Il mio corpo santuario dello Spirito

Il mio corpo è il santuario dello Spirito Santo: io vivo per glorificare Dio nel mio corpo

1 Corinzi 6, 9-20

 

Preghiera prima di predicazione

Signore,

apri le mie labbra

perché il mio corpo vuole

cantare le tue lodi![1]

 

 

Carissimi sorelle e fratelli,

Il tema del testo biblico proposto per oggi dal lezionario “Un giorno una parola” è il corpo ovvero – il corpo umano fisico. Un tema poche volte affrontato nella Scrittura: il Grande Lessico del Nuovo Testamento ne indica 23 per la parola corpo – gr. σϖμα, –  e ne indica 145 per la parola carne – gr. ςάρξ, – secondo la traduzione del LXX. Nella pericope possiamo individuare alcune distinzioni che circoscrivono il corpo e così: 1) fare la giustizia al proprio corpo è fondamentale e primo compito dell’essere umano siccome egli è l’erede del regno di Dio; 2) il corpo e la carne non sono stessa cosa – la carne non è il sinonimo del corpo ma il corpo è anche la carne ed è più della carne; 3) il corpo è il santuario dello Spirito santo; 4) il corpo non ci appartiene.

Mi sembra che nel affrontare il tema di oggi sia utile chiarire subito cosa è il corpo umano fisico. La domanda pare semplice, se non addirittura banale, ma così, su due piedi, non è facile fornirne una risposta soddisfacente nonostante il corpo sta costantemente sotto i nostri occhi.  Tutti possiamo dire qualcosa in merito, alcuni forse di più come ad esempio: i medici, gli artisti, una pastora o un pastore. Vediamo cosa del corpo umano dice la Scrittura? Ci dice che la creatura umana entra nel universo come corpo e arriva al mondo materiale visibile dal mondo dove soggiorna Dio che è invisibile. Il corpo umano è creato come corpo maschile e corpo femminile ed è costituito di due elementi quali sono: 1) polvere della terra e 2) soffio di Dio; ovvero polvere della terra animata dal soffio di Dio. Il racconto di creazione Gen. 2,7 dice: Il Signore Dio forma la creatura terrestre (l’‘adam) polvere della terra. Egli insuffla nelle sue narici un alito di vita. Nel testo ebraico, il termine vita – ḥayyîm – è un plurale di intensità che si potrebbe rendere con – viventi: un soffio di viventi. Così il soffio divino mette dell’infinitamente plurale in ogni corpo umano. Questo è il DNA umano offerto da Dio. Perciò il corpo non entra nel mondo come neutrale, come una tabula rasa bensì corredato del DNA Divino che lo orienta; li dà una destinazione e precisamente quella di: fare il corpo con altri corpi. Inoltre le creature umane sono invitate da Dio a curare i propri corpi che vuol dire non straniarsi da essi e di conseguenza: andare verso il corpo dell’altro che significa: non deviarlo, non porsi contro corpo dell’atro e non voltarli le spalle. L’essere umano è creato libero perciò può scegliere, ad esempio, di non voler fare corpo con altri corpi. Vediamo perciò che l’umano, cioè il corpo, ha il suo inizio nel invisibile ovvero: il suo fondamento sta là, ma il “resto” del corpo sta da questa parte, materiale. Dunque: il corpo esiste contemporaneamente in queste due realtà ed è composto assieme dell’invisibile – non materiale e del visibile – materiale; questo vuol dire, inoltre, che lo vediamo in parte. Essere creatura umana vuol dire che siamo uguali, indipendentemente dalle provenienze geografiche e culturali: tutti abbiamo un cuore, occhi, orecchie, naso e così via e, contemporaneamente, non esistono due corpi uguali: ognuno è un pezzo unico e originale. Inoltre, il corpo è l’unica cosa che Dio abbia creato – il testo dice: plasmato – con le proprie mani. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che è un’opera d’arte e come tutte le opere d’arte (ad esempio – scultura o pittura) è stato realizzato con le mani. Senza le mani nessun artista può fare nulla! Dunque: il fatto che Dio usò le Sue mani per modellare i corpi di Adamo e di Eva dimostra che Dio è l’Artista e che il corpo è un capolavoro.

Ora – avendo chiarito, quel poco che è concesso, cosa è il corpo umano fisico – possiamo procedere con l’analisi dei punti individuati.

  • Fare giustizia al proprio corpo è il primo fondamentale compito dell’essere umano siccome egli è l’erede del regno di Dio.

