consapevolezza di ciò che siamo e del nostro dovere come cristiani.

Tra pochi mesi si terrà la COP 26 (Milano – 28-30 settembre 2021 – evento “Youth4Climate: Driving Ambition”; Milano – 30 settembre-2 ottobre 2021 – Conferenza Preparatoria, PreCop26; Glasgow – 1/12 novembre 2021 – COP26), perciò in vista di questo evento vorremmo dedicare le settimane della Quaresima ad un’attenzione critica riguardo al nostro modo di vivere “usa e getta” e il continuo bisogno di acquistare freneticamente beni di consumo. La civiltà dei consumi di cui facciamo parte si basa, sull’acquisto di beni superflui che, molto spesso, soddisfano dei bisogni indotti dalla pressione della pubblicità e/o da fenomeni d’imitazione sociale diffusi tra ampi strati della popolazione, che porta a degli squilibri sociali ed economici, nonché alla sofferenza che noi stessi produciamo ed infliggiamo al Creato, di cui il cambiamento climatico è uno dei risultati.

La Chiesa Metodista Britannica in collaborazione con il JPIT (Joint Public Issues Team) e All We Can (ente benefico per il sostegno e lo sviluppo) e, per la parte italiana, con l’OPCEMI ha promosso una campagna internazionale con e per i/le giovani metodisti nel mondo chiamati ad incontrare e sensibilizzare le chiese e il tessuto sociale in vista della COP 26 nel quadro di  un percorso di impegno delle chiese metodiste per la giustizia climatica.

In questa cornice è stato realizzato un Dossier in 5 tappe dove le urgenze del cambiamento climatico sono state associate agli obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030 dell’ONU rispetto ad alcune delle criticità di come gli esseri umani stanno abitando la terra, pur con responsabilità differenziate: il cibo, i rifiuti, la mobilità, la digitalizzazione e l’energia, l’acqua.

Il materiale è stato preparato da Irene Abra, coordinatrice dei giovani per il progetto in Italia, e Antonella Visintin, coordinatrice commissione Glam, per quanto concerne le schede tematiche e le azioni pratiche; mentre le parti liturgiche sono state curate dalla past. Mirella Manocchio, presidente dell’OPCEMI, quella del 21 febbraio (cibo e cambiamento climatico), dal past. James Bhagwan, segretario generale della Pacific Conference of Churches delle Isole Fiji, quella del 28 febbraio (rifiuti), dal past. Jorge Gerhard, vicepresidente della Chiesa metodista dell’Uruguay, quella del 7 marzo (mobilità), dalla Dott.ssa Rachel Lampard, Team Leader del Joint Public Issues Team della Gran Bretagna, quella del 14 marzo (digitalizzazione ed energia), quella del 21 marzo (acqua) è tratta dai materiali della Rete Ecumenica dell’acqua.

Nelle cinque settimane che precedono la domenica delle Palme e la Pasqua verrà inserita da domani sul sito www.metodisti.it/progetto-cop26 e sulla pagina FB di OPCEMI www.facebook.com/opcemi la scheda tematica con i relativi materiali liturgici, con gli spunti di discussione e le azioni pratiche.

Con queste proposte il nostro obiettivo è quello di promuovere pensiero e azione individuale e collettiva per una conversione alla giustizia climatica.