Il corpo, come giusto che sia, è l’oggetto dell’amore e del desiderio. Lo cercano altri corpi, lo cerca Dio e lo cerca il peccato. La pericope di oggi inizia con la domanda che l’apostolo Paolo due mila anni or sono, ha posto agli Corinzi e oggi, nell’anno 2021, stessa domanda c’è la poniamo noi: Non sapete forse che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? La domanda solleva le questioni che sono prime e ultime: giustizia e regno di Dio o meglio: essere eredi di regno di Dio. La giustizia, come più volte viene detto nella Bibbia, è la figlia prediletta di Dio. Noi sappiamo che Dio ama molte cose siccome Egli stesso è amore ma, più di tutte – ama la giustizia. La giustizia, solo la giustizia seguirai, affinché tu viva – leggiamo in Dt. 16,20. Questa è la parola-metro di misura di Dio di tutte le azioni umane. La domanda – che si riferisce agli eredi di regno di Dio (eredi in tutti i tempi), solleva la questione dell’ingiustizia come esclusione dall’eredità.  L’avverbio – forse – che indica il dubbio e accentua la negazione invita a leggere la domanda in questo modo: ma voi – che siete eredi del regno di Dio e lo sapete perché vi è stato detto e spiegato, – continuate a comportarvi da ingiusti: non soltanto non seguite la giustizia ma ignorate la propria posizione di essere beneficiari; comportandovi così fate duplice male a se stessi: 1) vi ponete da parte dell’ingiustizia perché: sottovalutate – se non addirittura non accettate la posizione di eredi del regno di Dio; inoltre: 2) siete ingiusti verso il Testatore stesso (per fortuna il Testatore ovvero Dio è un Padre misericordioso). La domanda di Paolo più che minacciare vuole insegnare: indicare, far capire e ri-convertire. L’ingiustizia che commettono i destinatari della lettera è ingiustizia provocata dal peccato: immoralità sessuale, idolatria, adulterio, essere effeminati e depravati, rubare e essere avidi, ubriacarsi e maledire, essere rapinatori. Non esiste una via di mezzo, non si può peccare poco e restare giusti. Non è permesso dire – forse, ma – particolarmente al peccato, bensì: (…) il vostro parlare sia “sì” se è sì, “no” se è no; ciò che è in più viene dal Male. (Mt 5,37). Non si po’ essere un poco giusti o un poco ingiusti: si deve essere giusti integralmente altrimenti non si è giusti ma si è ingiusti. La domanda, dunque, si riferisce alla giustizia o negazione della giustizia verso il proprio corpo: ogni volta che acconsento il peccato esso mi afferra, cioè afferra il mio corpo e infrange la sua integrità: toglie all’essere umano la bellezza dell’umanità pensata da Dio, e, innanzitutto – nega la prima vocazione dell’essere umano che è cura del proprio corpo ovvero: questo che è in me più di me e che rimane in me per sempre nonostante può essere da me seppellito per causa del peccato. Prendersi cura del proprio corpo vuol dire essere giusti agli occhi di Dio. Non prendersi cura del proprio corpo vuol dire fare ingiustizia agli occhi di Dio. Noi sappiamo cosa fa l’ingiustizia: l’ingiustizia genera il male. Perciò devo oppormi al peccato non pensando di fare bensì facendo. Allora, se prendo la coscienza del peccato – che mette in evidenza la mia identità – mi ri-conosco immediatamente quale creatura, mi ri-avvicino a me stessa/a me stesso, a Dio e all’altro –perché mi ri-avvicino alla vita che da Dio proviene e che il peccato contradice. Facendo così mi accorgo della mia crescita: accordo tanta importanza ai miei limiti umani, alla mia vulnerabilità, alla mia mortalità quanto a quel soffio libero che mi parla della mia origine divina e il ri-prendermi cura di entrambi, del mio corpo e del corpo della terra di cui è fatto, e di conseguenza del corpo degli altri – ri-dà il senso, la direzione e il significato al mio cammino nel corpo attraverso la vita.

Andiamo avanti.

  • Il secondo punto dice: Il corpo e la carne non sono stessa cosa – la carne non è il sinonimo del corpo ma il corpo è anche la carne ed è più della carne.

Abbiamo detto che la creatura umana entra nel mondo materiale visibile dal mondo invisibile dove soggiorna Dio – quale il corpo costituito di due elementi: polvere della terra e soffio di Dio ovvero il polvere della terra animata dal soffio divino. Dove – tra questi due elementi – sta la carne non viene specificato nei racconti di creazione. Abbiamo affermato comunque che la carne non è il sinonimo del corpo, che il corpo è anche la carne però è più della carne. In che senso? Al versetto 13 dell’epistola apostolo Paolo dice: «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi», ma Dio distruggerà questo e quelli! Cosa vuol dire questo affermazione? Credo vuole dire alcune cose: che la carne abbia funzione differente da quella del corpo; è subordinata al corpo e, in qualche modo, sta sotto il corpo; che è la sua parte più materiale e più debole, e perciò limitata, che il corpo contiene e contempo-raneamente trascende. Rendersi conto di questa differenziazione accentua l’importanza dell’ordine Divino: nella stessa lettera Paolo chiama di non essere troppo umanitroppo carnali, dice anche: Quelli che usano di questo mondo, come se non usassero, perché la figura di questo mondo passa(1Cor.7,3.19). Dunque: comprendere sé stessi così come Dio ci ha fatti e non tendere a modificare l’opera di Dio, come fosse la nostra, perché non è la nostra vuol dire: non idolatrare né carne né il cibo (e nemmeno il corpo). Non condannare niente bensì tutto considerare nella giusta misura: ascrivere alle cose – non troppa e non troppo poca – bensì giusta importanza.

Il terzo punto ci dice:

  • Il corpo è il santuario dello Spirito santo.

Siamo giunti alla frase che è il cuore del testo biblico di oggi: Non sapete che il vostro corpo è santuario dello Spirito santo che è in voi, che avete da Dio?

Cosa vuol dire che il mio corpo è santuario dello Spirito santo? Lo è già, dice la frase, è un atto compiuto e pure – io non sono che il corpo carico del bagaglio delle esperienze di vita. Ciononostante, agli occhi di Dio, sono già il Suo santuario: sono già il santuario dello Spirito santo che è in me e che ho ricevuto da Dio, prima che m’accorgessi di qualcosa; che Esso alberga il mio corpo, anche se continuo non accorgerselo comunque. Tutto questo a mia insaputa ma, in parte però, perché capita che intuisco, e anche sento, la forza della Sua presenza e precisamente nel momento stesso quando respingo il peccato e uscendone quale vincitrice libero il mio corpo: ecco che la mia vittoria si moltiplica: lo Spirito santo che è in me si muove – quasi come un bambino nel grembo materno – e si genera la gioia di vivere. Mi accorgo, dunque, che sono contemporaneamente tutto questo, – sono: corpo, carne e santuario – ognuno di questi piani è reale e il più reale è quello che ne è il fondamento che si situa nel mondo invisibile: il piano del solido e del irremovibile. Questo vuol dire che tutti questi piani sono contenuti nel mio stesso piccolo corpo e che egli è capace di contenerli e reggerli in piedi tutti assieme non confondendo e non smarrendo nulla! Allora se è così: il corpo abbia un’altra dimensione, sicuramente ampia, molto ampia: potrebbe trattarsi della, o delle, profondità…

Un commento rabbinico alla Genesi dice che Dio creò il mondo con la lettera bet ב  che significa casa. Dio ha voluto creare il mondo come sua casa, e un suo tu umano in corpo, per dare a ogni tu una propria casa cioè – il corpo. Il nostro corpo creato da Dio come nostra casa è da lui considerato e ritenuto il santuario dello Spirito santo. La nostra prima casa terrena – il corpo – è contempo-raneamente per noi casa e santuario di Spirito santo. A Dio è piaciuto fare così… Allora il nostro corpo è contemporaneamente una casa e un santuario di Dio: il piccolo (la prediletta misura di Gesù Cristo, vi ricordate?) riflette il monumentale. Dire che siamo la prima chiesa domestica non è un errore. E il detto – essere tutto chiesa e casa – forse qui ha la sua origine.

Sorelle e fratelli,

Siamo giunti all’ultimo punto:

  • Il corpo non ci appartiene.

Rileggiamo ultimi 2 versetti: Non sapete [che il vostro corpo è santuario dello Spirito santo che è in voi, che avete da Dio] e che voi non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a prezzo! Glorificate dunque Dio nel vostro corpo! Le ultime due frasi rinforzano e confermano il versetto – cuore della pericope.

Possiamo individuare alcuni motivi per i quali noi stesi, ovvero il nostro corpo, non ci apparteniamo: esso è concepito e creato, ovvero plasmato, in tutte le sue dimensioni dalle stesse mani di Dio e il materiale usato è di proprietà esclusiva di Dio; esso e la mia casa terrena in concessione per tutta la durata della mia vita ma la sua proprietà non mi è stata trasferita cionondimeno la mia casa-corpo è già erede del regno di Dio; il mio corpo lo condivido perciò con Dio, o meglio è Dio che lo condivide con me; il fatto che corpo è anche il santuario dello Spirito santo mi parla della mia provenienza e della mia destinazione che sono realtà appartenenti a Dio soltanto; il mio corpo è stato redento a prezzo del sangue di Gesù Cristo perché possa essere elevato a Dio e saper devenire cantore della gloria di Dio. Di fronte a questi dati mi sembra difficile avere dei dubbi riguardo la proprietà dei nostri corpi.

Cosa possiamo dire alla conclusione del testo biblico di oggi, così ricco e non privo di sorprese? Sicuramente possiamo dire che non abbiamo esaurito di esplorare sia la sua ricchezza sia la sua dimensione di sorpresa, tuttavia tracciamo alcuni punti che ci serviranno come l’insegnamento come spunti di riflessione.

  1. Al proprio corpo bisogna riservare il trattamento di giustizia perché seguire solamente la giustizia, la giustizia di Dio, è l’unica strada della vita indicata da Dio.
  2. Per vivere bene nel corpo che è anche carne, ma entrambi non sono sinonimi, occorre imparare l’arte del governo di sé.
  3. A Dio è piaciuto che il nostro corpo sia assieme la nostra casa e santuario dello Spirito santo per elevarci verso di Lui e insegnarci, tra l’altro – l’intimità attraverso un tete a tete privato con Lui che avvenga (di tanto in tanto) nel santuario dello Spirito santo del nostro corpo: l’intimità questa dobbiamo trasferire agli altri.
  4. Il corpo non ci appartiene vuol dire: richiamandosi all’intelligenza di tutto il corpo adempiere il proprio compito e lasciare adempimento del compito di Dio a Dio.

Il testo biblico di oggi ha rivelato alcune novità assolute sul corpo umano. Cristo venendo nel mondo con il corpo ha portato al corpo umano la veste che mancava: questa è Egli stesso. Quando noi ci rivestiamo di Cristo ecco che i nostri corpi risuonano assieme e in armonia con tutti i corpi visibili e invisibili.

Sorelle e fratelli,

Il corpo umano è l’unico tra tutte le creature creato a immagine di Dio e – siccome fatto degli elementi potenti e inafferrabili assieme – è un enigma, di cui il modello è però l’immagine di Dio, appunto, è lecito, perciò, accettare le cose così come stanno: la inafferrabilità del corpo umano fisico deve rimanere tale perché in esso si riflette l’inafferrabile immagine di Dio. Questo è il modo Divino di farsi conoscere.

I nostri corpi sono assieme il capolavoro delle mani di Dio e – in divenire: il corpo è un work end progress nelle mani di Dio e un po’ anche nelle nostre mani.

Vorrei accennare ancora a un’altra dimensione insita nel corpo umano fin dalla sua origine: esso è il primo, longevo, il più sincero e il più veritiero (perché non falsa, cosa che possono fare le parole) linguaggio umano: il linguaggio del corpo, appunto. Questo significa che abbiamo costantemente e gratuitamente a disposizione una lingua accessibile a tutti. Un più antico esperanto, – non affatto superato perché riuscito e perenne, – depositato in ogni corpo umano che va esercitato, come ogni lingua.

Una bella preghiera ortodossa parla della vita umana come un mare da attraversare e del destino dell’uomo che viene alla vita proprio per attraversare questo mare della vita a nuoto. Il nostro corpo, inoltre, serve a questo.

Amen

 

 Preghiera dopo la predicazione

 

O Signore

quanto è magnifica la tua opera

quanto magnifico è il corpo umano

di uomo e di donna

opera delle tue mani

Aiutaci

ad imparare l’Arte del Governo di sé

possiamo esserci sempre più capaci di respingere ogni peccato

per

liberare tutto lo spazio del quale dispone il corpo umano

perché sia interamente occupato soltanto dal santuario dello Spirito santo che è in me

risuonino i corpi di tutta l’umanità in un’unanimità corale

di canti di Tue lodi

anche il giorno di oggi – la Piccola Pasqua

che è testimone della resurrezione del nostro Signore

si unisca nei canti:

Santo Santo Santo

Dio degli eserciti

tutta la terra e i nostri corpi sono pieni della Tua gloria

o Dio

 

Amen

 

Tatiana Novak

[1] Parafrasi Salmo 51,15

Elia profeta del pane

Care sorelle e cari fratelli nel Signore, il testo della predicazione per oggi è tratto  dal libro del 1 Re al cap. 17 versetti da 1 a 24, è  semplice e facile da capire come ci viene raccontato nel suo susseguirsi. Sono tre episodi che si intrecciano, e ruotano al vissuto di Elia, rifugiato e straniero, salvato da una calamità naturale del suo paese.

La storia parla di un profeta che annuncia un messaggio di Dio al re Acab. Possa la sua esperienza indelebile essere una sorgente di fede nel Dio vivente anche per i lettori e gli ascoltatori di oggi.

Nel obbedire fedelmente al comando di Dio, alla sua voce, Elia trovò la strada giusta da seguire che lo condusse alla scoperta della provvidenza divina, visse come un testimone della presenza del Signore del cielo e della terra.  Con la fiducia in Dio, Elia andò di luogo in luogo, non opponendosi al suo comando, trovò sostentamento nella sua vita e il suo compito nella vita degli altri.