L’autentico digiuno

Isaia 58,1-9a
Noi protestanti, ascoltando la parola che Dio ci rivolge mediante il profeta, siamo esposti a un rischio, che può renderci completamente sordi di fronte a ciò che il Sigmore ci vuol dire: pensare che le opere esteriori, come ad esempio il digiuno, siano inutili, o addirittura da condannare. Una cosa da monaci, o comunque da cattolici, non da protestanti illuminati come siamo noi…
Beh, teniamoci per detto che Gesù digiunava. Non sempre, certo, infatti i suoi avversari dicevano che era un mangione e un ubriacone: ma conosceva l’importanza di praticare la disciplina anche esteriore del corpo, per meglio disporlo all’obbedienza a Dio. Non parliamo dell’apostolo Paolo, che dice di trattare il suo corpo duramente, anzi, di ridurlo in schiavitù, affinché non accada, aggiunge, che dopo aver predicato agli altri venga egli stesso condannato. E anche in questo passo, non si dice che il digiuno come tale è sbagliato: anzi, Israele si sforza di praticare una vita pia, ricerca i giusti giudizi di Dio. E il digiuno può essere assunto come simbolo della cosiddetta spiritualità: preghiera quotidiana, lettura della Bibbia, frequentazione regolare del culto. Insomma, le buone abitudini religiose. Israele le coltiva. Però si accorge che Dio guarda dall’altra parte, che è arrabbiato con il suo popolo. E si chiede: ma come?! Noi ci diamo un gran da fare e il Signore non si accorge di noi?
Di nuovo: il punto non è che il digiuno sia sbagliato, che la opere pie siano inutili, ma che non bastano. Non si possono separare le opere della religione dalla pratica della giustizia. Dice Dio, attraverso il profeta: voi siete tanto religiosi, ma anche nel giorno del digiuno opprimete coloro che lavorano per voi; siete religiosi, ma litigate in continuazione. Siete così presi dalla vostra religione, che non vi accorgete della violenza, dello sfruttamento, dell’oppressione che attraversano la società.
Non è difficile trascrivere nel nostro tempo le parole che Dio mette in bocca a Isaia. Anzi, in un certo senso è fin troppo facile, devo stare attento a non giocare a fare il profeta, perché Dio parla anzitutto a me, il che qui significa contro di me.
Con tutta la tua religione, la tua teologia e la tua predicazione, dice il Signore, vedi di non scordarti che le persone, a decine, a centinaia, rischiano ogni notte di morire di freddo sotto casa tua. Con tutta la tua religione, la tua teologia e la tua predicazione, dice il Signore, vedi di non scordarti che tra qualche settimana nel tuo paese ci saranno eserciti di disoccupati: ci sono già ora, ma saranno molti di più quando finirà il blocco dei licenziamenti. Con tutta la tua religione, la tua teologia e la tua predicazione, dice il Signore, vedi di non scordarti delle persone che si aspettano un aiuto, materiale o d’altro genere, precisamente da te. Vedi di non scordartelo, perché questo è il vero digiuno, cioè la vera religione, la vera teologia, la vera predicazione.
Un’ultima volta: non vuol dire che andare in chiesa, nel mio caso occuparmi di teologia, cercare di predicare, o di ascoltare con attenzione la predica, sia sbagliato: ma che fare bene queste cose richiede compierne anche altre, richiede una vita che non è solo domenicale, ma che investe l’intera settimana, la normalità dell’esistenza.
C’è ancora un rischio che dobbiamo evitare: non ci viene chiesto di fare grandi proclami sulla giustizia sociale, di sciacquarci la bocca con parole impegnate contro la povertà o lo sfruttamento. Di questa chiacchiera ecclesiastiche il Signore non sa che farsene; non hanno nemmeno la relativa ma concreta utilità delle buone abitudini spirituali. Non si tratta di proclami, ma di piccole cose, che però sono alquanto impegnative.
Tanto per cominciare, per due volte il profeta se la prende con i litigi e con le accuse reciproche. Sembra che consoca le nostre comunità! E’ vero o non è vero che le nostre chiese, spesso, sono tossiche, ambienti dove rischiamo di soffocare perché siamo impegnatoi in scontri per bande? Ebbene, dice Dio, iniziate a digiunare rispetto al litigio. Sembra ovvio, sembra banale, ma non lo è. E’ questione di vita o di morte, specie nella chiesa.
E poi non ritiratevi nelle vostre mura religiose. Frequentatele, andate in chiesa, leggete la Bibbia, pregate, ma non chiudete gli occhi davanti al bisogno dell’altra persona, che vi incontra. Non si tratta nemmeno di andarla a cercare: vi incontra. Dietro i mille angoli della vita.
Non si tratta di un compito facile. Sentite però qual è la posta in gioco: se ti ci metti, la tua luce spunterà come l’aurora, la tua guarigione germoglierà prontamente; la tua giustizia ti precederà, òlla gloria del Signore sarà la tua retroguardia. Allora chiamerai e il Signore ti risponderà, griderai ed egli ti dirà: Eccomi!
Direi che vale la pena provare.
Amen
prof.  Fulvio Ferrario

Mini-Precongressi della Federazione giovanile evangelica

Sei momenti di incontro online per favorire l’incontro e la conoscenza tra persone dello stesso territorio

La Fgei, Federazione Giovanile Evangelica in Italia, lancia i Mini-Precongressi: degli eventi che permetteranno l’incontro di giovani delle chiese valdesi, metodiste e battiste, almeno virtualmente, nei mesi che precedono il Congresso.

«Questi eventi, inizialmente, erano stati pensati come una preparazione al Congresso che abbiamo dovuto rimandare. Abbiamo mantenuto il nome di Mini-precongressi togliendo però la parte più congressuale e mantenendo l’ambito più tematico e di cura» spiega Annapaola Carbonatto, attuale segretaria della Federazione.

Saranno sei i momenti di incontro per i giovani e le giovani dei diversi territori: 20 febbraio Sicilia, 27 febbraio Lazio-Umbria, 28 febbraio Nord-est, 6 marzo Nord-Ovest, 7 marzo Campania e 13 marzo Puglia e Basilicata. «Tanti incontri localizzati per venire incontro all’esigenza di mantenere numeri contenuti – aggiunge Carbonatto – Quando abbiamo iniziato a lavorarci non sapevamo quale sarebbe stata la situazione sanitaria, speravamo di poter riuscire ad organizzarli in presenza in singole città, con dei numeri più piccoli e più gestibili. In ogni caso questa organizzazione ci consente di fare rete a livello territoriale per favorire l’incontro e la conoscenza tra persone dello stesso territorio vista la difficoltà che c’è stata in questo ultimo anno ad incontrarsi in presenza, anche se si vive a pochi chilometri l’uno dall’altra.

Questi eventi online potrebbero essere comunque l’occasione per permettere alle persone che vivono vicino, ma non si possono incontrare, di avere uno spazio dove confrontarsi. Ogni incontro durerà un paio d’ore ed è stato curato da uno team diverso, composto sempre da un membro del consiglio e da una persona del territorio interessato. Sono state pensate diverse attività, con l’idea di confrontarsi su quello che abbiamo vissuto in questi ultimi mesi, fare il punto della situazione su come stiamo, sulle emozioni che abbiamo provato e sui nostri desideri per il futuro, sia in termini di attività e di eventi da organizzare, che di esigenze tematiche. Può essere che emergano esigenze di confronto su temi che fino ad ora non erano stati presi in considerazione».

Per ricevere maggiori informazioni e per segnalare il vostro interesse potete consultare il sito www.fgei.org o scrivere alla mail segreteria@fgei.org

Il Seminatore stolto

 

Difficile dire qualcosa di sensato e nuovo su questa parabola. Da sempre è una delle immagini che abbiamo più a memoria, nel cuore tra i racconti dell’Evangelo. Dalla scuola domenicale al catechismo agli studi biblici sulle parabole questo è sempre un brano centrale.

«E disse una parabola». Parabola è  “ciò che è gettato accanto” nel senso una analogia un paragone, un esempio. Dodd ci spiega che la parabola è una metafora tratta dalla natura e dalla vita quotidiana, che colpisce chi ascolta per la sua originalità e lo lascia in quel minimo di dubbio riguardo il significato dell’immagine sufficiente a stimolare il pensiero”