Elia si trovò in una condizione di scarsità di cibo a causa della siccità nella sua terra, e rifugiandosi tra le acque del torrente trovò il cibo e l’acqua che gli servivano per vivere, dei corvi che gli portavano il pane e la carne due volte al giorno, poi un alloggio da una donna vedova e suo figlio.

3 Slides(immagini di Elia e i corvi, Elia e la vedova, Elia e il bambino)

Care sorelle e cari fratelli, osservate e guardate attentamente le immagini sullo schermo. È incredibile, è difficile crederci. Sono immagini che nemmeno io stento a credere. Si presentano come favole, piccole storie eppure nel parlare il nome di Dio siamo chiamati a testimoniare le sue parole profetiche perché da e in esse Egli trae la vita. In mezzo alla morte Dio trae la vita. Quando confidiamo nel Signore, la vita si riconferma, avviene un miracolo, come nella moltiplicazione dei pani dove Egli non ha ridotto nulla, ma ha riprodotto qualcosa. Paradossalmente, nella nostra vita di oggi, vivendo nell’abbondanza non ci rendiamo conto di quanta benedizione riceviamo da Lui ogni giorno.

Oggi vorrei soffermarmi a riflettere su tre considerazioni.

La prima è quella di ricordare e ravvivare una delle nostre tradizioni sull’ospitalità attraverso la lettura di questo brano dal versetto 14 Infatti così dice il SIGNORE, Dio d’Israele: …16 La farina nel vaso non si esaurì, e l’olio nel vasetto non calò, secondo la parola che il SIGNORE aveva pronunciata per bocca d’Elia.Queste parole sono precedute da una esortazione “Non temere” come dire “abbi fede”.

Ho cercato di immaginare la situazione in cui si trovava Elia. Non era altro che un passeggero precario che si trovava nella stessa condizione della donna vedova. Sono due poveri(oppure sono diventati poveri) che non hanno nulla da offrire se non il superfluo che non è né più né meno. Attualizzando questi versetti molto conosciuti a noi nelle Filippine diciamo: “noi crediamo e pratichiamo con la convinzione che essere ospitali è qualcosa di sacro, perciò bisogna dare il massimo grado di accoglienza a un viandante, a uno straniero.” Uno straniero porta una benedizione, una speranza di vita positiva, un messaggero di buone notizie. Crea un quadro simile a quello di Elia che, spinto dal bisogno di dissetarsi dopo un lungo cammino sotto il sole, si ferma e bussa alla porta per chiedere un bicchiere d’acqua. Spontaneamente, da lì inizia una conoscenza reciproca e una conversazione continua. Il miracolo dell’incontro, è un evento che non avviene per caso nella vita dei credenti. Anche le parole dette da entrambi nei versetto 1 e 12 “Come è vero che il Signore vive” si avverano perché affermano che la loro unica fonte comune è Dio.

La seconda considerazione che vorrei condividere con voi parte dal contesto in cui Elia si è trovato allora e riguarda a una cattiva gestione politica del re Acab nel governare il suo paese a favore del dio Baal. Nei versetti precedenti, gli ultimi del cap. 16 leggiamo:  “Acab figlio di Omri, cominciò a regnare sopra Israele l’anno trentottesimo di Asa, re di Giuda; e regnò a Samaria sopra Israele, per ventidue anni. Acab, figlio di Omri, fece ciò che è male agli occhi del Signore più di tutti quelli che l’avevano preceduto. Come se fosse stato per lui poca cosa abbandonarsi ai peccati di Geroboamo, figlio di Nebat, prese in moglie Izebel, figlia di Etbaal, re dei Sidoni, andò ad adorare Baal, a protrarsi davanti a lui, e innalzò un altare a Baal, nel tempio di Baal, che costruì a Samaria. Acab fece anche l’idolo d’Astarte. Acab fece più di quello che avevano fatto tutti i precedenti re d’Israele per provocare lo sdegno del Signore d’Israele.”(cfr. 1 Re 16,29-33).

Quindi, alla luce di questo fatto, ci troviamo di fronte alla disobbedienza del re Acab al terzo comandamento di Dio: “Non avere altri dei all’infuori di me” Es.20:3.
Uno dei commenti sulla siccità è implicitamente vista come la reazione di Dio alla politica pro-Baal di Acab. Ancora una volta vediamo una sfida profetica contro l’idolatria reale. In altre parole, la siccità, che era il risultato della scarsità di cibo per tutta la terra d’Israele, era anche una manifestazione dell’ira di Dio contro la disobbedienza del re. Re Acab aveva violato la legge del suo Dio. Come disse Elia: “Com’è vero che vive l’Eterno, il Dio d’Israele, che io servo, non ci sarà rugiada né pioggia in questi anni, se non per mia parola”. (v. 1 è la risposta di Dio che si oppone alla malvagità del re Acab).

Come nell’antichità e oggi nei paesi aridi e sottosviluppati/in via di sviluppo, la siccità è una minaccia alla vita perché causa la morte. È stata anche la risposta di Dio alla cattiva gestione del potere dell’uomo e alla responsabilità trascurata verso il suo habitat.  Toccava a Dio fermare la malvagità che aveva avvolto Acab che come re aveva influenzato il destino del suo popolo. La cattiveria o le azioni malvagie dell’uomo possono essere fermate o interrotte solo dall’opera potente di Dio, ma in un modo che lo rivela ai piccoli come disse Gesù, “Ti ringrazio Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Padre, perché ti è sembrato buono.” (cfr. Matteo 11:25-26)

 

Cosa è cambiato da te, dalla tua esperienza di quasi due anni fa, nel convivere con il COVID-19? Questa è una pandemia che ha messo in ginocchio la nostra economia, e soprattutto è stata minacciata la salute di tutti. Questo è un grande allarme perché se non abbiamo una buona salute, anche lo stato della nostra economia ne soffrirà. Inoltre, il cambiamento climatico avverso che ci sta portando alla distruzione è un segno che l’uomo a cui ha affidato tutta l’umanità sta trascurando la sua responsabilità verso il suo habitat. L’acqua, il sole, la terra, la vegetazione quindi tutta la creazione è un bene comune per un popolo, anzi per tutti i popoli. Il giuramento, come la dichiarazione di fede di Elia e della vedova, era una prova che Dio osserva e agisce a suo tempo con provvidenza.