L’ascoltatore ha una partecipazione attiva pensa e propone interpretazioni. Quello che ci è chiesto da Gesù è di essere “Ascoltatori responsabili.” Nella parabola non c’è controllo da parte dell’oratore, ma c’è partecipazione perché le parabole devono essere masticate, digerite, interpretate. Rivelano e nascondono. La parabola: simbolo che stupisce, che cresce, che si rivela dentro ognuno, uomo o donna, con modalità ogni volta nuove. La parabola scuote, svela, vela. I simboli, le parabole nascondono, ma anche svelano messaggi nel silenzio della loro profondità, che ogni donna e ogni uomo leggono con una propria personale chiave. Personale. Perché l’omologazione di questo miracolo della parola dentro ogni donna e ogni uomo è la morte della parola stessa, una morte che colpisce tutti. Tassello del grande mosaico dell’amore di Dio svelato da Gesù, la Parola è offerta a tutti coloro che “ascoltano”, libera di raggiungere le donne e gli uomini che sono “fuori”. Fuori dalle case, fuori dai palazzi del potere e delle gerarchie di ogni religione. Ogni parabola contiene molto di più di quello che sembra. Ogni parabola nasce, si forma dalla visione della vita, dalla visione della vita e dalla conoscenza dell’Amore del Padre di cui Gesù è intriso. Dall’incarnarsi nella vita. Il seminatore, il buon pastore, la vigna, il padre misericordioso, il samaritano ecc

Nel raccontarle Gesù vuole aprire la nostra mente e il cuore a qualcosa di nuovo.

In Matteo la parabola inizia con Ascoltate. In Luca c’è disse.

In quell’ascoltate c’è tanto, anche troppo. Ascoltate non sentite. Ascoltate ciò ponete attenzione. Sto per dirvi qualcosa che cambierà la vostra vita e la vostra fede. Ascoltate e riflettete su quello che udite e cambiate…. In una parola Convertitevi.

Quanto è difficile oggi ascoltare l’altro, farsi mettere in crisi, dialogare e convertirsi. E tanto più ascoltare la Parola. E farsi mettere in crisi e incarnarla in vita. E convertirsi.

Il Dio di Gesù chiede di ascoltare, non ordina, non impone. SI pone in un dialogo

Il seminatore uscì a seminare. Luca, ma anche Matteo, usa il non un seminatore ma il Seminatore. Il seminatore primo, il più importante. Che fa il seminatore. Ho visto su FB delle foto dell’orto di Gregorio.  Forse lui era più adatto a spiegare questa parabola. Nel suo orto lui dà vita, feconda la sua vita, condivide con i vicini, seminando. Lo stesso  Italo.

Il Seminatore, non un. E forse questo diventa uno dei più belli nomi di Dio.

Il seminatore esce solo, non è importante essere tanti ma essere accesi, attenti, vigili, attivi e operosi

Si esce per seminare e per incontrare. Perché solo sulla strada e nei campi c’è la vita: gli uomini e le donne, l’incontro, il Dio di Gesù. La casa, le Chiese, le religioni ci nascondono, ci creano recinti e zolle di terra dove il seme non trova il terreno fertile, il terreno della fede, ma solo quello della religione. Se rimaniamo al chiuso…Stare in strada ci aiuta a fonderci anche con quell’uomo di strada che è Gesù. Ma soprattutto ad uscire dalle nostre certezze. Non sappiamo cosa ci aspetta là. È lo stupore e la meraviglia dell’ignoto e della novità.

Seminatore, rovi, strada, rocce. Questo seminatore è uno stolto? Uno che semina ovunque anche sulla strada, anche tra i rovi, anche tra le rocce? Il seminatore non scarta, anzi. Dà ad ognuno una possibilità sempre nuova, che andrebbe persa altrimenti. La semina è da sempre un nuovo inizio. Che errore aver perso la profondità di questo. Ma soprattutto la paura che ormai domina dentro i templi, è annidata contro “il nuovo”! Semina soprattutto fuori dal solco, perchè non c’è solco. Infatti nell’antico mondo si arava dopo la semina.

Stolto, semina non solo nei campi religiosi, nei campi delle sinagoghe, delle Chiese, dei templi delle religioni, ma ovunque, perché ovunque c’è l’uomo.

Non è distratto o maldestro, è invece uno che spera anche nei sassi, un prodigo inguaribile, imprudente e fiducioso. Un sognatore che vede vita e futuro ovunque, pieno di fiducia nella forza del seme e in quel pugno di terra e rovi che è l’uomo. Ma io sono anche il seme cambiando prospettiva. Sono il seme e sono il terreno. Che parla addirittura di un frutto uguale al cento per uno, cosa inesistente, irrealistica: nessun chicco di frumento si moltiplica per cento. Un’iperbole che dice la speranza altissima e amorosa di Dio in noi.