 

Care sorelle e fratelli nel Signore, oggi il brano per la predicazione evidenzia quanto sia necessario avere il pane da mangiare. Così colgo questa occasione per parlare della parola “PANE” il cibo per eccellenza del corpo e dell’anima e non solo perché la necessità di esso nasce dall’esperienza della mancanza, a causa della cattiva gestione dell’uomo di turno, di colui che governa il paese, o di un disastro naturale.

 

Infine, la mia ultima considerazione riguarda il PANE.

 

PANE- è una parola composta da quattro lettere, queste ci ricordano la loro importanza nella nostra vita, credenti o meno per nutrire il nostro bisogno quotidiano. Quando siamo sazi di pane siamo felici e soddisfatti.

Vorrei ricordare con voi queste quattro lettere come se fosse un acronimo, ma poi potete anche in un altro modo. Cominciamo con la lettera P – Padre. È molto familiare a tutti noi questo nome Padre. Lo attribuiamo a Dio prima di tutto perché lo abbiamo riconosciuto come la fonte del nostro cibo. Lui si compiace di donarcelo poiché siamo tutti i suoi figli, ce lo dà in abbondanza secondo il suo desiderio di sempre. Per avere del pane pronto da mangiare serve però il sole per far crescere le piante, la pioggia per irrigare la terra, qualcuno che la coltiva e che ce lo cuoce.

 

La seconda lettera è A – Amore. Dio Padre, fornendo cibo ai suoi figli, manifesta il suo amore. Per amore non vuole che suo figlio abbia fame e quindi fa di tutto per dimostrare che il suo sostentamento non mancherà mai.  Il mondo è pieno di cibo. Siamo consapevoli della sua abbondanza e allo stesso tempo della sua scarsità dove c’è una cattiva gestione e ci sono esseri viventi da nutrire.

 

La terza lettera è N -Nutrimento. Quando il corpo è nutrito vive, non patisce la fame, ed è capace di agire continuamente.  Il corpo umano ha bisogno di essere nutrito perché  adempia il suo mestiere, il suo ruolo nel mondo in cui destinato a vivere insieme ad altri. Il pane è il nostro nutrimento che alimenta tutto il corpo.

 

La quarta ed è ’ultima lettera è l’E – Evento. Questa parola è fondamentale per la vita del credente in Dio. Nell’incontro con l’altro succede qualcosa che diventa un “evento”. Nell’incontro con l’altro si raggiunge la soddisfazione e si completa la gioia mangiando insieme il pane. Perciò il pane rivela una necessità assoluta perché sostiene la vita. Dio vuole che mangiamo il suo pane disceso dal cielo, che viene da lui. Il popolo di Dio è vissuto di questo pane che lo ha nutrito, moltiplicandolo, spezzandolo, dividendolo in molti. Il raduno come evento è un miracolo che diventa una festa ogni volta che siamo riuniti nelle nostre case e nelle nostre chiese. Il cibo si moltiplica quando c’è un’opportunità di condivisione. Il pane nutre il corpo, l’anima, crea legami, riconcilia le relazioni interpersonali.

 

L’intervento di Dio si manifesta così nella successione degli eventi che raggiunge il suo culmine, come in questo caso la prova che Elia era stato inviato per ridare la vita al figlio del suo ospite, una madre, una donna vedova disposta a rinunciare a tutto il poco che aveva.

 

Elia, i corvi, la vedova – sono tutti messaggeri di Dio che hanno portato il pane materiale e spirituale.

Gli animali (un corvo, una colomba, un serpente) giocano un ruolo decisivo nella continuità della vita dell’uomo. L’esempio eroico del meraviglioso lavoro degli animali dovrebbe abbassare l’orgoglio umano e ricordarci che Dio ha il potere di metterli insieme come un puzzle per raggiungere il suo scopo. Le storie di vita e di esperienza dei personaggi della Bibbia sono testimonianze che istruiscono l’uomo sulla fede. Continuiamo a scoprire il cammino di fede tracciato nelle Sacre Scritture.

 

Voglia il Signore santificare il giorno in cui ascoltiamo la sua parola che ci diriga a trovare il nostro bisogno di cibo a suo tempo e quotidiano. Non trascuriamo il nostro habitat, curiamolo.  È nostro dovere e responsabilità preservarlo mentre viviamo.

 

Amen.

Signore nostro Dio,

ti preghiamo di aiutarci a cambiare il nostro comportamento nei confronti del nostro habitat. Non permetterci di trascurare il nostro dovere verso tutta la creazione come frutto di una calamità naturale, chiamaci a cambiare la nostra mentalità di continuo sfruttamento.

Aiutaci ad obbedire ai tuoi comandamenti. Facci imparare da ciò che ascoltiamo e meditiamo ogni volta, parlaci attraverso l’esperienza dei nostri antenati con le Sacre Scritture.

Tu hai affidato la custodia della terra a noi soprattutto a coloro che hanno in mano il governo di tutti i paesi del mondo.

Ti preghiamo per chi è malato e malata nella nostra comunità. I nostri fratelli e le nostre sorelle che hanno una certa età. Fa che riacquistino la forza mancata.

Facci trovare ciò che ci manca e dacci un cuore sempre riconoscente.

Benedici il pane che spezziamo e condividiamo a molte persone che incontriamo nella strada della vita. Susciti in noi la gioia di donare. Accompagnaci con la tua presenza. Noi riassumiamo tutte le nostre preghiere con le parole di Gesù che ci ha insegnato Padre nostro…

Past. Joylin Galapon1818

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Resistere nell’amore

La vite, la vigna, il vignaiolo sono immagini che ritroviamo molte volte  nelle scritture. E in vari brani è identificata a Israele come in Ezechiele al capitolo 15. Nella cultura d’Israele la vite era immagine del popolo. Lo abbiamo appena ascoltato nel  profondo cantico d’amore del Signore per la sua vigna raccontato da Isaia, ma anche il Profeta Geremia parla di Israele come di una vite.