Una cosa mi colpisce: la grandissima positività di questo racconto.

Il seminatore è uno aperto alla vita, al futuro, è uno che anticipa la primavera e l’estate. Che crede nel seme e nel futuro raccolto. A prescindere dal terreno.

Che seme è quello gettato? Non è importante, è importante il percorso che il seme fa. È importante il processo di trasformazione e di cura che la terra buona offre per la nascita di una pianta. È il processo di amore di gioia, di tenerezza, di giustizia ma soprattutto di fiducia che trasforma i semi gettati nel nostro quotidiano da sconosciuti seminatori e dal Seminatore che trasformano, il domani del seme, con fiducia, perché la forza non è nel seminatore, ma nel seme; la forza non è in me, ma nella Parola. Che non tornerà a Dio senza aver portato frutto.

Come abbiamo ascoltato dal libro del profeta Isaia: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo / e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, / senza averla fecondata e fatta germogliare, / perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, / così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: / non ritornerà a me senza effetto, / senza aver operato ciò che desidero / e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55, 10s.).

 

Ogni giorno usciamo con la nostra vita…e cosa seminiamo? Su quale terreno….

Ultimamente sia con fratelli e sorelle di chiesa, sia in Consiglio è uscita tante volte e troppe la parola Testimonianza.

Ma non, o meglio non solo una testimonianza che diciamo è legata alla diaconia, ma la testimonianza che ci dovrebbe essere propria in quando confermati nella fede in Gesù Cristo. Una testimonianza che ci fa sperare con fiducia un raccolto dell’80, del 100…..

Una testimonianza che non è il pesante peso delle parole della Scrittura Ma sono le parole della scrittura che ci rendono felici, gioioisi perché noi abbiamo ricevuto e fatto crescere quel seme ricco gettato dal seminatore solitario.

Un seme che cresce perché c’è la cura del seminatore, perché c’è un terreno buono, perché si crea una dinamica positiva tra terreno e seme. E cosa testimonio? Il peso, la fatica, la croce, le facce tristi?

Una cosa che mi ha sempre colpito nelle nostre chiese è giustamente la croce senza un uomo. E la risposta che mi fu data decenni e decenni fa: Non c’è il corpo perché il mio Signore è risorto.

Il seminatore aperto al futuro con gioia è colui che crede e semina ogni giorno, su ogni terreno, su ogni difficoltà un seme frutto del Signore risorto.

Fa allegria questo seminatore. Allegria…

Il seminatore non è il re potente che si aspettava Israele, è uno che con la fatica del suo lavoro vive e costruisce la primavera.

Voi andate tranquilli a seminare, dice  Gesù,  anche oggi che è  un tempo così difficile, pieno di spine e sassi. E quanto pesano nella nostra quotidianità queste spine e questi sassi…

Pesano nel pessimismo che ci attanaglia, pesano nelle zavorre che ci costruiamo per non fare. Ci limitano nel gridare la nostra gioia nell’essere cristiani, quasi a vergognarci o a dire che la nostra fede è diversa. Gesù sembra ricordarci in ogni brano: non preoccupatevi. Se avete fiducia in me di cosa dovreste aver paura. La speranza troppe volte la vediamo come l’ultima spiaggia, ma la speranza del cristiano è tutt’altro…. E quella croce senza un corpo.

Gesù sembra dirci: non ve ne fate una preoccupazione. Andate avanti. Se anche le panche si svuotano, le persone giovani si dileguano e magari i vostri figli non vi prendono sul serio, pensano solo ai loro impegni o anche sembrano perdersi dietro a interessi che non giovano alla loro vita, voi continuate a seminare.  Non lasciatevi convincere che tanto è tutto inutile. Perché questo è il rischio più grave: chiudere la nostra fede e la nostra semina nel chiuso di noi stessi.