In Ezechiele,, invece il profeta descrive il legno della vite. Che pregi ha? Nessuno. Il legno della vite è l’unico legno tra gli alberi della campagna con il quale non si può fare nulla; non ci si può fare un oggetto, un attrezzo utile. Il legno della vite è buono soltanto per far passare la linfa vitale ai tralci e produrre frutta. Quindi il legno della vite è il legno inservibile, se non per portare frutto. Ed è a questa immagine del Profeta Ezechiele che Gesù si riallaccia nel famoso discorso della vite e dei tralci, contenuto nel capitolo 15 del Vangelo di Giovanni. E questo legno così inservibile diventa l’immagine che tutti abbiamo nella nostra mente, nel cuore,

Tantissimo si potrà dire su questo brano. Cercherò di dare semplici flash.

Quando Gesù dice “Io sono”, questo rappresenta la pienezza della sua condizione divina, perché “Io sono” è il nome di Dio.

Bene Gesù dichiara di essere “la vera vite”, quindi ci sono delle false viti. Gesù continua quel processo di sostituzione con le realtà di Israele con la propria persona:

– non la manna dal cielo, ma lui è il vero pane che da vita al popolo;
– lui è la vera luce al contrario della legge;
– lui è la vera vite, lui è il vero popolo piantato dal Signore

La vite, quel mostriciattolo storto e contorto verde grigio nero, una rete che si arrampica si aggroviglia e si avvinghia. Qual’è la vite e dove comincia il tralcio: fin qui è vite, d’ora in poi è ramo, tralcio, articolazione? Boh. Per me è tutta una cosa… se sto in mezzo ai filari è una sensazione unica. Sembra la mia vita, lunga lunga, torta, ritorta, sottosopra un po’ su un po’ giù senza capo né coda. Un liquido di immagini di batticuori di ricordi di pensieri che mi scorre addosso a lampi e buio, a tutto volume e a vuoti, senza senso. Forse lo stesso è capitato a Gesù e ai discepoli.

Vite e tralci tutt’uno.

Se ci penso dico così. Tra me e lui non è un combaciare di pensieri e di affetti, non siamo due innamorati alla pari. Legati uniti. Non è, il nostro, un atto d’amore che si avvicina si affronta si attacca e poi lentamente giustamente penetra nell’amato: qui la curva fisiologica dell’atto d’amore non funziona, non spiega. Una unione tra amato e amante. Tra Gesù e i discepoli, tra Gesù e noi oggi.

Ecco sì la vite che senza tanti fronzoli mi s’installa dentro silenziosa come una app e poi si di-rama come un tralcio. Gesù vite e noi tralci. Però… sembra facile e invece quanta cura pretendono da me ‘sti tralci benedetti. Neanche belli a vedersi: i tralci di vite devo guidarli avvolgerli raccoglierli e alla fine contorcerli e costringerli su un fusto o un fil di ferro o una pertica o lungo un pergolato. Che impegno che fatica che cura esige un vigneto e che lavoro nascosto di pensieri di emozioni di controlli pretende la mia personale fede.

Allora questa è la fede? Un momento la fede non è il primo passo ma l’ultimo: quasi il frutto di un avvicinamento amoroso fra Gesù e il discepolo poi (si spera) i discepoli fra di loro. Per la comunità che scrive il Quarto Vangelo raggiungere quel tipo di fede è già vita eterna, il massimo per un mortale. Senza attendere un giorno finale e senza, attenzione, aspettarsi un premio o aver paura di un castigo o di un inferno. È un impianto religioso nuovo originale provocatorio, il pensiero giovanneo.

Per capire Giovanni devo abbandonare la convinzione che aver fede serva a salvarmi l’anima, che credere sia necessario per sfuggire a un inferno o per ottenere un paradiso. Ragionamenti che per lui non esistono.
Secondo il Quarto Vangelo, la fede (si consuma tutta al di dentro di un’esperienza amorosa: felicità di unione con l’Amato o, se va male, tormento per essermi allontanato da lui o per essere stato abbandonato da lui. Fede sofferta e incerta ma finalmente pura gratuita trasparente: niente forma esageratamente pubblica, nessuna ostentazione: una felicità che mi allaga l’anima senza che nessuno lo sappia.

Riflettendo su questo brano ho scoperto due possibili traduzioni differenti da quello che normalmente leggiamo e ascoltiamo.

Il padre, vignaiolo, pota i tralci che non portano frutto. Ma una possibile traduzione è invece di potare, purificare. Il Padre purifica la nostra vita. Il verbo adoperato da Giovanni è ‘purificare’, non ‘potare’. Sono due cose completamente diverse. Cosa significa purificare? Il Padre che ha a cuore che il tralcio porti più frutto sa individuare quegli elementi nocivi, quelle impurità, quei difetti che ci sono nel tralcio e lui provvede a eliminarli. Questo è importante, l’azione è del Padre; non deve essere il tralcio a centrarsi su sé stesso, ad individuare i propri difetti e cercare di eliminarli, perché centrandosi su sé stesso farà un danno irreversibile.

Noi vogliamo purificarci da soli, vogliamo salvarci da soli. Vogliamo costruire una fede fai da te. Giovanni ci dice il contrario: Non siamo noi a purificare…. Ma è il Padre.

C’ sempre una filosofia, una sociologia, una psicologia, che ci dice come essere come perfezionarci come essere “frutti abbondanti”. Qui ci dice che invece è il Padre che ci offre la purificazione della nostra vita.

Queste teorie sono nient’altro che “formalismi della perfezione”, ma anemici nel donare, nell’amore, incapaci di trasmettere Amore. La purificazione del Padre riempie di questo Amore. Lui sa e agisce perchè ognuno e ognuna di noi sia dono. Sia amore.

Allora, in ognuno di noi ci sono dei limiti, ci sono dei difetti, ci sono delle brutte tendenze. Ebbene noi non ci dobbiamo preoccupare. Sarà il Padre che, se vede che questi limiti, questi difetti, queste tendenze sono di impedimento al portare più frutto, lui penserà ad eliminarli, non noi.

E dichiara Gesù “Voi siete già puri”, ecco vedete, quando i traduttori traducono il verbo con ‘potare’ anziché ‘purificare’, non rendono questo gioco di parole che l’evangelista fa tra il verbo ‘purificare’ e l’aggettivo ‘puri’.