Portiamo frutto, la pianta germoglia solo se i semi e la terra si coinvolgono. Se noi ci facciamo coinvolgere da Dio e dalla sua Parola, ma soprattutto se la Parola coinvolge noi e la nostra quotidianità

Un racconto minimo, che funziona come un carburante: lo leggi e accende idee, evoca immagini, suscita emozioni, avvia un viaggio

Un inno pieno alla vita, a voler vivere in pienezza, crescendo, fiorendo, donando il frutto, perché si moltiplichi vita

“Il frutto non è garantito, certo, e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto” . (C. M. Martini)

Amen

Fabio Perroni

La trasfigurazione e il testimone oculare

2 Pietro 1:16-21

Infatti vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà.  Egli, infatti, ricevette da Dio Padre onore e gloria quando la voce giunta a lui dalla magnifica gloria gli disse: «Questi è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto».

E noi l’abbiamo udita questa voce che veniva dal cielo, quando eravamo con lui sul monte santo.  Abbiamo inoltre la parola profetica più salda: farete bene a prestarle attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, fino a quando spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei vostri cuori.  Sappiate prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura proviene da un’interpretazione personale; 21 infatti nessuna profezia venne mai dalla volontà dell’uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo.

 

 

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

Il testo su cui siamo chiamati a riflettere oggi ha il punto centrale radicato sulla trasfigurazione di Gesù sul Monte Santo. Questo fatto è narrato nei tre vangeli sinottici: Matteo, Marco e Luca. Pietro introduce il versetto 16 con la parola “infatti” nel voler confermare, giustificare e attestare ciò che aveva visto e udito. Pietro, Giacomo e Giovanni erano sul monte, insieme a Gesù, videro e udirono la testimonianza di Dio della verità, ciò che il Padre di Gesù ha detto e confermato su suo figlio. In quel luogo la relazione figliale di Gesù con il Dio Padre venne rivelato.

Nella Trasfigurazione di Gesù erano 3 gli apostoli che avevano assistito alla trasformazione di Gesù. Pietro, Giacomo e Giovanni vissero una visione in cui mentre Mosè e Elia conversavano con Gesù, si è udito una voce, che dichiarava la figliolanza divina di Gesù. L’apparizione di Mosè e di Elia, i due eletti da Dio nel passato per compiere un ruolo importante nella vita del popolo di Israele, fu una rivelazione decisiva per significare la continua presenza di Dio nel percorso della salvezza dell’umanità.

Gesù ammonì gli apostoli di non divulgare ciò che avevano visto e udito prima che fosse risuscitato dai morti. Egli disse: «Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo sia risuscitato dai morti»”.

Nella Trasfigurazione di Gesù gli apostoli udirono la voce di Dio. Nella traduzione della nuova riveduta leggiamo queste parole: «Questi è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto». Troviamo invece nella seconda edizione del Nuovo Testamento della Bibbia della Riforma questa traduzione: «E’ lui il Figlio mio, il mio amato, in lui mi sono compiaciuto». Quest’ultima ci appare molto diretta, delineando in maniera più forte la figura di Gesù.

Cara comunità, in questa lettera di Pietro vediamo emergersi la relazione fra il testimone e la veridicità della sua testimonianza nella trasmissione di ciò che realmente è avvenuto. Nell’evento della trasfigurazione di Gesù, la voce udita dagli apostoli li rese degli inviati autorevoli dal momento che furono partecipi di tutto ciò che sarebbe accaduto fino alla Sua morte e risurrezione.

Nel libro degli atti al capitolo 2, Pietro fece un discorso con gli undici e si espresse ad alta voce: «Gesù il Nazareno, uomo confermato da Dio tra di voi tramite opere potenti e straordinarie, con segni che Dio fece in mezzo a voi, attraverso di lui, come sapete, consegnato a voi per mano di iniqui, in base al disegno stabilito e alla prescienza di Dio, inchiodandolo alla croce, voi l’avete ucciso, ma Dio lo ha risuscitato». Egli disse ancora: «Questo Gesù, Dio lo risuscitò, tutti noi ne siamo testimoni».