Purificandoci rimarremo nel suo amore. Rimanere credo sia ripetutto fino al versetto 17, 10 volte.

Rimanete in me, rimanete nel mio amore è il segno tracciato per una nuova frontiera. Rimanere, restare attaccati, méinete: il verbo ossessivo che domina quelle pagine.

Rimanere nell’amore: quasi un ritornello che assedia i discepoli che ascoltano impietriti quell’interminabile assolo del Gesù giovanneo nel corso di quella sera fatale. Ma cos’è questo permanere, cosa intende cosa propone quel tormentone?

Rimanere nell’amore è sfidare il tempo è prenderlo di petto perché, invecchiando, non ci spenga il coraggio il fervore la sincerità; perché non ci precipiti nella noia e nel pressapochismo. Il tempo non ci perda, il tempo non ci annienti.

Una possibile altra traduzione di rimanere che ho trovato e mi affascina molto è resistere, resistere nell’Amore. Resistere nel suo Amore. Questo dal punto di vista della comunità di Giovanni può indicare differenze e problemi.

Ma a noi oggi, ci indica un itinerario e una borsa degli attrezzi:

purificare,

resistere

portare frutto

Rimanere nel suo amore. E cos’è quel suo amore? Cosa ha a che fare col mio col tuo, coi nostri amori ordinari, mezzi mezzi, zoppicanti e molte volte in forse?

È proprio questo il problema ed è proprio questa la sfida impossibile del Quarto Vangelo. Rimanere non è solo prolungare passivamente ma immergere e affondare e impastare i nostri deboli amori in quel vertiginoso fuoco che il Gesù giovanneo chiama il legame fra il Padre e il Figlio.

Intrecciare i nostri fragili amori con quell’amore che lega Gesù al Padre. Che azzardo che assurdo che follia. Sarebbe come rivestirci dei panni dei tanti amori come ad esempio dal Cantico dei Cantici. Un po’ così. Ma a questo tende il Quarto Vangelo nei suoi capitoli finali: educarci finalmente all’amore.

E su questo Giovanni non concede tregua. Gesù parla parla parla ininterrottamente, si esalta si commuove si rammarica si intristisce.  E senza prendere fiato incoraggia rimprovera promette scongiura. Per aprirci all’Amore.

Quello sarà il tuo tempo: il tempo della vite e dei tralci anche per te. La fede e la voglia di vivere di sapere di gustare di tendere alla luce saranno allora un tutt’uno, senza stare più a discutere e razionare e separare religione e vita. Sarà impossibile metterci mano.

Questa è la fede che sogno. Non so voi.

Perchè il frutto della linfa, della vite di questa immagine giovannea è:

amore

libertà

coraggio

è l’I Care, cioè mi preoccupo di te, mi curo di te, ci sono per te.

È  un grande inno di amore. Purificare, resistere, oppure potare e rimanere, è costruire nell’oggi l’Amore abbondante, rigoglioso, saldo, nella fatica della quotidianità, che è innestato nella vite del Cristo, del Cristo Risorto.

Dunque con Gesù e con il messaggio della sua vita occorre instaurare un rapporto stabile e profondo, non passeggero, non momentaneo, non dettato dal futile e passeggero entusiasmo. Solo allora porteremo molto frutto.
Non si tratta di una promessa da montarci la testa. Si tratta di prendere sul serio la prospettiva che le nostre piccole vite non sono inutili, non sono sterili, che i semi gettati nella direzione dell’amore e della solidarietà non vanno perduti perchè il campo della vita personale e del mondo gode della cura di un agricoltore (v.1) che è Dio. Possiamo seminare e fidarci. Non ho mai sognato cose grandi, ma prego ogni giorno Dio perchè io possa scegliere e percorrere i sentieri della fecondità per non vanificare i Suoi doni e per rendere più abitabile il Suo campo.

 

Fabio Perroni

Stupiti e perplessi

Atti 2 12-13

 

12 Tutti stupivano ed erano perplessi chiedendosi l’uno all’altro: «Che cosa significa questo?» 13 Ma altri li deridevano e dicevano: «Sono pieni di vino dolce».

 

Fratelli e sorelle per un non professionista della parola come io mi ritengo è difficile predicare su testi molto corti o addirittura su un paio di versetti estrapolati da un brano più corposo.

In alcuni casi questa situazione potrebbe essere addirittura considerata scorretta perché un brano biblico andrebbe letto, analizzato e discusso nella sua interezza.

Sono quindi consapevole di affrontare una situazione difficile e spero mi perdonerete se non riuscirò appieno e allo stesso tempo prego il Signore di rimanere fedele al Suo messaggio che queste parole ci indicano e di non utilizzarle per altri fini.

I versetti estrapolati appartengono, come credo sappiate tutti al racconto della Pentecoste che abbiamo celebrato poche settimane fa, racconto che quindi non riprenderò, voglio però soffermarmi proprio su questa parte finale che ritengo molto significativa per i credenti di allora ma forse ancor più di oggi.

Il giorno di Pentecoste per i discepoli di Gesù e per la popolazione di Gerusalemme, accade qualcosa che darà nuovo significato a questa festa ebraica e che segnerà una svolta epocale per tutta la storia del popolo di Dio.

Quel giorno troviamo i discepoli di Gesù in una casa di Gerusalemme che, riuniti in preghiera, attendono qualcosa che ancora non sanno bene definire, ma che Gesù aveva loro promesso.

Noi che attraverso i racconti biblici li conosciamo bene non troviamo affatto strano che gli Apostoli non avessero del tutto compreso il messaggio del Cristo. Troppe volte nella storia e anche ai nostri giorni questo messaggio è stato mal interpretato, sfruttato per altri fini o semplicemente ignorato.

I discepoli di Gesù quindi vennero improvvisamente invasi dallo Spirito Santo e questa esperienza avrebbe cambiato del tutto la loro vita e ovviamente anche la nostra.

Essi ricevono “il dono delle lingue”, quello che permette loro di comunicare efficacemente quel che riguarda Gesù di Nazareth, l’Evangelo, a gente di lingue e nazioni differenti.

Questo dono prefigura e annuncia l’inizio del giorno in cui Dio raccoglierà, per far parte del Suo popolo, persone da tutto il mondo.