Per questa ragione, il ruolo di un testimone oculare è indispensabile per attestare la veridicità del racconto avvenuto. Pietro era stato chiamato, eletto ed inviato per annunciare che Gesù è il figlio di Dio. Quindi, oggi colgo l’occasione per ricordarci la chiamata dell’apostolo Pietro ad essere uno dei testimoni oculari nella trasmissione della fede, attraverso ciò che la lettura della Bibbia infonde in noi ed a prestare attenzione per evitare come dice l’apostolo Paolo agli Efesini 4,14: «sballotati  e portati qua e là ad ogni vento di dottrina» . Dobbiamo leggere la Parola in Cristo, la parola in maiuscola e meditarla, cercare di capire il suo vissuto sulla terra fino al compimento della volontà del Padre.

Secondo il  commento del prof. Bruno Corsani, su questo brano nei versetti  16-18 la caratteristica tipica dell’insegnamento apostolico è di essere una narrazione di fatti: “i precisi avvenimenti della vita storica di Gesù, narrati da uomini che vi hanno preso parte come testimoni oculari, ma anche come credenti capaci di discernere la dimensione divina. E’ tipico che questa vicenda storica sia vista culminare nella Trasfigurazione (v. 17), che effettivamente i Vangeli sinottici collocano al centro della vita di Gesù.”

In Marco 9:2-13, troviamo infatti il momento in cui la parola di Dio proveniente dal cielo(dalla magnifica gloria) ha dichiarato che l’uomo Gesù era l’Eletto di Dio, pienamente partecipe della gloria del padre (cfr.  Gv.1,14).

I versetti da 19 a 21 accanto alla testimonianza apostolica si erge come la base della fede e il muro contro le eresie della testimonianza dei profeti dell’Antico Patto; essi erano le luci accese in preparazione e in attesa della venuta di Cristo.

Nella venuta di Cristo le profezie trovano dunque non solo il loro adempimento, ma anche il loro criterio interpretativo; per capire il senso di un qualsiasi libro dell’AT. Bisogna perciò riferire alla venuta storica di Cristo, qual’è stata attestata dagli apostoli e non portarlo forzatamente in appoggio alle nostre opinioni soggettive.

La Sacra Scrittura infatti non è una raccolta di opinioni, ma una collezione di idee religiose: essa possiede una profonda unità dovuta alla sua origine stessa: la potenza dello spirito santo che ha portato(sospinti) degli uomini a dire la verità da parte di Dio, al di là e talvolta contro quelle che erano le loro umane opinioni ed inclinazioni; questo stesso Spirito guida anche i lettori a riconoscere l’unico oggetto della profezia: l’annuncio della venuta di Cristo(cfr. Cor. 2:14-15)

Gesù ebbe dodici discepoli, chiamati da lui suoi amici perché essi erano testimoni di tutto quello che faceva. Egli disse “Voi siete miei amici se fate le cose che vi ordino. “Gv. 15,14 ; “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore, ma vi ho chiamato amici, perché vi ho fatto conoscere tutto quello che ho udito dal mio Padre.” (Gv. 15,15). L’amicizia di Gesù con i suoi discepoli è un dono speciale che anche noi nella nostra esperienza definiamo un legame che si costruisce con lealtà. Nell’ambito di una chiesa, o di una comunità, le amicizie nascono frequentandosi.  L’ascolto comune della parola, la condivisione di vissuto e di riflessione è edificante nell’operare insieme per uno scopo di bene comune.

Gesù con i suoi gesti sostenuti dalle sue parole ha insegnato i suoi discepoli a diventare sempre più umano. Egli disse nel suo sermone sul monte “beati i poveri in spirito perché in essi è il regno dei cieli” che vuol dire il regno dei cieli è vicino a loro, l’hanno trovato e ne gioiscono.

Nella nostra vita quotidiana, il ruolo di un testimone oculare è indispensabile per risolvere i casi in tribunale: si cerca il soggetto, “Chi ha assistito” per dare giustizia all’accusato o all’accusatore, e per risolvere un grave errore (reato, delitto, omicidio): si cerca qualcuno che ha visto l’avvenimento per far emergere la giustizia cioè la verità.

Ci sono molti incontri in cui Dio ha rivelato la sua presenza per mezzo di suo Figlio e della sua opera per mezzo dello Spirito Santo da cui gli apostoli hanno avuto il discernimento.

Leggiamo testimonianze su come la conversione di Paolo, avvenuta sulla strada per Damasco.

– Saulo che divenne Paolo mentre andava e si avvicinava a Damasco – era successo. Una luce dal cielo brillò intorno a lui e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: “Saulo, Saulo perché mi perseguiti?”

-Maria di Magdala disse ai discepoli: “Ho visto Il Signore”. Gv. 20,18  Gesù disse a Tomasso: ““Perché mi hai visto, tu hai creduto?” Beati quelli che non mi hanno visto e hanno creduto!” Gv.20,20

Alcune sorelle e fratelli hanno scritto un commento sulla nostra trasmissione di culto del Natale in Eurovisione. Coloro che lo hanno assistito in prima persona possono dire che in realtà ci sono più elementi dietro la trasmissione.

Infatti il culto in televisione ha un limite di 1 ora e la scelta del regista è fondamentale per evidenziare i diversi aspetti della chiesa metodista di via XX Settembre, e per mostrare agli spettatori chi sono i membri, di ogni fascia d’età, che frequentano la chiesa e le sue attività.

Con il ruolo di testimone oculare le persone che hanno partecipato possono confermare che vi era un solo culto di Natale, quello di domenica, 20 dicembre, e la trasmissione del 25 dicembre è frutto di un lavoro dei tecnici di editing nel dare accento ai diversi aspetti di testimonianza con lo scopo di comunicare che nonostante la situazione difficile, in piena pandemia, i credenti perseverano, pregano con insistenza l’unico Dio dell’universo. Le varie componenti  di varie provenienze lodano, pregano, ringraziano  Dio che ha donato Gesù, il Messia. I diversi volti dei fedeli sono rappresentati dai vari colori dei fiori che la natura stessa ci regala ogni giorno per stupire e allietare il nostro vivere.

Ora la chiesa continua a esistere perché da essa si trovano degli uomini che si convertano mossi dallo Spirito Santo. L’evangelista Giovanni finisce il suo vangelo con un versetto dicendo che “Vi sono anche molte cose che Gesù ha fatto. Se vi scrivessero una per una, penso che perfino il mondo non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” Giovanni 21,25.

Da queste narrazioni dei testimoni oculari rifacciamo la nostra confessione di fede. Chiediamoci, e domandiamoci: “Gesù ti ha visitato? Tu l’hai visto? Hai visto che cosa ti ha fatto, come ha trasformato la tua vita?”

Sta a noi a discernere i fatti di Dio di tutti i giorni.

Possa il Signore risorto risorga nella tua vita.

Possa Egli risplendere il suo volto per illuminare la tua via.

Possa Egli svelare  ciò che cerchi per dare gioia al tuo vivere.

Possa Egli farti incontrare i discepoli e le discepole che ti accompagneranno e che ti sosteranno nel tempo di stanchezza.

Il Signore ti benedica. Amen

 

 

 

 

Preghiera

“Accoglietevi a vicenda come anche Cristo vi ha accolti nella gloria di Dio”.

Romani 15,7

 

Signore Dio nostro,  questa mattina ci siamo incontrati in questo tempio per  ricevere da te la tua parola. Quanto importante per noi farci trovare ed essere trovati accoglienti. L’apostolo ci insegna l’agire di un vero cristiano, di guardarci con gli occhi sinceri, ci chiede di avere un volto allegro. Ci chiede di  salutare con le parole di bene.

Ci hai accolti, come siamo perché riceviamo da te ogni risposta ad ogni nostro bisogno nel modo e nel momento da te dato.

Signore, grazie per l’appello di esortazione dell’apostolo Paolo ai cristiani. Grazie per quel messaggio che ci ha portato a credere per crescere insieme.

 

Benedici questo culto di lode, di preghiera, di ringraziamento nel nome e per amore di Gesù Cristo il nostro salvatore. Amen.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Grazie!