La cosa per noi oggi è ovvia perché noi vediamo questa cosa come già avvenuta, le nostre comunità sono piene di genti, fratelli e sorelle, che parlano lingue differenti, usano liturgie diverse e talvolta indossano abiti di foggia per noi strana. Noi lo diamo per scontato, diciamo che viviamo in una Pentecoste 2.0

Persone che nonostante tutti differenti modi di chiamarlo adorano un medesimo Salvatore e pregano lo stesso Signore.

Ma a quell’epoca nel mondo di tradizione ebraica era assolutamente una novità affermare che tutti gli uomini saranno chiamati a far parte del popolo di Dio senza più significative distinzioni

La risposta che parte di quel mondo dà ai discepoli ha sempre colpito molto, ed essa è proprio quella compresa nei versetti che abbiamo letto:

“E tutti stupivano ed erano perplessi, e si dicevano l’un l’altro: «Che vuol dire questo?». Altri invece li schernivano e dicevano: «Sono ripieni di vin dolce!».

Davanti alle frasi pronunciate dagli Apostoli all’annunzio delle parole del Signore, perché questo stavano facendo i 12 parlando nelle più svariate lingue, essi annunciavano il Signore molti rispondevano prendendoli in giro e credendoli ubriachi.

Noi non ci stupiamo se riflettiamo a come lo stesso Gesù era stato spesso accolto durante la sua missione in giro per la Palestina: c’era chi lo odiava e tramava la sua morte ma anche chi lo prendeva in giro tutti noi ricordiamo le parole pronunciate ai piedi della croce dove fu inchiodato:

Così pure, i capi dei sacerdoti con gli scribi e gli anziani, beffandosi, dicevano: 42 «Ha salvato altri e non può salvare sè stesso! Se lui è il re d’Israele, scenda ora giù dalla croce, e noi crederemo in lui.»

Niente di strano quindi che il messaggio di amore e fratellanza portatoci dal Cristo e rilanciato dagli Apostoli sia bersaglio di prese in giro.

Ecco purtroppo anche oggi alle parole che le chiese cercano di annunciare, soprattutto in ambito politico e sociale la risposta è troppo spesso: “voi siete ubriachi” o l’altrettanto valido “voi siete pazzi”.

Davanti alle affermazioni dell’Apostolo Paolo che non esiste più né Greco né Giudeo cosa è stato risposto tanti anni fa?

E davanti alle altrettanto clamorose affermazioni che non esiste più libero ne schiavo?

Davanti alla affermazione che i laici avevano la stessa prerogativa di predicare l’Evangelo cosa è stato risposto a Valdo ed agli altri riformatori tanti anni fa?

Ma voi siete pazzi!!!

Davanti ad alcune affermazioni sulla parità delle donne anche e soprattutto nel ruolo di predicazione cosa fu risposto ormai tanti anni fa a Wesley ed agli altri riformatori?

Ma che siete ubriachi?

Davanti all’affermazione che esiste parità di dignità nell’amore fra due esseri umani a prescindere dai loro sessi cosa ci è stato risposto non tanti anni fa?

Ma voi siete pazzi!!!

Quando prima a Milano e poi a Roma alcuni fratelli decisero di iniziare a distribuire aiuti ai senza tetto cosa dissero (o magari solo pensarono perché dirlo avrebbe fatto brutto)?

Ma perché la domenica mattina non ne approfittate per dormire visto che potete, siete proprio pazzi!!!

Quando la Federazione delle chiese evangeliche immaginò e propose i corridoi umanitari da molti come venne derisa?

Far entrare i rifugiati con l’aereo e non fargli rischiare la vita in un barcone? Ma che idea da pazzi!!!

Quando si decise che ad Intra il nostro stabile vista lago che poteva sicuramente essere affittato ai turisti tedeschi fosse destinato alla seconda accoglienza per famiglie con problemi cosa si poteva pensare?

Che la chiesa era pazza a rinunciare a quei soldi!!!

E quando la Tavola dell’epoca aprì nel cuore della Sicilia, terra di mafia e disoccupazione un centro a Riesi convinta che lavoro e legalità fossero il modo migliore di testimoniare il Signore in quelle terre cosa dissero in molti?

Che erano e forse ancora siamo pieni di vino dolce!!!

Ed allora la Pentecoste, la festa della nascita della Chiesa intesa come gruppo di persone che portano avanti la predicazione di Gesù Cristo in questo nostro mondo così imperfetto, è anche questo.

Il momento in cui i credenti si rendono conto che c’è chi “rema contro” C’era chi remava contro nella Gerusalemme del I secolo e purtroppo c’è chi rema contro anche nell’Europa del XXI secolo. Ma queste persone, questi movimenti, queste idee non remano contro la Chiesa, umana riunione di uomini e donne essi remano contro e si oppongono al messaggio Cristiano così come il Salvatore dell’umanità ce lo ha rivelato.

Mentre scrivevo queste riflessioni mi sono accorto che esse possono apparire un modo di incensare le nostre chiese, cosa del tutto lontana dalle mie intenzioni considerando che tutti noi in questo locale sappiamo benissimo che esse hanno mille difetti e mille mancanze, sono formate da uomini e donne con le loro debolezze e i loro difetti, che esse arrancano per portare avanti la testimonianza e soprattutto che solamente con l’aiuto indispensabile del Signore hanno portato avanti quelle e le altre che abbiamo ricordato.

Ne erano coscienti gli apostoli, ne era cosciente Paolo che scrisse nella sua lettera ai Corinzi:

26 Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili; 27 ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; 28 Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono, 29 perché nessuno si vanti di fronte a Dio.

Di questo dobbiamo esserne ben coscienti e tenerne conto nell’impegno quotidiano di testimonianza che ci siamo presi sulle spalle, in questa società ci sarà sempre chi accuserà le chiese, tutte le chiese su questo siamo in un ambito di perfetta parità, di parlare come pazzi e i credenti di essere pieni di vino dolce.

Signore nostro Dio che hai mandato il tuo Figlio unigenito a salvarci e ad indicarci la strada da seguire, che mandi il tuo Spirito a consolarci ed accompagnarci per questo cammino aiutaci a ignorare chi ci accusa di essere pazzi e a non ascoltare chi ci accusa di essere pieni di vino dolce.

Amen

pred. Enrico Bertollini